Il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (in prosieguo CCII)[1] contiene una disposizione che ha suscitato particolare interesse, e forse anche qualche inquietudine, nel mondo degli istituti di credito. Si tratta dell’art. 14, comma 4, il quale prevede che “Le banche e gli altri intermediari finanziari di cui all'articolo 106 del testo unico bancario, nel momento in cui comunicano al cliente variazioni o revisioni o revoche degli affidamenti, ne danno notizia anche agli organi di controllo societari, se esistenti”.
La formulazione della norma non lascia dubbi sull’intenzione del legislatore di introdurre un vero e proprio obbligo di comunicazione a carico sia delle banche sia degli intermediari finanziari ivi indicati (per brevità, si parlerà d’ora innanzi solo delle banche). Un obbligo che in precedenza non era previsto e che però si ben inquadra ora nel contesto dei doveri di leale collaborazione dei creditori col debitore previsti in via generale dall’ultimo comma dell’art. 4 del medesimo codice.
Conviene ora esaminare un po’ più d’appresso il contenuto specifico di tale obbligo di comunicazione, che investe una vasta gamma di rapporti. Prima di accingersi a tanto, val la pena però di osservare che, trattandosi appunto di un obbligo, la sua eventuale violazione potrebbe esporre la banca a responsabilità, sia verso la società beneficiaria dell’affidamento sia, eventualmente, verso terzi danneggiati[2]. Come quasi sempre accade in presenza della violazione di obblighi informativi, peraltro, non è del tutto agevole individuare i danni che ne possano derivare. Quei danni normalmente traggono origine da comportamenti (commissivi o omissivi) di soggetti ai quali non è stata fornita, o è stata fornita in modo scorretto, l’informazione dovuta. Il che, nella maggior parte dei casi, postula la necessità di formulare ipotesi controfattuali, ossia di immaginare come verosimilmente quei soggetti si sarebbero comportati e cosa sarebbe accaduto se l’informazione fosse stata data in conformità al precetto legale.
Ma torniamo al contenuto dell’obbligo.
Una prima osservazione s’impone. Di un obbligo delle banche di informare gli organi di controllo societari delle modifiche apportate al regime degli affidamenti concessi alle società loro clienti non v’era traccia nella normativa anteriore. Trattandosi quindi di una norma nuova, introdotta da un codice emanato con un decreto legislativo (D.Lgs. n. 14 del 2019), ci si potrebbe attendere che già vi fosse un’indicazione in tal senso in uno dei criteri enunciati dalla precedente legge-delega (L. n. 155 del 2017), ma così non è. Nei lavori della Commissione ministeriale incaricata di predisporre una bozza di legge-delega se ne era talvolta parlato, e taluno aveva anche ipotizzato di ricomprendere le banche nel novero di quei creditori qualificati che, al pari del fisco e degli enti previdenziali, hanno l’onere di segnalare l’esistenza di situazioni debitorie potenzialmente indicative di uno stato di crisi dell’impresa; ma non se ne fece nulla[3]. Considerata isolatamente, quindi, la disposizione del quarto comma del citato art. 14 potrebbe essere sospettata di eccesso di delega. Ma il sospetto svanisce se quella disposizione viene letta, come è corretto fare, nel più generale contesto della disciplina degli istituti dell’allerta e della composizione assistita della crisi, nel cui ambito è posta. Appare allora evidente che si tratta uno strumento cui il legislatore delegato ha fatto ricorso per rafforzare l’efficacia dei due predetti istituti, in piena coerenza con gli intenti espressi dalla legge-delega.
Non mi sembra possano esservi dubbi sul fatto che la disposizione in discorso sia funzionale all’adempimento dei doveri gravanti sugli organi di controllo societari, sempre che, ovviamente, la società ne sia dotata. Ora, è noto che tali doveri, quanto ai sindaci, consistono nel vigilare sull’esatta osservanza della legge da parte degli altri organi della società, cui solo eventualmente può aggiungersi il controllo contabile (art. 2403 c.c.). Il primo comma dell’art. 14 del CCII si muove in questo solco, laddove specifica che gli organi di controllo debbono verificare l’adempimento, da parte degli amministratori, del dovere di valutare costantemente l’adeguatezza dell’assetto organizzativo dell’impresa e la permanenza del necessario equilibrio finanziario. Questo dovere compete non solo ai sindaci (ed alle corrispondenti figure previste in luogo del collegio sindacale per le società che adottano il sistema dualistico o quello monistico di amministrazione e controllo), ma anche ai revisori, che con i sindaci sono chiamati a dialogare ed ai quali perciò debbono del pari esser fornite le notizie indicate nel quarto comma del citato art. 14[4]. Si prevede in aggiunta, nel comma seguente, l’obbligo degli stessi organi di controllo di informare l’OCRI degli eventuali indizi di crisi, ma pur sempre in seconda battuta: dopo, cioè, che la segnalazione di tali indizi sia stata indirizzata agli amministratori, e sempre che costoro non si siano conseguentemente attivati in modo efficace.
L’obbligo della banca di “dare notizia anche agli organi di controllo” delle comunicazioni inviate al cliente (id est: agli amministratori della società beneficiaria degli affidamenti bancari), si inserisce in questa dialettica tra gli organi amministrativi e gli organi di controllo della società affidataria ed è ad essa funzionale. Serve a far sì che gli organi di controllo possano svolgere in modo più rapido ed efficace i loro compiti di vigilanza ed, in particolare, possano avere notizie di prima mano su circostanze la cui importanza, al fine di individuare precocemente eventuali indizi di crisi, è del tutto evidente.
Donde una prima agevole conclusione: il “dare notizia” può anche in teoria non implicare la comunicazione integrale di quanto “comunicato al cliente” (benché sia del tutto verosimile che in pratica le banche si attrezzino ad inviare agli organi di controllo societario le medesime comunicazioni dirette agli amministratori), ma deve comunque sostanziarsi in un’informazione sufficientemente chiara, completa e dettagliata, che consenta la piena comprensione della portata segnaletica del mutamento delle condizioni dell’affidamento bancario.
La lettura della norma in esame suggerisce però subito anche un ulteriore rilievo. Quello di cui occorre che la banca dia notizia agli organi di controllo societario è ciò che essa già deve comunicare al cliente. Ovviamente la comunicazione al cliente (ossia agli amministratori della società) e la notizia data agli organi di controllo saranno di regola contestuali, ed in ogni caso tra l’una e l’altra non dovrebbe trascorrere un significativo lasso di tempo, rischiando altrimenti di rimanere frustrata la finalità della norma. Ma ciò che soprattutto è importante notare è che nulla il legislatore sembra aver innovato quanto al contenuto oggettivo dei flussi informativi destinati alla società, e per essa ai suoi amministratori, preoccupandosi unicamente di aggiungere un ulteriore destinatario dell’informazione: gli organi di controllo. E questo proprio perché, come si è già sottolineato, si vuole consentire a tali organi di esercitare in modo più tempestivo ed efficace il loro compito di vigilanza sul comportamento degli amministratori, avendo immediatamente a disposizione informazioni utili per capire se e come costoro si fanno carico dell’equilibrio finanziario della società, se si sono manifestati sintomi di crisi e se i medesimi amministratori vi hanno tempestivamente reagito. S’intende così completare il quadro informativo già acquisito all’interno della società con quello esterno riguardante la capacità del debitore di mantenere le proprie linee di credito[5].
Se le cose stanno così, alla domanda su quali siano le “variazioni o revisioni o revoche degli affidamenti” di cui le banche debbono dare notizia agli organi di controllo societari si potrebbe sbrigativamente rispondere che si tratta, né più né meno, di quei medesimi eventi dei quali già ora, per disposizione di legge, per previsione di contratto o anche solo per prassi, le medesime banche danno comunicazione agli amministratori. La novità, in altri termini, sembra investire non già il profilo oggettivo dei flussi informativi in questione, bensì solamente il profilo soggettivo, ossia quello dei destinatari dell’informazione. E se ne trae altresì conferma dalla lettera della norma, che adopera l’avverbio “anche”, riferito appunto agli organi di controllo, cui va data notizia dei fatti in questione “nel momento in cui (li) si comunicano al cliente” (id est: agli amministratori).
Conviene, tuttavia, esaminare più da presso la formulazione della norma, che adopera termini – “affidamenti”, “variazioni”, “revisioni” e “revoche” – il cui significato non appare sempre del tutto univoco.
Quanto agli “affidamenti”, ci si può anzitutto chiedere se in tale espressione siano compresi, oltre ai fidi, anche ogni genere di mutui e prestiti o altri rapporti che, pur non integrando concessioni di credito in senso proprio, siano purtuttavia idonei a costituire fonte di esposizione debitoria per il cliente. In coerenza con la ratio legis che si è prima individuata, sarei propenso ad intendere l’espressione “affidamento”, di per sé non univoca[6], come comprendente ogni forma di rapporto in base al quale la banca abbia erogato credito all’impresa, o comunque la abbia finanziata, sicché la società debitrice si trovi esposta all’obbligo di rimborso di determinati importi in una futura scadenza[7]. Situazioni tutte destinate a riflettersi sull’equilibrio finanziario dell’impresa e, quindi, idonee a generare (o eventualmente anche ad escludere che vi siano) sintomi di crisi significativi, ai sensi del precedente art. 13 del CCII, perché incidenti sulle “obbligazioni pianificate” il cui raffronto con i “flussi di cassa” è decisivo ai fini della rilevazione della “crisi”, come definita dal precedente art. 2, comma 1, lett. a).
Deve però pur sempre trattarsi di rapporti bancari caratterizzati da una causa creditizia, perché sembrerebbe davvero eccessivo dilatare il significato della parola “affidamenti” sino a ricomprendere nella sua portata qualsiasi fattispecie implicante una qualche possibile variazione nei rapporti di credito/debito tra la banca ed i propri clienti (quali, ad esempio, quelli aventi ad oggetto contratti derivati mediante i quali le parti si impegnano reciprocamente allo scambio periodico di flussi di cassa).
Anche ciò che debba intendersi per “variazioni” degli affidamenti può prestarsi a risposte diverse, trattandosi di un termine atecnico che potrebbe alludere a mutamenti di vario tipo e di differente portata, a seconda che essi riguardino elementi principali o accessori del rapporto. Sempre avendo come criterio guida la già richiamata ratio legis, sarei propenso ad intendere le “variazioni” cui si riferisce la norma in esame come tutte quelle modificazioni del rapporto, consentite dalla legge o dal contratto, che siano tali da potersi significativamente riflettere sulla prospettiva di rimborso delle obbligazioni assunte dalla società debitrice e sull’orizzonte temporale entro il quale tale rimborso è previsto. Non quindi necessariamente qualsiasi modificazione, anche per aspetti del tutto marginali, ma solo quelle dotate di una qualche rilevanza.
Nel novero delle variazioni di cui occorre dare notizia ricomprenderei, peraltro, non soltanto quelle destinate potenzialmente ad aggravare la posizione della società debitrice, come tali ovviamente di rilievo al fine del precoce rilevamento di possibili sintomi di crisi, ma anche quelle eventualmente migliorative per il cliente, che del pari concorrono alla corretta valutazione complessiva dell’equilibrio finanziario dell’impresa e delle sue prospettive di evoluzione futura.
Darei invece una lettura piuttosto restrittiva all’espressione “revisioni”. Anche in questo caso mi pare evidente che debba trattarsi di eventi implicanti una qualche modifica sostanziale della posizione debitoria della società, non essendovi altrimenti alcuna valida ragione per darne specificamente notizia agli organi di controllo. Non quindi le semplici riconsiderazioni delle linee di credito effettuate nell’ambito delle periodiche verifiche interne condotte dalle banche, ma soltanto l’eventuale mutamento delle condizioni del credito che da tali verifiche dovesse eventualmente derivare[8]. Mi rendo conto che questa lettura finisce col privare il termine “revisioni” di gran parte del proprio significato, facendone sostanzialmente un duplicato delle “variazioni” del rapporto bancario di cui prima s’è detto, delle quali occorre informare gli organi di controllo societario. Ho però già indicato le ragioni per le quali tale obbligo dovrebbe riferirsi solo ai flussi informativi comunque destinati ad essere indirizzati agli amministratori e se, dunque, si tratta di revisioni meramente interne all’istituto di credito, delle quali nessuna comunicazione agli amministratori è finora prevista[9], non mi pare si ponga alcun obbligo di informarne anche i sindaci[10].
Più in generale, del resto, è esperienza comune quella per cui un eccesso di informazione, vertente su aspetti non essenziali per orientare il comportamento consapevole del destinatario, rischia di essere controproducente: perché in un mare di indicazioni inutili finisce per risultare meno evidente, e quindi meno facilmente individuabile, quel che davvero servirebbe conoscere.
Quanto alla necessità di dare notizia delle “revoche” degli affidamenti, si pone immediatamente l’interrogativo se il medesimo obbligo riguardi anche la risoluzione dei rapporti di mutuo. La risposta positiva discende però da quanto già osservato in precedenza in ordine al significato che occorre dare al termine “affidamenti”, intesi come ogni forma di erogazione di credito che esponga la società debitrice all’obbligo di rimborso ad una scadenza predeterminata. La revoca di un mutuo bancario, da cui derivi l’obbligo per il mutuatario di restituire immediatamente la somma prestatagli, costituisce con ogni evidenza un evento rilevante ai fini dell’individuazione di possibili sintomi di crisi, e quindi sarebbe del tutto irragionevole escluderlo dal perimetro delle notizie che la banca deve dare agli organi di controllo della società mutuataria.
Il diniego di concedere una linea di credito richiesta dalla società non rientrerebbe, invece, a rigor di termini, nella previsione della norma qui in esame, che sembra riferirsi sempre a rapporti bancari già in essere. Tuttavia sarei qui propenso ad un’interpretazione estensiva, e perciò a ritenere che pure del diniego di far credito da parte della banca si debba dare notizia agli organi di controllo della società, trattandosi anche in questo caso di una comunicazione comunque diretta agli amministratori della società, la cui richiesta di credito viene rifiutata, e che sicuramente è dotata di notevole rilevanza per i fini conoscitivi e di controllo dei quali sopra s’è detto.
Non credo, invece, che la norma in esame comporti l’obbligo di notiziare anche gli organi di controllo di società terze, che abbiano prestato garanzia per gli affidamenti bancari oggetto di variazione, revisione o revoca. La norma si riferisce, inequivocabilmente alle comunicazioni dirette dalla banca al proprio “cliente”, e non mi pare che questo termine possa abbracciare anche la figura del terzo garante. E’ vero che, ad altri fini e cioè a proposito del diritto di ottenere la documentazione di cui all'art. 119, comma 4, del testo unico bancario, si è affermato che il riferimento di quest'ultima disposizione al “cliente” è idoneo a comprendere anche il fideiussore "il quale a sua volta può definirsi in senso lato cliente della banca non diversamente dal correntista principale"[11]. Ma la ratio del dovere di comunicazione prescritto alle banche dal CCII non si apparenta al principio di trasparenza dei rapporti bancari su cui riposa invece il diritto del cliente (inteso in senso lato, comprensivo anche del fideiussore) di ricevere le comunicazioni previste dal summenzionato testo unico bancario.
Il discorso, però, potrebbe mutare qualora la società garante sia, a sua volta, anche “cliente” (in senso proprio) della medesima banca, ossia debitrice per fidi o mutui ad essa direttamente concessi. In questo caso riterrei che la modifica delle condizioni dell’affidamento riguardante la debitrice principale, implicando un aggravamento del rischio di escussione della garante e potendo perciò influire sulle prospettive di equilibrio finanziario anche di quest’ultima, andrebbe comunicata anche ai suoi organi di controllo, al pari di quanto occorrerebbe fare se la medesima modifica avesse interessato la linea di credito che ad essa direttamente fa capo.