Una volta che il focus della valutazione del Tribunale si sia correttamente spostato dalle astratte condizioni d’accesso al percorso di composizione negoziata, alla reversibilità dell’insolvenza e alle prospettive di risanamento dell’impresa, possono essere provate delle soluzioni ad alcuni casi su cui la pratica si è interrogata come le composizioni negoziate intraprese da imprese in liquidazione ovvero le composizioni negoziate che prevedono piani meramente liquidatori. Inoltre, mantenendo fermo il punto relativo alla necessaria perseguibilità del risanamento dell’impresa, può forse darsi una risposta appagante alla strisciante preoccupazione di molti operatori circa il possibile uso strumentale della composizione negoziata al fine di garantirsi un futuro accesso ad un concordato semplificato.
Quanto al primo quesito e relativo alla possibilità di accedere alla composizione negoziata da parte di società in liquidazione, alcuni Tribunali hanno dubitato che potesse accedere alla composizione negoziata la società in liquidazione che avesse un piano dismissivo dell’azienda al cui esito non avrebbe potuto revocare il proprio stato di liquidazione[16].
Al di là dei singoli casi analizzati (in cui, per vero, l’insolvenza sembrava effettivamente irreversibile), deve osservarsi che, in linea generale, lo stato di liquidazione della società non impedisce alla stessa di proporre una domanda di composizione negoziata, anche senza programmare una revoca del proprio stato di liquidazione allorquando il piano preveda, nei fatti, il trasferimento di un’azienda e con il ricavato, il pagamento dei creditori, ancorché, probabilmente, in modo solo parziale[17].
Per convincersene bisogna osservare che l’art. 12 CCII punta al risanamento dell’impresa e non, correttamente, dell’imprenditore. Deve tenersi distinto, infatti, il profilo oggettivo da quello soggettivo e convenire sul fatto che “la crisi è riferibile all’attività di impresa, di cui descrive lo stato di malfunzionamento; l’insolvenza riguarda invece il soggetto di diritto divenuto incapace di adempiere regolarmente alle proprie obbligazioni[18]”.
L’istituto della composizione negoziata mira a conservare il valore dell’impresa in senso oggettivo attraverso il suo risanamento.
Autorevole dottrina osserva che “quando si discute di continuità in uno scenario di crisi il primo interrogativo che ci si pone è se la continuità sia un valore-fine o sia, soltanto, il valore-mezzo per procurare il soddisfacimento dei creditori[19].
Nell’ambito della composizione negoziata, la probabilità concreta e ragionevole di una continuità dell’impresa risanata in senso oggettivo è un fine imprescindibile, ancorché l’esito del percorso dipenderà dalle trattative con i creditori.
L’art. 22 CCII prevede la possibilità che l’imprenditore ottenga l’autorizzazione a vendere la propria azienda senza gli effetti di cui all’art. 2560 c.c. e, quindi, alieni la propria azienda al meglio (senza debiti) al fine di soddisfare con il ricavato i propri creditori, ciò che sarà presumibilmente possibile solo allorquando, a seguito del trasferimento, sarà stato raccolto un valore ritenuto congruo.
In base a tale considerazione, allora, emerge che sarà bensì possibile per una società in liquidazione accedere al percorso proponendo la vendita della propria azienda – se rimane sul mercato risanata - al fine di soddisfare con il ricavato i propri creditori.
Viceversa, un piano meramente liquidatorio che prevedesse la dismissione atomistica dell’azienda senza salvaguardarne il suo valore e, quindi, senza attuare alcun risanamento, non potrà essere proposto nell’ambito di una composizione negoziata, anche allorquando, con le dismissioni programmate fossero integralmente soddisfatti tutti i creditori: il fine della composizione negoziata è il risanamento dell’impresa, se all’esito non resterà alcuna impresa, il percorso non potrà essere intrapreso.
Questa precisazione consente anche di affrontare più serenamente il tema dell’uso strumentale della composizione negoziata al fine di ottenere l’accesso al concordato semplificato ex art. 25 sexies CCII.
Come noto, uno dei presupposti di accesso (questa volta sì, trattandosi di procedura concorsuale), del concordato semplificato è che le trattative si siano svolte secondo correttezza e buona fede. Ora, risulta evidente che un prerequisito delle trattative è che l’imprenditore abbia un piano di risanamento serio ed effettivo in quanto solo piani “dotati di concretezza e ragionevolezza possono giustificare l’obbligo imposto ai creditori di partecipare alle trattative in modo attivo e informato e il dovere di collaborare lealmente e in modo sollecito con l’imprenditore e l’esperto (art. 16, commi 5 e 6, CCII)[20]”.
Da ciò ne consegue che l’accesso al concordato semplificato non potrà essere concesso a quegli imprenditori che ex ante non avessero a disposizione un piano concreto, ragionevole e serio per il risanamento dell’impresa e che attendeva solo l’esito delle trattative per essere attuato ovvero, eventualmente, sviluppato, corretto e implementato.