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Saggio

Presupposti ed effetti della sussistenza di un “danno erariale” nella concessione abusiva di credito assistita da garanzie pubbliche*

Carola Pagliarin, Professoressa associata di diritto amministrativo nell’Università di Padova

16 Dicembre 2025

*Saggio sottoposto in forma anonima alla valutazione di un referee.
Il contributo analizza la configurabilità di ipotesi di danno erariale per l’indebita concessione di credito assistita da garanzie pubbliche, in particolare in forza delle norme contenute nel “decreto liquidità”. A tal fine, sulla scorta di una recente giurisprudenza, viene affrontata la questione della sussistenza della giurisdizione della Corte dei conti in ragione dell’inquadramento pubblicistico della peculiare natura dei finanziamenti in discorso. Vengono analizzati i profili più critici in ordine agli elementi costitutivi dell’illecito amministrativo nella complessa operazione di finanziamento sorretta da garanzia pubblica, considerando le fattispecie di responsabilità sia dei percettori sia della banca erogatrice. Le riflessioni critiche guardano anche alle recenti novità normative e alle prospettive di riforma in materia di giurisdizione contabile. 
Riproduzione riservata
1 . Introduzione
La Corte dei conti, immutate le disposizioni costituzionali ad essa specificamente dedicate negli artt. 100[1] e 103[2]Cost., ha ampliato in modo significativo il proprio ambito di intervento di pari passo con l’evoluzione della pubblica amministrazione ma, soprattutto, a partire dall’affermarsi dei vincoli europei di finanza pubblica e successivamente con l’introduzione del principio del pareggio di bi-lancio dello Stato o, per meglio dire, dell’equilibrio dei bilanci pubblici e della sostenibilità del debito pubblico, ai sensi dei novellati artt. 81, 97 e 119 Cost.[3]. Questo percorso di “espansione” ha riguardato tutte le funzioni della magistratura contabile: la giurisdizione, il controllo e finanche le funzioni consultive. 
In questo processo evolutivo, che vede la Corte dei conti svolgere, in particolare, un ruolo giurisdizionale forse impensabile ai tempi dell’entrata in vigore della Costituzione repubblicana, si inserisce una recente giurisprudenza che rinviene ipotesi di “danno erariale” a seguito di concessioni di crediti assistiti da garanzie pubbliche dall’esito infelice. A questo riguardo rilevano, nello specifico i finanziamenti erogati sulla scorta delle disposizioni introdotte per scongiurare gli effetti economici della crisi pandemica. Vengono, dunque, in considerazione non solo le condotte tenute dai soggetti percettori del finanziamento assistito dalla garanzia pubblica, ma anche delle banche che tale credito hanno erogato, qualora ad esse sia imputabile una violazione delle norme regolanti la concessione del credito. 
La disciplina speciale, dettata per conservare il tessuto imprenditoriale nello scenario degli effetti delle misure di contrasto al virus, è utile ad evidenziare – in modo paradigmatico – i profili di maggiore difficoltà nella valutazione delle condotte e della determinazione degli obblighi di servizio ai fini del ricorrere dell’elemento oggettivo e soggettivo dell’illecito. 
Si tratta, invero, di considerare la sussistenza stessa della giurisdizione contabile, la natura e la determinazione dell’eventuale nocumento pubblico provocato, in fattispecie, quali quelle in di-scorso, complesse nella loro struttura giuridica, ma, al contempo, capaci – nella prospettiva giuscontabile – di avere significativi effetti sui saldi di finanza pubblica. Effetti di cui, al momento, a dire il vero, non vi è nemmeno una piena rappresentazione nei documenti di bilancio. 
Della rilevanza delle concessioni di credito assistite da garanzie pubbliche sembra, comunque, essere ormai ben conscia la Corte dei conti sia nell’esercizio delle sue funzioni di controllo, come emerge da una recente deliberazione delle Sezioni riunite[4], sia nell’esercizio della giurisdizione per danno erariale di cui qui, nello specifico, si tratterà. 
2 . Il “decreto liquidità” e la “concessione abusiva” di credito con garanzie pubbliche
Le Sezioni riunite hanno posto l’attenzione sull’utilizzo indebito del sistema delle garanzie per ottenere finanziamenti agevolati, con possibile incidenza negativa sulla restituzione del finanzia-mento e, quindi, sull’operatività della garanzia. Un fenomeno avvertito anche nell’ambito della rilevazione delle segnalazioni delle operazioni sospette da parte dell’Unità di informazione finanziaria per l’Italia (UIF), che ha rilevato “fattispecie relative a finanziamenti assistiti da garanzia pubblica concessi a beneficiari con profilo caratterizzato da diverse criticità, spesso riscontrabili già in sede di istruttoria”, talvolta, le rilevate criticità “attengono a criteri di ammissibilità ai finanziamenti e alla documentazione prodotta a supporto della richiesta, nonché al merito creditizio”[5]. 
Il ricorso indebito alla garanzia pubblica è emerso, in particolare, con riferimento all’applicazione delle misure introdotte per contrastare gli effetti sul tessuto imprenditoriale delle chiusure imposte per scongiurare la diffusione della malattia da covid-19, che presentano peculiarità – legate alla finalità stessa dell’intervento – proprio in ordine ai presupposti di ammissibilità al finanziamento e alla valutazione del merito creditizio. 
Si ricorderà che, a fronte della crisi pandemica e del concreto ed imminente rischio di recessione dell’intera Area Euro, la Commissione europea è intervenuta con le Comunicazioni del 13 e del 20 marzo 2020 per dare indicazioni finalizzate a superare gli effetti negativi dei divieti di circolazione e delle chiusure delle attività commerciali imposte dall’emergenza sanitaria su tutte le imprese - grandi, medie, piccole – e, conseguentemente, sull’economia degli Stati membri. Il particolare, per perseguire l’obiettivo in discorso la Commissione ha ammesso – in applicazione dell’art. 107, comma 3, lett. b), del TFUE – deroghe alle disposizioni generali in materia di Aiuti di Stato. 
La Commissione nella Comunicazione del 13 aprile 2020 ha riconosciuto queste misure come compatibili con il diritto dell’Unione in quanto volte “a preservare la continuità delle attività economiche durante e dopo l’epidemia”, di modo che “è programmato di assicurare che il sistema bancario fornisca alle imprese, comprese quelle di grandi dimensioni, la liquidità necessaria a superare le correnti difficoltà economiche”. 
Conformemente al quadro europeo, nell’ordinamento italiano è intervenuto il D.L. 8 aprile 2020, n. 23, poi convertito in Legge n. 40 del 2020, che ha riconosciuto garanzie pubbliche sui prestiti erogati dalle banche (e dagli intermediari autorizzati) alle imprese, per un periodo limitato, a specifiche condizioni. 
In particolare, il D.L. n. 23/2020 citato ha riconosciuto le forme di aiuto, attivando per le piccole e medie imprese il Fondo centrale di garanzia per le PMI, di cui all’art. 2, comma 100, lett. a) della L. 23 dicembre1996, n. 662, gestito dall’allora Ministero dello sviluppo economico (MISE), oggi Ministero delle Imprese e del Made in Italy (MIMIT), e per le grandi imprese, la società assicurativa SACE s.p.a., partecipata al 100% (all’epoca da Cassa Depositi e Prestiti ed oggi) dal MEF. 
Come ha ben sintetizzato in un recente scritto il Prof. Bonfatti[6], la lettura delle disposizioni del “decreto liquidità”, per quel che qui rileva, disegna il seguente quadro. 
In primo luogo, la concessione di credito, in funzione dell’ammissione dello stesso alla garanzia pubblica dello Stato, era consentita anche allo scopo di ripianare precedenti passività della banca finanziatrice: e ciò alla sola condizione che all’impresa finanziata “rimanesse” un 10% (poi portato al 25%) del finanziamento erogato. 
Era, inoltre, lecita la concessione di credito, in funzione dell’ammissione dello stesso alla garanzia pubblica dello Stato (e, come ora ricordato, anche allo scopo di ripianare precedenti passività della banca finanziatrice), pure alle imprese già versanti in una situazione di criticità di dubbia superabilità (“inadempienze probabili, esposizioni scadute e/o sconfinamenti, esposizioni deteriorate”). Le difficoltà in discorso si riconducevano implicitamente alla crisi pandemica, attraverso una determinazione temporale. Infatti, la classificazione negativa doveva essere attribuita all’impresa solo successivamente al 31 gennaio 2020, in concomitanza con l’emersione della diffusione della malattia endemica, ma, a ben vedere, in un tempo in cui le attività produttive – nel loro grande numero – non erano ancora toccate da effetti pregiudizievoli. Ad ogni modo, in disparte il limite temporale, le norme del “decreto liquidità” non richiedono alcuna prova del nesso di causa tra la classificazione negativa e gli effetti delle misure adottate per contrastare il virus. 
A tutto ciò va aggiunto che la concessione di credito in parola era lecita senza che fosse prescritta una verifica valutativa da parte del garante pubblico, verifica che, infatti, venne sospesa. 
Non era poi prevista la segnalazione della presenza delle garanzie pubbliche – e quindi la circo-stanza che l’impresa finanziata versava per definizione in uno stato di crisi – nella Centrale dei Rischi.
Soprattutto, la medesima concessione di credito, in funzione dell’ammissione dello stesso alla garanzia pubblica dello Stato, avveniva automaticamente nel caso di finanziamenti non superiori a 30.000 euro[7], mentre, nelle ipotesi di importi superiori alla sola condizione che la banca svolgesse una “verifica formale di quanto dichiarato (…) dal titolare o legale rappresentante dell’impresa richiedente “con una dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà”, con la quale si attestava che i dati aziendali forniti su richiesta dell’intermediario finanziario sono veritieri e completi, ai sensi dell’art. 1 bis, comma 1, D.L. n. 23/2020. 
Il meccanismo dell’autocertificazione e le dinamiche naturali della erogazione di un finanzia-mento, che postula una correlata richiesta, portano poi a rilevare come non vi possa essere violazione della disciplina del sostegno finanziario all’impresa in “crisi pandemica” da parte della banca finanziatrice, senza che vi sia stata una corrispondente – e precedente – violazione da parte dell’imprenditore finanziato. In altre parole, non ci può essere “concessione abusiva” da parte della banca senza che vi sia stato “ricorso abusivo” da parte del cliente[8]. 
L’art. 1 bis, comma 5, del decreto-legge ora citato specifica che per la verifica degli elementi attestati dalla dichiarazione sostitutiva “il soggetto che eroga il finanziamento non è tenuto a svolgere accertamenti ulteriori rispetto alla verifica formale di quanto dichiarato” dall’impresa finanziata. La disposizione, del resto, trova applicazione “anche alle dichiarazioni sostitutive allegate alle richieste di finanziamento e di garanzia effettuate ai sensi dell’art. 13” e cioè per finanziamenti in funzione del “rientro” da passività pregresse. 
Anche i lavori preparatori della legge di conversione del decreto liquidità – e, in particolare, la soppressione dell’art. 2 e l’inserimento del citato art. 1 bis[9] – ci rappresentano la volontà storica del legislatore di ovviare ai tempi della valutazione del merito creditizio attraverso l’utilizzo dell’auto-certificazione per attestare la sussistenza dei requisiti per l’accesso al finanziamento. 
Del resto, la verifica del “merito creditizio” dell’impresa colpita da una crisi economica derivante da un evento pandemico non avrebbe potuto esprimersi, come di norma, attraverso la valutazione della capacità di rimborso del finanziamento concesso. Questo perché la valutazione in parola postula la ragionevole previsione di eventi – come la durata della congiuntura eccezionale e l’andamento del mercato di riferimento – che in tempo di crisi emergenziali è semplicemente non formulabile e, in sostanza, impossibile. 
Quanto accennato – nei limiti delle riflessioni che ci occupano - in ordine ai peculiari presupposti necessari per accedere ai finanziamenti con garanzia pubblica introdotti nel periodo pandemico è sufficiente a dare la dimensione del limite delle analisi richieste sui criteri di ammissibilità alle mi-sure con effetti paradigmatici sulla valutazione delle responsabilità conseguenti al ricorso indebito ai finanziamenti di cui si discorre. 
3 . La giurisprudenza della Corte dei conti sulle fattispecie di ricorso indebito alla garanzia pubblica
La Corte dei conti in qualche recente pronuncia[10] ha riscontrato la sussistenza di ipotesi di danno all’erario a seguito della violazione del paradigma normativo che regola i finanziamenti coperti dalla garanzia pubblica. In particolare, il giudice contabile ha rinvenuto la responsabilità del soggetto percettore per sviamento delle risorse ricevute dai fini di ripresa economica dell’impresa per spese di diversa natura, spesso addirittura riconducibili alla sfera personale dell’amministratore della stessa. 
Negli arresti della Corte dei conti i finanziamenti assistiti da garanzia pubblica (MCC, SACE, Fondo di garanzia PMI ecc.) vengono ritenuti riferibili allo Stato, nonostante l’erogazione avvenga attraverso un soggetto privato, qual è la banca finanziatrice. Il beneficiario del sostegno in discorso, operatore economico finanziato, viene considerato partecipe della realizzazione del programma di interesse pubblico perseguito dalla disciplina di volta in volta applicabile ai finanziamenti. Nel caso dei finanziamenti garantiti secondo le norme del “decreto liquidità”, il programma di ripresa economica a valle della crisi pandemica. 
Per sostenere la natura pubblica dell’erogazione discendente dalla escussione della garanzia e della finalità pubblica dei fondi interessati la Corte dei conti chiama a sostegno la giurisprudenza della Cassazione civile e la giurisprudenza penale. Quanto alla prima evoca le affermazioni sulla natura pubblica del credito dell’amministrazione statale che deriva dall’escussione da parte dell’Isti-tuto di credito finanziatore della garanzia prestata ex lege dal Fondo di Garanzia delle PMI, quanto alla seconda, in ordine ai reati di cui agli artt. 316 bis (Malversazione di erogazioni pubbliche) e 316-ter (Indebita percezione di erogazioni pubbliche), ricorda come la Cassazione penale abbia rin-venuto nelle ipotesi in parola una forma di finanziamento pubblico. 
Il giudice contabile compiuta la ricostruzione in ordine alla sussistenza di un programma di interesse pubblico finanziato dallo Stato ha rinvenuto un rapporto di servizio tra l’impresa finanziata e chi ha agito per essa, da una parte, e l’amministrazione pubblica dall’altra. 
La ricostruzione proposta risulta conforme allo sviluppo della giurisdizione contabile ad opera primariamente delle Sezioni Unite della Corte di cassazione, che disegna il suo confine in ragione della natura pubblica del nocumento arrecato, piuttosto che dei soggetti o delle regole di condotta. L’orientamento che ha le sue origini nel riconoscimento della giurisdizione contabile sui dipendenti e amministratori degli enti pubblici economici, in ragione della disciplina della responsabilità amministrativa dettata dalla L. n. 14 gennaio 1994, n. 20[11], ha riguardato anche la cognizione degli illeciti di soggetti privati chiamati a concorrere alla realizzazione di programmi pubblici ritenuti strategici per lo sviluppo in termini nazionali ed europei. 
Ci si riferisce alla giurisdizione esercitata sugli illeciti posti in essere dai percettori di contributi pubblici, che non attuino gli obiettivi previsti. La Cassazione, infatti, afferma ormai con costanza che tra la pubblica amministrazione che eroga il contributo e il privato che lo riceve si instaura un rapporto di servizio[12]. Si noti, in questa ricostruzione, la centralità assunta dall’esistenza di un programma pubblico da realizzare a cui concorre il percettore per la sussistenza del rapporto in discorso. Al contrario, ipotesi di sviamento di erogazioni pubbliche aventi più propriamente natura di semplici indennizzi per le conseguenze pregiudizievoli di calamità naturali, prive di finalità di sviluppo e sostegno alla ripresa, non rientrano – secondo giurisprudenza[13] – nella giurisdizione contabile. 
Va poi precisato che la giurisprudenza costante delle Sezioni riunite della Corte di cassazione[14], oltre che della Corte dei conti, rinviene un rapporto di servizio e, dunque, una responsabilità in capo sia alla persona giuridica eventualmente destinataria del finanziamento sia la persona fisica che per essa agisce. 
Rileva la citata giurisprudenza che, poiché la società beneficiaria del finanziamento concorre alla realizzazione del programma dell’Amministrazione, instaurando con questa un rapporto di servizio, la responsabilità amministrativa attinge anche coloro che intrattengono con la società un rapporto organico, qualora dai comportamenti da loro tenuti sia derivata la distrazione dei fondi dal fine pubblico cui erano destinati. In particolare, negli arresti contabili si evidenzia come le persone giuridiche siano soggetti inerti, ai quali non possono riferirsi gli elementi soggettivi tipici ed indispensabili della responsabilità, come configurata dall’art. 1 della L. n. 20/1994. Le medesime persone giuridiche, dunque, rispondono oggettivamente con il loro patrimonio per il fatto dannoso dei propri gestori, ai quali deve imputarsi l’attività gestoria illecita, come configurata dalla norma. Condotta illecita che, naturalmente, deve essere accertata affinché possa aggredirsi il patrimonio della persona giuridica poiché altrimenti tale aggressione sarebbe senza titolo[15]. In altri termini, secondo consolidata giurisprudenza, la responsabilità patrimoniale-contabile della persona giuridica postula sempre l’accertamento di condotte illecite imputabili a persone fisiche[16]. 
Svolta la qualificazione del finanziamento sostenuto da garanzia statale come ipotesi di programma pubblico alimentato da risorse pubbliche, si comprende l’affermazione della cognizione della magistratura contabile delle ipotesi di sviamento da parte dei percettori. 
Peraltro, parte della giurisprudenza[17] svolge una peculiare ricostruzione nella determinazione del danno risarcibile in queste ipotesi. 
Nello specifico, si ritiene che il nocumento non debba essere identificato nella diminuzione del patrimonio dello Stato legata all’erogazione pecuniaria a valere sul fondo del MEF – poiché questa si verificherebbe solo in via eventuale, in caso di escussione della garanzia (e in caso di mancato successo del regresso assistito da “super-privilegio”) – quanto piuttosto nel pregiudizio inferto al programma statale di ripresa economica, che viene considerato il vero e proprio bene giuridico ritenuto meritevole di tutela da parte dell’ordinamento. 
Quanto ai necessari caratteri della certezza, concretezza ed attualità del danno erariale non vengono ritenuti elisi – secondo gli arresti del giudice contabile – dalla eventuale circostanza che l’amministrazione non abbia subito l’escussione della garanzia da parte della banca erogatrice del finanziamento, né dalla possibilità di esperire l’azione di regresso da parte del fondo di garanzia. Tutte circostanze rilevanti sul piano civilistico, ma ininfluenti a determinare il sorgere del danno erariale, concepito come sviamento dalle finalità della ripresa del sostegno concesso[18]. 
Sennonché tale danno – suscettibile di valutazione economica nella misura della quota parte del mancato apporto alla ripresa che si poteva ragionevolmente attendere dal corretto utilizzo del finanziamento – è di difficile determinazione. Il profilo della difficoltà nella quantificazione del nocumento pubblico – esplicitamente rilevato dallo stesso orientamento giurisprudenziale citato – porta il giudice ad una quantificazione in via equitativa del danno, che finisce per arrivare all’intero importo del finanziamento ottenuto dall’impresa coperto dalla garanzia statale. Va detto, che alla quantificazione in via equitativa del danno il giudice contabile ricorre con una frequenza, invero, maggiore di quanto non accada al giudice ordinario, probabilmente, un po’ in ragione della natura stessa del nocumento pubblico e delle caratteristiche peculiari dell’illecito, un po’ per una prassi applicativa ormai consolidata. 
La complessità dell’operazione di finanziamento assistita da garanzia pubblica spiega poi una certa incertezza della giurisprudenza nell’individuazione del momento in cui si verifica il danno[19], fatto coincidere o con la semplice escussione della garanzia[20], ovvero con la richiesta di escussione della garanzia[21] o, ancora, con l’indebito ottenimento dei fondi concessi dalla banca[22]. 
Quanto ai soggetti coinvolti nelle ipotesi di responsabilità di cui si discorre, emerge, accanto al percettore, la figura dell’Istituto erogatore del finanziamento. 
Alla banca la Corte dei conti potrebbe contestare di aver concorso nello sviamento delle risorse e, dunque, nel mancato raggiungimento del programma pubblico, avendo fatto accedere al credito un’impresa in assenza dei presupposti stabiliti. 
Anche con riferimento all’Istituto di credito potrebbe, quindi, ipotizzarsi un rapporto di servizio, come ricostruisce una giurisprudenza ancora circoscritta, immaginando che esso sia inserito nell’organizzazione statale – ancorché temporaneamente – nell’ambito della procedura di concessione del finanziamento sorretto da garanzia pubblica[23]. 
La sussistenza del rapporto di servizio e, dunque, della giurisdizione contabile, non è però sufficiente a fondare una responsabilità, che deve pur sempre sussistere in una condotta violativa di obblighi di servizio e, pertanto, tenuta in spregio delle norme che disciplinano l’attività stessa. A tal proposito, non è inutile ricordare come spetti al pubblico ministero contabile indicare le regole relative alla concessione del credito che si assumono violate e le loro conseguenze nella causazione del danno, dimostrando, dunque, condotta, nesso di causa ed elemento soggettivo dell’addebito.
Abbiamo visto come il procedimento di concessione del finanziamento fosse caratterizzato dal massimo favore, in ordine alla situazione finanziaria dei soggetti potenzialmente beneficiari e alla semplificazione e tempestività delle procedure, essenzialmente basate sul sistema dell’autocertificazione e della responsabilizzazione dei richiedenti. 
Accanto alle scarne prescrizioni incombenti sugli Istituti erogatori certo si affiancano le generali norme di diligenza e prudenza, ma queste medesime norme vanno collocate e lette nel contesto pandemico e non possono essere applicate in contrasto con le disposizioni pensate per accelerare l’erogazione dei finanziamenti. Tuttavia, nella giurisprudenza civilistica si riscontra il richiamo, proprio per la presenza della garanzia pubblica, se non ad un innalzamento del livello di prudenza nella valutazione del merito di credito, invocato in via minoritaria, comunque, alla sana e prudente gestione[24]. 
A tale riguardo giova ricordare che – ai sensi dell’art. 1, comma 1, della L. n. 20/1994 e successive modificazioni e integrazioni – il pubblico agente risponde per illecito erariale nel caso in cui la sua condotta sia sorretta o da dolo o da colpa grave, non rilevando la colpa semplice. In tal modo, la concessione abusiva di credito dovrebbe divenire rilevante ai fini della responsabilità amministrativa quando venga a tradursi in una buona fede gravemente colpevole o in un concorso truffaldino. 
4 . Le prospettive di riforma della responsabilità amministrativa
Alla progressiva estensione dell’illecito erariale – nel suo dilatarsi per via normativa e giurisprudenziale – e alla tendenza (emersa a seguito dell’inserimento del principio dell’equilibrio di bilancio nel testo costituzionale) ad arricchire l’arco dei controlli di legittimità-regolarità sulle gestioni, soprattutto delle Regioni e degli enti locali, in qualche modo si contrappone oggi un indirizzo legislativo che sembra ridimensionare o, comunque, mutare il ruolo svolto dalla Corte dei conti. 
In questo senso vengono in rilievo le disposizioni, collocate nell’ambito delle iniziative normative finalizzate alla ripresa dopo la crisi generata dalla pandemia di covid-19, dirette alla restrizione della responsabilità dei pubblici agenti. In questo contesto, come è facile intuire, la prospettiva dell’illecito e delle sue conseguenze è vista come fattore di freno nell’assunzione delle decisioni (soprattutto se di natura discrezionale) necessarie alla realizzazione degli interventi da parte dei funzionari. 
Nello specifico non poche questioni ha sollevato l’art. 21 del D.L. 16 luglio 2020, n. 76, cosiddetto “semplificazioni”, in particolare con riferimento alle disposizioni del suo secondo comma, con cui si è circoscritta l’area dell’illecito erariale, sia pure con riferimento a condotte tenute in un arco temporale determinato, sostanzialmente coincidente - nella prospettiva del legislatore - con la realizzazione degli interventi per la ripresa[25]. 
Più piano è apparso il primo comma del citato art. 21, che non presenta il medesimo carattere transitorio di disciplina e con il quale, in sostanza, si è voluto superare una giurisprudenza che finiva per espandere eccessivamente l’area del dolo, attribuendo allo stesso un’accezione molto ampia e indeterminata. Modificando l’art. 1, comma 1, della L. n. 20/1994 si è così stabilito che “[l]a prova del dolo richiede la dimostrazione della volontà dell’evento dannoso”. 
Come si è detto, maggiori criticità ha presentato il secondo comma dell’art. 21 del D.L. n. 76/2020, in forza del quale, limitatamente ai fatti commessi dalla data di entrata in vigore del decreto e fino (oggi, dopo diverse proroghe) al 31 dicembre 2025[26], “la responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti in materia di contabilità pubblica per l’azione di responsabilità di cui all’articolo 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20, è limitata ai casi in cui la produzione del danno conseguente alla condotta del soggetto agente è da lui dolosamente voluta. La limitazione di responsabilità prevista dal primo periodo non si applica per i danni cagionati da omissione o inerzia del soggetto agente”. 
Le disposizioni ora riportate delineano un’area dell’illecito contratta, senza recare distinzioni per tipologie di attività e per qualifiche degli autori che si leghino logicamente alla ratio della ripresa e della crescita post-pandemica. Dunque, la contrazione della responsabilità, pensata per scongiurare la “paura della firma”, ostacolo alla realizzazione degli interventi pubblici necessari alla crescita economica, opera, invece, in modo generalizzato. Trova applicazione anche con riferimento alle condotte dei percettori di contributi pubblici, che abbiano deviato le risorse dal programma per la realizzazione del quale erano state conferite, soggetti, come si visto, alla giurisdizione contabile per ormai costante giurisprudenza. 
Anche in queste ipotesi, al verificarsi di condotte attive di deviazione, solo il concorso del dolo potrebbe determinare la condanna per danno erariale, rimanendo, al contrario, non sanzionati dalla Corte dei conti i comportamenti gravemente colposi. Questi ultimi porterebbero alla pronuncia della condanna del giudice contabile unicamente di fronte alle mere omissioni o inerzie da parte dei percettori. 
Un’altra previsione riconducibile alla volontà legislativa di contrastare la “paura della firma” e la “burocrazia difensiva” per incoraggiare i pubblici agenti all’esercizio della discrezionalità tecnica e amministrativa è contenuta – significativamente – nell’art. 2 del codice dei contratti pubblici, d.lgs. 31 marzo 2023, n. 36. L’articolo citato, recante il “principio della fiducia” al suo terzo comma dà (o tenta di dare) una definizione della colpa grave quale elemento soggettivo della responsabilità amministrativa e indica (alcune) delle ipotesi in cui la stessa va esclusa[27]. 
Il legislatore è intervenuto – seguendo la medesima logica - anche con riferimento al profilo del controllo sulle risorse destinate alla ripresa. Infatti, sia nel D.L. n. 76/2020 sia nel D.L. n. 77/2021, si è preferito potenziare il modello del controllo sulla gestione, riportando, per così dire, in auge i tratti di “collaboratività” del controllo della Corte dei conti, che il D.L. n. 10 ottobre 2012, n. 174 aveva in parte marginalizzato a favore di controlli di legittimità-regolarità dagli esiti maggiormente incisivi e quasi sanzionatori[28]. Emerge, dunque, nei più recenti interventi normativi un favore verso un ruolo - nel complesso - maggiormente mite della magistratura contabile, tale da non frenare l’azione amministrativa, ma idoneo, piuttosto, ad accompagnarla e correggerla in corso di esercizio. Questa prospettiva si riscontra anche in iniziative legislative - sostanzialmente coeve alle disposizioni citate - contenenti modifiche alle funzioni consultive della Corte dei conti. Si può ricordare a questo proposito l’art. 46 della L. 23 dicembre 2021, n. 238, recante un significativo ampliamento delle ipotesi in cui richiedere pareri alla Corte dei conti nell’ambito degli interventi finanziati con le risorse stanziate dal PNRR e con i fondi complementari al PNRR. 
Tornando alla disciplina dedicata alla giurisdizione che qui ci occupa, va ricordata una recente pro-nuncia del Giudice delle leggi, la sentenza 16 luglio 2024, n. 132[29], sulla legittimità costituzionale dell’art. 21, comma 2, del D.L. n. 76/2020, recante la limitazione del perimetro dell’elemento soggettivo della responsabilità amministrativa a cui si è prima fatto cenno. Nel rigettare le questioni sollevate, la Corte costituzionale ha ritenuto che la scelta normativa rientrasse nell’ambito proprio del legislatore, senza superare i limiti della ragionevolezza, in quanto giustificata dal periodo emergenziale, in prima battuta, e, successivamente, dalle esigenze della ripresa e della realizzazione degli obiettivi del PNRR. 
La Corte costituzionale, riprendendo osservazioni già formulate nell’ambito dello scrutinio della norma dell’art. 23 del D.L. n. 76/2020, contenente una formulazione più restrittiva del reato di abuso d’ufficio[30] (sulla cui successiva radicale abrogazione la stessa Consulta si è pronunciata escludendone il contrasto a Costituzione[31]), ha evidenziato come la “paura della firma” possa costituire – in un contesto estremamente complesso e frammentato di fonti – limite alla tempestiva azione dei pubblici agenti e, tramite questi, delle pubbliche amministrazioni. Proprio per scongiurare gli effetti di timori di tal fatta una contrazione dell’illecito erariale risulterebbe, dunque, giustificabile. 
Il Giudice delle leggi, nella medesima sentenza n. 132 del 2024, si è spinto fino ad esortare il legislatore a porre in essere una generale riscrittura della disciplina dedicata alla responsabilità amministrativa e alle funzioni della Corte dei conti, così da rafforzare il controllo e la funzione consultiva, perimetrando poi meglio l’area dell’illecito e delle sue conseguenze. Questa medesima esortazione è sembrata a tutti i commentatori ben conscia delle iniziative legislative di riforma giacenti in Parlamento. 
In particolare, dopo un lungo iter parlamentare, è ora in fase di approvazione definitiva il D.D.L. Senato n. 1457 che, tra le molte discusse novità, relative a tutte le funzioni della Corte dei conti[32], prevede un tetto all’importo delle condanne di risarcimento del danno. L’effetto si determina attra-verso l’esercizio obbligatorio del potere riduttivo da parte del giudice contabile, di modo che l’importo in discorso dovrà essere non superiore al 30 per cento del pregiudizio arrecato e, comunque, non superiore al doppio della retribuzione lorda conseguita nell’anno di inizio della condotta lesiva causa dell’evento nell’anno immediatamente precedente o successivo, ovvero non superiore al doppio del corrispettivo o dell’indennità percepiti per il servizio reso all’amministrazione o per la funzione o l’ufficio svolti, che hanno causato il pregiudizio. 
Inoltre, il testo proposto dà una definizione della colpa grave, in termini solo in parte sovrapponibili alla analoga definizione contenuta nell’art. 2 del codice dei contratti pubblici, ispirato alle medesime finalità “tranquillizzanti”. In particolare, si stabilisce che “[c]ostituisce colpa grave la violazione manifesta delle norme di diritto applicabili, il travisamento del fatto. L’affermazione di un fatto la cui esistenza è incontrastabilmente esclusa dagli atti del procedimento o la negazione di un fatto la cui esistenza risulta incontrastabilmente dagli atti del procedimento. Ai fini della determinazione dei casi in cui sussiste la violazione manifesta delle norme di diritto applicabili si tiene conto, in particolare, del grado di chiarezza e precisione delle norme violate nonché della inescusabilità e della gravità dell’inosservanza. Non costituisce colpa grave la violazione o l’omissione determinata dal riferimento a indirizzi giurisprudenziali prevalenti o a pareri delle autorità competenti”. 
Si prevede anche che “[c]hiunque assuma un incarico che comporti la gestione di risorse pubbliche dalla quale discenda la sua sottoposizione alla giurisdizione della Corte dei conti è tenuto a stipulare, prima dell’assunzione dell’incarico, una polizza assicurativa a copertura dei danni patrimoniali cagionati dallo stesso all’amministrazione per colpa grave. (…)”. 
La limitazione della responsabilità al solo dolo è, invece, riservata alle responsabilità dei funzionari per la conclusione di accordi di conciliazione nel procedimento di mediazione o in sede giudiziale o per la conclusione di procedimenti di accertamento con adesione, di accordi di mediazione, di conciliazioni giudiziali e di transazioni fiscali in materia tributaria. 
Va rilevato che nel testo del disegno di legge di cui si discorre viene stabilito che le disposizioni sulla responsabilità amministrativa, di modifica dell’art. 1 della legge n. 20 del 1994, si applichino ai procedimenti pendenti e ai giudizi pendenti, non definiti con sentenza passata in giudicato alla data in cui entrerà in vigore la legge. La previsione, dunque, prescrive per norme di carattere sostanziale un regime tipico delle disposizioni di natura processuale. 
5 . Conclusioni
Come si è visto, in non poche pronunce del giudice contabile i finanziamenti assistiti da garanzia pubblica vengono ritenuti riferibili allo Stato nonostante l’erogazione avvenga attraverso soggetti privati e il beneficiario del sostegno viene ritenuto partecipe della realizzazione del programma di interesse pubblico perseguito dalla disciplina che prevede e regola i finanziamenti con garanzia, nelle ipotesi analizzate, il programma di ripresa economica a valle della crisi pandemica. 
In alcuni arresti si è affermato che il nocumento non dovrebbe propriamente essere identificato nella diminuzione del patrimonio dello Stato conseguente all’erogazione pecuniaria a valere sul fondo del MEF, poiché questa si verifica solo in via eventuale, in caso di escussione della garanzia (e in caso di mancato successo del regresso assistito da “super-privilegio”), quanto, piuttosto, nel mancato rispetto del programma statale di ripresa economica. Solo quest’ultimo sarebbe il vero e proprio bene giuridico tutelato venuto meno a causa delle condotte tenute. 
Tuttavia, a fronte dell’oggettiva difficoltà a determinare in concreto il danno così configurato, il giudice contabile finisce per far ricorso alla quantificazione in via equitativa che porta fatalmente all’identificazione dello stesso con l’importo della garanzia escussa. Il che è quanto meno spia di un’incertezza nella perimetrazione dell’elemento oggettivo. 
Del resto, se si seguisse fino in fondo il ragionamento svolto – che pure ricalca un orientamento consolidato sullo sviamento dei finanziamenti pubblici – si dovrebbe configurare un danno erariale anche nelle fattispecie in cui la garanzia è data su finanziamenti, poi regolarmente restituiti, ad im-prese prive della necessità di essere sostenute nella ripresa, ma, al contrario, perfettamente in grado di reperire sul mercato – alle normali condizioni – i finanziamenti per la propria attività. Questo perché la misura garantita verrebbe in ipotesi di tal fatta sviata rispetto a soggetti che del soccorso dello Stato avrebbero invece bisogno per superare lo scenario di crisi, in aderenza al programma di ripresa. Fattispecie dannose del tipo indicato finiscono però per essere di mera scuola proprio perché il danno erariale può emerge – e più propriamente determinarsi – solo con l’escussione della garanzia congiuntamente con il riscontro di condotte volte a distrarre il finanziamento stesso. 
Il perimetro della condotta richiedibile all’agente è poi legato alla questione della valutazione del merito di credito, che può sciogliersi solo in coerenza con il programma pubblico perseguito dal legislatore e, conseguentemente, secondo la disciplina speciale che lo prevede. In linea di massima si può dire però che la scelta legislativa presuppone l’introduzione di un sostegno pubblico per le imprese in difficoltà, che normalmente non avrebbero accesso al credito, ma che abbiano ancora la possibilità di risollevarsi e di esser parte del tessuto produttivo nazionale ed europeo. 
Guardando alla giurisprudenza che si va formando sul tema si può affermare che il quadro della responsabilità amministrativa che attinge le imprese e gli amministratori delle stesse, da una parte, e le banche finanziatrici, dall’altra, presenta contorni sfuocati, generando margini significativi di incertezza. Un’incertezza che – sia detto incidentalmente – potrebbe pesare sulle condotte delle banche in futuri scenari analoghi, rendendoli per lo Stato dei partner più tentennanti o, comunque, molto più cauti nell’erogare i finanziamenti per realizzare i programmi di sostegno alle imprese. In uno quadro geopolitico caratterizzato dal moltiplicarsi di situazioni di crisi di diversa natura e dalla in-solita frequenza di “cigni neri” non è uno scenario poi così remoto. 
Si è dato conto di iniziative legislative finalizzate alla riduzione del perimetro dell’illecito erariale (vigenti e di imminente prossima vigenza), che, pensate in verità per dare “coraggio” ai pubblici funzionari, trovano applicazione anche alle condotte dei soggetti privati percettori di fondi pubblici e, più in generale, a tutti gli agenti soggetti alla giurisdizione contabile, tra cui, secondo la giurisprudenza richiamata, le banche finanziatrici. Tuttavia, anche l’estensione della disciplina di favore – sulla carta molto incisiva – andrà misurata alla prova dell’applicazione concreta. 
Non sarà, ad esempio, così semplice delimitare ex ante il perimetro delle ipotesi colpose affidandosi alla definizione legislativa della colpa grave. Una definizione che se da un lato finisce per ricalcare sostanzialmente gli orientamenti giurisprudenziali sul punto dall’altro lato non può che mantenere dei margini di indeterminatezza applicativa. L’indicazione delle ipotesi in cui la colpa grave va esclusa presenta, invece, una maggiore capacità di vincolo per il giudice e di prevedibilità, anche se ancorata pur sempre a presupposti dotati di elasticità. 
Sempre con riferimento alle responsabilità gravemente colpose, ci si può domandare come operi nei casi che ci occupano la previsione che impone al giudice contabile l’esercizio del potere riduttivo dell’addebito secondo parametri fissi. Se l’importo della condanna dovrà essere non superiore al 30 per cento del pregiudizio arrecato e, comunque, non superiore al doppio della retribuzione lorda conseguita nell’anno di inizio della condotta lesiva causa dell’evento nell’anno immediatamente precedente o successivo, ovvero non superiore al doppio del corrispettivo o dell’indennità percepiti per il servizio reso all’amministrazione o per la funzione o l’ufficio svolti, che hanno causato il pregiudizio, nelle fattispecie di responsabilità della banca per la concessione dei finanziamenti con garanzia statale l’unico riferimento possibile è dato dall’ammontare del danno, essendo gli altri parametri inapplicabili. 
Quanto alle ricadute concrete delle novelle in tema di responsabilità, si può poi riscontrare il formarsi di una giurisprudenza sempre più ampia in tema di dolo e, segnatamente, di dolo eventuale. Il dolo eventuale, anzi, sembra negli arresti del giudice contabile aver assunto una centralità prima sconosciuta. 
Partendo dal presupposto che l’intenzionalità dell’evento – intesa come volontà della causazione del danno all’amministrazione – è difficilmente configurabile al di là di fattispecie in sé anche rilevanti sotto il profilo penale e quantitativamente marginali, la Corte dei conti sembra oggi sviluppare appieno il perimetro delle ipotesi in cui il soggetto agente si sia mostrato indifferente alle conseguenze dannose del suo agire, mantenendo la volontà della condotta. Anzi, più in generale, sembra ritrovare fortuna una ricostruzione autonoma del dolo come “dolo erariale” accanto alla già conosciuta ricostruzione del cosiddetto “dolo contrattuale”[33], in passato poco seguita negli arresti del giudice contabile e criticata in dottrina per la sua indeterminatezza[34]. Come è noto, la dottrina e la giurisprudenza penalistica hanno faticato e faticano non poco a segnare i confini definitori del dolo eventuale, di modo che non è certo difficile immaginare che analoghi inconvenienti l’applicazione di questa figura finirà per provocare anche nel contesto della responsabilità erariale. 
Ad ogni modo, un’espansione in via di prassi applicativa delle ipotesi dolose porterebbe ad una riduzione dell’impatto delle misure di favore introdotta dalla riforma di cui si è prima riferito, essendo esse collegate a fattispecie colpose. 
I presupposti e gli effetti della sussistenza di un danno erariale nelle concessioni di credito assistita da garanzie pubbliche risultano, dunque, ancora piuttosto incerti, mentre certa è l’attenzione della Corte dei conti a queste fattispecie su cui, con ogni probabilità, si formerà presto un’articolata giurisprudenza. 

Note:

[1] 
Il comma 2 dell’art. 100 Cost. stabilisce: “La Corte dei conti esercita il controllo preventivo di legittimità sugli atti del Governo, e anche quello successivo sulla gestione del bilancio dello Stato. Partecipa, nei casi e nelle forme stabilite dalla legge, al controllo sulla gestione finanziaria degli enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria. Riferisce direttamente alle Camere sul risultato del riscontro eseguito”. 
[2] 
Il comma 2 dell’art. 103 Cost. stabilisce: “La Corte dei conti ha giurisdizione nelle materie di contabilità pubblica e nelle altre specificate dalla legge”. 
[3] 
Disposizioni, come è noto, modificate in modo incisivo dalla Legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1. 
[4] 
C. Conti, Sez. Riunite controllo, del. n. 15/2025, di approvazione del Quaderno n. 2 “Le garanzie pubbliche” nell’ambito de I quaderni del Rapporto sul Coordinamento della finanza pubblica, 2025, che, tra l’altro, evidenzia come la Legge 31 dicembre 2009, n. 196, all’art. 31, stabilisca che un allegato allo stato di previsione della spesa del Ministero dell’economia e delle finanze debba elencare “le garanzie principali e sussidiarie prestate dallo Stato a favore di enti o altri soggetti”, ma, l’allegato – essenzialmente contenente un elenco di alcune misure - non fornisca, in realtà, una rappresentazione soddisfacente. La Corte dei conti rileva l’inadeguatezza della disposizione della legge di contabilità e finanza pubblica in discorso, formulata (in termini molto scarni) quando il fenomeno finanziario in discorso era di più contenute dimensioni. Del resto, si tratta di una fonte normativa, già una decina di anni fa oggetto di ampia novella, che necessita di interventi significativi di riscrittura a seguito dei nuovi mutamenti intervenuti nella materia, tra cui, se non altro, l’introduzione della nuova governance europea di finanza pubblica, cfr. sul punto, C. Pagliarin – G. Rivosecchi, La gestione finanziaria, in A. Buscema (a cura di), Rilettura del Trattato di contabilità pubblica di Salvatore Buscema, Editoriale scientifica, Napoli, 2025, pp. 339 s. 
[5] 
C. Conti, Sez. Riunite controllo, del. n. 15 del 2025 cit., p. 30. 
[6] 
Cfr. S. Bonfatti, Finanziamenti con garanzie pubbliche: dalla concessione abusiva al danno erariale, in Dirittobancario.it, settembre 2025. 
[7] 
Ai sensi dell’art. 13, comma 1, lett. m). 
[8] 
Cfr. S. Bonfatti, Finanziamenti con garanzie pubbliche cit. 
[9] 
Audizione del Capo del Servizio Struttura Economica della Banca d’Italia alle Commissioni riunite Finanze e Attività Produttive della Camera dei deputati. 
[10] 
C. Conti, II App., n. 200 del 2024; per la giurisprudenza di primo grado, oltre alle altre pronunce che verranno successivamente citate, si richiamano: C. Conti, Sez. giur. Liguria n. 67 e n. 70 del 2023 e n. 55 del 2024; Sez. giur. Piemonte, n. 453 del 2021; Sez. Giur. Marche n. 18 del 2023; Sez. giur. Veneto, n. 6 del 2024. 
[11] 
Quanto alla controversa questione del perimetro della giurisdizione contabile sugli illeciti compiuti da dipendenti e amministratori delle società a partecipazione pubblica, non completamente sciolta nemmeno dall’art. 12 del D.Lgs. n. 175/ 2016, ci si limita qui a rinviare a L. Torchia, Società pubbliche e responsabilità amministrativa: un nuovo equilibrio, in Giorn. dir. amm., 2012, 
pp. 323 s.; C. Pettinari, Gli incerti confini della giurisdizione contabile in tema di responsabilità: note a margine della giurisprudenza più recente in tema di società cc.dd. “in mano pubblica”, in dir. proc. amm., n. 4/2013, pp. 1239 s.; C. Ibba, Responsabilità erariale e società in house, in Giur. comm., 2014, pp. 13 s.; A. Giusti, Giurisdizione contabile ed enti pubblici a struttura di s.p.a.: il caso delle centrali di committenza, in Nuova giur. civ., 2017,pp. 679 s.; E. Codazzi, La società in house, la configurazione giuridica tra autonomia e strumentalità, Editoriale scientifica, Napoli, 2018; A. Gemma, Il riparto di giurisdizione e società ad azionariato pubblico, in Bilancio Comunità Persona, n. 1/2019, pp. 70 s.; T. Miele, La responsabilità amministrativa e contabile dei componenti degli organi di amministrazione e di controllo delle società partecipate pubbliche e la giurisdizione della Corte dei conti, in Le società pubbliche a cura di F. Fimmanò – A. Catricalà – R. Cantone, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2020, I, pp. 827 s.; F. Cerioni, Le responsabilità degli amministratori delle società e degli enti pubblici soci per danno erariale, in Le società pubbliche a cura di F. Cerioni, , Giuffrè, Milano, pp. 282 s. 
[12] 
Cfr. sentenze n. 20434 del 2009 e n. 1774 del 2013. Tra le più recenti, Cass. Sez. Un., 16 maggio 2019, n. 13245; Cass. Sez. Un., 4 ottobre 2019, n. 24858 e Cass. Sez. Un., ord. 11 marzo 2020, n. 7009; Cass. Sez. Un., nn. 6462 e 8848 del 2020 e Cass. Sez. Un., n. 30527 del 2019; Cass. Sez. Un., n. 3100 del 2022. 
[13] 
Cfr. Cass. Sez. Un. n. 9846 del 2011. 
[14] 
Tra le tante, Cass. Sez. Un. n. 3310 del 2014 e n. 295 del 2013. 
[15] 
In questi termini, Corte dei conti, Sez. giur. Liguria n. 67 del 2023, cit. 
[16] 
Cfr. Cass. Sez. Un. n. 123 del 2001. 
[17] 
C. conti, Sez. giur. Toscana, n. 23 del 2024 Sugli effetti pregiudizievoli derivanti dal mancato raggiungimento del programma pubblico che andrebbero anche oltre l’importo del finanziamento disperso cfr. anche C. Conti, Sez. II, App., sent. n. 380 del 2021. 
[18] 
Così chiaramente, ad esempio, C. Conti, Sez. giur. Liguria n. 70 del 2023, cit. 
[19] 
Come rilevano C. Conti, Sez. Riunite controllo, del. n. 15 del 2025 cit., p. 31. 
[20] 
C. Conti, Sez. giur. Puglia, n. 184 del 2024 e Veneto, n. 6 del 2024 cit. 
[21] 
C. Conti, Sez. giur. Marche, n. 98 del 2025. 
[22] 
C. Conti, Sez. giur. Veneto, n. 13 del 2024; Toscana, n. 23 del 2024 cit.; Sez. giur. Liguria n. 67 del 2023, cit. 
[23] 
Cfr. per la sussistenza del rapporto di servizio tra l’amministrazione statale e l’Istituto finanziatore la già citata C. Conti, Sez. giur. Veneto, n. 6 del 2024. 
[24] 
Si rinvia sul punto al quadro pretorio analizzato da S. Bonfatti, Finanziamenti con garanzie pubbliche cit. 
[25] 
La dottrina si pronunciata in termini sostanzialmente critici sulla disposizione in discorso, ci si limita qui a rinviare alle analisi di L. Torchia, La responsabilità amministrativa, in Giorn. dir. amm., n. 6/2020, pp. 763 s.; G. Crepaldi, L’elemento soggettivo della responsabilità amministrativa prima e dopo il decreto semplificazioni, in Resp. civ. e prev., 2021, p. 23 s.; S. Cimini, La responsabilità amministrativa dopo il decreto semplificazioni: alcune proposte de iure condendo, in Scritti in onore di Aldo Carosi a cura di G. Colombini, Editoriale Scientifica, Napoli, 2021, p. 295 s.; G. Bottino, Le azioni ed omissioni nella responsabilità erariale, in Bilancio Comunità Persona, n. 1/2021, p. 86 s.; M. R. Spasiano, Riflessioni in tema di (ir)responsabilità erariale e la strada della tipizzazione della colpa grave, in Riv. Dir. proc. amm., n. 2/2021, p. 279 s.; infine, sia consentito rinviare per una sintesi dei rilievi alla disciplina a C. Pagliarin, L’elemento soggettivo dell’illecito erariale nel “decreto semplificazioni”: ovvero la “diga mobile” della responsabilità, in Federalismi.it, n. 10/2021, p. 182 s. 
[26] 
Il termine finale, originariamente fissato al 31 luglio 2021, è stato in un primo momento, in sede di conversione, spostato al 31 dicembre 2021; poi al 30 giugno 2023, al 30 giugno 2024, al 31 dicembre del medesimo anno (ad opera, rispettivamente, dell’art. 51, comma 1, lett. h), del più volte citato decreto-legge 31 maggio 2021, n. 77, dell’art. 1, comma 12 quinques, lett. a), del decreto-legge 22 aprile 2023, n. 44, recante “Disposizioni urgenti per il rafforzamento della capacità amministrativa delle amministrazioni pubbliche”, convertito, con modificazioni, nella legge 21 giugno 2023, n. 74, e dell’art. 8, comma 5 bis, del decreto-legge 30 dicembre 2023, n. 215, recante “Disposizioni urgenti in materia di termini normativi”, convertito, con modificazioni, nella legge 23 febbraio 2024, n. 18) e, ancora, al 30 aprile 2025 con il cosiddetto “decreto milleproroghe”, art. 1, comma 9, decreto-legge 27 dicembre 2024, n. 202, convertito con modificazioni dalla legge 21 febbraio 2025, n. 15. Il decreto-legge 12 maggio 2025, n. 68, recante “[d]ifferimento del termine di cui all’articolo 21, comma 2, del decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 settembre 2020, n. 120, in materia di responsabilità erariale”, all’art. 1, rubricato “[d]ifferimento del termine in materia di responsabilità erariale”, ha stabilito che il termine in discorso sia differito al 31 dicembre 2025 e che la relativa disciplina prevista dall’art. 21, comma 2, trovi applicazione anche per i fatti commessi tra il 30 aprile 2025 e la data di entrata in vigore del decreto-legge da ultimo intervenuto. Nelle premesse al medesimo decreto-legge si richiama “l’urgenza di garantire la continuità dell’azione amministrativa e di preservare l’efficienza e l’efficacia dell’azione delle pubbliche amministrazioni”. 
[27] 
Il comma 3 dell’art. 2 del D.Lgs. n. 36/2023 così prescrive: “Nell’ambito delle attività svolte nelle fasi di programmazione, progettazione, affidamento ed esecuzione dei contratti, ai fini della responsabilità amministrativa costituisce colpa grave la violazione di norme di diritto e degli auto-vincoli amministrativi, nonché la palese violazione di regole di prudenza, perizia e diligenza e l’omissione delle cautele, verifiche ed informazioni preventive normalmente richieste nell’attività amministrativa, in quanto esigibili nei confronti dell’agente pubblico in base alle specifiche competenze in relazione al caso concreto. Non costituisce colpa grave la viola-zione o l’omissione determinata dal riferimento a indirizzi giurisprudenziali prevalenti o a pareri delle autorità competenti”. 
[28] 
Dottrina e giurisprudenza (costituzionale e contabile) sono sostanzialmente univoche sull’impronta complessiva del D.L. n. 174/2012 così come riportata nel testo, mentre molto più dibattuta è la natura dei singoli istituti previsti dal medesimo corpo norma-tivo, a cominciare dalla parificazione dei rendiconti consultivi delle Regioni. Per un quadro dello sviluppo di questi nuovi controlli accanto a quelli precedentemente previsti cfr., per tutti, M. Cecchetti, Il “sistema” dei controlli di legittimità-regolarità dei conti delle Regioni e delle Province autonome nella dialettica tra collaborazione interistituzionale ed effetti cogenti e conformativi sull’autonomia degli enti controllati, e G. Rivosecchi, Oltre i controlli di legittimità-regolarità dei conti? Controlli sulla gestione, controlli concomitanti e altri controlli sulla finanza territoriale, entrambi in Federalismi.it, n. 28/2022, rispettivamente, p. 76 ss. e 128 s.; A. Carosi, Il controllo di legittimità-regolarità della Corte dei conti sui bilanci degli enti territoriali anche alla luce della giurisprudenza della Corte costituzionale, in Il controllo di legittimità-regolarità della Corte dei conti, a cura di F. Capalbo, Editoriale Scientifica, Napoli, 2018, p. 15 s. 
[29] 
Tra le analisi della sentenza in discorso cfr. F. Cintioli, La sentenza della Corte costituzionale n. 132 del 2024: dalla responsabilità amministrativa per colpa grave al risultato amministrativo, in Federalismi.it, n. 19/2024, p. 122 s.; F.S. MARINI, La sentenza n. 132 del 2024: la Corte costituzionale sperimenta nuove tecniche decisorie, e V. Tenore, Vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole, e più non dimandare: lo “scudo erariale” è legittimo perché temporaneo e teso ad alleviare “la fatica dell’amministrare”, entrambi in Riv. Corte conti, n. 4/2024, rispettivamente, p. 1 s. e p. 195 s.; D. Bolognino, Ancora un tassello per la definizione di un nuovo equilibrio della responsabilità amministrativa per danno all’erario, in Riv. Diritto ed Economia dei Comuni, n. 2/2024, p. 151 s.; L. Mercati, Lo “scudo erariale” dinanzi alla Corte costituzionale: la “fatica dell’amministrare” tra disposizioni “a tempo” e riforme in itinere, in Sistema penale, n. 2/2025, p. 89 s. 
[30] 
Corte Cost., sent. 18 gennaio 2022, n. 8. 
[31] 
L’art. 323 c.p. è stato abrogato dall’art. 1, comma 1, lett. b), della legge 9 agosto 2024, n. 114, recante “Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale, all’ordinamento giudiziario e al codice dell’ordinamento militare”. La norma abrogatrice è stata oggetto di diverse ordinanze di rimessione alla Corte costituzionale da parte di giudici di merito e della stessa Corte di cassazione. Infatti, La Sez. VI, con ordinanza 7 febbraio 2025, n. 9442, ha sollevato questione di legittimità costituzionale sulla norma in discorso in relazione alla violazione degli articoli 1, 7, comma 4, 19 e 65, comma 1, della Convenzione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite contro la corruzione, adottata dall’Assemblea generale dell’ONU il 31 ottobre 2003, con risoluzione n. 58/4, firmata dallo Stato italiano il 9 dicembre 2003 e ratificata con legge 3 agosto 2009, n. 116. La Corte costituzionale, con la sent. 3 luglio 2025, n.95, ha ritenuto la norma in discorso conforme a costituzione. 
[32] 
Le Sezioni riunite in sede consultiva della Corte dei conti, nell’adunanza del 9 giugno 2025, hanno reso parere in merito al disegno di legge S. 1457, recante “Modifiche alla legge 14 gennaio 2020, n. 20 e altre disposizioni nonché delega al Governo in materia di funzioni della Corte dei conti e di responsabilità amministrativa e per danno erariale”, svolgendo articolate osservazioni critiche. 
[33] 
Cfr. C. Conti, Sez. III App., 28 settembre 2004, n. 510, annotata da L. Caso, Il dolo comune e il dolo erariale e da L. Venturini, Il dolo erariale: natura e incidenza, in Foro amm., CdS, n. 10/2004, p. 2988 ss. 
[34] 
L. Balestra, Responsabilità per danno erariale e prerogative della Corte dei conti, in Riv. Corte conti, n. 4/2019, p. 16, osserva che “[a] ben riflettere, se la mera consapevolezza della violazione di un obbligo non sembra idonea ad integrare – in un sistema che intende marcare in modo significativo le differenze tra dolo o colpa – gli estremi del dolo, in una prospettiva specular-mente opposta pare eccessivo, se si ha riguardo alle elaborazioni avutesi in sede penale e civile, richiedere la volontà di cagionare l’evento dannoso. In guisa che parrebbe ragionevole ed equilibrato richiamare non già la volontà – e, quindi, una specifica determinazione in tal senso – di cagionare l’evento dannoso, bensì la consapevolezza che dalla condotta possa scaturire l’evento dannoso”. 

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Diritti dell’interessato - Ai sensi degli artt. 15 e ss GDPR, l’interessato potrà esercitare i seguenti diritti:

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  • 2. rettifica: correggere/ottenere la correzione dei dati personali se errati o obsoleti e di completarli, se incompleti;
  • 3. cancellazione/oblio: ottenere, in alcuni casi, la cancellazione dei dati personali forniti; questo non è un diritto assoluto, in quanto le Società potrebbero avere motivi legittimi o legali per conservarli;
  • 4. limitazione: i dati saranno archiviati, ma non potranno essere né trattati, né elaborati ulteriormente, nei casi previsti dalla normativa;
  • 5. portabilità: spostare, copiare o trasferire i dati dai database delle Società a terzi. Questo vale solo per i dati forniti dall’interessato per l’esecuzione di un contratto o per i quali è stato fornito consenso e espresso e il trattamento viene eseguito con mezzi automatizzati;
  • 6. opposizione al marketing diretto;
  • 7. revoca del consenso in qualsiasi momento, qualora il trattamento si basi sul consenso.

Ai sensi dell’art. 2-undicies del D.Lgs. 196/2003 l’esercizio dei diritti dell’interessato può essere ritardato, limitato o escluso, con comunicazione motivata e resa senza ritardo, a meno che la comunicazione possa compromettere la finalità della limitazione, per il tempo e nei limiti in cui ciò costituisca una misura necessaria e proporzionata, tenuto conto dei diritti fondamentali e dei legittimi interessi dell’interessato, al fine di salvaguardare gli interessi di cui al comma 1, lettere a) (interessi tutelati in materia di riciclaggio), e) (allo svolgimento delle investigazioni difensive o all’esercizio di un diritto in sede giudiziaria)ed f) (alla riservatezza dell’identità del dipendente che segnala illeciti di cui sia venuto a conoscenza in ragione del proprio ufficio). In tali casi, i diritti dell’interessato possono essere esercitati anche tramite il Garante con le modalità di cui all’articolo 160 dello stesso Decreto. In tale ipotesi, il Garante informerà l’interessato di aver eseguito tutte le verifiche necessarie o di aver svolto un riesame nonché della facoltà dell’interessato di proporre ricorso giurisdizionale.

Per esercitare tali diritti potrà rivolgersi alla nostra Struttura "Titolare del trattamento dei dati personali" all'indirizzo ssdirittodellacrisi@gmail.com oppure inviando una missiva a Società per lo studio del diritto della crisi via Principe Amedeo, 27, 46100 - Mantova (MN). Il Titolare Le risponderà entro 30 giorni dalla ricezione della Sua richiesta formale.

Dati di contatto - Società per lo studio del diritto della crisi con sede in via Principe Amedeo, 27, 46100 - Mantova (MN); email: ssdirittodellacrisi@gmail.com.

Responsabile della protezione dei dati - Il Responsabile della protezione dei dati non è stato nominato perché non ricorrono i presupposti di cui all’art 37 del Regolamento (UE) 2016/679.

Il TITOLARE

del trattamento dei dati personali

Società per lo studio del diritto della crisi

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