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Saggio

Profili critici della responsabilità del collegio sindacale nell’attesa delle prime interpretazioni post riforma 2025*

Anna Cecchella, Dottoressa in Giurisprudenza

30 Giugno 2025

*Il presente lavoro costituisce parte di un più ampio saggio dedicato alla responsabilità per danni del collegio sindacale che verrà concluso entro il 31.12.2025. Lo scritto è stato aggiornato all’aprile 2025.
Lo scritto è edito in “NUOVI STUDI SUL DIRITTO DELLA CRISI”, Speciale Dirittodellacrisi.it, a cura di L. De Simone, M. Fabiani e S. Leuzzi, 2025”.
Il contributo costituisce un saggio dedicato alla responsabilità per danni del collegio sindacale, nell'attesa delle prime interpretazioni alla luce della recente riforma del 2025. Nel presente lavoro viene proposta una ricostruzione critica della giurisprudenza, esaminata in due capitoli separati, l’uno destinato a ricostruire tutte le fattispecie di responsabilità dei sindaci nelle società di capitali e l’altro dedicato allo studio dell’esistenza e dell’ammontare del danno che ne discende, attraverso l’analisi di profili di diritto sostanziale nonché di diritto processuale, in relazione alle azioni concesse e agli oneri di allegazione e prova. 

This contribution is an essay dedicated to the liability of statutory auditors for damages, pending the first interpretations following the recent 2025 reform. This work offers a critical analysis of case law, examined in two separate chapters: the first is devoted to reconstructing all instances of statutory auditors’ liability in capital companies, while the second focuses on the existence and quantification of the resulting damage. Both chapters address issues of substantive law as well as procedural aspects, with particular regard to the available legal actions and the related burdens of pleading and proof. 
Riproduzione riservata
1.1 . La dinamica legislativa nel tempo
La disciplina dedicata all’organo di vigilanza e controllo, destinato a sindacare la gestione, in relazione ai canoni di legge, dello statuto, della corretta amministrazione e organizzazione, nelle società di capitali e, con una normativa unitaria, in relazione alle società a responsabilità limitata, per rinvio dell’art. 2477 c.c. alle norme della società per azioni – se si esclude la disciplina dell’obbligatorietà[1] –, è rimasto inalterata sino al nuovo secolo. 
Con la riforma generale dettata dal D.Lgs. 17 gennaio 2003 n. 6[2] - nel contesto di una nuova formulazione letterale, in particolare, dell’art. 2407, comma 1, c.c., che però non ha alterato un diritto vivente giurisprudenziale già sensibile alla nuova norma - inizia una stagione di riforme che è culminata nel D.Lgs. 12 gennaio 2019 n. 14, chiamato Codice delle crisi e dell’insolvenza ed entrato in vigore nel 2022[3]. 
Infatti, la novità di rilievo è l’intervento sull’art. 2407, comma 1, c.c., dove la diligenza del mandatario ex art. 1710, comma 1, c.c.– “diligenza del buon padre di famiglia” come diligenza dell’uomo medio –, richiamata nel passato, viene resa coerente alla diligenza imposta dalla natura dell’incarico, in linea con il corretto inquadramento del sindaco come professionista intellettuale (nei cui albi disposti dalla legge è reclutato). Perciò, la diligenza con la nuova formula viene misurata in relazione al grado dei problemi tecnici e delle conoscenze della singola prestazione (donde il testo: “la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico” del novellato art. 2407, comma 1, c.c.). Ma, come vedremo (infra par. 1.2), questa impostazione già guidava la giurisprudenza pregressa, consapevole del corretto inquadramento giuridico, in coerenza con l’art. 1176, comma 2, c.c., che fa riferimento al diverso criterio per le attività professionali. 
Inoltre, in questa breve disamina delle novità, anche l’art. 2403 c.c. subisce una novellazione che apre una prospettiva di maggior espansione degli obblighi dell’organo di controllo. Dal testo originario “[i]l collegio sindacale deve controllare l'amministrazione della società, vigilare sull'osservanza della legge e dell'atto costitutivo ed accertare la regolare tenuta della contabilità sociale, la corrispondenza del bilancio e del conto dei profitti e delle perdite alle risultanze dei libri e delle scritture contabili” si giunge a quello attuale: “[i]l collegio sindacale vigila sull'osservanza della legge e dello statuto, sul rispetto dei principi di corretta amministrazione ed in particolare sull'adeguatezza dell'assetto organizzativo, amministrativo e contabile adottato dalla società e sul suo concreto funzionamento”. 
Così, il controllo di mera legalità formale e contabile del passato diventa oggi controllo di legalità sostanziale, poiché il sindacato si rivolge anche ai principi della corretta amministrazione e della adeguatezza dell’assetto organizzativo dell’impresa, dove certo non si pregiudica l’autonomia dell’amministratore nelle scelte discrezionali e di opportunità per il raggiungimento dello scopo sociale (“business judgement rule”), ma l’azione del gestore viene verificata in coerenza con le tecniche suggerite dalla scienza aziendalistica, per un controllo di professionalità, sia in termini di azione che di organizzazione. Infatti, in linea con l’art. 2392, comma 1, c.c., l’azione dell’amministratore non deve essere solo rispettosa della legge e dello statuto, ma fare uso, per il raggiungimento degli scopi sociali, della diligenza dettata dalla natura dell’incarico e dalle “specifiche competenze”. 
Il controllo contabile, come corretta tenuta delle scritture e corrispondenza a verità del bilancio secondo le regole di legge, resta relegato al secondo comma dell’art. 2403 c.c., mentre anteriormente lo era nel primo, come unico e prevalente compito dei sindaci, accanto al sindacato di legalità formale, oggi unito al più penetrante controllo di legalità sostanziale. Tale controllo è imposto ai sindaci solo se non esiste per legge o per scelta statutaria un revisore legale dei conti ex art. 2409 bis c.c., mentre resta una prerogativa dei sindaci nelle società a responsabilità limitata (per un approfondimento, infra par. 1.3). 
Certamente, il punto terminale di questa evoluzione è il Codice della crisi. Con un’anticipazione rispetto alla sua entrata in vigore complessiva (infatti, l’art. 375 CCII è entrato in vigore, tra le norme con efficacia non dilazionata, il 16 marzo 2019), le norme sulla gestione dell’impresa collettiva si arricchiscono, come preminente dovere degli amministratori, della istituzione di “un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alla dimensione dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale”. Il principio enunciato con il nuovo art. 2086, comma 2, c.c., viene ribadito per ogni tipo di società, e non solo di capitali (artt. 2257, 2380 bis, 2409 novies e 2475 c.c.), certamente nelle società ove vi è obbligo di istituzione dei sindaci. 
L’art. 2403 c.c., nell’imporre, dopo la novella del 2003, la verifica dell’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile, a seguito della novellazione del 2019 degli articoli poc’anzi citati, si arricchisce di un nuovo profilo di vigilanza, sull’esistenza di strutture e funzioni dell’impresa collettiva idonee a far emergere l’esistenza di sintomi di crisi, e non solo quindi funzionali al raggiungimento dello scopo sociale. A tale tipo di vigilanza si aggiunge un profilo funzionale, costituito dalla segnalazione del sintomo della crisi all’amministratore (art. 25 octies CCII) affinché assuma le opportune iniziative (art. 3 CCII, in particolare per l’apertura della composizione negoziale della crisi, art. 17 CCII), in difetto delle quali l’organo di controllo può convocare l’assemblea o addirittura assumere altre iniziative, sino a chiedere l’apertura del procedimento per la regolazione giudiziale della crisi (art. 37, comma 1, CCII). 
Si tratta di un ampliamento di non poco conto dell’attività dei sindaci, la cui applicazione – è opportuno ricordarlo – per l’entrata in vigore anticipata delle norme sugli adeguati assetti, prescinde dalla entrata in vigore del Codice della crisi, avvenuta nel luglio del 2022, per cui deve ritenersi in vigore ben prima di tale data, quanto meno dopo il 16 marzo 2019, essendo già contenuto nell’art. 2403,  comma 1, c.c. da ricondursi sistematicamente all’art. 2086, comma 2, c.c. e norme con ulteriore richiamo del principio (tutte immediatamente entrate in vigore). 
L’evoluzione descritta sottolinea un profilo di ampliamento delle funzioni di vigilanza e di controllo dei sindaci e ne costituisce, di conseguenza, ampliamento delle ipotesi di responsabilità per loro omissione, fonte di danno per la società, e per il ritardo nell’iniziativa di apertura della liquidazione giudiziale, sin anche di carattere penale potendosi configurare una bancarotta semplice anche per concorso (artt. 323 e 330 CCII). 
Il più corretto riferimento alla diligenza dettata dalla natura della prestazione evita il dibattito sulla natura del rapporto che lega il sindaco alla società, che non può certamente confondersi con il mandato, non essendo soggetto il sindaco alle istruzioni degli amministratori, né tanto meno compie atti nell’interesse dei medesimi, essendo indiscutibile un contratto d’opera intellettuale e professionale, cui consegue la piena applicazione della relativa disciplina, tra cui – dubitativamente in giurisprudenza[4] –  l’art. 2236 c.c. su alcune possibili attenuazioni dell’elemento soggettivo.
1.2 . La diligenza del mandatario e la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico
Come già rilevato, la diversa formulazione dell’art. 2407 c.c. misura, dunque, l’impegno soggettivo imposto alla prestazione del sindaco sulla diligenza secondo la natura dell’incarico ed è quindi modulabile sulla base della maggiore o minore difficoltà della prestazione (in linea con la previsione, per la prestazione professionale, dell’art. 1176, comma 2, c.c., che deroga, nell’ambito di tali prestazioni, alla diligenza dell’uomo medio, la diligenza del buon padre di famiglia del primo comma per le obbligazioni comuni), in considerazione del concreto caso di mala gestio dell’amministratore, della maggiore o minore difficoltà di percezione dell’illecito anche in considerazione delle dimensioni  e delle caratteristiche dell’impresa e delle peculiarità della fattispecie. 
Il principio letteralmente reso esplicito dalla novella del 2003 era già così inteso dalla giurisprudenza (come si evidenziava supra, par. 1.1), che rifuggiva dal criterio della diligenza dell’uomo medio per ricorrere a quello del professionista, alla luce della natura e delle particolarità della prestazione[5]. 
Sotto questo profilo, benché la giurisprudenza sollecitata dal caso concreto appiattisca le prestazioni del sindaco a problemi di non speciale difficoltà, non si vede perché non debba essere applicato l’art. 2236 c.c. sulla responsabilità del professionista, per i casi di speciale difficoltà della prestazione, cui consegue il maggiore rigore nella ricerca dell’elemento soggettivo, rilevante solo se ispirato a dolo o colpa grave[6]. 
Ugualmente dubitabile è una ricostruzione che non bilanci la diligenza a quella del professionista “medio” misurata al caso concreto bensì a quello dell’“ottimo” professionista, come pure si legge in giurisprudenza[7]. Al contrario, il richiamo alla professionalità deve intendersi come richiamo ad una professionalità “media”, i cui confini sono dettati dai codici di comportamento suggeriti dagli ordini professionali[8], che sono il vero e proprio parametro di una professionalità in linea con la diligenza richiesta dalla norma. 
Il venir meno di ogni nesso con il mandato dovrebbe escludere una valutazione benevola e di minor rigore nel caso di gratuità o non equilibrata retribuzione della prestazione del sindaco (art. 1710, comma 1, c.c.)[9]. Il tema implica il problema più ampio della proporzionalità della diligenza o addirittura della esclusione della responsabilità quando il danno superi considerevolmente i benefici economici che il sindaco può ricevere dalla sua attività professionale (che costituisce autonoma trattazione in una prospettiva rigorosamente de iure condendo, infra cap. 4). Il diritto positivo non lascia scampo all’applicazione della norma sulla responsabilità nella sua pienezza. 
Lo spazio di ampia discrezionalità concesso al sindaco non esclude, però, un accertamento di responsabilità del giudice, ancorché non siano stati violati comportamenti tipizzati dalla legge: è stato così coniato il termine di obbligazioni di diligenza, dove quest’ultima è la misura del comportamento non tipizzato dell’illecito[10]. Ciò non toglie che la condotta non tipizzata debba essere concretamente dedotta dall’attore, altrimenti si integrerebbe un difetto di allegazione che può condurre al rigetto della domanda di danni, non essendo sufficiente la semplice deduzione generica della negligenza[11]. 
La diligenza deve essere, poi, misurata sull’attualità, per cui – ad esempio – non deve ritenersi indice di negligenza la mancata revisione di tutte le voci di bilancio pregresse e già oggetto di revisione da parte di sindaci precedentemente nominati (in relazione al caso specifico, rispetto a crediti inesigibili[12]). 
Inoltre, non vi è consequenzialità tra la negligenza dell’amministratore e quella del sindaco: la diligenza deve necessariamente essere misurata rispetto alla condotta o all’omissione del sindaco nel caso concreto, quando l’illecito non fosse in assoluto percepibile nelle periodiche verifiche. Il comportamento fraudolento e scorretto degli amministratori potrebbe avere celato l’atto da sindacare, del tutto ignorato dai sindaci (ad esempio, contratti di cui non si è data informazione[13] o garanzie prestate a terzi non rese palesi[14])[15]. 
Quindi, il giudice adito con azione di responsabilità dovrà dare uno svolgimento particolare alla ricostruzione dei fatti e l’attore dovrà procedere correttamente alle corrispondenti allegazioni, poiché la diligenza si deve misurare con le particolarità del caso che danno contenuto alla natura della prestazione richiesta, confrontata con un parametro medio della diligenza professionale, attingendo nello specifico alle norme di comportamento dettate dagli ordini professionali.
1.3 . Gli obblighi direttamente riferiti ai sindaci e il controllo contabile
Vi sono alcuni doveri dei sindaci che il legislatore a volte pone come poteri – ma si direbbe più correttamente di poteri-doveri – e che corrispondono ad attività a loro stessi riferite, dove l’azione o l’omissione dell’amministratore fa da sfondo e può addirittura non esserci. Tali poteri-doveri sono posti da norme direttamente applicabili ai sindaci, e non indirettamente poiché mediati dall’attività dell’amministratore e dal dovere di vigilanza del sindaco. 
Peraltro nella peculiarità dei poteri-doveri esercitati verso l’azione degli amministratori, non si deve pensare che la responsabilità dei sindaci sia originata esclusivamente dall’inosservanza di norme che pongono regole di condotta riferibili a chi gestisce l’impresa collettiva, poiché resta responsabilità personale del sindaco, e non indiretta o per fatto altrui, anche quella dovuta a negligente vigilanza sulle regole di condotta riferite agli amministratori, trattandosi di una responsabilità omissiva diretta[16]. Tutto è da collegare ad una responsabilità personale dei sindaci, che nel secondo caso violano un obbligo generale di vigilanza[17] e di cui si dirà di seguito (infra parr. 1.4 e 1.5). 
Ne consegue che la responsabilità dei sindaci non è mai consequenziale all’accertamento di quella degli amministratori, richiedendo la verifica di precise violazioni degli obblighi che fanno capo ai sindaci stessi[18]. 
Anzitutto, tra i doveri diretti sono codificati nell’art. 2407, comma 1, c.c.: l’obbligo di verità in ordine ai fatti riscontrati e le dichiarazioni ricevute nelle attestazioni[19] (è evidente il riferimento al verbale delle riunioni secondo l’art. 2404, comma 3, c.c., alla loro trascrizione nel libro tenuto ai sensi dell’art. 2403 bis, comma 3, c.c. e alle relazioni periodiche all’assemblea) e l’obbligo di segretezza delle informazioni acquisite e dei documenti visionati nell’esercizio delle funzioni. 
Vi sono poi i doveri di natura ricognitiva, che si esprimono mediante comportamenti tipizzati dal legislatore: soprattutto, la vigilanza sul rispetto della legge e dello statuto (quelli relativi alla corretta amministrazione e all’organizzazione, attengono invece al quadro degli obblighi in cui la condotta o l’omissione dell’amministratore ne è il presupposto, mentre il controllo di legalità ha come destinatari tutti gli organi sociali). Essi coincidono con poteri-doveri (i) di informazione, (ii) di convocazione del collegio e (iii) di partecipazione alla attività degli organi sociali. 
Tra i primi (i) si hanno i poteri di ispezione e controllo, senza limiti di indagine e di tempo, sulla contabilità e sui documenti sociali (art. 2403 bis, comma 1, c.c.), di informazioni presso gli amministratori in relazione a operazione e affari particolari (art. 2403 bis, comma 2, c.c.) di scambi (e quindi anche l’acquisizione di informazioni) con gli altri organi di controllo del gruppo (art. 2403 bis, comma 2, c.c.) e con l’organo di revisione del gruppo (art. 2409 septies c.c.). Si tratta di adempimenti doverosi che prescindono dall’occasione dettata da una condotta dell’amministratore e che devono aver luogo a prescindere da questa, la cui mancanza potrebbe comportare quella valutazione di negligenza che è fonte di responsabilità[20]. 
Peraltro, i sindaci sono destinatari di ulteriori informazioni: dagli amministratori delegati sul generale andamento della gestione e sulle operazioni di maggior rilievo (art. 2381, comma 5, c.c.) e dagli amministratori sulla presenza di situazioni di conflitto di interessi o su eventuali dissensi (artt. 2391 e 2392, comma 3, c.c.), dai soci su eventuali violazioni della legge o dello statuto nell’azione degli amministratori o sull’avvenuta impugnazione per illegittimità della delibera assembleare (art. 2393 bis c.c.). 
L’insieme delle informative non giustifica un atteggiamento passivo degli amministratori, i quali devono acquisire le informazioni anche motu proprio per dare svolgimento agli obblighi imposti dalla legge[21]. 
Quanto poi i poteri-doveri (ii) di convocazione del collegio, il collegio o il sindaco unico devono convocarsi almeno una volta ogni novata giorni (la mancata partecipazione a due riunioni consecutive del componente del collegio ne provoca la decadenza, art. 2405, comma 2, c.c.), ma la periodicità sul piano formale non risolve l’obbligo di diligenza, dovendo il sindaco convocarsi in ogni situazione in cui dovesse rendersi necessaria un’indagine particolare o l’assunzione di iniziative. 
Vi è, infine, il potere-dovere (iii) di partecipazione alla attività e alle riunioni degli organi sociali, che prescindono dall’azione dei sindaci: il consiglio di amministrazione e l’assemblea (art. 2405, comma 1, c.c.). 
La violazione degli obblighi di informazione, di convocazione e di partecipazione costituiscono tutti evidenti ipotesi di negligente esercizio della prestazione, fonte di danni, se esistono. 
Devono essere esaminati, inoltre, i poteri-doveri di iniziativa, corollario dei doveri ricognitivi e partecipativi, che ancora una volta non si valutano necessariamente in relazione all’inerzia degli amministratori. Il riferimento è al dovere di convocare l’assemblea in caso di fatti censurabili di rilevate gravità che non ammettono dilazione (art. 2406, comma 2, c.c.)[22], nonché il dovere di impugnare le delibere assembleari e del consiglio di amministrazione invalide, poiché rese in violazione della legge o prese in situazioni di conflitto di interessi (artt. 2377, comma 1, c.c.; art. 2388, comma 4, c.c.; art. 2391, comma 2, c.c.). Infine, il dovere di assumere iniziative ancor più incisive sul corso della gestione, in particolare: denunziare al tribunale le gravi irregolarità della gestione, affinché indaghi ed eventualmente revochi gli amministratori e nomini un amministratore straordinario ai sensi dell’art. 2409 c.c., promuovere l’azione sociale di responsabilità (art. 2393, comma 3, c.c.) o presentare istanza al tribunale di revoca del liquidatore (art. 2487, comma 4, c.c.). 
Altre iniziative surrogano, questa volta, l’inerzia dell’amministratore o dei soci: la convocazione dell’assemblea su richiesta della minoranza (art. 2367, comma 2, c.c.), in difetto di riduzione del capitale (art. 2446, comma 2, c.c.)  o di scioglimento della società (art. 2485, comma 2, c.c.), nonostante l’obbligatorietà per legge da parte dell’assemblea, l’istanza al tribunale affinché provveda. 
In taluni casi, come nella denunzia ex art. 2409 c.c., l’azione dei sindaci si inquadra facilmente, trattandosi di azione destinata a ristabilire l’applicazione di norme di legge imperative e non destinata alla tutela giurisdizionale dei diritti (ne è prova la legittimazione anche del p.m.); ugualmente per i casi in cui è avviato un procedimento di volontaria giurisdizione (come nel caso in cui debba essere convocato un organo sociale oppure si debba pendere atto del verificarsi di un caso di scioglimento). 
Diversamente, nelle azioni di impugnativa delle delibere degli organi o di responsabilità verso gli amministratori l’azione è destinata alla tutela di diritti di cui i sindaci non sono certamente titolari e di cui è titolare la società. Si tratta di ipotesi di “sostituzione processuale”  ai sensi dell’art. 81 c.p.c., nelle quali il sindaco sostituisce il vero legittimato che è la società, per cui l’iniziativa dovrà essere proseguita dall’amministratore giudiziario nominato in sede di denuncia ex art. 2409 c.c. o dal nuovo amministratore nominato dall’assemblea, permanendo il sindaco come parte del processo al fine di essere rimborsato delle eventuali spese per assistenza legale sostenute, salvo richieda di essere estromesso una volta che la società ha fatto propria l’azione. Infatti, in questi casi la società è litisconsorte necessario o legittimato passivo[23] e sarà quindi necessaria la sua partecipazione al giudizio (per questo motivo appare più corretto inquadrare l’istituto nell’ambito della legittimazione straordinaria, come per il caso dell’azione surrogatoria ex art. 2900, comma 2, c.c.). 
In questo senso il ruolo dei sindaci è simile a quello dei soci nell’esercizio dell’azione sociale di responsabilità degli amministratori, inquadrabile come sostituzione processuale (rectius legittimazione straordinaria)[24]. 
Il controllo contabile, attribuito certamente ai sindaci prima della novella del 2003, come si è già evidenziato (supra par. 1.1) è oggi affidato al diverso organo dei revisori, salvo che lo statuto non scelga di riservare questa funzione ai sindaci (ciò che è possibile salvo che la società non sia obbligata a un bilancio consolidato, art. 2409 bis, comma 2, c.c.). 
In quest’ultimo caso gli obblighi dei sindaci si allineano a quelli dei revisori nella verifica della regolare tenuta della contabilità, nella corretta rilevazione nelle scritture dei fatti gestori di rilievo economico e, infine, nella redazione del bilancio secondo i criteri imposti dalla legge e in coerenza con le scritture contabili o gli eventuali accertamenti compiuti nel corso dell’esercizio. 
Il controllo sarà, tuttavia, sintetico[25] e generale, non essendo all’organo attribuito il compito di effettuare una contabilità generale, al pari dei compiti che spettano agli amministratori, bensì di effettuare indagini “a campione”, con particolare attenzione ai fatti gestori di maggior rilievo e più significativi nel dettare il risultato della gestione nell’esercizio[26]. 
Ancorché sostituiti dai revisori nel delicato compito di controllo contabile, restano attribuiti ai sindaci compiti riferibili ai profili contabili in senso stretto[27]. Ne sono prova numerosi riferimenti normativi a compiti dei sindaci in materia contabile, come – ad esempio – la relazione destinata, in occasione delle delibere di approvazione, all’assemblea sui risultati di esercizio, con formulazione di osservazioni e proposte (art. 2429, comma 2, c.c.) da sottoporre alla discussione; il controllo dell’adeguatezza dell’assetto contabile di cui fa uso la società (art. 2403, comma 1, c.c.); infine, la formulazione di un parere alla relazione sulla situazione patrimoniale in caso di rilevanti perdite (art. 2446, comma 1, c.c.) al fine di sollecitare eventualmente all’assemblea riduzioni del capitale e, nel caso queste dovessero essere inferiori ai limiti di legge, la ricapitalizzazione oppure la messa in liquidazione.
1.4 . La responsabilità generale per omissione di vigilanza sull’operato degli amministratori
Alcuni obblighi facenti carico ai sindaci, come già accennato (supra par. 1.3), coincidono con il potere-dovere di vigilanza sulle condotte degli amministratori. Per un corretto inquadramento, è significativa la dizione dell’art. 2403 c.c. nel testo dovuto alla novella del 2003. L’originario controllo di legittimità e di rispetto delle norme statutarie si arricchisce di un controllo sull’applicazione dei canoni di “corretta amministrazione” e “sull’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile adottato dalla società”. 
Come già si è avuto modo di evidenziare (supra par. 1.1), l’originario e tradizionale controllo di legalità formale nelle condotte degli amministratori muta, dopo la riforma, in un controllo – come si è opportunamente rilevato usando una terminologia cara alla dottrina sulla crisi – di legalità sostanziale. Il sindaco non si limita solo a una verifica del formale rispetto della legge e delle norme statutarie, ma deve occuparsi anche del merito e dei contenuti degli atti gestori e organizzativi degli amministratori. Con questo, però, al sindaco non è attribuito un compito di amministrazione “attiva” all’esito di un sindacato sulla opportunità delle scelte gestorie operate dagli amministratori, i quali restano liberi nelle scelte discrezionali e di merito in funzione del raggiungimento degli scopi sociali[28]. Pertanto, il controllo è “esterno” “e non può mai tradursi in un’ingerenza attraverso l’esercizio di un potere di direzione e inibizione rispetto alle iniziativa imprenditoriali degli amministratori i quali (…) sono i titolari del potere di gestione dell’impresa”[29]. 
La nuova disposizione consente un’indagine sulla governance sociale ai sindaci per verificare la coerenza dell’azione amministrativa con le tecniche e i mezzi suggeriti dalla scienza economica aziendalistica (il profilo è ben presente al legislatore, già nell’art. 2392, comma 1, c.c. che pone come misura dell’adempimento dell’amministratore “una specifica competenza”)[30]. Infatti, il legislatore dell’impresa collettiva impone all’amministratore una particolare competenza dettata dall’esperienza e dalla scienza aziendalistica, che evidenzi nella gestione una particolare competenza imposta nell’esercizio delle prestazioni dei gestori. 
Ma vi è di più: non è il singolo atto di gestione soggetto a un possibile controllo di coerenza con le indicazioni dell’esperienza e della scienza aziendalistica, ma lo è anche l’organizzazione dell’impresa. In questo ulteriore ambito – a preludere il più ampio sviluppo del potere-dovere dettato dal Codice della crisi – vengono in considerazione ulteriori aspetti dell’azione amministrativa di carattere più generale, coincidenti con l’organizzazione dell’impresa (nel senso aziendalistico dell’art. 2555 c.c.). L’impresa collettiva deve essere in grado di esprimere, sul piano strutturale e funzionale, un’organizzazione di uffici necessari sul piano amministrativo e contabile per il raggiungimento degli scopi sociali. L’indagine dei sindaci non deve, tuttavia, limitarsi a un sindacato in astratto, ma in un controllo in concreto: la norma infatti precisa “sul suo concreto funzionamento”. 
Il sindaco, dunque, deve a sua volta essere munito di una preparazione e professionalità profonda sul piano delle conoscenze delle tecniche della scienza aziendalistica che deve applicare in relazione ai singoli atti di gestione oppure in relazione alla più complessa organizzazione aziendale: in questo si misura anche il grado di diligenza funzionale alla natura della prestazione dettata dall’art. 2407 c.c. 
È evidente la novità delle prestazioni richieste obbligatoriamente al sindaco e al collegio sindacale. Il controllo di merito sulle attività della governance sociale, seppur mitigato dall’insegnamento della scienza aziendalistica e dalle regole economiche che quest’ultima suggerisce (in un quadro di razionalità economica dell’azione come parametro del controllo), non deve porre in sott’ordine il controllo di legalità, da riferire non solo all’azione degli amministratori, ma alla funzionalità dell’intero organismo sociale, ivi compresa l’assemblea o il collegio dei revisori[31], e da svolgere non solo nell’interesse della società ma anche nell’interesse di creditori sociali[32]. 
La casistica in ordine al rilavato controllo di merito e i suoi limiti è vasta. Certamente, il caso più evidente è quello del verificarsi di un’ipotesi di perdita del capitale sociale[33], che impone per legge la reintegrazione o la riduzione oppure – nel caso di perdita che riduce il capitale sociale sotto le soglie minime di legge – la reintegrazione o la messa in liquidazione, il tutto con delibere dell’assemblea straordinaria. Gli amministratori, in tali ipotesi, devono convocare senza indugio l’assemblea e, in difetto di delibere conseguenti, gli amministratori, ma anche i sindaci, sono abilitati ad un’istanza al tribunale affinché provveda alla riduzione di autorità (artt. 2482 bis, 2482 ter, 2485 c.c.)[34]. Non si dimentichi che in caso di omissione o ingiustificato ritardo degli amministratori nella convocazione dell’assemblea, i sindaci hanno poteri vicari (art. 2406, comma 2, c.c.) e devono convocare l’assemblea di loro iniziativa. 
Si è ritenuto, inoltre, compito dei sindaci vigilare sull’eccessivo ricorso al finanziamento bancario, in una società finanziariamente indebitata e con gravi inadempimenti già manifestati degli obblighi tributari e previdenziali[35]. Allo stesso modo, quando l’anticipazione bancaria per somme cospicue era originata da operazioni commerciali inesistenti[36].
Non potrà essere trascurata dai sindaci un’erogazione ingiustificata di finanziamenti a terzi, comportanti nessuna garanzia di giustificato ritorno[37] oppure una restituzione di somme mutuate ai soci preferibilmente rispetto a creditori di rango anteriore, trattandosi di crediti postergati[38]. 
In un’operazione straordinaria di aumento del capitale sociale, il sindacato dei sindaci deve verificare la serietà e la completezza della relazione di stima del cespite conferito, se di valore palesemente non realistico[39]. 
Il controllo dei sindaci deve esprimersi, onde evitare responsabilità, in ipotesi di acquisto di cespiti (nella fattispecie, un credito) verso società non patrimonializzata e già inadempiente alle proprie obbligazioni[40]; di cessione di merci o beni (nella fattispecie, quote sociali) con un contenuto contrattuale irrazionale perché consentiva un differimento di pagamento del prezzo a beneficio di una società acquirente priva di garanzie patrimoniali idonee al soddisfacimento del credito[41]; ugualmente, nel caso di cessione di azienda[42].
Non potrà essere trascurata la sopravalutazione ingiustificata e priva di basi motivazionali e razionali di un software gestionale privo di valore, avallata dalla perizia di un parente dell’amministratore, al fine di mascherare perdite rilevanti[43]. Ugualmente, nel caso di emissione da parte degli amministratori di fatture intrinsecamente inattendibili o relative ad operazioni inesistenti[44] oppure il compimento di operazioni distrattive palesi[45]. Allo stesso modo, la contabilizzazione di ingenti crediti a titolo di leasing di auto di lusso, non aventi alcuna inerenza all’attività di impresa[46] oppure di un ingiustificato aumento delle spese di smaltimento dei prodotti (celanti il mancato smaltimento, dato per avvenuto, negli esercizi precedenti)[47]. Ancora, la mancata contestazione degli amministratori per poste in bilancio evidentemente ingiustificate[48] oppure il mancato rilievo in bilancio di sanzioni e interessi su debiti fiscali[49]o, inoltre, il mancato rilievo di poste palesemente ingiustificate, ancorché si trattasse di bilancio approvato in occasione delle nomine dei sindaci, quindi riferito a fatti gestori anteriori. Con questo non si impone all’organo di controllo una revisione completa dei bilanci anteriori e della effettività di crediti contabilizzati da tempo e ripetute in occasione dei vari esercizi[50]. Infine, palesi inadempimenti (come un versamento per importi ingenti di ritenute Irpef) impongono ai sindaci un adeguato controllo e la richiesta agli amministratori di un bilancio intermedio dal quale arguire l’entità delle perdite manifestate dalla società inadempiente[51]. 
Come possiamo immaginare, si tratta per lo più di fatti di rilievo contabile spesso celati ai sindaci, ma che, per il carattere macroscopicamente illecita dell’operazione, impone all’organo di controllo una richiesta di chiarimenti ed eventuali ulteriori iniziative come la convocazione dell’assemblea o l’istanza al tribunale, eventualmente anche ai sensi dell’art. 2409 c.c., nei casi più gravi. 
La casistica ci consente di cogliere, sul piano generale, i limiti del controllo di merito sull’azione amministrativa, che ricordano il controllo di legittimità del giudice supremo nella motivazione della sentenza (previgente art. 360, n. 5, c.p.c.), controllo sulla esistenza, sufficienza e razionalità – alla luce delle regole suggerite dalla scienza economica – della motivazione che sorregge il singolo atto amministrativo, particolarmente quando esso costituisce operazione di rilievo per il suo valore o per il tipo di attività (ad esempio, operazioni straordinarie). 
Quanto più nello specifico al controllo sull’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile, esso costituisce espressione che precisa il controllo di “corretta amministrazione”: il sindaco deve verificare che, per organizzazione e funzionalità degli uffici interni all’impresa collettiva e per competenza, sia possibile garantire risultati coerenti con gli scopi sociali e con la tutela degli interessi dei soci e dei creditori, in funzione delle dimensioni e della natura della società[52]. 
Quanto, invece, ai profili relativi all’assetto amministrativo e contabile, l’adeguatezza da verificare è di un sistema in grado di rilevare tempestivamente e in maniera attendibile il dato contabile e la rappresentazione dei fatti di gestione con l’elaborazione di dati attendibili per la formazione del bilancio di esercizio[53], il tutto in funzione della natura e delle dimensioni dell’impresa, nonché l’esistenza di procedure predisposte dagli amministratori e la loro concreta attuazione. 
In tale prospettiva particolare, si richiede un controllo sistematico di carattere generale e sintetico, la cui analiticità discende dalla rilevazione o meno di atti e condotte sospette o sintomatiche di un comportamento fraudolento[54]. Gli indici di sospetto e rischio possono emergere dall’inefficienza del sistema informativo interno[55] oppure da deleghe che affidano generalmente tutte le competenze amministrative all’amministratore delegato[56] oppure a ristrettissima base azionaria[57]. 
Il controllo sulla corretta amministrazione, in relazione al singolo atto gestorio rilevante o in relazione agli adeguati assetti, deve avvenire con continuità, sia in occasione delle informative di cui è destinato il sindaco (v. supra par. 1.3) da parte degli amministratori, dei sindaci di società controllate e dei revisori oppure acquisite in sede di riunione del consiglio di amministrazione o dell’assemblea, e non può perciò limitarsi alla periodicità stabilita nell’art. 2404, comma 1, c.c.[58]. 
Da segnalare è il caso in cui il sindaco, a fronte dell’illecito perfezionato dall’amministratore, decide di dimettersi anziché procedere alle iniziative di legge. Le dimissioni non sono un esimente di responsabilità, quanto piuttosto un comportamento passivo che, unito all’omessa vigilanza, integra anch’esso i presupposti di responsabilità[59]. La verifica di una non corretta amministrazione dei singoli atti rilevanti e degli assetti impone ai sindaci non solo un richiamo all’amministratore[60], ma la tempestiva reazione con la convocazione degli organi sociali, in specie dell’assemblea, e, nei casi più gravi, con le iniziative giudiziali a cui sono abilitati[61]. Si tratta di un controllo, non solo svolto ex post rispetto all’azione, ma anche ex ante rispetto all’organizzazione e agli assetti[62]. 
È necessario aggiungere che per quanto l’obbligo dei sindaci sia riferito all’azione e all’organizzazione gestoria (come già evidenziato supra par. 1.3), la responsabilità resta personale dei sindaci essendo oggetto dell’accertamento del giudice, agli effetti della responsabilità, l’omessa vigilanza stabilita nell’art. 2403 c.c. Perciò, non vi è alcuna consequenzialità tra le condotte illecite degli amministratori e la responsabilità dei sindaci, che deve sempre discendere dalla violazione del potere-dovere di controllo imposto agli stessi[63].
1.5 . Gli obblighi di vigilanza sugli assetti organizzativi, amministrativi e contabili necessari per l’emersione della crisi e della discontinuità aziendale e sulle attività conseguenti degli amministratori
Come già evidenziato (supra par. 1.1), il legislatore – in occasione dell’approvazione delle norme del Codice della crisi – è intervenuto, con normativa entrata immediatamente in vigore a partire dal 16 maggio 2019, sull’obbligo dell’imprenditore collettivo di istituire un adeguato assetto organizzativo, in corrispondenza della natura e delle dimensioni dell’impresa, per la rilevazione tempestiva dei sintomi di crisi e della perdita di continuità dell’azienda. In caso di emersione dei sintomi di crisi o di perdita di continuità, l’amministratore dovrà dunque percorrere, secondo la nuova normativa, senza indugio, le vie consentite dalla legge per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale, come stabilito dal nuovo art. 2086, comma 2, c.c. (a cui hanno fatto seguito gli artt. 2257, comma 1, 2380 bis, 2409 novies, comma 1, 2475, comma 1, c.c.). 
Le novità normative, volte a favorire l’emersione dei sintomi di crisi (nella diversità del concetto dall’insolvenza, rispetto alla differente soluzione della previgente legge fallimentare – cfr. art. 160, ult. comma, L. fall. – dovuto all’art. 2, lett. a) e b), CCII[64]) per il suo superamento e il recupero della continuità aziendale, cui corrispondono precisi obblighi degli amministratori, non potevano non avere precise ricadute immediate sui poteri-doveri dei sindaci, nell’attività di vigilanza prestata all’azione degli amministratori. 
Perciò, il controllo del rispetto della corretta amministrazione dei singoli atti gestori e dell’adeguatezza dell’organizzazione dell’impresa, oggetto di verifiche e controllo del sindaco (art. 2403, comma 1, c.c.) già presente a seguito della novella del 2003, acquista un più ampio respiro, dove l’adeguatezza dell’organizzazione è funzionale anche all’emersione della crisi o della perdita della continuità aziendale. La novella del 2003, che seppure con alcuni limiti, sconfina l’azione di controllo dei sindaci oltre il sindacato di pura legittimità (cfr. supra parr. 1.1 e 1.3), consentendo un controllo anche nel merito della gestione alla luce del canone della corretta amministrazione, trova una significativa continuità nell’espansione dei compiti del sindaco provocata dalla novella del Codice della crisi (le cui disposizioni che qui rilevano non sono state assoggettate a dilazione nell’entrata in vigore, ma sono state rese immediatamente applicabili): l’adeguato assetto dovrà valorizzare anche le finalità di emersione della crisi e della discontinuità aziendale. 
Quindi, già prima dell’entrata in vigore complessiva del Codice della crisi (avvenuta il 15 luglio 2022), le nuove norme immediatamente applicabili agli amministratori, per ricaduta, in applicazione dello stesso art. 2403, comma 1, c.c., si rendevano vincolanti anche per i sindaci espandendo, il loro controllo sugli adeguati assetti e sull’azione degli amministratori[65]. 
Con il nuovo Codice i sintomi della crisi assumono sul piano normativo una più concreta regolamentazione nell’art. 3, comma 4, CCII, laddove ne vengono definiti i segnali: esistenza di debiti per retribuzioni scaduti, in un ammontare complessivo pari alla metà dell’impegno mensile, da almeno trenta giorni; esistenza di debiti verso i fornitori scaduti da oltre novanta giorni di ammontare superiore di quello dei debiti non scaduti; scadenza di esposizioni verso le banche e gli altri intermediari finanziari da più di sessanta giorni o che abbiano superato i limiti degli affidamenti ottenuti da almeno sessanta giorni;  morosità in relazione ai contributi previdenziali e assistenziali precisati nei limiti quantitativi dell’art. 25 novies, CCII. È evidente che i sintomi della crisi suggeriti dallo stesso legislatore costituiscono il parametro di riferimento del controllo che deve operare il sindaco, sui presupposti dell’azione doverosa dell’amministratore, per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale. 
Egualmente, il legislatore suggerisce i parametri per una valutazione degli adeguati assetti, nell’art. 3, comma 3, CCII, i quali devono essere in grado di cogliere con immediatezza gli squilibri di carattere patrimoniale o finanziario, la sostenibilità dei debiti per i dodici mesi successivi alla verifica e, infine, le informazioni necessarie per utilizzare la lista di controllo particolareggiata e il test pratico di verifica di cui all’art. 13, comma 2, CCII. 
L’azione dei sindaci, tuttavia, non può limitarsi solo al semplice accertamento, a fronte dell’emersione della crisi o della discontinuità aziendale, dell’inadeguatezza degli assetti e dell’azione degli amministratori, ma deve denunciare la mancanza delle iniziative di questi ultimi, adeguatamente sollecitati per l’adozione e l’attuazione dei mezzi legislativamente proposti al superamento della crisi e al recupero della continuità, e, in ultima analisi, deve procedere a iniziative sostitutive o integrative dell’inerzia manifestata dagli amministratori. 
Sotto questo aspetto non può tacersi il ruolo dei sindaci nel procedimento di composizione negoziata della crisi, costituente una delle principali novità dell’ulteriore riforma nell’anno 2022, in occasione dell’entrata in vigore del nuovo Codice[66]. 
L’art. 17 CCII, a fronte dell’emersione della crisi, impone agli amministratori la nomina di un esperto, avente i requisiti riconosciuti attraverso l’iscrizione in un apposito albo (art. 16 CCII), il quale, verificata la seria prospettiva di una continuità, interviene per favorire un accordo tra imprenditore e creditore, quale soluzione negoziale della crisi, il tutto – si ribadisce – nella prospettiva della continuità aziendale. L’art. 25 octies, a fronte dell’emersione dei sintomi di crisi e di discontinuità – come definiti nell’art. 3, comma 4, CCII poc’anzi esaminato – impone di conseguenza all’organo di controllo di segnalare agli amministratori la sussistenza dei presupposti per un’istanza ex art. 17 CCII, con la fissazione del termine di trenta giorni al fine di riferire sulle iniziative intraprese dagli amministratori. È evidente che in questo lasso di tempo non si potrà certo pretendere la soluzione negoziale alla crisi, ma l’avvio tramite l’esperto della trattativa per favorirla[67]. 
Nell’arco di tempo in cui, per iniziativa degli amministratori, autonoma o sollecita, ha svolgimento il procedimento di composizione negoziata della crisi, resta intatto il dovere di vigilanza dei sindaci (infatti, è da ricordare che l’art. 21 CCII riconosce anche in capo agli amministratori la gestione ordinaria e straordinaria dell’impresa) e se l’iniziativa verso gli amministratori, per l’avvio del procedimento di composizione negoziale, non origina benefici premiali ai sindaci, l’art. 25 octies, comma 2, CCII offre ad essa rilievo ai fini della valutazione, in sede giurisdizionale, della loro responsabilità ex art. 2407 c.c. 
Dunque, il legislatore non offre all’organo di controllo una funzione vicaria dell’azione degli amministratori – infatti i sindaci non possono avviare il procedimento di composizione negoziale senza l’iniziativa degli amministratori – con una soluzione molto più equilibrata rispetto all’originario assetto del Codice nell’edizione del 2019, che ampliava l’ambito dei legittimati alle iniziative per il superamento della crisi, essendo oggi il tutto nelle mani degli amministratori che a tempo debito ne dovranno rispondere. 
Quindi, i sindaci, se non hanno autonomo potere di iniziativa per l’avvio della fase di composizione negoziale, hanno però precisi poteri-doveri di stimolo all’iniziativa degli amministratori. 
La sospensione degli obblighi e delle cause di scioglimento della società per perdita sotto i limiti di legge del capitale sociale (art. 20 CCII) libera dagli obblighi relativi gli amministratori, ma non libera l’organo di controllo dagli obblighi di segnalazione ai soci dell’emersione dello stato di liquidazione di fatto della società, nonché dagli obblighi di assunzione delle iniziative conseguenti alla convocazione dell’assemblea dei soci per i provvedimenti necessari[68]. 
Nel caso in cui la crisi si presenti come irreversibile, e dunque non consenta più il recupero della continuità aziendale e integri gli estremi della vera e propria insolvenza (art. 2, lett. b), CCII), l’organo di controllo della società ha legittimazione attiva ex art. 37, comma 2, CCII per l’avvio del procedimento di regolazione giudiziale della crisi e dell’insolvenza e, sulla base dei presupposti necessari, per l’apertura della liquidazione giudiziale. 
Inoltre, mentre gli obblighi di messa in mora degli amministratori, sancito nell’art. 25 octies CCII, possono avere rilievo nell’accertamento della responsabilità civilistica dei sindaci (pur non escludendolo in assoluto), non si deve dimenticare che gli obblighi relativi invece alla domanda per l’avvio del procedimento di regolazione giudiziale della crisi e dell’insolvenza, in caso di omessa o intempestiva azione che abbia aggravato il dissesto, integra alla luce degli artt. 323 e 330 CCII ipotesi di bancarotta semplice, con conseguenze che vanno ben oltre gli aspetti strettamente civilistici. 
Non si deve, infine, dimenticare che le segnalazioni provenienti dai creditori pubblici qualificati (Inps, Inail, Agenzia delle Entrate) hanno come destinatari non solo gli amministratori, ma anche l’organo di controllo nella persona del suo presidente. Tali segnalazioni possono essere un canale per la messa in mora degli amministratori negli adempimenti per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale oppure, nei casi di evidente insolvenza, uno stimolo all’introduzione della nuova azione per l’apertura della regolamentazione giudiziale della crisi (art. 225 novies CCII). Pure le banche e gli intermediari finanziari devono comunicare le variazioni sugli affidamenti e la loro revoca anche agli organi di controllo (art. 225 decies CCII)[69]. Si tratta di stimoli esterni all’avvio delle iniziative dell’organo di controllo verso gli amministratori. 
È opportuno aggiungere, come si è efficacemente osservato[70], che la più generale attività di vigilanza risulta necessariamente intensificata quando vi è occasione di una crisi e di una discontinuità aziendale, per cui la consueta modalità della cadenza periodica e il metodo statistico a campione usata dall’organo di controllo rende necessaria un’indagine continuativa sul piano temporale e molto più analitica. Si dovrà tener conto che l’azione degli amministratori avrà come svolgimento esclusivo attività conservative del patrimonio in funzione della tutela del ceto creditorio (art. 2486 c.c.) e su tale fondamentale principio dovrà condursi la vigilanza dell’organo di controllo, che diventerà molto più presente e pressante. 
Anche l’eventuale percorso scelto dagli amministratori, nella loro discrezionalità, verso una soluzione di regolamentazione negoziale della crisi e dell’insolvenza – come, ad esempio, l’adozione di un piano attestato di risanamento oppure di un accordo di ristrutturazione dei debiti o infine, di un vero e proprio concordato – non diminuisce l’impegno dell’organo di controllo, come le norme del codice di comportamento sanciscono[71]. Infatti, queste impongono al sindaco di verificare i requisiti di professionalità e indipendenza del professionista incaricato di attestare la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano, la correttezza ed esaustività dell’attestazione e la sua concreta attuabilità, nonché vigilare sull’esecuzione del piano approvato e omologato. 
Ne consegue, per concludere, una piena continuità dell’attività di vigilanza e controllo dei sindaci durante la fase di crisi, sia in ordine all’attuazione degli strumenti preventivi, sia in ordine all’attuazione degli strumenti di regolazione della crisi di natura negoziale successivi; ma non solo continuità, bensì maggior intensità e rilievo della finalità di tutela del ceto creditorio e, per quanto possibile, di continuità dell’azienda.
1.6 . La responsabilità del sindaco di fatto o in prorogatio
Con l’art. 2399, comma 1, c.c., il legislatore pone tutta una serie di condizioni di ineleggibilità ai sindaci, per legami di parentela e affinità, per rapporti particolari con la società dovuti a un contratto di lavoro subordinato oppure a una prestazione d’opera retribuita ovvero ad altri rapporti di natura patrimoniale che ne compromettano l’indipendenza; infine, per interdizione, inabilitazione, apertura di un procedimento di liquidazione giudiziale, condanna a pena accessoria di interdizione di pubblici uffici. L’intento è quello di favorire e garantire l’imparzialità e la terzietà del sindaco. 
Alle cause di ineleggibilità si accompagna anche un’ipotesi di decadenza dovuta dalla cancellazione o sospensione dal registro dei revisori legali o dall’albo professionale oppure dal ruolo universitario (art. 2399, comma 2, c.c., che richiama l’art. 2397, comma 2, c.c.). 
Lo statuto può prevedere ulteriori cause di incompatibilità, ineleggibilità o decadenza. 
Vi è, infine, il caso di revoca per giusta causa dall’incarico, per delibera assembleare convalidata dal tribunale (art. 2400, comma 2, c.c.). 
Potrebbe accadere che il sindaco sia nominato in violazione delle suindicate condizioni di ineleggibilità o decadenza e cionondimeno abbia svolto nel tempo la funzione di sindaco. Il caso può essere definito come quello di un sindaco “di fatto”, in mancanza dei requisiti di legge per esercitare la funzione. L’esercizio di fatto della funzione di controllo da parte di chi legislativamente non potrebbe ricoprire l’incarico, similmente ad un’attività di un amministratore non formalmente nominato – perciò, amministratore di fatto – non esclude dalla responsabilità il sindaco nominato formalmente, ma in violazione della legge. 
Non sembra possibile argomentare una sorta di decadenza automatica ex lege nelle situazioni regolate dall’art. 2399 c.c. con conseguente subentro del sindaco supplente (art. 2401 c.c.), per escludere l’ipotesi del sindaco di fatto, poiché la norma non si esprime sull’effetto ex lege dell’incompatibilità e non è scontata l’irrilevanza di un previo accertamento dell’organo sociale deputato – l’assemblea –  oppure dell’organo giurisdizionale, ai fini della certezza, tra l’altro da documentare presso il registro delle imprese[72]. 
Se proprio si volesse dare rilievo a una decadenza ope legis, resterebbe allora la possibilità – anche se con gli oneri più gravosi a carico dell’attore (cfr. infra par. 1.8) – di un’azione per illecito extracontrattuale ai sensi dell’art. 2043 c.c. nei confronti del sindaco che ha assunto di fatto l’incarico e abbia cagionato, con la sua condotta o omissione, danni alla società. 
Si pone poi il problema della prorogatio del sindaco, che lascerebbe aperta la prospettiva della sua responsabilità, dopo la scadenza temporale dell’incarico (tre esercizi), o la decadenza (art. 2399, comma 2, c.c.) o il verificarsi, dopo la nomina, di un caso sopravvenuto di ineleggibilità, qualora la sua attività di sindaco sia proseguita sino al momento della sua sostituzione. 
L’art. 2400 c.c. offre un’indicazione normativa per il caso di scadenza dalla carica i cui effetti sarebbero prodotti solo “dal momento in cui il collegio è stato ricostituito”. Il problema dovrebbe essere risolto dall’automaticità di subentro del sindaco supplente (art. 2401 c.c.), ma certo dovrebbe ipotizzarsi l’esistenza di un sindaco supplente, ciò che non è scontato poiché lo stesso art. 2401 c.c. ipotizza il caso che i sindaci supplenti non completino il collegio, con conseguente necessità di convocazione dell’assemblea per la sua integrazione. 
Tale problema ha un certo rilievo anche sul tema della responsabilità del sindaco di fatto. Infatti, qualora la prorogatio fosse ritenuta esistente, il sindaco scaduto, decaduto o in condizione sopravvenuta di ineleggibilità, per quanto originariamente nominato con delibera assembleare, è nelle condizioni di essere destinatario, anche per il periodo successivo e fino alla ricostituzione del collegio da parte dell’assemblea, di azioni di danni da parte della società. 
L’oscillazione della giurisprudenza sul punto non può essere più evidente, essendovi pronunce di merito che fanno leva sull’esclusività letterale dell’ipotesi di prorogatio espressa all’art. 2400, comma 1, c.c., perciò non applicabile alle ipotesi di decadenza o sopravvenuta ineleggibilità, ritenendo prorogabili solo gli amministratori[73]. Al contrario, la giurisprudenza di legittimità[74] è orientata, senza soluzione di continuità, verso la prorogatio, ritenuto un istituto di generale applicazione per gli organi sociali (ciò che spiegherebbe il meccanismo speciale del subentro ex lege del sindaco supplente, in mancanza del quale solo la prorogatio consente la continuità di azione dell’organo di controllo, con le relative responsabilità), con conseguente carattere non eccezionale dell’art. 2400, comma 1, c.c.; tale orientamento, per la funzionalità e continuità dell’organo, è da considerare preferibile. 
Se è discutibile la figura del sindaco di fatto, è orientamento consolidato l’irrilevanza delle dimissioni preceduta dalla violazione degli obblighi che fanno capo all’amministratore. Non solo nel caso il sindaco dimissionario è destinatario dell’azione di responsabilità, ma le stesse dimissioni sono sintomatiche della violazione degli obblighi che fanno capo ai sindaci[75].
1.7 . Il vincolo di solidarietà e il regresso. La transazione e i patti limitativi o di rinuncia della responsabilità
Gli amministratori e i sindaci sono tutti obbligati in caso di inadempimento degli obblighi facenti loro carico per danni alla società e, come in tutti i casi di obbligazione soggettivamente complessa, sono impegnati in solido ex art. 1293 c.c. se la legge o il titolo non stabiliscono diversamente (il che apre la prospettiva di una rinuncia contrattuale al vincolo di solidarietà verso uno dei condebitori in solido). 
Si applicano, quindi, tutte le regole proprie delle obbligazioni solidali. 
La società potrà chiedere il danno, provocato dall’azione degli amministratori e dagli atti od omissioni dei sindaci, nella sua interezza a uno qualunque degli obbligati in solido, sia l’amministratore che il sindaco, senza che questi possano invocare la divisibilità oppure eccepire il diverso grado di imputabilità della causa del danno (art. 1292 c.c.), che ha rilevanza solo interna ai fini del regresso. 
Adempiuta la prestazione a cui è obbligato in solido, il sindaco (come l’amministratore) può ripetere verso ciascuno dei condebitori la quota che sarebbe spettata a ciascuno, nel caso in cui l’obbligazione fosse divisibile (l’azione di regresso può essere introdotta anche incidentalmente, mediante chiamata ex art. 106 c.p.c. nella causa principale nella quale il creditore, ovvero la società o il curatore, abbia chiesto il pagamento dell’intero ad uno dei condebitori). Naturalmente nei rapporti interni, tra obbligati in via di regresso, qualora sia possibile distinguere il diverso apporto nella causazione del danno, la domanda può contenere anche la domanda volta ad ottenere l’accertamento e la condanna del diverso ruolo degli obbligati in via di regresso nella provocazione del danno alla società, con richiesta di reintegrazione patrimoniale per la parte del danno dovuto a causa esclusiva dell’obbligato. 
Uno degli aspetti più controversi, anche per la sua frequentazione (particolarmente quando l’azione è proseguita o iniziata dal curatore concorsuale il quale deve sempre valutare, come il giudice e il comitato dei creditori, il tempo necessario per ottenere l’accoglimento della domanda e la maggiore o minore aleatorietà della causa), è il perfezionamento della transazione e i suoi effetti. 
Anzitutto, si pone il problema della disponibilità della materia, tenuto conto dell’esistenza di azioni, come la denuncia ex art. 2409 c.c., ispirate a un evidente impulso officioso a tutela di un interesse generale e non singolare, che culmina nella legittimazione del p.m. La soluzione è offerta dallo stesso legislatore, il quale all’art. 2393 c.c. disciplina espressamente l’eventualità di una rinuncia all’azione o transazione perfezionata dalla società. 
La norma ammette, dunque, una rinuncia all’azione o una transazione radicando la materia nella disponibilità dei diritti (donde la possibilità di un arbitrato della controversia, quando nello statuto vi è la relativa clausola oppure quando sia opponibile al curatore o sia lui a perfezionarla, come compromesso), introducendo tuttavia delle precauzioni a tutela della volontà dei soci di maggioranza e di minoranza. I primi vedono riconosciuto il rilievo della loro volontà nella necessità che la transazione sia espressamente approvata dall’assemblea dei soci, con una delibera che chiarisca i termini esatti dell’accordo transattivo. I secondi, invece, vedono riconosciuta la loro volontà nella necessità che non vi sia voto contrario di un numero di soci che rappresenti almeno un quinto del capitale sociale (art. 2393, comma 5, c.c.). Nelle società a responsabilità limitata è richiesta una maggioranza qualificata dei due terzi del capitale sociale per l’approvazione in assemblea, i cui effetti sono esclusi dalla volontà contraria di almeno il decimo del capitale sociale (art. 2476, comma 5, c.c.). Si introduce in tal modo un equilibrio tra maggioranza e minoranza, nell’ipotesi di mancato esercizio o prosecuzione dell’azione di responsabilità, per rinuncia o intervenuto accordo. 
Il legislatore – se non con le regole applicabili alle obbligazioni solidali, alle quali con interpretazione sistematica deve farsi richiamo – non risolve il problema della transazione non perfezionata con tutti gli obbligati in solido, ma solo con alcuni di essi (ipotesi assai frequentata). Esiste, in tal caso, la disposizione dell’art. 1304 c.c. che priva di effetti la transazione nei confronti degli altri condebitori in solido “se questi non dichiarano di volerne profittare”. 
Ne consegue che, se la transazione riguarda il danno nella sua interezza e, quindi, quanto il condebitore sarebbe destinato ad adempiere qualora fosse condannato in solido, gli altri condebitori potrebbero dichiarare di volerne profittare, con l’effetto di far cessare la materia del contendere e fissare il diritto sui contenuti della transazione. 
Poiché nelle controversie nascenti dalla solidarietà non vi è litisconsorzio necessario degli obbligati in solido, potendo il creditore agire nei confronti di uno soltanto al quale rivolgere la domanda di condanna della prestazione per l’intero, pur potendo ovviamente il coobbligato citato chiamare in causa gli altri coobbligati per il regresso (ma è un’ipotesi di litisconsorzio facoltativo), non vi è ostacolo a una transazione esclusivamente della posizione di uno dei coobbligati in solido. 
Tuttavia, si pone il problema dell’art. 1304, comma 1, c.c., potendo della transazione perfezionata con uno dei coobbligati in solido profittarne anche gli altri. Al fine di ovviare all’applicazione dell’art. 1304 c.c. la società o il curatore hanno solitamente premura di limitare la transazione alla sola quota che sarebbe spettata al coobbligato, rinunciando al vincolo di solidarietà nei suoi confronti e liberando solo il soggetto transigente, onde evitare che gli altri ne possano profittare[76]. 
La clausola consente, dunque, di derogare alla previsione del citato art. 1304 c.c. (il quale introduce un’efficacia eccezionale ultra partes del contratto), trattandosi di norma dispositiva e non imperativa. Naturalmente, la deroga è possibile solo se l’oggetto della transazione non sia l’intera prestazione[77], ma solo la quota spettante all’obbligato in solido transigente. La transazione parziale, avente a oggetto la sola quota, determina lo scioglimento della solidarietà passiva, riguarda unicamente il debitore che vi aderisce, non potendo perciò gli altri condebitori profittarne[78]. 
La casistica giurisprudenziale evidenzia una particolare intensità delle controversie sulla qualificazione della clausola, se riferibile alla sola quota oppure all’intero debito, potendo solo in quest’ultimo caso gli altri condebitori solidali prestare adesione. Sarà la società o il curatore, che intendono agire o proseguire nei confronti dei coobbligati non transigenti, a dover provare che la transazione era circoscritta alla quota interna e, dunque, impegnava il solo condebitore stipulante. 
La soluzione al problema è offerta dall’applicazione delle regole di interpretazione del contratto (art. 1362 c.c.) con le quali è ricostruita la volontà delle parti. Il silenzio dell’accordo transattivo depone nel senso della globalità della prestazione transatta e, quindi, dell’applicazione dell’art. 1304 c.c., per cui è necessaria un’espressa clausola che limiti alla quota l’accordo transattivo[79]. Sarebbe sufficiente un’espressione qualunque con cui sia espresso il limite dell’accordo transattivo alla quota del condebitore transigente, senza la necessità di riserve espresse volte a conservare il credito verso gli altri debitori[80]. 
Il tema non è solo quello della rilevanza del patto agli effetti della deroga all’art. 1304, comma 1, c.c., ma anche quello – una volta riconosciuto sul piano negoziale il carattere parziale dalla transazione – dei suoi effetti: di quanto dovranno rispondere gli altri condebitori sottratti al beneficio della transazione? Al fine di evitare un ingiustificato aggravamento della posizione dei soggetti rimasti vincolati alla solidarietà, solo se vi è stato un adempimento in sede transattiva in una misura pari o superiore alla quota (il che deve ritenersi assai raro, a causa delle reciproche concessioni a cui si sono vincolate le parti), il credito residuo viene determinato al netto del pagamento effettuato dal condebitore solidale transigente. Se invece l’adempimento del condebitore transigente è inferiore alla quota, il credito residuo di cui rispondono gli altri coobbligati solidali viene determinato al netto della quota e non del pagamento effettuato[81]. 
Ulteriore problema è quello della opponibilità della transazione perfezionata dalla società in bonis, prima della messa in liquidazione giudiziale, al curatore (e ai creditori). Il tema è invero più ampio, poiché riguarda non solo la transazione, ma anche la rinuncia. Il profilo particolare è regolato nell’art. 2394 c.c., comma 2, c.c. quanto meno nei confronti dei creditori sociali. 
Mentre la rinuncia non impedisce l’esercizio dell’azione da parte dei creditori sociali, la transazione, che comporta comunque una reintegrazione del patrimonio sociale a beneficio degli stessi creditori, è invece opponibile, salvo ovviamente l’esercizio dell’azione revocatoria (art. 2394 c.c.). Questa disposizione può essere applicata anche al medesimo curatore – in considerazione del fatto che il curatore agisce dopo l’apertura della liquidazione giudiziale in luogo dei creditori sociali – il quale non avrà alcun limite nell’agire a fronte di una rinuncia, mentre, se intenderà agire innanzi a una transazione, dovrà prima impugnarla con azione revocatoria fondata sui motivi propri di tale domanda[82]. 
Quanto a questi ultimi, se l’elemento soggettivo presupposto dell’azione revocatoria segue le regole generali, qualche dubbio pone l’elemento soggettivo dell’eventus damni, poiché il rischio è di considerarlo – alla luce delle reciproche concessioni – sempre configurato. 
Si tratterà, allora, di esaminare la situazione concreta, dovendo il giudice dell’azione revocatoria ponderare, sul piano dei tempi del processo e dell’aleatorietà della causa sul diritto transatto, l’opportunità o meno della transazione[83]. Quest’ultima, se inopportuna, integra sempre pregiudizio al patrimonio, presupposto di accoglimento dell’azione revocatoria. Se poi la revocatoria è quella fallimentare, il curatore avrà tutte le agevolazioni discendenti dall’applicazione dell’art. 66 CCII e in particolare, le presunzioni ivi stabilite. 
Un ultimo tema di particolare rilievo casistico è quello dell’efficacia e opponibilità delle clausole di esonero dei sindaci contenute nello statuto, in delibere assembleari anteriori o successive all’atto amministrativo, negli accordi di cessione delle partecipazioni o patti parasociali. Il tema involge, ancora una volta, l’ambito concesso all’autonomia privata. Sotto questo profilo particolare, l’inquadramento sistematico e di principio sulla esistenza o meno di un interesse sociale di natura latu sensu generale e pubblicistica – di cui non potrebbero disporre neanche i singoli soci all’unanimità – porterebbe a negare la piena disponibilità dell’azione di responsabilità[84]. Una lettura diversa che pone la disciplina della società in un più corretto ambito privatistico – di cui sono indici le norma poc’anzi esaminate sulla validità ed efficacia della transazione – lascia spazio, seppure con i limiti che saranno veduti, alla validità ed efficacia di tali patti. 
Anzitutto, si rende necessario l’esame dei patti di esonero della responsabilità perfezionati pro futuro – in relazione ad attività che gli amministratori e conseguentemente i sindaci andranno a realizzare nel futuro – che possono essere contenuti nello statuto al momento della costituzione della società oppure in delibera assembleare successiva. Essi incontrano l’ostacolo insormontabile dell’art. 1229 c.c. (“è nullo qualsiasi patto che esclude o limita preventivamente la responsabilità del debitore per dolo o per colpa grave”), che lascia aperta solo la prospettiva dell’esonero preventivo da responsabilità dei casi di colpa lieve, difficili da rinvenire, particolarmente nell’ambito della responsabilità dei sindaci per la vigenza e applicabilità dell’art. 2236 c.c., che colloca la responsabilità per prestazioni involgenti la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà solo sul piano del dolo e della colpa grave. Con questo, il tema potrebbe dirsi già risolto[85]. 
Resta poi – e tutta la giurisprudenza sulla rinuncia dell’azione dopo che l’atto amministrativo illecito è stato compiuto lo evidenzia – il problema della genericità della previsione la quale non identifica singoli concreti atti gestori provocanti l’esonero della responsabilità (genericità che esclude la validità di rinuncia all’azione anche se deliberate successivamente al compimento dell’atto). 
Quanto riferito in ordine all’esclusione di responsabilità vale ovviamente anche per le clausole di rinuncia all’azione quando sono offerte genericamente e preventivamente agli atti degli amministratori. Infatti, la rinuncia ammessa nell’art. 2393, comma 6, c.c. si riferisce all’ipotesi di un atto già compito dagli amministratori o sindaci e deve riferirsi necessariamente a un atto concreto[86]. 
Diversa è la soluzione per il caso di esonero di responsabilità o rinuncia a seguito del compimento di un concreto atto dell’amministratore o del sindaco (o di loro omissione di attività), perché qui soccorre l’art. 2396, comma 6, c.c. Dovrà trattarsi ovviamente di un’espressa delibera con le maggioranze statutarie e di legge, approvata dai soci di minoranza secondo le quote stabilite dalla stessa norma o, per le s.r.l., dall’art. 2476, comma 5, c.c. 
La rinuncia potrà essere anche deliberata anche se l’azione non è ancora esercitata o deliberata e lo stesso valore di rinuncia può darsi alla delibera che ratifichi ex post un concreto e specifico atto degli amministratori e dei sindaci, con l’avvertenza che in entrambi i casi siano indicate le singole operazioni o violazioni che potrebbero fondare l’azione risarcitoria, come si è già sottolineato[87]. L’approvazione del bilancio, proprio per il mancato riferimento a singoli concreti atti gestori, non comporta automaticamente l’esonero dalla responsabilità degli amministratori e la rinuncia all’azione[88]. 
Resta, infine, il rilievo di clausole di esonero da responsabilità o da rinuncia all’azione contenute in patti occasionati dalla cessione delle partecipazioni sociali o, più ampiamente, in patti parasociali. È clausola molto frequentata sia in occasione della dismissione della proprietà sociale, sia in occasione della regolamentazione di rapporto tra maggioranza e minoranza. Sembra corretto ritenere che tali clausole non siano opponibili alla società e possano valere solo nel rapporto “interno” tra stipulanti[89] e comunque sarebbero prive dei requisiti della previa delibera assembleare di rinunzia ex art. 2393, comma 6, c.c.[90]. Pertanto, detti accordi avrebbero validità solo obbligatoria potendo originare un obbligo del socio che pattuisce di risarcire i danni in caso di violazione[91]. 
Egualmente, avrebbero efficacia obbligatoria anche i patti di garanzia (patti di manleva atipici su fondamento negoziale[92]) con i quali lo stipulante si impegna a tenere liberi amministratori e sindaci da responsabilità: essi instaurano un rapporto obbligatorio autonomo privo di alcuna efficacia esterna nei confronti della società (che non avrà quindi azione diretta, mentre il garante potrà essere chiamato ex art. 106 c.p.c. in causa dal garantito).
1.8 . Le azioni giurisdizionali di responsabilità: le fattispecie costitutive e gli oneri di allegazione e prova. Il loro esercizio durante la crisi o l’insolvenza dell’impresa
Alla luce delle considerazioni nei paragrafi che precedono, sul quadro normativo degli obblighi e delle conseguenti responsabilità dei sindaci e sull’analisi della diffusa casistica manifestata dalla giurisprudenza, che illumina l’interprete nella coerenza dei principi, si mettono a fuoco le fattispecie costitutive da dedurre in domanda e i corrispondenti oneri della prova gravanti le parti. 
Le azioni – come è noto – sono in realtà due: da un lato, (i) l’azione sociale di responsabilità ex art. 2393 c.c. esercitata dalla società stessa e, dall’altro, (ii) l’azione sociale di responsabilità ex art. 2393 bis c.c. esercitata dai soci rappresentanti le quote di capitale sociale indicate nella stessa disposizione (mentre nelle s.r.l. qualunque socio può esercitare l’azione, art. 2476, comma 3, c.c.[93]). 
Si aggiungono, poi, ulteriori due azioni: l’una (iii) regolata nell’art. 2394 c.c. a cui sono legittimati i creditori sociali quando il patrimonio sociale risulti insufficiente al soddisfacimento dei loro crediti, e l’altra (iv) nell’art. 2395 c.c. a cui sono legittimati il singolo socio e il terzo direttamente danneggiati dagli atti colposi e dolosi degli amministratori. 
A seguito della crisi e dell’apertura della liquidazione giudiziale, tutte queste azioni – a esclusione di quella regolata (iv) dall’art. 2395 c.c. –, ai sensi dell’art. 255 CCII e dell’art. 2394 bis c.c., sono esercitate dal curatore, debitamente autorizzato dal Giudice delegato[94]. 
L’azione sociale di responsabilità (i) (ii) (verso gli amministratori, ma anche verso i sindaci) e l’azione a tutela dei creditori (iii) (art. 2394 c.c.), sono esercitabili dal curatore anche in un unico contesto procedimentale, come cumulo di domande, ma presentano diversità significative e conservano la loro autonomia, sia in relazione alla causa petendi e sia in relazione al petitum, discendendone variazioni significative sugli oneri di allegazione e prova. 
Più in particolare, l’azione speciale di responsabilità (i) e l’azione sociale di responsabilità esercitata dai soci (ii) è destinata a tutelare un diritto che fa capo alla società, per cui l’iniziativa processuale del socio deve inquadrarsi nell’ambito della sostituzione processuale o, meglio, della legittimazione straordinaria, poiché la società è litisconsorte necessario, come detta l’art. 2393 bis, comma 3, c.c.  Detto diritto, che coincide con il danno alla società provocato dall’azione degli amministratori e dalla negligenza dei sindaci – che hanno violato obblighi diretti o mediati dalla mancata vigilanza sull’azione degli amministratori – ha origine da un rapporto contrattuale che è quello che lega sia gli amministratori che i sindaci alla società. 
Per quanto qui interessa si instaura tra le parti un rapporto contrattuale d’opera intellettuale (v. infra par. 1.2) a seguito della delibera assembleare di nomina del sindaco, seguita da sua accettazione (come egualmente un contratto è il rapporto che lega l’amministratore alla società). Dunque, l’azione sociale di responsabilità verso i sindaci (come verso gli amministratori) è un’azione contrattuale, che ha come titolo il contratto che lega le parti in causa. 
Quando, invece, l’azione ha ad oggetto il diritto individuale del creditore (iii)[95], ancorché ne sia legittimato il curatore, oppure il diritto individuale del socio o del terzo (iv) – al di fuori della insolvenza e della liquidazione giudiziale – l’azione ha come legittimato ordinario il creditore, il socio o il terzo, i quali fanno valere un diritto proprio, da non confondere con il diritto della società[96] (che non è più litisconsorte necessario nel procedimento relativo). Non essendovi un rapporto contrattuale che lega detti soggetti agli amministratori o ai sindaci, la causa petendi di tali azioni viene individuata in un fatto illecito ex art. 2043 c.c. e non più ex contractu
È nota, per essere diffusamente trattata, la diversità degli oneri di allegazione e prova dell’azione contrattuale rispetto all’azione aquiliana: nel primo caso l’attore si limita ad allegare il perfezionamento del contratto e l’inadempimento, mentre spetta al convenuto (ai sensi dell’art. 1218 c.c.: “il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile”) al quale è contestato l’inadempimento, di provare la non imputabilità dell’inadempimento o comunque di avere perfezionato l’adempimento nei limiti della diligenza che gli è richiesta (nel caso qui esaminato la diligenza corrispondente alla natura dell’incarico e alla sua complessità, anche in relazione all’art. 2236 c.c. per le prestazioni implicanti problemi tecnici di speciale difficoltà, ove hanno rilievo solo a dolo e colpa grave). Ne risulta all’evidenza un particolare beneficio all’attore che chiede la tutela giurisdizionale di diritto, il quale dovrà limitarsi ad allegare e provare il contratto e semplicemente ad allegare, seppure precisamente, l’inadempimento. Altra cosa è il profilo relativo all’allegazione e prova del danno, con il nesso eziologico rispetto all’inadempimento contrattuale, di cui si dirà nella sede deputata (infra cap. 2). 
Al contrario, quando l’azione è fondata su un fatto illecito ex art. 2043 c.c., il carico degli oneri di allegazione e prova per l’attore sono ben più gravosi, dovendosi provare ogni elemento della fattispecie: la condotta, sul piano obiettivo, e la colpa (o il dolo), sul piano soggettivo (oltre i nessi di causalità e l’entità del danno, che saranno oggetto di trattazione successiva – infra cap. 2 – e rispetto ai quali non vi è diversità tra l’azione contrattuale e l’azione extracontrattuale). 
Venendo più direttamente alle fattispecie qui esaminate, l’allegazione e prova del fatto costitutivo a carico dell’attore, nell’azione sociale, vengono a coincidere con l’atto di nomina dell’amministratore/sindaco nell’ incarico (la delibera dell’assemblea), come prova dell’esistenza del rapporto contrattuale, e l’allegazione (senza necessità di prova) dell’inadempimento degli amministratori ai poteri-doveri inerenti la carica (è evidente che la responsabilità del sindaco per omesso controllo presuppone la mala gestio degli amministratori e quindi è insufficiente la allegazione del solo inadempimento del sindaco[97]), oltre ovviamente all’allegazione (senza necessità di prova) dell’inadempimento agli obblighi diretti o di generica vigilanza del sindaco[98]. Non è estranea alla fattispecie costitutiva della responsabilità, sempre relativa all’an debeatur (e non ancora al quantum debeatur, per il quale si rinvia infra cap. 2), l’esistenza del danno provocato sia dall’azione dell’amministratore che dalla omissione del sindaco e il nesso di causalità tra il danno e il difetto di vigilanza imputabile ai sindaci, danno naturalmente riferibile alla società. Si deve sottolineare questo profilo dell’esistenza del danno e del nesso eziologico con la condotta od omissione della prestazione del sindaco, come profilo necessario alla fattispecie costitutiva di responsabilità (e non solo ai fini della quantificazione del diritto, ma sul tema si tornerà infra par. 2.1). 
Tale prova non è agevole, trattandosi di un fatto ipotetico, per cui la giurisprudenza non richiede un risultato istruttorio rigoroso, bensì una prova presuntiva, secondo l’id quod prelunque acidit[99], spesso motivando sulla sola omissione di iniziative dei sindaci, a fronte della consapevolezza della situazione in cui versava la società sul piano debitorio, implicante la necessità di procedere all’immediata messa in liquidazione della società, salvo ricapitalizzazione[100]. La giurisprudenza, inoltre, dà rilievo a un nesso di causalità anche quando esso non è l’esclusivo fattore di produzione del danno, ma avrebbe contribuito il comportamento dei sindaci semplicemente a ridurlo[101]. 
In conclusione, non è richiesta una prova in concreto dell’apporto causale offerto dall’inadempimento dei sindaci (ai fini dell’an), ma il dato dell’esperienza fondata sull’evoluzione normale degli eventi[102]; certamente, non vi sarà solo una mera allegazione in quanto non potrà mancare un’argomentazione dell’attore[103], seppure condotta sul piano presuntivo. 
Se eventualmente il pregiudizio fosse tutto generato dalla condotta degli amministratori ormai esaurita e l’iniziativa dei sindaci non avrebbe potuto modificare l’inesorabile esito dovuto all’atto gestorio, la responsabilità dei sindaci va esclusa[104]. Certamente, l’attivazione delle condotte richieste all’amministratore, se necessarie[105], potrebbero eliminare il nesso eziologico, ancorché esse non avessero raggiunto l’effetto finale di escludere il danno[106]. 
È evidente che il convenuto amministratore/sindaco dovrà provare che l’inadempimento contestato non gli è imputabile o comunque non è derivato da violazione della diligenza richiesta per la natura della prestazione (art. 2407, comma 1, c.c., già art. 1176, comma 2, c.c.). 
Se invece è esercitata l’azione di responsabilità verso (iii) i creditori sociali o (iv) il socio o il terzo, per le caratteristiche del titolo fondante la domanda che è l’illecito extracontrattuale, gli oneri a carico dell’attore sono ben più gravosi: prova dell’illecito sul piano oggettivo, della colpa e del dolo sul piano soggettivo, dei nessi di causalità e del danno. In tal caso, dunque, l’imputabilità dell’illecito sul piano oggettivo e l’elemento soggettivo, sono tutti a carico dell’attore. 
La diversa prospettiva, quanto agli oneri di allegazione e prova, delle due azioni non pone problemi quando esse sono esercitate fuori dalla crisi o l’insolvenza che ha condotto alla liquidazione giudiziale, poiché esse sono esercitate da soggetti legittimati diversi: l’amministratore della società oppure il creditore sociale, il socio o il terzo. 
Quando invece, ai sensi dell’art. 255 CCII, l’azione è esercitata dal curatore, che concentra in sé la legittimazione per alcune di esse, deve essere ben chiarito in domanda quale tipo di azione viene concretamente esercitata, discendendone oneri di allegazione e prova ben diversi (pur convenendo sulla possibilità che, per cumulo, le azioni possono essere esercitate in litisconsorzio facoltativo iniziale)[107].
1.9 . La prescrizione del diritto
Prima della novella del 2003, la prescrizione delle azioni sociali di responsabilità era disciplinata esclusivamente nell’art. 2949 c.c., che regolava la prescrizione breve quinquennale per i diritti che hanno titolo nel rapporto sociale, a cui si univa la previsione dell’art. 2941, n. 7, c.c. che introduceva la sospensione delle azioni di responsabilità verso gli amministratori “finché sono in carica”, senza menzionare i sindaci. 
Dette disposizioni sono tuttora vigenti e non superate dalla riforma del 2003 la quale, novellando l’art. 2393, comma 4, c.c., ha tuttavia introdotto un ulteriore norma: “l’azione può essere esercitata entro cinque anni dalla cessazione dell’amministratore dalla carica”[108]. 
La sopravvivenza delle due disposizioni originarie sulla prescrizione, anziché risolvere – nonostante il compito di dare certezza ai diritti – i problemi applicativi generati dell’originaria previsione, ha originato ulteriori questioni interpretative. 
Anzitutto, la formulazione dell’art. 2393, comma 4, c.c. sembra far riferimento a un’ipotesi di decadenza, più che di prescrizione: al termine ivi fissato non si applicherebbe il regime delle prescrizioni, bensì quello delle decadenze (art. 2964 c.c.). La soluzione è tuttavia contraddetta dalla ratio che ispira la novella del 2003 che è quella di non abbandonare gli amministratori e i sindaci ad un’azione sine die, liberandoli da responsabilità decorso un congruo termine dalla cessazione della carica. Ne risulterebbe infatti una deroga all’art. 2935 c.c. che fissa il dies a quo del termine prescrizionale nel “giorno in cui il diritto può essere fatto valere”, poiché, se nell’arco di cinque anni il danno non si è ancora prodotto, il diritto sarebbe comunque inesorabilmente prescritto. Ma tale diversa impostazione, che porterebbe all’applicazione piena della disciplina sulla prescrizione, fa sorgere dubbi di costituzionalità ex artt. 3 e 24 Cost., poiché la società sarebbe privata del diritto, per estinzione dovuta a prescrizione, prima ancora che esso sia sorto. 
Le difficoltà sistematiche denunciate possono risolversi solo e preferibilmente, anche alla luce dei lavori preparatori[109], verso un inquadramento della nuova norma come introducente un termine di prescrizione[110], con il correttivo interpretativo di applicare il termine quinquennale dalla cessazione della carica solo per l’ipotesi dei danni manifestatisi durante l’ufficio, altrimenti dovrebbe comunque prevalere l’applicazione degli artt. 2935 e 2949 c.c.[111]. 
Il riferimento contenuto negli artt. 2949 e 2941, n. 7), c.c. ai soli amministratori ha fatto sorgere il dubbio della loro applicabilità ai sindaci[112], ma la soluzione positiva deve ritenersi sia per ragioni di eguaglianza, ma soprattutto – sul piano positivo – per il richiamo letterale dell’art. 2407, comma 3, c.c. all’art. 2393 c.c.[113]. 
Il carattere contrattuale dell’azione sociale di responsabilità (v. supra par. 1.8) esclude la possibilità di beneficiare del prolungamento del termine in linea con la prescrizione del reato, essendo il maggior termine limitato al danno da fatto illecito (art. 2947, comma 1, c.c.)[114]. L’inquadramento preferibile dell’azione dei creditori sociali di responsabilità degli amministratori (artt. 2394 e 2476, comma 6, c.c.) come azione che ha titolo in un fatto illecito, consente invece di beneficiare del maggior termine per il fatto costituente reato e impone l’applicazione delle regole generali sulla prescrizione dell’illecito aquiliano. 
Il dies a quo del termine quinquennale, anche in tal caso applicabile (art. 2449, comma 2, c.c.), poi, dovrebbe coincidere con il sorgere del diritto, che avviene al momento in cui il patrimonio sociale diventa insufficiente (art. 2394, comma 2, c.c.; ribadita nell’art. 2476, comma 6, c.c. per le s.r.l.)[115]. 
Il momento del sorgere del diritto – tutt’altro che facile da cogliere – pone su un piano di grave incertezza il decorso del termine, per cui la giurisprudenza ne ha stabilito presuntivamente il configurarsi alla data della dichiarazione di fallimento (oggi liquidazione giudiziale)[116], salvo prova contraria dell’anteriorità a tale momento, che dovrà essere data dal convenuto amministratore o sindaco[117]. Ha rilievo il momento dell'oggettiva percepibilità, da parte dei creditori, dell'insufficienza dell'attivo a soddisfare i debiti (e non anche dall'effettiva conoscenza di tale situazione)[118]. 
Quando invece la situazione si rivela equivoca, come la messa a liquidazione volontaria[119], l’esistenza di gravami ipotecari o pignoramenti[120], l’ammissione ad una procedura che non presuppone insolvenza[121] (che tra l’altro non coincide sempre con una situazione di deficit patrimoniale, quanto piuttosto di illiquidità), non può dirsi realizzata l’insufficienza del patrimonio. 
Invece, quando un bilancio, senza particolari competenze e conoscenze[122], mostra un deficit patrimoniale di evidente gravità, purché depositato nel registro delle imprese[123], deve ritenersi integrata quell’insufficienza del patrimonio che costituisce il presupposto per il sorgere del diritto al danno e quindi consente l’esercizio dell’azione[124]. Ugualmente, un’assoluta incapienza patrimoniale dovuta all’esercizio infruttuoso di azioni esecutive[125] o la vendita forzata dell’unico cespite aggredibile[126] o, infine, l’ammissione a un concordato preventivo[127], sono tutte circostanze sintomatiche di una conoscenza dell’insufficienza patrimoniale. 
Invece, deve ritenersi inapplicabile l’art. 2941, n. 7), c.c. sulla sospensione per la durata della carica, poiché la norma fa riferimento letterale solo alle controversie in cui sono parti la persona giuridica e l’amministratore[128], qui invece il creditore e l’amministratore o il sindaco. 
Il carattere solidale della responsabilità dei sindaci e degli amministratori offre pieno vigore all’art. 1310, comma 2, c.c., per cui l’interruzione della prescrizione per atto di messa in mora oppure notifica di una domanda di tutela giurisdizionale o invito a una mediazione, nei confronti di una solo degli obbligati in solido, interrompe per tutti[129]. 
Infine, il rilevato diverso regime della prescrizione delle azioni sociale di responsabilità o del creditore sociale per danno proprio, entrambe esercitabili dal curatore in caso di ammissione alla liquidazione giudiziale della società (art. 2394 bis c.c. e art. 25 CCII), lascia intatta l’autonomia delle discipline e la distinzione delle due azioni. Ne consegue che l’eccezione di prescrizione, per essere validamente proposta, dovrà chiarire a quale delle due azioni si riferisce – eventualmente anche a entrambe[130] – e i regimi potrebbero portare a esiti diversi nell’una rispetto all’altra. 
La relativa eccezione, per legge in senso stretto, è rilevabile solo a iniziativa dell’amministratore o sindaco, nei termini processuali preclusivi imposti al processo (in coincidenza con il termine di costituzione del convenuto in giudizio, art. 167 c.p.c.), il che comporta che, se la difesa processuale non è stata introdotta nei termini, il convenuto che non ha eccepito non potrà beneficiare della declaratoria di prescrizione del diritto[131].
2.1 . Le regole generali sul danno, allegazione e prova
Nell’analisi della fattispecie di responsabilità del sindaco, è stato già evidenziato che il danno è elemento costitutivo della stessa fattispecie di responsabilità, ovvero non è destinato solamente a precisare la dimensione del diritto sociale al risarcimento, ma fa parte anch’esso proprio della fattispecie che origina il diritto sociale oggetto di tutela giurisdizionale. Il danno, dunque, non ha rilievo solo sulla determinazione del quantum debeatur, ma anche dell’an debeatur. 
Pertanto, la società, il socio (che agisce come legittimato straordinario) e il curatore (a seguito della liquidazione giudiziale dell’impresa) che esercitano l’azione ex artt. 2393 e 2393 bis c.c., i quali sono onerati (v. supra par. 1.8) dell’allegazione e prova dell’esistenza del rapporto sociale con il sindaco (e l’amministratore) e dell’allegazione del preciso inadempimento imputabile all’organo – in quest’ultimo caso come onere di mera allegazione (la prova ai sensi dell’art. 1218 c.c., della non imputabilità dell’inadempimento o del suo ritardo è invece a carico del sindaco e dell’amministratore –, sono onerati, anche per la stessa esistenza della fattispecie di responsabilità, dell’allegazione e della prova dell’esistenza del danno. 
La violazione di un obbligo di diligenza del sindaco o dell’amministratore che non sia all’origine di un danno alla società non integra, infatti, una fattispecie rilevante agli effetti dell’azione sociale di responsabilità. Se, ad esempio, l’amministratore non ha tenuto una contabilità in grado di consentire una ricostruzione della dinamica contabile e patrimoniale dell’impresa collettiva e il sindaco non ha esercitato i poteri-doveri di vigilanza, significando all’amministratore l’inadempimento e promuovendo le iniziative necessarie (convocazione dell’assemblea; azione ex art. 2409 c.c.; azione di responsabilità verso gli amministratori)[132], oppure se l’amministratore ha compiuto un atto in conflitto di interessi, oppure, ancora, se con un bilancio inveritiero si è voluto nascondere la perdita del capitale sociale[133], ma in tutti questi casi non si è verificato alcun danno, perché la società ha raggiunto in ogni esercizio un utile di rilevo (salvo l’eventualità di un lucro cessante) e quindi ha conseguito lo scopo sociale, non si può dire che vi sia fattispecie di responsabilità degli organi sociali. 
Gli effetti della responsabilità dei sindaci vanno calati nei principi della responsabilità civile, anche contrattuale, e non possono mai tradursi in una sanzione a prescindere dal danno provocato dalla sua azione o omissione,[134] ovvero in un danno punitivo che imponga una prestazione economica al sindaco. Quindi, l’esistenza del danno è elemento costitutivo della fattispecie di responsabilità. 
Tuttavia, l’elemento della fattispecie costituito dal danno presenta problematiche applicative delle regole generali, oggi solo attenuate dalla recente riforma in occasione del Codice della crisi (v. infra par. 2.3), che rendono ragione di una loro trattazione separata, rispetto agli altri elementi della fattispecie (di cui si è già trattato ampliamente supra cap. 1). 
Vi è da aggiungere che l’allegazione e la prova non possono mai avere solo rilievo agli effetti dell’esistenza del danno, ma anche agli effetti della sua quantificazione, aspetto in cui si è cimentata particolarmente la giurisprudenza, non essendo sempre agevole per l’attore dare prova piena dell’entità del danno causato. Anche questa è una ragione per dare autonomia alla trattazione delle fattispecie di danno. 
È, ancora, da considerare che nel trattare le fattispecie di responsabilità (sempre supra par. 1.8), è stato sottolineato il diverso regime dell’azione sociale di responsabilità (artt. 1393 e 1393 bis c.c.), rispetto all’azione di cui sono promotori, per insufficienza del patrimonio al soddisfacimento dei loro crediti, i creditori sociali (art. 2394 c.c.) oppure il socio e il terzo per danni direttamente provocati al loro patrimonio (art. 2395 c.c.), quanto all’onere di allegazione e di prova. Le ultime due azioni indicate – che hanno a oggetto una tutela giurisdizionale del diritto al risarcimento del danno provocato al patrimonio individuale del singolo creditore, del socio o del terzo e che, in difetto di un rapporto contrattuale che leghi le parti, devono essere assimilate ad un’azione di responsabilità civile ex art. 2043 c.c. – impongono al creditore, al socio e al terzo degli oneri gravosi: l’allegazione e prova della condotta o della sua omissione, del dolo e della colpa, dei nessi di causalità con il danno e della dimensione del danno. Al contrario, le azioni sociali di responsabilità (artt. 1393 e 1393 bis c.c.) esonerano l’attore (sia esso società, socio o curatore) dalla prova della violazione dell’obbligo di diligenza (il dolo, ma in particolare la colpa), essendo, sulla base delle regole generali in materia di azioni contrattuali, onere del convenuto (amministratore o sindaco) allegare e provare circostanze che consentano di ritenere che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione a lui non imputabile (art. 1218 c.c.). 
In ordine all’esistenza del danno e alla sua dimensione, l’azione contrattuale e l’azione extracontrattuale si allineano: la prova dell’esistenza del danno, che integra la fattispecie generica di condanna, e della sua dimensione, che integra la fattispecie specifica di condanna, costituiscono onere – anche di precisa allegazione – da parte dell’attore in entrambe le azioni[135]. Anche ciò giustifica la trattazione separata delle fattispecie di danno. 
L’allineamento delle due azioni non deve, tuttavia, essere confusa con l’identità dei danni rilevanti, poiché il danno che l’attore deve allegare e provare nell’azione sociale è il danno direttamente riferibile al patrimonio sociale, mentre il danno rilevante nelle azioni individuali del creditore, del socio o del terzo, è un danno al singolo patrimonio dei soggetti legittimati, i quali lo sono in via ordinaria (e non straordinaria), poiché agiscono per un diritto proprio e non per un diritto sociale (l’insufficienza del patrimonio al soddisfacimento del credito, per i creditori; il diretto danneggiamento al proprio patrimonio per atti colposi o dolosi degli amministratori e dei sindaci, per i soci e il terzo danneggiato, ma v. infra par. 2.4). Questa la ragione per cui le fattispecie di danno saranno trattate separatamente per i danni sociali e per i danni ai patrimoni individuali del creditore, del socio e del terzo. 
Chiariti gli aspetti relativi agli oneri processuali di allegazione e prova del danno, è ora necessario trattare la disciplina generale dei criteri di liquidazione del danno e, dopo la riforma del 2019, la disciplina particolare applicabile al danno al patrimonio della società (tema che merita approfondimento, v. infra par. 2.3). 
Sino all’entrata in vigore dell’art. 378 CCII, che ha aggiunto un nuovo comma all’art. 2486 c.c. (il comma 3), il regime applicabile alla fattispecie era quello generale dettato dagli artt. 1223, 1225, 1226, 1227 c.c.  Queste ultime disposizioni generali fanno comunque da sfondo alla disciplina speciale e devono essere conosciute perché solo attraverso una comprensione dei principi generali è possibile capire la ratio che ha ispirato la riforma del 2019 nell’intervenire sull’art. 2486 c.c. Non è possibile perciò tralasciare, innanzi alla ancora scarsa giurisprudenza applicativa del nuovo regime, la casistica della giurisprudenza del recente passato, anche perché alcune soluzioni di metodo – come vedremo – conservano un loro rilievo nell’applicazione della successiva riforma in occasione del Codice della crisi. 
Vi è da aggiungere, per completezza del quadro normativo, che le nuove norme sulla liquidazione del danno, dovute al Codice della crisi, sono entrate in vigore il 16 marzo 2019 e non il 15 luglio 2022, data coincidente con l’entrata in vigore del Codice della crisi nella sua edizione del 2022, come già è stato possibile cogliere nelle norme sugli adeguati assetti organizzativi ai fini dell’emersione della crisi e della discontinuità aziendale (supra par. 1.5). La norma, come sarà possibile indagare (infra par. 2.3), introduce una presunzione iuris tantum – legittimando il metodo dei c.d. “netti patrimoniali di periodo” – per agevolare l’attore in ordine agli oneri che fanno a lui carico, rovesciando la prova contraria sugli amministratori e sindaci. È, pertanto, una norma di natura processuale e per tale natura deve ritenersi applicabile a tutti i procedimenti, ancorché in riferimento a fattispecie anteriori al 16 marzo 2019, purché non risolte con sentenza passata in giudicato e purché il diritto non sia ancora prescritto[136]. Persuasivamente e autorevolmente, il giudice di legittimità ha osservato che la nuova norma non modifica la fattispecie, ma ne disciplina solo gli effetti e se questi non si sono esauriti, appunto, con un giudicato e con una prescrizione, devono essere disciplinati dalla nuova norma anche se riferiti a una fattispecie anteriore, trattandosi tra l’altro di norma che per lo più recupera il prevalente orientamento giurisprudenziale del passato[137].
2.2 . Il nesso di causalità nelle azioni di responsabilità sociale per danno al patrimonio sociale
Muovendo dalle norme di disciplina generale sulla liquidazione del danno per fattispecie di responsabilità contrattuale oppure extracontrattuale (l’art. 2056, comma 1, c.c., richiama pure gli artt. 1223, 1226 e 1227 c.c.), esse impongono il nesso di consequenzialità immediata e diretta: hanno perciò rilievo i soli danni che dell’inadempimento o del ritardo “siano conseguenza immediata o diretta” (art. 1223 c.c.). 
Il criterio imposto dalla legge è di tutt’altro che agevole applicazione, discendendone oneri a carico dell’attore che non è facile esaurire. Dall’insieme della elaborazione giurisprudenziale sul tema generale della responsabilità civile, sembra prevalere il c.d. criterio della “causalità specifica”: il danno sarebbe limitato non solo dalla regolarità causale generale in base all’esperienza, per cui da un fatto secondo l’id quod plerumque accidit discende un evento dannoso particolare, ma anche da una causalità da misurare particolarmente con la fattispecie specifica e con l’ambito di tutela impresso dalla norma nella disciplina del comportamento (le conseguenze non specifiche dell’inadempimento o dell’illecito, perché non contemplate dalla norma, non sarebbero tutelate nella dimensione del danno)[138]. 
Tale criterio è poi attenuato da alcune disposizioni limitrofe: il danno diretto e immediato non è risarcibile se si fosse potuto evitare con l’ordinaria diligenza da parte del creditore (art. 1227, comma 2, c.c.) oppure se si sarebbe ugualmente verificato a prescindere dall’inadempimento o dal suo ritardo (art. 1221 c.c.) oppure, ancora, nel caso di inadempimento colposo, se non fosse stato prevedibile al momento in cui è sorta l’obbligazione (art. 1225 c.c. applicabile solo alla responsabilità contrattuale, infatti la norma non è richiamata nell’art. 2056 c.c. per la responsabilità civile ex art. 2043 c.c.[139]). 
Queste disposizioni meritano particolare attenzione nella fattispecie originata dalla responsabilità sociale degli amministratori e sindaci: la loro applicazione può rendere meno gravosa l’entità del danno. 
Le difficoltà che le norme poc’anzi esaminate pongono in genere nella liquidazione del danno, si manifestano in maniera ancora più evidente, e qualche volta di difficile soluzione, nell’ambito della responsabilità sociale degli amministratori e dei sindaci. Le condotte di costoro, rilevanti agli effetti della responsabilità (e richiamate supra parr. 1.3, 1.4, 1.5), non sono mai condotte isolabili in atti o fatti specifici, ma costituiscono comportamenti di carattere generale, che non è facile identificare e allegare nella loro specificità e per i quali è quindi difficile cogliere i nessi di casualità imposti dall’applicazione dell’art. 1223 c.c. 
Si tratta per lo più di condotte od omissioni che producono il pregiudizio fondante il danno nel loro complesso, ma proprio perché dettati da una pluralità di fatti omissivi o commissivi, ne risulta con maggior difficoltà intellegibile il nesso di causalità richiesto per l’individuazione e quantificazione del danno, come ritenuto nelle premesse dell’importante sentenza delle S.U. n. 9100/ 2015[140]. 
Peraltro, vi è da aggiungere che gli obblighi facenti carico agli amministratori (“i doveri ad essi imposti dalla legge e dallo statuto con la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico e dalle loro specifiche competenze”) nonché quelli facenti carico ai sindaci ex art. 2407 c.c. (“la professionalità e la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico”, “verità delle loro attestazioni” “segreto sui fatti e sui documenti di cui hanno conoscenza”) e art. 2403 c.c. (“rispetto dei principi di corretta amministrazione e in particolare sull’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile adottato dalla società e sul suo concreto funzionamento”) hanno contenuti dettati da norme generali dalle quali è difficile trarre i comportamenti tipici che contraddistinguono la loro violazione, salvo i casi in cui il legislatore tipizza in maniera più precisa l’obbligo (ad esempio, per i sindaci i c.d. obblighi diretti, cfr. supra par. 1.3). 
In tale quadro normativo, anche solo l’allegazione precisa degli inadempimenti o dei ritardi si rappresenta difficile per l’attore, discendendone una ancora maggiore problematicità nella allegazione e prova dei nessi di causalità con il danno[141]. 
Secondo un’evoluzione evidente, anche nell’ambito di altre responsabilità professionali, come quella del medico o dell’avvocato, l’esonero da oneri particolari in ordine alla diligenza prestata dal professionista, la cui prova incombe al professionista stesso, ha come contrappeso una maggiore severità della giurisprudenza nell’attività di allegazione delle condotte od omissioni all’origine dell’inadempimento, pur essendo esonerato l’attore dalla prova. Pertanto, una generica allegazione, con semplice richiamo agli obblighi imposti dalla legge con formule generali, potrebbe subire le conseguenze di un rigetto nel merito per mancata allegazione del fatto costitutivo del diritto. La generica allegazione, oltre a incidere sulla fattispecie di responsabilità, incide anche su quella del danno, rendendosi al giudice impossibile una cognizione dei nessi di causalità rispetto al danno preteso. 
Tuttavia, una rigorosa applicazione dei principi poc’anzi evidenziati, alla luce di una corretta interpretazione dell’art. 1223 c.c., anche come ritenuta dalla citata sentenza delle Sezioni Unite del 2015, non sempre si rinviene nella giurisprudenza, ben consapevole delle difficoltà nell’allegazione del fatto e dei nessi di causalità, particolarmente in materia societaria, dove è violata una clausola normativa generica (si pensi solo all’omessa vigilanza sulla tenuta delle scritture contabili dei sindaci) che confluisce in una pluralità di condotte che non è sempre facile individuare. Il riferimento è alla diffusa tendenza della giurisprudenza ad introdurre criteri di liquidazione del danno presuntivi, attenuando l’applicazione delle regole generali in tema di responsabilità da illecito e, particolarmente, nella determinazione del danno provocato. 
In questa prospettiva, per molto tempo si è abbracciato il criterio del c.d. “deficit fallimentare”[142] quando l’inadempimento emerge da una condotta generale degli amministratori e conseguentemente dei sindaci per la totale mancanza di tenuta della contabilità oppure per aver offerto una contabilità non in grado di consentire una ricostruzione dei fatti salienti dell’attività imprenditoriale, oppure, ancora, per il mancato rilievo della causa di scioglimento della società, quanto per perdita del capitale sociale la società si trova in una condizione di liquidazione, in vista della quale è consentito agli amministratori e sindaci un’attività meramente conservativa del patrimonio agli effetti del soddisfacimento dei creditori. 
In ogni caso, il deficit deve essere inteso come differenza tra l’attivo risultante dall’inventario e il passivo risultante dal relativo accertamento, nell’ambito del procedimento fallimentare (oggi liquidazione giudiziale). 
Il criterio presuntivo adottato fuoriesce in maniera difficilmente giustificabile dai principi di causalità imposti dall’art. 1223 c.c. e conduce a un inquadramento della responsabilità non più in termini risarcitori o di reintegrazione del patrimonio leso, ma in termini di vera e propria sanzione applicabile agli amministratori e, di conseguenza, ai sindaci[143] (su questo tema, v. infra par. 2.3). 
Il deficit può essere originato, in difetto, dalla mancata insinuazione di alcuni creditori, non più insinuabili per decorso dei termini di legge per la proposizione della domanda relativa, ancorché tardiva; molto più spesso per eccesso, non tenendosi conto che le componenti attive del patrimonio dopo la messa in liquidazione, particolarmente se liquidazione concorsuale, subisce una drastica diminuzione di valore e che il deficit può essere originato anche delle spese necessarie per la liquidazione, che evidentemente alterano anch’esse il valore, senza che vi siano nessi di causalità con il comportamento generale degli amministratori. 
Questa la ragione per cui, le Sezioni Unite della Corte di cassazione con la sentenza n. 9100/2015 hanno introdotto argomenti che giustificano una soluzione di continuità rispetto all’orientamento “meccanicistico” che individua il danno, nel caso di condotte inadempienti generali e continuative degli amministratori e sindaci, nella differenza tra passivo e attivo concorsuale. Detta sentenza, pur nell’ampiezza degli argomenti giuridici, non ha offerto una soluzione al diritto vivente, in linea con una rigorosa uniforme interpretazione della legge, lasciando spazio a una diversificazione degli orientamenti, laddove le soluzioni sono apparse ancora generiche, vaghe e poco puntuali[144]. 
In linea di principio, le Sezioni Unite contraddicono l’applicazione dei criteri del deficit fallimentare nella ricostruzione del danno causato dalla violazione degli obblighi di diligenza generale o specifica degli amministratori e dei sindaci, negando, in linea generale, la sua applicazione pur in ipotesi di mancato rinvenimento o irregolare tenuta delle scritture contabili, tale da non consentire al curatore la ricostruzione delle dinamiche patrimoniali e reddituali attraverso la quale ricostruire il danno effettivamente provocato. 
Nel contempo, le stesse Sezioni Unite sembrano far rientrare dalla “finestra” quanto uscito dalla “porta”, attraverso l’inevitabile ricorso, a fronte delle insormontabili difficoltà dell’attore a provare rigorosamente il nesso di causalità e l’ammontare del danno, al criterio equitativo dettato nell’art. 1126 c.c., dove il giudice potrebbe astrattamente tener conto dello sbilancio patrimoniale della società verificato in sede concorsuale, seppure con un’adeguata motivazione che giustifichi l’impossibilità di ricostruire effetti diretti sulla particolarità del caso concreto. L’obbligo motivazionale facente carico al giudice nel ricorso del criterio del deficit concorsuale impone al curatore uno sforzo di ricostruzione delle dinamiche patrimoniali e reddituali dell’impresa (anche con il ricorso ad altre fonti), al fine di misurarsi correttamente con le conseguenze dirette dell’azione degli amministratori e dell’omissione di vigilanza del sindaco. Tuttavia, se tale sforzo è reso impossibile, o anche solo difficoltoso, potendo provare il curatore le difficoltà insormontabili subite, attraverso l’uso della determinazione equitativa del danno ex art. 1126 c.c., il giudice potrebbe riesumare il criterio dello sbilancio patrimoniale, purché argomenti in motivazione le obiettive carenze delle scritture contabili quale causa della mancata prova (e non i difetti di allegazione e produzione da parte dell’attore) e ne argomenti la plausibilità dell’uso sul piano logico. 
Quindi il criterio del deficit concorsuale non subisce un taglio definitivo, in quanto, seppure con il passaggio necessario della motivazione, nei termini che ci siamo detti, può essere applicato ancora dal giudice. Per tale ragione, anche la giurisprudenza successiva ha dimostrato significative oscillazioni, applicando il criterio attraverso motivazioni spesso stereotipate e non in perfetta linea con un’interpretazione rigorosa degli orientamenti delle Sezioni Unite. 
Il criterio del deficit è stato quindi generalmente applicato alle fattispecie in cui la responsabilità degli amministratori e sindaci derivi dalla totale mancanza di scritture contabili o da una loro tenuta irregolare, tale da rendere impossibile la ricostruzione della dinamica della gestione economica dell’impresa collettiva[145], secondo un filone che già contraddistingueva il passato[146]. 
Lo stesso criterio è stato adottato nei casi di dissesti dovuti da inadempimenti di amministratori e sindaci di estrema gravità, integranti anche fattispecie criminose, come ad esempio aver finalizzato la propria azione per perfezionare atti in frode al fisco[147], oppure, a fronte di una continuativa mancata convocazione dell’assemblea e deposito dei bilanci, la cessione dell’intero patrimonio aziendale a prezzo vile con totale depauperamento della società[148], oppure, ancora, la modifica dell’oggetto sociale allo scopo di acquistare un’azienda senza alcuna previa valutazione delle componenti attive e passive e senza l’introduzione di clausole di salvaguardia, acquisto che, per il carico debitorio conseguente per l’impresa cessionaria, ne ha provocato di lì a poco il dissesto all’origine della procedura concorsuale liquidatoria[149]. Nella stessa direzione ipotesi estreme come la realizzazione di condotte distrattive, in conflitto di interessi, delle componenti principali del patrimonio sociale[150], o il doloso occultamento, per condotte ascrivibili dall’amministratore, di tutta la contabilità[151]. 
Ne è risultato un diritto “vivente” non del tutto difforme al recente passato, provocante in concreto l’inversione dell’onere probatorio, ponendo a carico degli amministratori e dei sindaci la prova “diabolica” dell’insussistenza dei nessi di causalità e consequenzialità. 
Una delle vicende più ricorrenti nelle controversie sulla responsabilità di amministratori e sindaci è quella rappresentata dalla prosecuzione illecita dell’attività di impresa, nonostante la perdita del capitale sociale e il verificarsi di una causa di scioglimento. In tale contesto particolare, il criterio del deficit concorsuale era stato fortemente attenuato attraverso l’utilizzo di un criterio differente, quello dei c.d. “netti patrimoniali”. La giurisprudenza confrontava il patrimonio netto manifestato dalla società al momento della sua formale messa in liquidazione, o dell’apertura della procedura concorsuale, con il patrimonio netto presente al momento del verificarsi della causa di liquidazione, non verificata dagli amministratori e dai sindaci. L’aggravarsi della perdita evidenziabile dal confronto di questi due dati, come erosione del patrimonio netto dovuto alla prosecuzione dell’attività degli amministratori con modalità non conservative e liquidatorie nell’interesse dei creditori, coincideva con il danno liquidato[152]. 
Si superava in questo modo un orientamento più tassativo in linea con l’art. 1223 c.c., che rifuggiva anche a tale criterio, imponendo alla curatela l’individuazione degli specifici atti compiuti dall’amministratore fuori dalla logica meramente conservativa e il danno che ne fosse conseguito (una sorta di sommatoria di effetti dannosi di ogni singolo atto non conservativo)[153]. Criterio senza alcun dubbio più coerente con i principi imposti dall’art. 1223 c.c., che – non si dimentichi – era l’unico riferimento normativo applicabile sul piano sistematico, ma criticato da quella parte della giurisprudenza che riteneva impossibile una ricostruzione dei singoli atti non conservativi e dei loro effetti[154]. 
La stessa giurisprudenza sui “netti patrimoniali” non ha dimostrato neppure univocità di applicazione. Ad esempio, il criterio è stato utilizzato in via sussidiaria ai sensi dell’art. 1226 c.c., dovendo, in presenza di una regolare contabilità, applicarsi con rigore l’art. 1223 c.c. e, dunque, l’individuazione dei singoli atti non conservativi e dei loro effetti compiuti dall’amministratore e avallati dal sindaco, i cui oneri ricadono tutti sul curatore[155]. In altre pronunce, esso è stato adottato pur in presenza di una contabilità attendibile[156], con conseguente applicabilità diretta e immediata e non sussidiaria ai sensi dell’art. 1226 c.c.[157]. Vi sono, poi, delle pronunce che applicano il criterio quando la condizione di scioglimento della società si fosse verificata in tempo notevolmente anteriore, rendendosi impossibile una ricostruzione analitica dei singoli atti non conservativi e dei loro effetti[158], oppure quando la complessità dell’attività aziendale, per la dimensione dell’impresa e il numero delle operazioni, non consentiva l’applicazione del criterio analitico[159]. 
Di particolare interesse, per lo sforzo interpretativo volto a non introdurre elementi “meccanici” e illogici che perdono ogni collegamento con la realtà concreta, anche nell’applicazione dei “netti patrimoniali”, la valorizzazione in alcune pronunce di fattori che possono alterare il dato risultante dall’esclusivo confronto dei “netti patrimoniali”. Si dovrà allora valorizzare una serie di fattori che incidono sulla differenza dei diversi stati patrimoniali ma che non sono imputabili agli amministratori e, di conseguenza, ai sindaci: molte componenti dell’attivo perdono valore per il semplice stato liquidatorio in cui si viene a trovare la società, sia che esso sia determinato dall’azione tardiva degli amministratori, sia che sia determinato dall’azione tempestiva di rilevazione della causa di scioglimento (le immobilizzazioni immateriali e materiali, l’avviamento, ecc.). Tra detti fattori anche gli inevitabili costi discendenti da una liquidazione comunque tempestiva e che non possono non incidere anche in una tardiva (canoni di locazione, costi per consulenza professionali, costi per dipendenti). Questo orientamento correttivo è espressione soprattutto della giurisprudenza milanese[160].
2.3 . Le soluzioni offerte dall’art. 2386 c.c. novellato
Il quadro che si è venuto delineando alla luce della giurisprudenza previgente, pur nel tentativo, non riuscito, delle Sezioni Unite nel 2015 di porre ordine nelle pronunce sul danno sociale da responsabilità degli amministratori e dei sindaci, in maggiore coerenza con i principi di legge dettati dagli artt. 1223, 1225 e 1226 c.c., è di grande incertezza, con una persistente oscillazione delle pronunce tra l’introduzione di criteri astratti poco rispondenti alla realtà (il deficit concorsuale o i “netti patrimoniali”) e l’introduzione di criteri che rispondono maggiormente alla fattispecie concreta offerta dall’allegazione di singole condotte o omissioni e dei loro effetti direttamente dannosi per il patrimonio sociale. 
A fronte della difficoltà della giurisprudenza di dare una soluzione certa e coerente con i principi fissati dalla legge, il legislatore del Codice della crisi si è cimentato a introdurre soluzioni che siano in grado di offrire certezza all’applicazione del diritto, in una materia così delicata come quella della responsabilità degli amministratori e dei sindaci. Ne è risultata una disciplina che ha legittimato la lettura più severa della giurisprudenza. 
Già la legge delega n. 155/2017 si affidava all’esecutivo nella riformulazione delle norme sul danno che avevano generato i rilevati contrasti giurisprudenziali, in particolare per il caso della violazione dell’art. 2486 c.c. da parte di amministratori e sindaci. 
Il legislatore delegato è intervento mediante l’art. 378 CCII, che ha introdotto il comma 3 dell’art. 2486 c.c.: “[q]uando è accertata la responsabilità degli amministratori a norma del presente articolo e salva la prova di un diverso ammontare, il danno risarcibile si presume pari alla differenza tra il patrimonio netto alla data in cui l’amministratore è cessato dalla carica o, in caso di apertura di una procedura concorsuale, alla data di apertura di tale procedura e il patrimonio netto determinato alla data in cui si è verificata una causa di scioglimento di cui all’articolo 2484, detratti i costi sostenuti e da sostenere, secondo un criterio di normalità, dopo il verificarsi della causa di scioglimento e fino al compimento della liquidazione. Se è stata aperta una procedura concorsuale e mancano le scritture contabili o se a causa della irregolarità delle stesse o per altre ragioni i netti patrimoniali non possono essere determinati, il danno è liquidato in misura pari alla differenza tra attivo e passivo accertati nella procedura”. 
Nonostante i lavori preparatori, è venuta a mancare un’ulteriore espressione del terzo comma dell’art. 2486, comma 3, c.c.: “Il danno risarcibile è determinato secondo le disposizioni degli articoli 1223, 1225, 1226 e 1227, in quanto compatibili con la natura della responsabilità, in relazione al pregiudizio arrecato al patrimonio sociale dei singoli atti compiuti in violazione del dovere previsto dal comma primo”. Il testo non risulta più nella sua originale letterale espressione, approvato dalla Commissione ministeriale e nello schema del decreto legislativo, approvato dal Consiglio dei Ministri l’8 novembre 2018, e si perde del tutto ogni riferimento alle norme generali del Codice civile. 
Deve sottolinearsi sul piano interpretativo che la nuova norma ha fattispecie astratta ben definita, costituita dal verificarsi di una causa di scioglimento di cui all’art. 2484 c.c. e quindi legifera, con una regola speciale, esclusivamente in questo ambito particolare, ovverosia quello della mancata rilevazione, dolosa o colposa, della causa di scioglimento da parte degli amministratori e della mancata vigilanza e reazione da parte dei sindaci. 
Ogni altro aspetto, relativo alla violazione degli obblighi di diligenza degli amministratori e sindaci, resta fuori dalla regola speciale e, quindi, è soggetta ai principi generali in materia di quantificazione del danno. Il mancato richiamo letterale agli artt. 1223 ss. c.c. non può avere certamente significato abrogativo delle norme nei casi diversi da quelli disciplinati dall’art. 2486, comma 3, c.c. che restano quindi disciplinati dalle disposizioni generali. Gli artt. 1223 ss. c.c., pienamente vigenti anche in materia societaria, restano in vigore laddove non siano introdotte regole speciali. 
Ogni qualvolta si tratti di atti e condotte di amministratori e sindaci corrispondenti a specifici obblighi, diversi dalle reazioni ai casi di perdita del capitale sociale che incidono sulla continuità dell’impresa, il nesso di causalità è rigorosamente imposto dall’art. 1223 c.c., con il rilievo dei profili dettati dall’art. 1225 e 1227 c.c., nonché, in caso di prova impossibile, dall’art. 1226 c.c.[161]. 
Il caso più eloquente è rappresentato dalle condotte distrattive degli amministratori, a beneficio di se stessi e quindi in una condizione di conflitto di interessi oppure a favore di imprese estranee, senza alcun beneficio per la società: il danno è da calcolare con il valore venale dei beni o delle somme distratte (danno emergente) e di benefici che nell’utilizzo di tali beni la società avrebbe potuto conseguire (lucro cessante). Ma anche questo valore, in alcune circostanze, deve essere corretto, ad esempio se il valore in bilancio del bene distratto è, come spesso accade, sopravalutato, deve farsi riferimento al valore effettivo[162]. Quando poi il valore del cespite distratto non è determinabile a causa delle scritture contabili, si è fatto riferimento al valore indicato nell’ultimo bilancio depositato[163]. 
Altro caso di violazione di obblighi tipici, si può rinvenire nel caso di operazioni compiuti fuori dall’oggetto sociale e allora, con criterio di rigorosa conseguenzialità, si è valutato il danno attraverso la determinazione del valore delle risorse destinate a operazioni estranee e dei mancati profitti discendenti dal mancato investimento in operazioni coerenti con l’oggetto sociale[164]. Ancora un’ipotesi di violazione di obblighi tipici si rinviene nel mancato pagamento di debiti sociali: in tal caso il danno non può essere commisurato al valore del debito non pagato, ma alle conseguenze del ritardo (interessi, danni, sanzioni)[165]. 
Quindi, quando l’obbligo violato è specifico perché la legge impone all’amministratore e al sindaco un singolo e concreto atto, è inevitabile che, nella determinazione del danno, si applichino rigorosamente i criteri della conseguenzialità causale. Questo principio resta intatto nell’attuale ordinamento. 
Quando invece la condotta contestata all’amministratore e al sindaco è generalizzata e si riferisce a una pluralità di atti, qualche volta neppure identificabili nello specifico e ciò particolarmente nelle operazioni attive compiute dagli amministratori nonostante lo status di scioglimento della società per la perdita del capitale sociale, quando invece gli amministratori avrebbero potuto compiere esclusivamente atti conservativi e liquidatori nell’interesse dei creditori, è applicabile la regola speciale dell’art. 2486, comma 3, c.c. 
Tale principio deve, tuttavia, fare i “conti” con l’espressione pur contenuta nel comma in esame circa la salvezza della prova contraria. La disposizione, infatti, introduce una presunzione iuris tantum e non iuris et de iure: si presume, salvo prova contraria, che il danno si determini nella differenza dei valori dei netti patrimoniali (v. supra par. 2.2). 
Ecco allora che amministratori e sindaci potrebbero dedurre nessi di conseguenzialità specifica in cui il danno non è determinato dal criterio differenziale degli stati patrimoniali nel tempo, bensì dagli effetti degli atti indicati (e provati) dai convenuti nell’azione di responsabilità. Questo conduce ad applicare anche in questa ipotesi il criterio della “prevedibilità del danno” (art. 1225 c.c.) e del “concorso del fatto colposo” del creditore (art. 1227 c.c.), la cui applicazione resta sullo sfondo del nuovo criterio, il quale sarà applicabile laddove il convenuto in causa non è in grado di dimostrare effetti consequenziali diversi. 
Ne risulta certamente un forte contributo ad alleggerire gli oneri probatori a carico della curatela, a fronte di oneri particolarmente intensi e qualche volta insostenibili nell’applicazione rigorosa dei principi comuni dettati dall’art. 1223 c.c., ma questo non può condurre – laddove i nessi di causalità incidenti diversamente sul patrimonio fossero dimostrati dall’amministratore o dal sindaco – a imporre il criterio dei “netti patrimoniali”. 
Certamente il ricorso ai “netti patrimoniali” non è più criterio sussidiario, applicabile ai sensi dell’art. 1226 c.c., nel caso in cui sia difficoltosa se non impossibile la prova di quantificazione del danno, bensì criterio immediatamente applicabile: la sussidiarietà è spostata sulla prova contraria che può recuperare nessi di causalità certi e consequenziali[166], su iniziativa dell’amministratore o del sindaco. 
Nell’applicazione dei “netti patrimoniali”, restano aperte alcune questioni dubbie: (i) quando è che si può dire configurata la causa di scioglimento e (ii) quando, invece, l’apertura della liquidazione volontaria o il verificarsi dell’apertura di una liquidazione giudiziale. 
Quanto (i) al primo tema non deve valutarsi il profilo obiettivo bensì quello soggettivo: devono essere consapevoli gli amministratori, secondo la diligenza richiesta, del verificarsi della causa di scioglimento[167]. Quanto (ii) al secondo profilo, è l’evidenza rispetto ai terzi ad avere rilievo: l’iscrizione nel registro delle imprese della delibera di messa in liquidazione della società e la pubblicazione della sentenza che dichiara aperta la liquidazione giudiziale (a cui deve assimilarsi l’iscrizione nel registro delle imprese della domanda prenotativa o di ammissione al concordato preventivo o per l’omologazione di un accordo di ristrutturazione[168], in quanto tali procedimenti implicano nella sostanza una condizione di liquidazione della società, se non vi è continuità di impresa). 
Se l’apertura del procedimento concorsuale è preceduta da una formale delibera di messa in liquidazione, è ovviamente a quest’ultima che deve farsi riferimento per il “netto patrimoniale” finale con cui confrontare il “netto patrimoniale” al momento del configurarsi della causa di scioglimento[169]. 
La norma, nella sua prima parte, infine, attenua le conseguenze dei “netti patrimoniali” epurando la differenza dei costi della liquidazione della società. Questi, infatti, interrompono il nesso di causalità poiché detti costi sarebbero stati comunque sostenuti anche se la liquidazione fosse stata disposta tempestivamente. 
Per quanto non evidenziato nella norma, deve ritenersi applicabile anche un’ulteriore attenuazione del danno derivante dalla necessità di valutare nuovamente alcuni cespiti dell’attivo in entrambi i netti patrimoniali, in quanto essi, a seguito della causa di scioglimento, perdono con effetti immediati valore (si pensi a componenti come l’avviamento, oppure a immobilizzazioni materiali o immateriali, come il valore dell’opificio e dei macchinari, che al momento della cessazione dell’attività aziendale perdono con effetto immediato valore, o al valore della ditta o dell’insegna sul piano commerciale)[170]. Tale correttivo si impone, infatti, nell’esercizio della prova contraria consentita al convenuto, il quale avrà agio di provare che il “netto patrimoniale”, al momento del verificarsi della causa di scioglimento, deve essere calcolato con un abbattimento di quei valori, in modo tale da rendere lo stato patrimoniale di riferimento coerente con la realtà[171]. 
Infine, l’ultima parte della disposizione riesuma, dandone piena legittimità, il criterio del deficit concorsuale: “differenza tra attivo e passivo accertati nella procedura” come criterio di calcolo del danno in assenza o grave irregolarità delle scritture contabili o altre ragioni che impediscono di determinare i “netti patrimoniali”. La norma, seppure come criterio residuale della meno gravosa teoria dei “netti patrimoniali”, quando questa non è applicabile in quanto è impedito al curatore di ricostruirne l’esatta dimensione per difetto di intellegibilità delle scritture contabili o per altri fattori, codifica il criterio, già adottato dalla giurisprudenza, del deficit fallimentare, oggi diremo concorsuale[172]. 
Non si può negare che la norma fuoriesce dall’impostazione del danno per responsabilità civile ed entra ormai in maniera evidente nell’ambito del danno punitivo: la mancata tenuta della contabilità si sanziona con i benefici per il curatore sul piano probatorio derivante dal dato del deficit patrimoniale. 
Le “altre ragioni” vanno identificate nell’ipotesi in cui, seppur formalmente tenuta una contabilità, questa offra una ricostruzione del tutto falsificata e non corrispondente alla realtà (per beneficiare del criterio del deficit patrimoniale, il curatore ne dovrà dare prova). 
La norma sembra addirittura escludere la prova contraria: dunque, se amministratori o sindaci fossero in grado di ricostruire una contabilità credibile che consenta al curatore in sede processuale di trarre conseguentemente i dati necessari per l’allegazione e prova dei “netti patrimoniali”, sarebbe possibile evitare l’applicazione di un regime così rigido? Potrebbe l’amministratore o il sindaco dimostrare che il dissesto ha esclusivamente origine da un improvviso calo sul mercato della domanda, dovuto a una congiuntura economica protrattasi nel tempo, rispetto alla quale resta del tutto neutra o irrilevante la prosecuzione della gestione nonostante il verificarsi di una causa di scioglimento. 
Se non si inquadra la norma destinata alla disciplina della prova, nei diversi termini di una qualificazione sul piano sostanziale degli effetti dell’illecito, non più come danno da responsabilità civile, ma come danno punitivo, è inevitabile pensare a una presunzione iuris et de iure, insuscettibile di prova contraria, con irrilevanza degli elementi di fatto volti ad attenuare il danno che l’amministratore o il sindaco potrebbe allegare e provare. 
Questa è una lettura che non pare corrispondere alla ratio che ha ispirato il legislatore, che era quella di introdurre solo norme di natura processuale e non di diritto sostanziale. Si ritiene, quindi, si debba opportunamente suggerire, in linea con ragioni di eguaglianza ex art. 3 Cost., in relazione alla responsabilità per prestazioni d’opera intellettuale, e con i principi espressi convincentemente dalle Sezioni unite con la sentenza n. 9100/2015, la diversa soluzione che consenta di superare il criterio del deficit concorsuale, se l’amministratore o il sindaco sia in grado di dimostrare l’irrilevanza, ai fini del dissesto, della loro condotta che ha ritardato la messa in liquidazione della società[173]. 
In tal senso potrebbe essere di aiuto l’inciso, pur contenuto, nella norma “i netti patrimoniali non possono essere determinati” per irregolarità delle scritture, la cui applicazione consentirebbe agli amministratori e sindaci di allegare e produrre, se pure a posteriori, una contabilità regolare che consenta al giudice di applicare il criterio più tenue, con gli aggiustamenti esaminati, dei “netti patrimoniali”. Ecco allora che sarebbe possibile una prova contraria, il cui onere è tutto a carico dei convenuti nel giudizio di responsabilità.
2.4 . Il nesso di causalità nelle azioni dei creditori, dei soci e dei terzi per danno al singolo patrimonio
Gli articoli 2394 e 2395 c.c. regolano azioni in cui i legittimati ordinari, che quindi fanno valere un diritto proprio, sono i creditori sociali, il socio e il terzo (v. supra parr. 1.8 e 2.1). Si tratta, rispettivamente, nel primo caso, del danno che il creditore sociale può subire, a causa dei pregiudizi indotti al patrimonio sociale dalle condotte e omissioni di amministratori e sindaci, dalla perdita della garanzia patrimoniale, quando il patrimonio risulti insufficiente al soddisfacimento del proprio credito[174] e, nel secondo caso, di un danno diretto del socio o del terzo per atti colposi e dolosi degli amministratori[175]. Si tratta di lesioni provocate dagli amministratori e sindaci al patrimonio del creditore sociale, del socio e del terzo. 
Un’azione in cui il socio, al di fuori dell’ipotesi di cui all’art. 2393 bis. c.c. (ove riveste il ruolo di sostituto processuale rispetto a un’azione che resta sociale), faccia valere il pregiudizio al patrimonio sociale e così, egualmente, un’azione del creditore o del terzo, volti a far valere lo stesso danno, sarebbero rigettate in rito per difetto di legittimazione ad agire. 
Pur essendo, come pure già esaminato (supra par. 2.1), identica la regola dell’onere della prova sull’esistenza del danno e sulla causalità diretta identificata nella condotta od omissione dell’amministratore o sindaco (sempre a carico dell’attore), ben diverso è il danno di cui si deve dare prova nelle azioni in esame. Si tratta di un danno riferibile direttamente al patrimonio del creditore sociale, del socio e del terzo, neppure mediato dal danno provocato al patrimonio della società (che indirettamente colpisce anche i diritti al pagamento del credito e i diritti del socio al conseguimento dell’utile sociale). Dunque, il danno indiretto non costituisce il danno regolato nelle norme e oggetto di allegazione e prova da parte dell’attore, ai fini dell’accoglimento di dette azioni. 
Il creditore, il socio e il terzo, nelle azioni a tutela dei diritti propri, direttamente colpiti per responsabilità di amministratori e sindaci, devono dare prova rigorosa, ai sensi dell’art. 1223 c.c., dei nessi di causalità diretta e dell’ammontare del danno, senza ovviamente poter beneficiare delle presunzioni offerte dall’art. 2486, comma 3, c.c., alla società o al curatore come la presunzione del danno differenziale o, in mancanza di scritture contabili, del danno coincidente con il deficit concorsuale. 
Neppure quando il curatore ha la legittimazione straordinaria per esercitare l’azione di responsabilità di amministratori e sindaci nei confronti dei creditori sociali (art. 2394 bis c.c.)[176], può beneficiare dei criteri stabiliti dall’art. 2486, comma 3, c.c. Anch’esso dovrà misurarsi rigorosamente con i criteri di causalità diretta imposti dall’art. 1223 c.c., provando che la diminuzione del patrimonio, dovuta all’azione od omissione degli organi sociali di gestione e di controllo, ha reso il patrimonio medesimo insufficiente per il soddisfacimento dei creditori (e la misura del danno sarà determinata dalla differenza del valore effettivo del patrimonio, con quello necessario per far fronte al pagamento del creditore sociale agente).

Note:

[1] 
Anche il tema dell’obbligatorietà nelle società a responsabilità limitata è stato oggetto di riforma: con la L. 14 giugno 2019 n. 55 è stato novellato l’art. 2477, comma 2, c.c., non più riferito a una soglia del capitale sociale, ma del patrimonio, dei ricavi e dei dipendenti (bastando il verificarsi di due soglie su tre), oppure all’obbligo di un bilancio consolidato o al controllo di una società obbligata alla nomina, norma applicabile anche alle cooperative (art. 2543, comma 1, c.c.). Si prevede, infine, come ulteriore novità, la possibilità di nomina di un solo sindaco e non di un collegio ai sensi dell’art. 2477, comma 1, c.c.
[2] 
Si deve tener conto anche del D.Lgs. 17 gennaio 2003 n. 5, che ha stabilito la competenza funzionale del tribunale, sezione imprese, anche per l’azione di responsabilità dei sindaci, e dettato norme particolari all’arbitrato, queste ultime oggi trasferite nel codice di rito. 
[3] 
Per un esame della dinamica, v. altresì F. Macario, La riforma dell’art. 2086 c.c. nel contesto del codice della crisi e dell’insolvenza e i suoi riflessi sul sistema della responsabilità degli organi sociali, in Dirittodellacrisi.it; A. Farolfi, La responsabilità dei sindaci, in Crisi di impresa e responsabilità nelle società di capitali, (a cura di) L. Balestra e M. Martino, Milano, 2022, 191 ss.; F. Dimundo, Le azioni di responsabilità nelle procedure concorsuali, Milano, 2019, 277 ss. Per utili cenni sulla riforma, v.: AA.VV., Società, Milano, 2021; A. Bompani, B. Dei, P. R. Sorignani, A. Traversi, Sindaco e revisore di società, Milano, 2021; F. Chiappetta, Diritto del governo societario, Padova, 2021. Fondamentale la consultazione delle Norme di comportamento del collegio sindacale. Principi di comportamento del collegio sindacale di società non quotate, approvate dal Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e esperti contabili, nell’ultima versione del dicembre 2023, che aggiorna quella edita nel mese di gennaio 2021 che, a sua volta, aveva aggiornato il testo risalente al 2015, il cui testo è rinvenibile su cndcec.it (di seguito anche solo “Norme di comportamento”). 
[4] 
Per riferimenti, par. 1.2. 
[5] 
Cfr., ex multis, Cass., 8 febbraio 2005, n. 2538, in Giur. it., 2005, 1437, con nota di F. Iozzo; ugualmente per un caso disciplinato dal testo previgente, Cass., 11 dicembre 2019, n. 32397 in Riv. dott. comm., 2020, I, 87. 
[6] 
È il caso della poc’anzi citata Cass. n. 2538/2005, che sembra escludere l’applicazione dell’art. 2236 c.c., ma in relazione al caso concreto che le è stata sottoposto (palese illegittima iscrizione al bilancio di poste del passivo inesistenti). Più esplicito nell’esclusione della applicazione della norma, invece, Trib. Roma, 15 gennaio 2018, in Giurisprudenzadelleimprese.it; ugualmente, Cass., 15 febbraio 2005, n. 3032, in Foro it., 2006, I, 1898, nel caso in cui al sindaco fossero richieste speciali nozioni tecniche non comuni sulla formazione e l’entità delle riserve tecniche nelle imprese assicurative. In dottrina, possibilista invece S. Ambrosini, Collegio sindacale: doveri, poteri, responsabilità, in Le società per azioni, in Trattato di diritto commerciale, (diretto da) G. Cottino, Padova, 2010, 790. 
[7] 
Così Trib. Napoli, 28 gennaio 2009, in Società, 2009, 11, 1413 ss., con nota di R. Ambrosini, Obblighi informativi, responsabilità dei sindaci di s.p.a. fallita e ambito di competenza del tribunale
[8] 
È evidente il riferimento alle regole professionali delle Norme di comportamento approvate dal Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e esperti contabili, (nota 3); per un esplicito riferimento alla giurisprudenza ambrosiana, Trib. Milano, 1 ottobre 2011, in Giur. it., 2012, 5, 1076 ss. 
[9] 
Ancora Trib. Milano, 1 ottobre 2011, cit. 
[10] 
Cfr. Cass., 13 giugno 2014, n. 13518, in Società, 2014, 12, 1314 ss., con nota di Bonavera E. E., Responsabilità dei sindaci per omesso controllo; Cass., 29 ottobre 2013, n. 24362, in Ilcaso.it; Cass. 11 novembre 2010, n.  22911, ivi. Tra le pronunce di merito, Trib. Roma, 9 febbraio 2018, in giurisprudenzaimprese.it; Trib. Catania, 1 dicembre 2012, ivi; App. Milano, 20 novembre 2017, in causa M. c. Fall. N., inedita; Trib. Napoli, 4 dicembre 2013, in Società, 2014, 4, 485. 
[11] 
Correttamente, Cass., 14 ottobre 2014, n. 21644 in Società, 2014, 12, 1416; App. Milano, 21 giugno 2012, in causa Fall. A. c. B., inedita; Trib. Milano, 10 febbraio 2010, in Giur. it., 2010, 12, 2555 ss. Per un approfondimento sui profili processuali, v. infra par. 1.8. 
[12] 
Trib. Milano, 24 ottobre 2013, in Giurisprudenzadelleimprese.it
[13] 
Trib. Cagliari, 8 giugno 2018, in causa Fall. Etisar s.p.a. c. Z. e altri, inedita in F. Dimundo, Le azioni di responsabilità, cit., 309, nota 104. 
[14] 
Trib. Milano, 13 novembre 2006, n. 12339, in Società, 2008, 1, 79 ss. con nota di N. Brutti, Responsabilità del collegio sindacale e fallimento della SIM: alla ricerca del tempo perduto
[15] 
Non sembra contraddire questo orientamento, l’indirizzo volto a valorizzare atti compiuti dagli amministratori e non resi palesi, poiché le particolarità della fattispecie consentono di riscontrare che la contabilità ufficiale evidenziava delicate e gravi operazioni, che avrebbero dovuto mettere in allarme i sindaci, senza la necessità che essi fossero consapevoli di una contabilità occulta tenuta dagli stessi amministratori. Ancora una volta il principio deve essere sempre misurato con il caso concreto, come impone l’art. 2407, comma 1, c.c. V. sotto questo profilo Cass., 6 settembre 2007, n. 18728, in Avvocato.it. Se certamente i sindaci non sono onerati di attività investigativi sull’operato degli amministratori, quando la posta in bilancio è riproducente di una significativa componente dell’attivo (somme date a titolo provigionale), è necessario che cerchino conferme esterne (da parte del partner contrattuale dell’impresa), in tal senso Trib. Genova, 6 ottobre 2017, in OneLegale
[16] 
Il termine è suggerito da A. Farolfi, La responsabilità dei sindaci, cit., 217; utili spunti anche in N. Spadafora, Limiti all’accertamento della responsabilità dei sindaci nella procedura fallimentare, in Riv. dir. banc. 2013, 10. 
[17] 
Già P. G. Jaeger, La responsabilità degli amministratori e dei sindaci nelle procedure concorsuali: una valutazione critica, in Giur. comm., 1998, I, 548; più di recente, A. Farolfi, op. cit., 217. 
[18] 
È il caso affrontato da Cass., 20 settembre 2012, n. 15955, in Dirittoegiustizia.it, ove viene imposto al curatore agente l’allegazione e la documentazione delle condotte dei sindaci in violazione dei doveri, mentre questi neppure ha prodotto la documentazione contabile, fondando l’azione su una consulenza in sede di procedimento penale a carico degli amministratori, che poi hanno patteggiato, peraltro acquisita dal p.m. senza ovviamente il contraddittorio dei sindaci. Cfr. Cass., 29 ottobre 2013, n. 24362, in Resp. civ. prev., 2014, 5, 1618 ss., con nota di Travaglini G., Brevi note in tema di responsabilità concorrente dei sindaci in caso di mancato esercizio dei loro poteri reattivi
[19] 
Non si ritiene che i sindaci siano pubblici ufficiali, essendo rivestiti di una funzione privata, donde la possibilità di contestazione con qualsiasi mezzo di prova di attestazione e verbali, senza dovere ricorrere alla querela di falso; diversamente per le società a partecipazione pubblica. 
[20] 
Si è giustamente evidenziato che il sindaco non deve attendere le informative di cui è reso destinatario per iniziativa dell’amministratore, ma muoversi autonomamente, cfr. S. Ambrosini, Collegio sindacale, cit., 769; in giurisprudenza, Trib. Napoli, 4 dicembre 2013, in F. Dimundo, Le azioni di responsabilità, cit. (nota 3), 291, nota 51. 
[21] 
Ancora, S. Ambrosini, op. cit.
[22] 
Che possono essere stimolati dagli stessi soci; quando i soci sono promotori dell’iniziativa e raggiungono percentuali significative del capitale sociale dettate dalla legge (art. 2408, comma 2, c.c.), i sindaci non devono solo limitarsi a convocare l’assemblea, ma compiere una specifica indagine riferendo le loro conclusioni in assemblea. 
[23] 
Per il caso di impugnazione delle delibere degli organi, senza necessità di nomina di un curatore speciale ex art. 78 c.p.c., salvo il caso di conflitto di interessi degli amministratori, Cass., 7 dicembre 2021, n. 38883, in Ilcaso.it. 
[24] 
Per l’inquadramento dei soci come sostituti processuali, cfr. Trib. Genova, 4 luglio 2023, in Giurisprudenzadelleimprese.it; Trib. Venezia, 23 giugno 2023, ivi; Trib. Roma, 23 novembre 2022, ivi. 
[25] 
C.d. “a campione”, così Trib. Santa Maria C. V., 28 febbraio 2014, in Ilfallimentarista.it. 
[26] 
Così, Trib. Milano, 12 febbraio 2012, in Giurisprudenzadelleimprese.it, che giustifica la trascuratezza rispetto a operazioni di non rilevante valore (distrazioni delle risorse della società). 
[27] 
Certamente diversi da quelli imposti ai revisori, come sottolinea opportunamente Trib. Milano, 4 novembre 2008, in Giur. it., 2009, 8-9, 1972 ss., con nota di P. Fiorio, La responsabilità della società di revisione nei confronti degli azionisti e degli obbligazionisti, note a margine del caso “Parmalat”
[28] 
Sui limiti del controllo di merito dei sindaci (oltre che del giudice in sede di indagine sulla responsabilità), cfr., ex plurimis, Cass., 29 dicembre 2017, n. 31204, in Foro it., 2018, I, 1292; App. Milano, 14 ottobre 1994, in Società, 1995, 390 ss., con nota di S. D’Ambrosi, Dovere di diligenza dei sindaci nel controllo sull’amministrazione. In dottrina, Squarotti V., Le funzioni del collegio sindacale, in Giur. It., 2013, 10, 2185 ss. Cfr. altresì la norma 3.3 Codice di comportamento, che usa l’eloquente termine “razionalità economica” dell’azione e dell’organizzazione. 
[29] 
Testualmente, Trib. Santa Maria C.V., 2 agosto 2012, in Ilfallimentarista.it; Trib. Torino, 5 febbraio 2013, in Giurisprudenzadelleimprese.it
[30] 
Cfr.  A. Farolfi, op. cit., 217 ss.; F. Dimundo, Le azioni di responsabilità, cit. (nota 3), 279 ss.; S. Ambrosini, op. cit., 753 ss.; Salafia V., I sindaci e le relative responsabilità, in Società, 2014, 2, 140; G. F. Campobasso, Diritto commerciale, 2. diritto delle società, Torino, 2013, 414; S. Fortunato, I “controlli” nella riforma del diritto societario, in Società, 2003, 872. Per un riscontro del principio in sede giurisprudenziale sul controllo di contenuto della gestione, e non meramente contabile e formale, cfr. Trib. Napoli, 9 febbraio 2016, in Banca borsa, 2017, 1, II, 53 ss. con nota di F. Brizzi, I principi delle Sezioni Unite in tema di danno al patrimonio sociale al vaglio della giurisprudenza di merito: assenza di scritture contabili e concessione abusiva di credito; Trib. Milano, 3 febbraio 2010, in Giur. it, 2010, 11, 2352 ss. con nota di M. Aiello, Scioglimento della società a responsabilità di amministratori e sindaci tra “vecchio” e “nuovo” diritto; Trib. Milano, 20 dicembre 2016, in Giurisprudenzadelleimprese.it. 
[31] 
Cfr. Trib. Torino, 5 febbraio 3013, in Giurisprudenzadelleimprese.it; in dottrina, G. Cavalli, Osservazioni sui doveri del collegio sindacale di società per azioni non quotate, in Il nuovo diritto delle società, liber amicorum, G. F. Campobasso, vol. 3, Torino, 2007, 57 ss. 
[32] 
F. Vassalli, I controlli sindacali nella s.p.a. “tradizionale”, in Le società commerciali: organizzazione, responsabilità e controlli, (a cura di) M. Vietti, Torino, 2014, 383 ss. 
[33] 
Così, ex multis, Trib. Roma, 9 febbraio 2018, in Giurisprudenzadelleimprese.it; Trib. Torino, 19 aprile 2017, ivi; Trib. Prato, 25 settembre 2012, in Ilcaso.it; Trib. Milano, 3 febbraio 2010, cit. (nota 30). 
[34] 
Si ritiene che questa sia la via da percorre e non quella dell’istanza ex art. 2409 c.c., ipotizzabile solo nei casi di gravi irregolarità amministrative, v. Trib. Torino, 5 febbraio 2013, in Giurisprudenzadelleimprese.it. 
[35] 
Trib. Milano, 25 settembre 2015, in Giurisprudenzadelleimprese.it. 
[36] 
Trib. Roma, 13 maggio 2013, in OneLegale
[37] 
Cass., 13 giugno 2014, n. 13518, cit. ( nota 10), nel caso di specie il finanziamento era avvenuto a favore di una società controllata avente identico collegio sindacale. Cfr. anche Trib. Prato, 25 settembre 2012, in Ilcaso.it, aggravata dalla particolare condizione di insolvenza della società beneficiaria e dalla cessione di merci in assenza di apposite garanzie patrimoniali. 
[38] 
Cass., 3 luglio 2017, n. 16314, in Fallimentiesocietà.it
[39] 
Trib. Ancona, 16 dicembre 2017, in Danno e resp., 2018, 5, 642 ss., con nota di V. Selini, Annullamento del capitale sociale e conferimento di immobile gravato da ipoteche
[40] 
Trib. Trento, 10 gennaio 2016, in Ilsocietario.it. 
[41] 
Trib. Milano, 30 gennaio 2018, in Giurisprudenzadelleimprese.it. 
[42] 
Trib. Padova, 23 dicembre 2005, in causa Fall Innovazione Impresa s.r.l. in liquid. c. R. e altri, inedita in F. Dimundo, op. cit. (nota 3), 299, nota 75. 
[43] 
Trib. Roma, 25 maggio 2010, in Ilcaso.it. 
[44] 
Cass., 27 maggio 2013, n. 13081, in Ilcaso.it. 
[45] 
Trib. Verona, 31 ottobre 2013, in Società, 2014, 11, 1205 ss., con nota di G. Bei, La responsabilità degli amministratori non esecutivi nella s.r.l.: tra diritto di acquisizione delle informazioni e dovere di vigilanza generale
[46] 
 Trib. Milano, 25 settembre 2015, cit. (nota 35). 
[47] 
Trib. Milano, 22 marzo 2012, in Giurisprudenzadelleimprese.it. 
[48] 
Cass., 14 ottobre 2013, n. 23233, in Ilcaso.it. 
[49] 
Trib. Catania, 21 settembre 2015, cit. 
[50] 
Trib. Milano, 24 ottobre 2013, in Giurisprudenzadelleimprese.it. 
[51] 
Trib. Pesaro, 7 aprile 2016, in OneLegale. 
[52] 
Eloquenti in proposito i principi di comportamento elaborati dal Consiglio nazionale dell’ordine professionale, il quale evidenzia i seguenti requisiti “i) redazione di un organigramma aziendale con chiara identificazione delle funzioni, dei compiti e delle linee di responsabilità; ii) esercizio dell’attività decisionale e direttiva della società da parte di soggetti ai quali sono attribuiti i relativi poteri; iii) sussistenza di procedure che assicurano l’efficienza ed efficacia della gestione di rischi e del sistema di controllo, nonché la completezza, la tempestività, l’attendibilità e l’efficienza dei flussi informativi generati anche con riferimento alle società controllate; iv) esistenza di procedure che assicurino la presenza di personale con adeguata competenza a svolgere le funzioni assegnate; v) presenza di direttive e di procedure aziendali, loro aggiornamento ed effettiva diffusione”. 
[53] 
Trib. Napoli, 9 febbraio 2016, cit. (nota 30). 
[54] 
Cass., 12 febbraio 2009, n. 20515, non pubblicata e potuta consultare solo dal massimario; Trib. Napoli, 28 gennaio 2009, cit. (nota 7); Trib. Genova, 19 luglio 1993, in Giur. It, 1994, I, 2, 237 ss.; App. Torino, 9 luglio 1975, in Giur. Comm., 1976, II, 871 ss. 
[55] 
Trib. Milano, 3 febbraio 2010, cit. (nota 30). 
[56] 
Trib. Palermo, 21 luglio 2015, in OneLegale. 
[57] 
Cass., 14 marzo 1985, n. 1981, in Ilcaso.it
[58] 
Cass., 4 maggio 2012, n. 6788, in Inexecutivis.it. 
[59] 
Cass., 11 dicembre 2019, n. 32397, cit. (nota 5), esaminabile sotto questo aspetto particolare in Dirittobancario.it. 
[60] 
Trib. Roma, 28 dicembre 2017, in Dir. fall., 2018, II, 734 ss.; Trib. Catania, 10 maggio 2016, in Causa fall. A.s. c.d., e Trib. Catania, 7 maggio 2015, in Causa fall. E. c. Z., entrambe inedite in F. Dimundo, op. cit. (nota 3), 289, nota 46. 
[61] 
App. Milano, 14 febbraio 2018, in Causa S. c. L.C., inedita in F. Dimundo, op. cit. (nota 3); Trib. Como, 17 marzo 2005, in Giur. comm., 2006, II, 408 ss.
[62] 
Come opportunamente sottolineato da F. Dimundo, op. cit. (nota 3), 290. 
[63] 
Cass., 20 settembre 2012, n. 15955, in Dirittoegiustizia.it. La fattispecie su cui pronuncia il giudice di legittimità è di un certo interesse, anche sul piano processuale, poiché il giudice del merito aveva accertato la responsabilità dei sindaci sulla base della sola perizia disposta, peraltro in sede di indagini, dal Pubblico Ministero nell’ambito del procedimento in cui risultavano imputati gli amministratori e che ovviamente aveva ad oggetto esclusivamente la violazione degli obblighi facenti carico agli stessi. Cfr. Cass., 29 ottobre 2013, n., 24362, cit. (nota 18), in un caso in cui gli amministratori, con artifici e raggiri, avevano neutralizzato i poteri-doveri di controllo dei sindaci, occultando l’intervenuta perdita del capitale sociale e procedendo ad un aumento del capitale sociale con conferimenti versati a mani degli amministratori, ma da questi poi non versati nelle casse sociali. 
[64] 
Mentre l’art. 160 L. fall. poneva tra i concetti un rapporto tra genus (crisi) e species (insolvenza), oggi i concetti sono differenti, senza possibilità di aree comuni, integrando la crisi il concetto di “probabile insolvenza”, dovuta all’inadeguatezza dei flussi di cassa per far fronte alle obbligazioni nei successivi dodici mesi, mentre l’insolvenza è la manifestazione di inadempimenti che integrano ormai l’impossibilità dell’imprenditore di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni. Tuttavia, gli strumenti per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale sembrerebbero percorribili anche in caso di insolvenza nonostante la quale l’accesso alla composizione negoziata non sarebbe in assoluto inammissibile, essendo presupposto per la continuità dell’opera prestata dall’esperto il carattere reversibile della discontinuità aziendale che potrebbe prospettarsi anche in un’ipotesi di insolvenza (cfr. art. 17, comma 5, CCII). 
[65] 
Per un’immediata applicazione, Trib. Roma, 15 settembre 2020, in Societàpiù.it; in dottrina, F. Fimmanò, Apporto e prerogative dell’organo di controllo nelle dinamiche di accesso agli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza, in Dirittodellacrisi.it; A. Farolfi, op. cit., 228; E. Ginevra, Tre questioni applicative in tema di assetti adeguati nella Spa, in Banca borsa, 2021, 4, 552 ss.
[66] 
Si ricorda la ricostruzione generale in tema di F. Macario, cit. (nota 3). 
[67] 
Cfr. A. Farolfi, op. cit., 224. 
[68] 
Correttamente, Trib. Monza, 3 dicembre 2014, in Ilcaso.it, evidenzia come, esaurito il procedimento di concordato, con il passaggio in giudicato con il decreto di omologazione riprendono pieno vigore le norme sulla riduzione del capitale sociale per perdite e l’operatività delle cause per scioglimento. 
[69] 
Sul tema, R. Rordorf, L’obbligo delle banche di comunicare le modifiche degli affidamenti agli organi di controllo delle società loro clienti ex art. 14, comma 4, CCII, in Dirittodellacrisi.it. 
[70] 
A. Farolfi, op. cit., 227.
[71] 
Cfr. Norme di comportamento, art. 11.6. 
[72] 
Sono questi gli argomenti di cui ha fatto uso Cass., 23 ottobre 2014, n. 22575, in Fallimentiesocieta.it, per escludere l’esistenza, anche in ipotesi, di un sindaco di fatto; per un contrario orientamento, come nel testo, Trib. Catania, 1 dicembre 2017, in Giurisprudenzadelleimprese.it e, precedentemente, Trib. Milano, 13 maggio 1976, in Giur. comm., 1977, II, 904 ss. In dottrina, cfr. A. Iorio, S. Mecca, Sindaco automaticamente decaduto sensazioni di responsabilità, in ipsoa.it. 
[73] 
Così, Trib. Milano, 14 gennaio 2021, in Ntplusdiritto.ilsole24ore.com, con nota di D. Iorio, contenente un’ampia rassegna della giurisprudenza di merito in linea con l’orientamento ambrosiano. 
[74] 
Cass., 15 novembre 2019, n. 29719, in Ntplusdiritto.ilsole24ore.com; Cass., 12 aprile 2017, n. 9416, ivi; Cass., 18 gennaio 2005, n. 941, ivi
[75] 
Conf., ex multis, Cass., 11 dicembre 2019, n. 32397, cit. (nota 5). 
[76] 
Per la legittimità della clausola, Cass., 24 aprile 2007, n. 9901, in Società, 2008, 2, 184 ss., con nota di F. Valenza, Mala gestio per conflitto di interessi e transazione della società con altro coobbligato
[77] 
Così Trib. Torino, 5 febbraio 2013, in Giurisprudenzadelleimprese.it.
[78] 
Cass., 1 dicembre 2021, n. 37848, in rivistapactum.it; Cass., 8 luglio 2009, n. 16050, in Società, 2010, 4, 407 ss. con nota di S. Cassani, La quantificazione del risarcimento nell’azione di responsabilità contro gli amministratori; Trib. Bologna, 24 gennaio 2019, in Giurisprudenzadelleimprese.it; Trib. Milano, 28 novembre 2017, in Società, 2018, 6, 703 ss., con nota di D. Carminati, Responsabilità dell’amministratore e liquidazione del danno per differenza tra netti patrimoniali
[79] 
Trib. Milano, 14 marzo 2017, in Giurisprudenzadelleimprese.it. 
[80] 
In tal senso, Trib. Treviso, 13 febbraio 2017, in OneLegale; l’orientamento non è univoco ed è contraddetto, richiedendosi anche la riserva, da App. Bologna, 12 gennaio 2004, in Il Fall., 2005, 1, 37 ss., con nota di N. Rondinone, La responsabilità per l’incauta gestione dell’impresa in crisi tra vecchio e nuovo diritto societario
[81] 
Secondo l’orientamento delle Sezioni Unite, che hanno risolto un contrasto, v. Cass. S.U., 30 dicembre 2011, n. 30124, in spl.unibocconi.it, su cui si sono allineate le successive pronunce, Cass. 19 dicembre 2016, n. 26113, in Giur. it., 2017, 7, 1545 ss., con nota di A. Mendola, Transazione e obbligazioni solidali a solidarietà imperfetta o a interesse unisoggettivo, a cui si sono allineate quelle di merito, Trib. Milano, 31 ottobre 2018, in Giurisprudenzadelleimprese.it; Trib. Milano, 14 luglio 2017, in Società, 2018, 6, 760 ss., con nota di G. Carmellino, La quantificazione del danno nelle azioni di responsabilità contro gli amministratori, e in Giurisprudenzadelleimprese.it.  
[82] 
La giurisprudenza è in linea, cfr. Trib. Milano, 2 agosto 2017, in Società, 2018, 760 ss., con nota di G. Carmellino, op. cit., e in Giurisprudenzadelleimprese.it; in senso contrario, Trib. Roma, 9 febbraio 2018, n. 990, in Giurisprudenzadelleimprese.it. 
[83] 
Su questa linea parrebbe Cass. 21 novembre 2013, n. 26124, in Dejure; Cass., 20 marzo 1976, n. 1016, in Dir. fall., 341 ss.; Cass., 18 settembre 1970, n. 1559, in Foro it., 1970, I, 2793 ss. 
[84] 
Utile lettura, per una ricostruzione generale del delicato tema, L. Di Cerbo, Efficacia ed opponibilità dell’esonero da responsabilità degli amministratori: clausole statutarie, delibere assembleari, patti parasociali, in Crisi d’impresa e responsabilità nelle società di capitali, (a cura di) L. Balestra e M. Martino, Milano, 2022, 557 ss., con opportuni richiami anche di dottrina. 
[85] 
Il profilo è esaminato per lo più dalla dottrina, non rinvenendosi precedenti giurisprudenziali; sull’applicazione dell’art. 1229 c.c, v. M. Franzoni, Dell’amministrazione e del controllo, Società per azioni, III, in Commentario del codice civile Scialoja, Branca, Galgano, Bologna, 2012, 516; P. Berazzo, Rinunce e transazioni in ordine all’azione sociale di responsabilità: il ruolo dell’assemblea, Padova, 1992, 333; R. Weigmann, Responsabilità e potere legittimo degli amministratori, Torino, 1974, 159; in senso contrario, invece, A. Tina, L’esonero da responsabilità degli amministratori di spa, Milano, 2008, 224; per un’impostazione volta a rivalutare l’interesse sociale e proteggere la causa sociale che fonda l’impresa collettiva, autorevolmente G. Oppo, Le convenzioni parasociali tra diritti delle obbligazioni e diritto delle società, in Riv. dir. civ., 1987, I, 587.
[86] 
Trib. Milano, 10 febbraio 2000, in Giur. comm., 2001, 3, II, 326 ss, con nota critica di A. Tina; App. Genova, 5 luglio 1986, in Giur. comm., 1988, II, 730. 
[87] 
Trib. Cagliari, 26 giugno 2016, in Giurisprudenzadelleimprese.it; prima della riforma, Trib. Termini Imerese, 28 gennaio 1993, in Società, 1993, 1069 ss. 
[88] 
Cass., 13 marzo 2013, n. 6220, in Sstudiocerbone.com. 
[89] 
Conf. Cass., 27 luglio 1994, n. 7030, in Giur. comm, 1997, II, 99 ss., nel caso in cui il patto riguardava l’impegno del socio a non esercitare il diritto di voto in senso favorevole ad un’azione di responsabilità ritenendo che il socio non può disporre il proprio diritto di voto in contrasto con l’interesse sociale. Detto principio è riconfermato in una successiva sentenza, Cass., 28 aprile 2020, n. 10215, ivi, 2011, II, 802. Tra le pronunce di merito, Trib. Milano, 20 dicembre 2013, in Giurisprudenzadelleimprese.it, e Trib. Milano, 20 marzo 2014, ivi; in senso contrario, per la validità del patto, Trib. Roma, 28 settembre 2015, n. 19193. 
[90] 
Cass., 27 luglio 1994, n. 7030, cit.  
[91] 
Precisamente, Trib. Milano, 16 giugno 2014, in Giur. it, 2015, 3, 674 ss., con nota di B. Petrazzini, Patti parasociali e impegno a non esercitare l’azione sociale di responsabilità
[92] 
Conf., seppure in un caso di patto di garanzia offerto dall’ex amministratore alla società, Trib. Milano, 19 dicembre 2016, n. 13879, in Dirittobancario.it
[93] 
Con questo non è ovviamente da escludere la legittimazione ordinaria della società, come un’interpretazione troppo letterale aveva in origine fatto ritenere, Trib. Milano, 12 aprile 2006, in Giur. it, 2006, I, 2, 2096; in tal senso, ex plurimis, Trib. Roma, 21 dicembre 2016, in Giurisprudenzadelleimprese.it; Trib. Torino,7 ottobre 2016, in Giur.it, 2017, I, 2, 398; Trib. Bologna, 16 agosto 2016, in Ilcaso.it. Essendo il richiamo dell’art. 2476, comma 3, c.c. disposizione speciale che non deroga alle regole sulla legittimazione ordinaria del titolare del diritto. 
[94] 
Le azioni esercitate dal curatore sono esattamente quelle esercitate dalla società in bonis o dai soci, dunque l’apertura della liquidazione giudiziale non altera le caratteristiche delle azioni che restano tali, cfr. E. Zucconi Galli Fonseca, Profili processuali dell’azione di responsabilità, in Crisi d’impresa e responsabilità nelle società di capitali, cit. (nota 84), 616 ss. Esse possono essere esercitate in un processo simultaneo e unico, come, per la diversità, in diversi procedimenti (non pare, sotto questo aspetto, che la soppressione delle parole “anche separatamente”, nell’ultima edizione dell’art. 255 CCII, possa avere rilievo alla luce dei principi che regolano in generale il cumulo di azioni nel litisconsorzio facoltativo). 
[95] 
Ritenuta, pur in difetto di un richiamo espresso, applicabile anche alle società a responsabilità limitata perché inquadrabile, comunque, nel più ampio genus dell’azione aquiliana ex art. 2043 c.c., così Trib. Verona, 16 aprile 2012, in Ilcaso.it; Trib. Napoli, 11 novembre 2004, in Società, 2005, 1007 ss. Per l’applicazione analogica, invece, dell’art. 2394 c.c, Trib. Udine, 11 febbraio 2005, in Dir. fall., 1995, 808 ss. Oggi il problema è risolto dall’art. 2476, comma 6, c.c., modificato con l’entrata in vigore del Codice della crisi. 
[96] 
Correttamente, Trib. Milano, 27 ottobre 2014, in Giurisprudenzadelleimprese.it evidenzia come il curatore possa esercitare la tutela solo di diritti che coinvolgono la massa, quale sostituto processuale, ma non dei creditori, soci o terzi singolarmente per la tutela di diritti propri (nella specie, il curatore aveva agito per la tutela dei diritti dei creditori che avevano subito pregiudizio per la diminuzione della percentuale loro garantita nel riparto a causa dell’azione degli amministratori e alla mancata vigilanza dei sindaci). In senso non del tutto conforme, Cass., 30 giugno 2021, n. 18610, in Dirittodellacrisi.it, la quale legittima il curatore all’esercizio dell’azione di danni verso la banca per abusiva concessione del credito, ancorché il danno sia maturato non a carico dell’intera massa, ma solo dei creditori anteriori. 
[97] 
Cfr. Cass., 24 gennaio 2024, n. 2350 in Dirittodellacrisi.it; Trib. Roma, 25 settembre 2018, in Ilcaso.it; Trib. Roma, 7 agosto 2012, in Guida dir., 2012, n. 44, 76 ss. Ciò non toglie che la responsabilità dei sindaci non è una responsabilità per fatto altrui, ma resta una responsabilità diretta per fatto proprio, cfr. Cass., 14 ottobre 2014, n. 21644 in OneLegale; Trib. Roma, 15 gennaio 2018, in Giurisprudenzadelleimprese.it; Trib. Milano, 10 febbraio 2010, in Giur. it., 2010, 12, 2555 ss. con nota di E. Desana; Trib. Napoli, 28 gennaio 2009, cit. (nota 7). 
[98] 
All’illecito degli amministratori deve unirsi l’allegazione della mancata vigilanza da parte di sindaci, Cass., 5 settembre 2018, n. 21662 in Giur. it., 2019, 2, 358 ss., con nota di S. Marta, Validità delle clausole di scelta del foro incluse in condizioni generali di contratto accessibili mediante sito web, e numerose altre. 
[99] 
Cass., 5 settembre 2018, n. 21662, cit; Trib. Napoli, 9 febbraio 2016, cit. (nota 30). 
[100] 
Trib. Pesaro, 7 aprile 2016, in OneLegale. 
[101] 
Cass., 11 novembre 2010, n. 22911, in Società, 2011, 377 ss., con commento di M. P. Ferrari., Responsabilità di amministratori e sindaci per mancato svolgimento dell’attività di controllo; Trib. Santa Maria C.V, 28 febbraio 2014, cit. (nota 25); Trib. Genova, 24 novembre 1997, in Società, 1998, 843 ss. 
[102] 
App. Roma, 14 marzo 2000, in Gius., 2000, 879. 
[103] 
Cass., 29 dicembre 2013, n, 24362, in Ilcaso.it; Trib. Asti, 13 febbraio 2012, in Ilfallimentarista.it. 
[104] 
Per il caso di una cessione di partecipazione con contenuti del tutto irragionevoli e a favore di società priva di garanzia patrimoniale per il pagamento del prezzo, Trib. Milano, 30 gennaio 2018, in Giurisprudenzadelleimprese.it. 
[105] 
Non è necessaria invece la revoca degli amministratori a fonte del perfezionamento di contratti pregiudizievoli per la società, essendo tale iniziativa un’extrema ratio esperibile solo nei casi di assoluta gravità delle condotte degli amministratori, App. Genova, 8 giugno 2018, in causa Fall. M.E. c. N., inedita. 
[106] 
Trib. Padova, 5 aprile 1999, in Il Fall., 2000, 547 ss. 
[107] 
Sul corretto inquadramento della fattispecie costitutiva e sui diversi oneri di allegazione e prova, cfr. Cass., 28 maggio 1998, n. 5278, in Mass. giust. civ.; Trib. Santa Maria C.V., 28 febbraio 2014, cit. (nota 25); Trib. Milano, 1 ottobre 2011, in Giur. it, 2012, 5, 1076. 
[108] 
La cessazione dalla carica dell'amministratore che abbia ritualmente presentato le proprie dimissioni è opponibile al fallimento, anche se non è iscritta nel registro delle imprese, così Cass., 17 maggio 2021, n. 13221, in Dirittodellacrisi.it
[109] 
Cfr. M. Vietti, F. Auletta, G. Lo Cascio, U. Tombari, A. Zoppini, La riforma del diritto societario. Lavori preparatori, testi e materiali, Milano, 2006, 1714.
[110] 
L. Calvosa, La prescrizione dell’azione sociale di responsabilità nei confronti di amministratori e sindaci di società per azioni, in AA.VV., Società, banche e crisi d’impresa, II, Torino, 2014, 942. 
[111] 
S. Ambrosini, Il termine per l’esercizio delle azioni di responsabilità prescrizione o decadenza?, in Società, 2004, 1480 ss.; L. Nazzicone, La riforma del diritto societario, in Società per azioni, amministrazione e controlli, (a cura di) G. Lo Cascio, V, Milano, 2003, 197 ss. In giurisprudenza, Cass., 4 dicembre 2015, n. 24715, in Giur. it, 2016, 2, 390 ss., con nota di R. Rivaro, Prescrizione delle azioni di responsabilità e (in)certezza del diritto; Trib. Milano, 3 novembre 2017, in Giurisprudenzadelleimprese.it; Trib. Milano, 22 giugno 2017, in Società, 2017, 12, 1432; Trib. Napoli, 11 gennaio 2011, ivi, 2011, 510 ss., con nota di E. Civerra, Esiste ancora l’azione di responsabilità dei creditori sociali di una s.r.l.!
[112] 
Così Trib. Lecce, 9 dicembre 2011, in Ilfallimentarista.it, che ritiene applicabile l’art. 2935 c.c., e Trib. Milano, 20 dicembre 2016, in Giurisprudenzaimprese.it, che esclude l’applicabilità dell’art. 2393, comma 4, c.c. 
[113] 
Trib. Santa Maria C.V., 2 agosto 2012, in Ilfallimentarista.it. 
[114] 
In tal senso, proprio per l’azione sociale di responsabilità, Trib. Milano, 19 settembre 2003, in Giur. it., 2004, 12, 1015. 
[115] 
A partire dalle Sezioni Unite, Cass. S.U., 6 ottobre 1981, n. 5241, in Giur. comm., 1982, II, 769; oggi ex multiis, Cass., 4 settembre 2020, n. 22077, in Ilfallimentarista.it
[116] 
Cass., 19 giugno 2019, n. 16505 in Guida al diritto, 2019, 35, 36: Cass., 29 dicembre 2017, n. 31204 in Foro it., 2018, I, 1292. 
[117] 
Sull’onere della prova, Trib. Padova, 6 febbraio 2014, in Guida al diritto, 2014, 28, 74; sulla possibilità di prova contraria, Trib. Udine, 16 aprile 2011, in Ilcaso.it
[118] 
Così Cass., 6 febbraio 2023, n. 3552, in Dirittodellacrisi.it
[119] 
Cass., 8 aprile 2009, n. 8516, in Giur. comm., 2011, 3, II, 471 ss., con nota di R. Ghetti, Art. 146 l. fall. e dovere di vigilanza degli amministratori di s.r.l.: parità delle armi tra curatore ed ex gestori?; Cass., 18 gennaio 2005, n. 941, in Giust. civ., 2006, I, 445 ss. 
[120] 
Trib. Catania, 23 giugno 2011, in Ilcaso.it
[121] 
Nel caso dell’amministrazione controllata, Cass., 12 giugno 2014, n. 13378, in Ilcaso.it
[122] 
Poiché in tal caso non vi è evidenza del fatto, Cass., 5 settembre 2018, n. 21662, in Dirittobancario.it. 
[123] 
Cfr. Trib. Milano, 18 gennaio 2011, n. 501, in Il Fall., 2011, 588 ss. 
[124] 
Cass., 4 settembre 2020, n. 22077, Ilfallimentarista.it; Cass., 25 luglio 2008, n. 20476, in Dir. e prat. soc., 2009, 22, 74 ss. 
[125] 
Trib. Padova, 16 luglio 1999, in Fallimento, 2000, 895 ss.; Trib., Milano 15 luglio 1991, ivi, 1991, 1286 ss. 
[126] 
Trib. Milano, 11 dicembre 2006, in Società, 2008, 3, 333 ss., con nota di F. Sporta Caputi, Amministratori e sindaci di s.p.a.: responsabilità e dies a quo della prescrizione dell’azione
[127] 
Trib. Milano, 25 settembre 1995, in Giur.it, 1996, 348 ss. 
[128] 
In senso contrario, sull’applicabilità, invece, Trib. Civitavecchia 29 settembre 2020, n. 822, inedita, citata da M. Paladini, Azioni di responsabilità e prescrizione, in Crisi d’impresa e responsabilità, cit. (nota 84), 801, nota 70, che condivide l’orientamento. 
[129] 
Per tutte, cfr. Trib. Catania, 30 marzo 2017, in Giurisprudenzaimprese.it
[130] 
Trib. Milano, 16 luglio 2015, in Giurisprudenzaimprese.it. 
[131] 
Trib. Milano, 21 febbraio 2018, in Giurisprudenzadelleimprese.it.
[132] 
Trib. Milano, 3 giugno 1988, in Giur. comm., 1989, II, 945 ss. 
[133] 
Cass., 28 aprile 1997, n. 3652, in Riv. dir. comm., 1998, II, 13 ss. 
[134] 
Cfr. G. Facci, La quantificazione del danno nelle azioni di responsabilità, in Crisi d’impresa e responsabilità, cit. (nota 84), 497 ss.; in giurisprudenza, Cass., 25 luglio 1979, n. 4415, in Giur. comm., 1980, II, 325 ss. 
[135] 
Sull’onere della prova, v. Cass., 22 ottobre 1998, n. 10488, in Rest. civ. e prev., 1999, 1318; in dottrina, G. Facci, cit. (nota 134), 501 ss., con altri riferimenti in nota; A. Patti, Azione di responsabilità e danno per prosecuzione non consentita dell’attività di impresa, in Il Fall., 2013, 173. 
[136] 
In tal senso, App. Roma, 13 aprile 2021, in OneLegale; in senso conf. D. Galletti, La liquidazione giudiziale del danno nelle azioni di responsabilità dopo il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, in Giust. civ., 2022, 2, 329 ss. In senso contrario, Trib. Genova, 4 settembre 2021, in Giurisprudenzadelleimprese.it; App. Catania, 16 gennaio 2020, in Giur. comm., 2020, 12, 1374 ss., con nota di R. Rosapepe, Le presunzioni introdotte dal nuovo terzo comma dell’art. 2486 c.c.: un danno punitivo a carico degli amministratori di società di capitali?; Trib. Catania, 19 dicembre 2020, in Banca Dati Pubblica; in dottrina, M. Fabiani, Le azioni di responsabilità verso gli organi sociali dopo il codice della crisi, in Le nuove regole societarie dopo il codice della crisi e dell’insolvenza, di M. Arato, G. D’Attorre, M. Fabiani, Torino, 2020, 169-170. 
[137] 
Cass., 28 febbraio 2024, n. 5252, in Dirittodellacrisi.it; in dottrina, F. Dimundo, Responsabilità degli amministratori e quantificazione del danno alla luce del novellato art. 2486 c.c.: a che punto siamo?, ivi
[138] 
Per un’elaborazione del criterio, cfr. Cass., 22 dicembre 2017, n. 30921, in altalex.com; in particolare, Cass., 17 settembre 2013, n. 21255, in Foro it., 2013, I, 3121. 
[139] 
Interessante e condivisibile l’opinione di G. Facci, cit. (nota 134), 505, il quale evidenzia come, nella responsabilità per fatto illecito, la prevedibilità del danno ex art. 1225 c.c. viene recuperata nell’applicazione dell’art. 1223 c.c., ancorché non richiamata, avvicinando anche per questo aspetto le due azioni. 
[140] 
In tal senso, v. Facci G., cit. (nota 134), 515 ss.; F. Dimundo, Le azioni di responsabilità, cit. (nota 3), 447 e 551 ss.; A. Jorio, La determinazione del danno risarcibile nelle azioni di responsabilità, in Giur. comm., 2011, 2, 149; da questa osservazione muove Cass. S.U., 6 maggio 2015, n. 9100, in Dir. fall., 2015, 5, II, 509 ss., pronuncia che dovremo esaminare nel prosieguo per il rilievo nel tracciare una rottura all’orientamento “meccanico” del criterio del deficit patrimoniale, v. infra
[141] 
Il tutto alla luce della sensibilità nell’applicazione dell’art. 1223 c.c. dimostrata dall’orientamento delle Sezioni Unite nella pronuncia da cui è necessario muovere in materia di danno per responsabilità degli amministratori e sindaci delle società che è Cass. S.U. n. 9100/2015, cit. (nota 140). 
[142] 
Ex plurimis, per la diffusione in via principale del criterio, Cass., 23 giugno 1977, n. 2671, in Ilcaso.it. Nella giurisprudenza di merito v. App. Bologna, 5 febbraio 1997, in Foro it., 1997, I, 2284; ma già prima delle Sezioni Unite, criticato dalla stessa Cass., 15 febbraio 2005, n. 3032, in Foro it., 2006, I, 1898, tra le pronunce di merito critiche, Trib. Catania, 22 gennaio 2015, in Ilcaso.it, lo stesso tribunale che in una precedente pronuncia (Trib. Catania, 30 giugno 1986, in Giur. comm., 1988, II, 228, aveva sostenuto il contrario). In dottrina critico M. Fabiani, La determinazione casuale del danno nelle azioni di responsabilità sociali ed il ripudio delle semplificazioni, in Foro it., 2016, I, 283. 
[143] 
Vedi in particolare M. Fabiani, Il diritto della crisi e dell’insolvenza, Bologna, 2017, 399; G. Cabras, Differenza tra attivo e passivo e quantificazione del danno nelle azioni di responsabilità nei confronti degli amministratori, in Giur. comm., 2015, 4, II, 656. 
[144] 
Vedi F. Dimundo, Le azioni di responsabilità, cit. (nota 3), 466; M. Cian, Differenza tra attivo e passivo e quantificazione del danno nelle azioni di responsabilità nei confronti degli amministratori, in Giur. comm., 2015, II, 656; V. Montalenti, Differenza tra attivo e passivo e quantificazione del danno nelle azioni di responsabilità nei confronti degli amministratori, ivi, 669; R. Sacchi, Differenza tra attivo e passivo e quantificazione del danno nelle azioni di responsabilità nei confronti degli amministratori, ivi, 669; conf., M. Spiotta, L’atteso chiarimento delle sezioni unite sull’utilizzabilità del criterio del deficit, in Giur. it., 2015, 1423. 
[145] 
Cfr., Trib. Parma, 23 febbraio 2017, in OneLegale; Trib. Catania, 12 gennaio 2017, in Giurisprudenzadelleimprese.it; per ulteriori pronunce inedite, v. F. Dimundo, Le azioni di responsabilità, cit. (nota 3), 467, nota 57 ss., in particolare, nota 62. 
[146] 
Cass., 8 luglio 2009, n. 16050, in Società, 2010, 4, 407 ss., con nota di Cassani S., La quantificazione del risarcimento nell’azione di responsabilità contro gli amministratori; Trib. Parma, 5 febbraio 2014, in Iusexplorer.it; Trib. Milano, 9 aprile 2013, in Iusexplorer.it; App. Bologna, 12 gennaio 2004, in Il Fall., 2005, 37 ss.; Trib. Milano, 4 aprile 2013, in Giurisprudenzadelleimprese.it; Trib. Asti, 13 febbraio 2012, in Ilfallimentarista.it; Trib. Milano, 29 dicembre 2010, in Società, 2011, 3, 349; Trib. Venezia, 26 marzo 2009, in Il Fall., 2010, 121 ss.; Trib. Treviso, 28 ottobre 2009, in Ilcaso.it; in dottrina, vedi, ancora, M. Fabiani, Il diritto della crisi, cit. (nota 143), 399 ss. 
[147] 
La pronuncia è precedente alle Sezioni Unite, ma non è difficile pensare a un allineamento a essa delle pronunce attuali che dovessero rinvenire un’identica fattispecie, v., Trib. Milano, 5 maggio 2014, in Giurisprudenzadelleimprese.it
[148] 
App. Palermo, 15 giugno 2017, in OneLegale, già preceduta da Trib. Milano, 24 giugno 2014, in Giurisprudenzadelleimprese.it. 
[149] 
App. Venezia, 27 febbraio 2018, in causa F. c. Fall. F.lli Bisson s.r.l. in liquid., inedita in F. Dimundo, Le azioni di responsabilità, cit. (nota 3), 455, nota 32, in linea con Trib. Milano, 10 febbraio 2010, in Giur. it., 2010, I, 2, 2555 ss. 
[150] 
V., ancora, le sentenze inedite citate da F. Dimundo, Le azioni di responsabilità, cit. (nota 3), 467 ss., nota 59 e 60. 
[151] 
Trib. Livorno, 26 giugno 2017, in OneLegale. 
[152] 
Cass., 20 aprile 2017, n. 9983, in Società, 2018, 6, 775; Trib. Milano, 23 settembre 2015, in Giurisprudenzadelleimprese.it; Trib. Bologna, 14 gennaio 2019, ivi; Trib. Torino, 4 luglio 2018, ivi; Trib. Milano, 9 aprile 2018, ivi; Trib. Roma, 28 febbraio 2018, ivi, e numerose altre. 
[153] 
In tal senso, Trib. Pistoia, 19 gennaio 2016, in osservatorio-oci.org; prima della decisione S.U. n. 9100/2015, v. ex multiis, Cass., 8 luglio 2009, n. 16050, cit. (nota 146); Trib. Napoli, 11 gennaio 2011, in Società, 2011, 510. 
[154] 
App. Torino, 26 maggio 2016, in OneLegale; Trib. Catania, 27 novembre 2018, in Giurisprudenzadelleimprese.it, in linea con la dottrina, v. G. Vitiello, Appunti in tema di quantificazione del danno nelle azioni di responsabilità della curatela, in ilfallimentarista; D. Galletti, Brevi note sull’uso del criterio dei “netti patrimoniali di periodo”, in Ilcaso.it; G. Zamperetti M., La prova del danno da gestione non conservativa nella società disciolta per perdita del capitale, in Il Fall., 2009, 572. 
[155] 
Trib. Prato, 25 settembre 2012, in Ilcaso.it
[156] 
Trib. Milano, 19 aprile 2018, in Giurisprudenzadelleimprese.it e, prima delle S.U., Trib. Milano, 3 febbraio 2010, cit. (nota 30). 
[157] 
App. Torino, 26 maggio 2016, in OneLegale. 
[158] 
Trib. Milano, 2 ottobre 2015, in Giurisprudenzadelleimprese.it
[159] 
Trib. Milano, 7 ottobre 2015, in Danno e res, 2016, 870. 
[160] 
Trib. Milano, 14 maggio 2018, in Giurisprudenzadelleimprese.it; Trib. Milano, 9 aprile 2018, ivi; Trib. Milano, 22 gennaio 2015, in Società, 2016, 5, 609 ss., con nota di V. Bisignano, Le azioni di responsabilità esercitate dal curatore fallimentare: profili processuali e risarcitori; Trib. Milano, 25 marzo 2014, in Giurisprudenzadelleimprese.it; Trib. Milano, 1 aprile 2011, in Iusexplorer.it; in dottrina, F. Dimundo, Le azioni di responsabilità, cit. (nota 3), 480 ss.; Vitiello G., Appunti in tema di quantificazione del danno, cit. (nota 154), 5 ss.; M. Fabiani, La determinazione causale del danno, cit. (nota 142), 285; A. Bartalena, Le azioni di responsabilità nel codice della crisi d’impresa, in Il Fall., 2019, 305. 
[161] 
È il caso in cui la dottrina costruiva la necessità di un nesso di causalità rigoroso, cfr. Facci G., La valutazione del danno in via equitativa, il criterio della differenza dei netti patrimoniali e la responsabilità degli amministratori, in Danno e resp., 2016, 876; A. Mambriani, La prova del danno nelle azioni di responsabilità esercitate dal curatore ex art. 146 l.f., Milano, 2012, 2; G. Vitiello, Appunti in tema di quantificazione del danno, cit. (nota 154); Patti A., Il danno e la sua quantificazione nell’azione di responsabilità contro gli amministratori, in Giur. comm., 1997, I, 86. 
[162] 
Trib. Roma, 14 febbraio 2015, in Giurisprudenzadelleimprese.it; conf. per l’affermata necessità che la curatela provi il valore venale del bene sottratto, al di là delle indicazioni di bilancio, Trib. Milano, 9 ottobre 2013, ivi; in senso contrario, per una posizione meno rigorosa con riferimento espresso al valore inserito in bilancio, Trib. Milano, 1 febbraio 2013, ivi
[163] 
Trib. Napoli, 25 giugno 2015, in Iusexplorer.it. 
[164] 
App. Milano, 16 giugno 1995, in Società, 1995, 1562 ss. 
[165] 
In questo caso M. Spiotta, Note in tema di responsabilità degli amministratori, in Giur. it., 2010, IV, 1333. 
[166] 
F. Dimundo, Le azioni di responsabilità, cit. (nota 3), 498. 
[167] 
Cfr. A. Bartalena, Le azioni di responsabilità, cit. (nota 160), 306. 
[168] 
G. Facci, La quantificazione del danno nelle azioni di responsabilità, cit. (nota 134), 523; F. Dimundo, Le azioni di responsabilità, cit. (nota 3), 499; F. Dimundo, Responsabilità degli amministratori per violazione dell’art. 2486 c.c. e danno risarcibile, in Il Fall., 2019, 1289; R. Rordorf, Doveri e responsabilità degli amministratori di società di capitali in crisi, in Il Fall., 2013, 673. 
[169] 
Qualora questa ragionevole interpretazione non fosse ricavabile da un’interpretazione diretta della norma, ben si potrebbe riaprire la prova del danno effettivo attraverso la prova a carico del convenuto di non dover rispondere dei danni successivi alla formale messa in liquidazione, per quanto questa non sia avvenuta tempestivamente, così F. Dimundo, Le azioni di responsabilità, cit. (nota 3), 501. 
[170] 
Secondo l’impostazione di Cass., 23 giugno 2008, n. 17033, in Il Fall., 2009, 565 ss., con nota di G. M. Zamperetti, La prova del danno da gestione non conservativa nella società disciolta per perdita di capitale
[171] 
Il criterio differenziato dei “netti patrimoniali”, secondo i risultati della scienza aziendale, potrebbe essere il risultato di un’applicazione dei principi contabili nell’elaborazione dei bilanci di liquidazione, che consente l’applicazione dei criteri, sotto questo profilo, omogenei, v. il richiamo in Facci G., La quantificazione del danno, cit. (nota 134), 525; conf., G. Verna, La determinazione del danno causato dagli amministratori che continuano l’impresa dopo la perdita del capitale sociale, in Società, 2011, 1, 37 e A. Patti, Azione di responsabilità e danno, cit. (nota 135), 178. 
[172] 
Il caso ricorda la simile situazione nell’ambito della responsabilità medica, dove il legame causale tra l’operato del medico e il danno viene valorizzato sul piano probatoria dalla mancata o irregolare tenuta delle cartelle cliniche, v. Cass., 12 giugno 2015, n. 12218, in anaao.it; per la non sufficienza dell’argomento ai fini di ritenere esaurita la prova dell’attore, v. invece, Cass. 14 novembre 2019, n. 29498, in Dirittoegiustizia.it
[173] 
Sembra questa l’unica soluzione a un’interpretazione in termini di danno punitivo, a cui si è pure uniformata la dottrina, cfr. B. Inzitari, Crisi, insolvenza, insolvenza prospettica, allerta: nuovi confini della diligenza del debitore, obblighi di segnalazione sistema sanzionatorio nel quadro delle misure di prevenzione e risoluzione, in Contr. impr., 2020, 618; A. Bartalena, Le azioni di responsabilità, cit. (nota 160), 298.
[174] 
In tal senso, Trib. Napoli, 18 marzo 2024, in Giurisprudenzadelleimprese.it; Trib. Palermo, 15 aprile 2023, ivi; Trib. Napoli, 1 giugno 2022, ivi. 
[175] 
Sulla necessità di un danno diretto al patrimonio del socio e non indebitamente derivato dal pregiudizio diretto al patrimonio sociale, v. Cass., 28 aprile 2021, n.11223, in brocardi.it.; Cass., 10 aprile 2014, n. 8458, ivi; Cass., 22 marzo 2012, n. 4548, ivi; di interesse il caso di Cass., 20 maggio 2020, n. 9206, ivi, ove l’azione dell’amministratore, pur in linea con gli interessi sociali, abbia provocato un danno nel patrimonio del socio e del terzo e quindi abbia il rilievo di cui all’art. 2495 c.c.; nel caso di una falsità del bilancio, non è sufficiente la prova del suo carattere non veritiero, ma è necessario che la falsità abbia inciso direttamente, pregiudicandolo, sul patrimonio del terzo che al bilancio aveva fatto affidamento in un rapporto contrattuale con la società, Cass., 8 settembre 2015, n. 17794, ivi
[176] 
È ormai pacifica in giurisprudenza la legittimazione del curatore a esercitare l’azione del creditore sociale verso la società, dopo Cass. S.U., 23 gennaio 2017, n. 1641, in Altalex.it; tuttavia, a seguito dell’introduzione dell’art. 2394 bis c.c., dovuta al d. lgs. n. 6 del 2003 e, soprattutto, a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 255 CCII, non è dubitabile che a seguito dell’apertura della liquidazione giudiziale, anche in forza dell’art. 143 CCII, la legittimazione all’esercizio dell’azione del creditore di cui all’art. 2394 c.c. spetta esclusivamente al curatore. Per un quadro generale delle azioni a cui è legittimato il curatore, in relazione alle problematiche particolari delle società a responsabilità limitata, per lo più risolte dalla riforma del codice della crisi, v. M. Fabiani, L’azione dei creditori sociale nella s.r.l. dopo il codice della crisi, in Dirittodellacrisi.it.

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