I commi 380 e 381 della legge 208/2015, si occupano di definire i termini in cui il perseguimento del beneficio altrui incide sulla governance societaria. Il comma 380 in particolare stabilisce che “La società benefit è amministrata in modo da bilanciare l’interesse dei soci, il perseguimento delle finalità di beneficio comune e gli interessi delle categorie indicate nel comma 376, conformemente a quanto previsto dallo statuto. La società benefit, fermo quanto disposto dalla disciplina di ciascun tipo di società prevista dal codice civile, individua il soggetto o i soggetti responsabili cui affidare funzioni e compiti volti al perseguimento delle suddette finalità”. Il successivo comma 381 sancisce poi che l’inosservanza degli obblighi di cui al comma precedente può costituire inadempimento dei doveri imposti agli amministratori dalla legge e dallo statuto. In caso di inadempimento degli obblighi di cui al comma 380 si applica quanto disposto dal Codice civile in tema di responsabilità degli amministratori[15].
Le imprese vengono quindi incoraggiate ad adottare un approccio che integri gli aspetti finanziari, commerciali e sociali, elaborando in tal modo una strategia di lungo periodo che minimizzi i rischi collegati alle incertezze, poiché la responsabilità sociale delle imprese ha implicazioni di grande rilievo per tutti gli attori della vita economica e sociale e per i pubblici poteri, che dovrebbero tenerne conto nelle loro attività e in considerazione del fatto che numerosi Stati membri dell’UE ne hanno riconosciuto l’importanza e hanno adottato misure attive per promuoverla.
Del resto, le tematiche della responsabilità sociale dell'impresa e della sostenibilità sono ormai da tempo al centro di un dibattito che trova sempre maggiore spazio a livello normativo sia italiano sia eurounitario. È inevitabile quindi che la spinta a una maggiore responsabilità delle imprese nell'aumento dell'impatto positivo e/o nella riduzione dell'impatto negativo della loro attività nel contesto ambientale o sociale si possa riflettere anche nella disciplina della crisi e dell'insolvenza. Si tratta di una tematica molto ampia che riguarda aspetti di politica del diritto nonché aspetti più concretamente legati alla gestione e all'organizzazione dell'impresa. Non è quindi possibile in questa sede affrontare tutte le tematiche in modo compiuto ed esaustivo ma soltanto compiere alcune considerazioni di massima.
Dato per certo che la gestione dell'attività d'impresa per il raggiungimento dell'oggetto sociale spetta agli amministratori (soci o non soci a seconda della tipologia societaria), è possibile in primo luogo domandarsi quale sia la diligenza richiesta agli amministratori nella gestione della società e nel raggiungimento del duplice obiettivo, economico e benefit. A questo proposito viene in soccorso la relazione illustrativa al disegno di legge AS numero 1882, dove si precisa che è necessario che gli amministratori “prendano in considerazione l'impatto delle loro decisioni nei confronti di persone, comunità, territori e ambiente, beni ed attività culturali e sociali, enti e associazioni ed altri portatori di interessi, oltre che sul valore per gli azionisti, e agiscano con una maggiore trasparenza verso i soggetti terzi”.
La consueta diligenza richiesta dalla natura dell'incarico e dalle specifiche competenze dell'amministratore, dovrà essere dunque tarata anche alla luce della finalità del beneficio comune indicata nell'oggetto sociale, ampliandosi così da un lato l'ambito delle competenze gestorie, dall'altro quello delle conseguenti eventuali responsabilità di cui peraltro si tratta nel comma 380 dell'art. 1 della legge di stabilità. Esso infatti stabilisce che, fermo quanto disposto dalla disciplina del tipo di società prescelto, nella società benefit occorre individuare il soggetto o i soggetti responsabili, ai quali affidare funzioni e compiti volti al perseguimento delle relative finalità. Sotto questo ulteriore profilo, si possono fare alcune osservazioni: in primo luogo occorre soffermarsi sul problema dell'individuazione del o dei soggetti che saranno considerati responsabili del raggiungimento delle finalità benefit. La legge a questo proposito pare voler dire che non necessariamente tutti gli amministratori saranno responsabili del raggiungimento (e quindi del mancato raggiungimento) dell'obiettivo benefit, ma soltanto quelli eventualmente designati a questo scopo. La disposizione è a mio avviso poco coerente con la ratio della disciplina della società benefit. Se è vero che nella società benefit accanto all'oggetto sociale viene posto un obiettivo ulteriore, che costituisce comunque, al pari dell'oggetto stesso, finalità primaria della società, ne discende che tutti gli amministratori, nel loro agire, devono necessariamente perseguire parallelamente i due obiettivi. Controproducente sarebbe, infatti, che uno o due amministratori fossero incaricati di perseguire l'obiettivo benefit e gli altri fossero solo incaricati di perseguire l'obiettivo di cui all'oggetto sociale, potendosi in taluni casi porsi anche una situazione di conflitto di interessi difficilmente conciliabile, in quanto entrambi gli interessi (quello di profitto e quello benefit) sono considerati dalla legge primari nello svolgimento dell'attività d'impresa. Dunque a mio avviso tutti gli amministratori sia nella società di persone che nella società di capitali dovrebbero essere considerati responsabili per default anche del raggiungimento o mancato raggiungimento dell'obiettivo benefit. Questo in quanto il problema della responsabilità d'impresa va inteso come comprensivo della responsabilità derivante dal mancato adempimento di uno degli obiettivi stabiliti nel contratto sociale, della responsabilità nei fronti dei soci e virgola soprattutto, verso la collettività che avrebbe dovuto usufruire dei benefici indicati come obiettivo ulteriore
Un altro aspetto è quello del dovere di controllo da esercitare sull’attività di gestione. Ci si può chiedere infatti se, posto che tutti gli amministratori hanno l'obbligo di agire in conformità al perseguimento di entrambi gli obiettivi, si possa prevedere che soltanto alcuni di essi siano responsabili del controllo su tale perseguimento: se così fosse, agli amministratori controllori dovrebbe essere attribuita a una duplice responsabilità: da mancato perseguimento dell'obiettivo benefit da un lato e da mancato controllo dall'altro. Il che pare difficilmente accettabile in seno al consiglio di amministrazione.
Quello che è certo è che, a seconda dello specifico obiettivo benefit stabilito nell'oggetto sociale, occorrerà che gli amministratori responsabili siano dotati di particolari competenze e di un'eventuale particolare professionalità. Tali competenze e professionalità dovranno variare al variare dei compiti attribuiti nell'atto costitutivo.
Potrebbe essere invece utile (e lo vedremo più avanti) nominare un soggetto che funga da controllore relativamente all’organizzazione, agli assetti e alle misure da adottare per contemperare l’obiettivo profit con quello benefit.
In base a quanto sopra considerato, è possibile soffermarsi su una questione che emerge dal riferimento normativo al bilanciamento degli interessi: il comma 377 infatti fa un esplicito riferimento al fatto che le finalità di beneficio comune indicate nell’oggetto sociale della società benefit possono essere perseguite soltanto attraverso un bilanciamento tra interesse dei soci, interesse degli stakeholders e interesse comune. Ciò sembra volere indicare, a monte, l’esistenza di possibili conflitti di interesse tra soggetti facenti riferimento a un’unica società, conflitti che possono ulteriormente acuirsi nel momento di crisi o addirittura di insolvenza della società. La fissazione di precisi contenuti informativi e la possibilità che la società si dia nuovi obiettivi benefit nel medio periodo confermano l’interpretazione in base alla quale l’obiettivo benefit, per quanto modificabile, sia considerato come strumentale per la realizzazione non soltanto del beneficio comune, ma anche dello scopo egoistico dei soci.
Risulta però problematico inquadrare gli interessi degli stakeholder nell’ambito dello schema codicistico della responsabilità degli amministratori. Escludendo che si possa trattare di una responsabilità nei confronti dei soci o dei creditori, si potrebbe tentare di ricondurre tale responsabilità a quella nei confronti dei terzi, prevista dall’art. 2395 c.c. In effetti la forzatura potrebbe essere rilevata, in quanto l’interpretazione corrente di tale norma riconduce il danno al terzo ad un fatto doloso o colposo dell’amministratore che abbia direttamente danneggiato il patrimonio del terzo.
Tuttavia, l’escamotage consentirebbe di utilizzare lo schema della responsabilità extracontrattuale nei confronti di soggetti che, altrimenti, rimarrebbero privi di una reale tutela, mentre l’art. 381 espressamente prevede che gli amministratori andranno sottoposti ad azione di responsabilità nel caso di inadempimento dei doveri (compreso quello del raggiungimento dell’obiettivo benefit) imposti dalla legge e dallo statuto. Inoltre, la caratteristica pluralità dei fini della società benefit, e l’imposizione di un equilibrio sostanziale tra interessi dei soci e interessi degli stakeholder, porta a propendere per l’esistenza di un interesse sociale inteso come quello collettivamente e indirettamente nutrito dai partecipi economici della società in merito ad ogni operazione economica che veda coinvolto il patrimonio sociale. Nel caso invece non si concordi con tale soluzione, si dovrà giocoforza affermare che solo i soci possono lamentare la mancata attuazione dell’oggetto sociale e chiedere il risarcimento del lucro cessante derivante dal fatto che l’omissione dell’attività altruistica non ha prodotto alcun ritorno economico concreto a favore della società, e che solo gli stessi soci potranno azionare la responsabilità degli amministratori per le perdite patrimoniali subite dalla società nel caso opposto in cui l’attività altruistica sia stata mal realizzata.
Ulteriore problema sarà, poi, quello di individuare i criteri attraverso i quali valutare i contegni degli amministratori,
volti al perseguimento delle finalità complesse e molteplici che questi modelli societari pretendono siano realizzati. A questo proposito si ritiene che tali criteri debbano essere dedotti dagli strumenti che la medesima società adotta al fine di prefigurare una sorta di auto regolamentazione rispetto al profilo che qui interessa[16].
Il bilanciamento fra l’interesse dei soci e quello degli altri stakeholder è, in definitiva, un bilanciamento fra risorse (che possono essere intese come capitali) impiegate nell’esercizio dell’attività economica; di conseguenza è proprio per la misurazione della variazione di questi capitali che si devono prevedere idonei indicatori atti a rilevarne la variazione nel tempo, tenuto ovviamente conto degli obiettivi specifici che nel periodo considerato si è programmato di raggiungere. È importante ricordare che anche il perseguimento delle finalità di beneficio comune rientra, in ogni caso, fra gli interessi dei soci; infatti il rapporto che esiste fra beneficio comune e soci è molto stretto in quanto essi lo concepiscono, lo sentono come parte del proprio modello imprenditoriale e lo formalizzano, mentre il rapporto fra beneficio comune e amministratori prevede che essi lo declinino, lo agiscano e lo concretizzino nella sua essenza materiale. Il tema del bilanciamento assume, proprio in quanto collegato alla gestione operativa, molteplici risvolti che devono essere considerati anche se in questa sede non è possibile approfondirli: ci si riferisce, in particolare, al fatto che l’esercizio del relativo dovere/potere di bilanciamento degli amministratori può essere sindacato non tanto in merito ai risultati conseguiti, quanto per il processo decisionale che lo ha originato e per l’organizzazione di risorse e mezzi che è stata implementata. La progettazione, quindi, di un’adeguata struttura organizzativa, che è una delle prerogative specifiche dell’organo amministrativo di qualsiasi società, lo è, ancor più, per una Società Benefit. È importante sottolineare ancora che non si tratta tanto di impostare una struttura amministrativa volta a supportare la rendicontazione del perseguimento delle finalità di beneficio comune, quanto di organizzare le risorse affinché l’impresa integri le tematiche ambientali e sociali nelle proprie strategie “riducendo o annullando le esternalità negative o meglio utilizzando pratiche, processi di produzione e beni in grado di produrre esternalità positive” (Relazione Illustrativa al disegno di legge AS n° 1882/2015) Il bilanciamento fra l’interesse dei soci e quello degli altri stakeholder è, in definitiva, un bilanciamento fra risorse (che possono essere intese come capitali) impiegate nell’esercizio dell’attività economica; di conseguenza è proprio per la misurazione della variazione di questi capitali che si devono prevedere idonei indicatori atti a rilevarne la variazione nel tempo, tenuto ovviamente conto degli obiettivi specifici che nel periodo considerato si è programmato di raggiungere. È importante ricordare che anche il perseguimento delle finalità di beneficio comune rientra, in ogni caso, fra gli interessi dei soci; infatti il rapporto che esiste fra beneficio comune e soci è molto stretto in quanto essi lo concepiscono, lo sentono come parte del proprio modello imprenditoriale e lo formalizzano, mentre il rapporto fra beneficio comune e amministratori prevede che essi lo declinino, lo agiscano e lo concretizzino nella sua essenza materiale. Il tema del bilanciamento assume, proprio in quanto collegato alla gestione operativa, molteplici risvolti che devono essere considerati anche se in questa sede non è possibile approfondirli: ci si riferisce, in particolare, al fatto che l’esercizio del relativo dovere/potere di bilanciamento degli amministratori può essere sindacato non tanto in merito ai risultati conseguiti, quanto per il processo decisionale che lo ha originato e per l’organizzazione di risorse e mezzi che è stata implementata. La progettazione, quindi, di un’adeguata struttura organizzativa, che è una delle prerogative specifiche dell’organo amministrativo di qualsiasi società, lo è, ancor più, per una Società Benefit. È importante sottolineare ancora che non si tratta tanto di impostare una struttura amministrativa volta a supportare la rendicontazione del perseguimento delle finalità di beneficio comune, quanto di organizzare le risorse affinché l’impresa integri le tematiche ambientali e sociali nelle proprie strategie “riducendo o annullando le esternalità negative o meglio utilizzando pratiche, processi di produzione e beni in grado di produrre esternalità positive” (Relazione Illustrativa al disegno di legge AS n° 1882/2015)
In ossequio al principio di gestione trasparente della società benefit si prevede che la società stessa è tenuta a redigere una relazione annuale, particolareggiata, concernente il perseguimento del beneficio comune, da allegare
al bilancio. La relazione, che può quindi essere considerata una sorta di autovalutazione sulla gestione della società, deve essere redatta dagli amministratori e deve essere comunicata assieme al bilancio al collegio sindacale, se nominato e all’incaricato della revisione legale almeno trenta giorni prima di quello fissato per l’assemblea convocata per l’approvazione, e deve restare depositata presso la sede della società durante i quindici giorni che precedono l’assemblea e fino all’approvazione, affinché i soci possano prenderne visione.
La relazione annuale particolareggiata deve includere: la descrizione degli obiettivi specifici, delle modalità e delle azioni attuati dagli amministratori per il perseguimento delle finalità di beneficio comune e delle eventuali circostanze che lo hanno impedito o rallentato; la valutazione dell’impatto generato, utilizzando lo standard di valutazione esterno in conformità alle caratteristiche descritte nell’allegato 4 della legge. Tale standard, in particolare dovrà essere:
1. esauriente e articolato nel valutare l’impatto dellasocietà e delle sue azioni nel perseguire la finalità
di beneficio comune nei confronti di persone, comunità, territori e ambiente, beni ed attività culturali e sociali, enti e associazioni e altri portatori di interesse;
2. sviluppato da un ente che è controllato dalla società benefit o collegato con la stessa;
3. credibile, perché sviluppato da un ente che ha accesso alle competenze necessarie per valutare l’impatto sociale e ambientale delle attività di una società nel suo complesso, utilizza un approccio scientifico e multidisciplinare per sviluppare lostandard, prevedendo eventualmente anche un periodo di consultazione pubblica;
4. trasparente, perché le informazioni che lo riguardano sono rese pubbliche, in particolare: i criteri utilizzati per la misurazione dell’impatto sociale e ambientale delle attività di una società nel suo complesso; le ponderazioni utilizzate per i diversi criteri previsti per la misurazione; l’identità degli amministratori e l’organo di governo dell’ente che ha sviluppato e gestisce lo standard di valutazione; il processo attraverso il quale vengono effettuate modifiche e aggiornamenti allo standard; un resoconto delle entrate e delle fonti di sostegno finanziario dell’ente per escludere eventuali conflitti di interesse; una sezione dedicata alla descrizione dei nuovi obiettivi che la società intende perseguire nell’esercizio successivo.
Conclusivamente, con riferimento alla possibile contrapposizione di categorie disomogenee di interessi all’interno del “genere” società benefit, è possibile ritenere che o corre comprendere quali devono essere gli obiettivi degli strumenti anticrisi in queste ultime, in un’ottica di politica del diritto. Se è vero che nel sistema della valutazione dell’attività di impresa deve esservi spazio per interessi diversi da quelli degli azionisti e degli amministratori, questo quadro di valori non può essere arbitrariamente alterato quando l’impresa diviene insolvente: le procedure di salvaguardia dell’attività hanno il compito di mantenere e affermare il sistema di valori che regola l’attività economica sia in generale che specificamente individuata per ogni singola impresa. E pertanto, nel modulare le soluzioni alternative alla liquidazione occorrerà fare riferimento anche a quegli interessi di carattere non strettamente economico che sono in gioco nel caso specifico.
Pare necessario poi un cenno al tema della responsabilità degli amministratori di fatto. È amministratore di fatto, come è noto, colui che esercita le funzioni di amministratore in una società di capitali senza essere stato investito di tali funzioni da una delibera giuridicamente esistente sulla base della legge o dello statuto. È altrettanto noto che in ambito penale l'amministratore di fatto è equiparato a quello di diritto e quindi viene integralmente assoggettato ai divieti alle sanzioni previste dalle leggi penali per gli atti commessi[17]. In ambito civilistico la medesima assimilazione è fatta per la responsabilità aquiliana prevista per l'amministratore di diritto in base alla motivazione secondo cui, diversamente argomentando, l'amministratore di fatto godrebbe, per gli atti di malagestio dolosi o colposi poi compiuti, di una protezione contraria ai principi dell'ordinamento virgola e conseguentemente il socio e il terzo rimarrebbero privi di tutela. Quanto invece alla diversa disciplina della responsabilità degli amministratori di fatto estranea alla violazione del principio del neminem laedere, non è senza dubbio configurabile una responsabilità contrattuale degli amministratori di fatto verso la società e i soci ma lo è quella extracontrattuale. Tale affermazione fa perno su due norme: l'articolo 1708 del Codice civile che pone a carico dell'amministratore di una società le conseguenze del suo operato quando questo esorbita dai limiti del mandato, e l'articolo 2031 secondo comma del codice civile che chiama l’utilis gestor a rispondere della sua condotta ove intraprenda o continui la propria attività malgrado la proibizione dell'interessato. La conclusione a cui si è giunti, ossia che l'amministratore di fatto agisce a proprio rischio, è anche un meccanismo di riequilibrio degli interessi che vede da un lato l'obbligo della società di sopportare le conseguenze degli atti degli amministratori di fatto per il principio di apparenza, che tutela chi contrae con essi in buona fede, e dall'altro il diritto di questa a rivalersi nei confronti dell'amministratore di fatto delle conseguenze di cui questi responsabile.
E qui, allora, sorge spontanea una riflessione relativa da un lato al regime da adottare relativamente al giudizio sulla condotta degli amministratori, anche in termini di risultati e dall’altro alla responsabilità dipendente dalla eventuale mancata realizzazione di quell’ulteriore scopo che la società si sia autoattribuita ed alla sempre eventuale responsabilità di impresa che ne nasce. Sotto il primo profilo, quello dei doveri degli amministratori in generale, ai consueti criteri di giudizio, attinenti all’interesse dei soci, dei creditori e dei terzi che con la società entrano in contatto, si aggiunge un altro interesse, quello dei soggetti che sono o dovrebbero essere avvantaggiati dalla realizzazione dell’obiettivo benefit. In questo senso, il dovere degli amministratori diventa inclusivo, nelle scelte decisionali, di obiettivi diversi e paralleli, che riguardano una strategia anomala (o atipica) rispetto agli ordinari canoni. Ma occorre anche sottolineare che l’interesse dei soggetti legati alla società dagli obiettivi benefit sono, in ultima istanza, anche quelli dei soci, perché sono loro che si avvantaggiano dei risultati positivi (o almeno on negativi), che gli amministratori ottengono nel perseguimento degli obiettivi benefit. Il problema della responsabilità di impresa va inteso, quindi come comprensivo della responsabilità derivante dal mancato adempimento di uno degli obiettivi stabiliti nel contratto sociale, della responsabilità nei confronti dei soci e, soprattutto, della responsabilità verso la collettività che avrebbe dovuto usufruire dei benefici indicati come obiettivo ulteriore.