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Saggio

Sequestro penale e Codice della Crisi: evoluzione normativa e approdi della giurisprudenza di legittimità

Enrico Quaranta, Presidente di Sezione nel Tribunale di Santa Maria Capua Vetere

18 Dicembre 2023

*Il saggio è stato sottoposto in forma anonima alla valutazione di un referee.
Il contributo preliminarmente si propone di fornire un quadro dell'evoluzione giurisprudenziale di legittimità sul rapporto tra misure ablatorie penale e procedure concorsuali, anche in considerazione degli approdi autorali e delle decisioni assunte dalla Corte delle leggi.  Quindi di riferire delle opzioni praticate dal Codice della Crisi per disciplinare tale rapporto, con il conseguente rimando alle norme del  Codice Antimafia ivi previsto. Nel dettaglio viene esaminata la scelta di codificare la prevalenza delle misure penali sulla liquidazione giudiziale, oggetto di espressa previsione dell'art. 317 CCII e, comunque, evidenziato l'apparente carattere totalizzante che appare ascriversi a tale disciplina rispetto alle varie misure cautelari reali previste dall'ordinamento. Nondimeno il contributo - sottolineate le deroghe codicistiche al principio generale della prevalenza penalistica  - si preoccupa anche di rilevare che il sequestro preventivo totalizzante del patrimonio del soggetto attinto potrebbe lasciare comunque intonsi i rimedi risarcitori riconosciuti ai creditori della massa civilistica, con in conseguenti dubbi circa la necessità della chiusura della procedura concorsuale che segua alla misura penale.
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1 . Considerazioni introduttive. L’evoluzione della giurisprudenza di legittimità delle Sezioni Unite.
Il tema del rapporto tra le misure ablatorie penali e le procedure concorsuali è stato oggetto di sistemazione nell’ambito del Codice della crisi e dell’insolvenza, introdotto come noto dal D. Lgs. n. 14/2019.
Occorre ricordare che il legislatore, attraverso l’emanazione della L. 19 ottobre 2017, n. 155 (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale il 30 ottobre 2017), ha delineato in prima battuta i principi generali e i criteri direttivi per la riforma della crisi d’impresa e dell’insolvenza, introducendo – tra l’altro - l’istituto della liquidazione giudiziale, procedura che succede e sostituisce il fallimento, con il precipuo scopo di liquidare il patrimonio dell’imprenditore insolvente, ripartendo il ricavato in favore dei creditori sulla base della graduazione dei loro crediti.
Il codice è entrato definitivamente in vigore 15 luglio 2022, all’esito di un iter legislativo che annovera nel suo percorso tre principali provvedimenti: (i) il D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, (ii) il D.Lgs. 26 ottobre 2021, n. 147 e (iii) il D.Lgs.17 giugno 2022, n. 83, intitolato “ Modifiche al codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza di cui al decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14, in attuazione della direttiva (UE) 2019/1023 del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 giugno 2019, riguardante i quadri di ristrutturazione preventiva, l'esdebitazione e le interdizioni, e le misure volte ad aumentare l'efficacia delle procedure di ristrutturazione, insolvenza ed esdebitazione, e che modifica la direttiva (UE) 2017/1132 (direttiva sulla ristrutturazione e sull'insolvenza).
Ed invero il D.Lgs.17 giugno 2022, n. 83 costituisce, come premesso, il recepimento della direttiva (UE) 2019/1023 del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 giugno 2019, riguardante i quadri di ristrutturazione preventiva, l'esdebitazione e le interdizioni, e le misure volte ad aumentare l'efficacia delle procedure di ristrutturazione, insolvenza ed esdebitazione, e che modifica la direttiva (UE) 2017/1132 (direttiva sulla ristrutturazione e sull'insolvenza).
La finalità della direttiva consisteva nell’esigenza di garantire il corretto funzionamento del mercato interno e il pieno esercizio delle libertà fondamentali di circolazione dei capitali e stabilimento, tramite l’armonizzazione delle legislazioni e procedure nazionali in materia di ristrutturazione preventiva, insolvenza, esdebitazione e interdizioni.
Come è dato evincere dalla stessa Relazione Illustrativa al D.Lgs. n. 83/2022 , in base alla direttiva “la rimozione degli ostacoli esistenti rispetto al funzionamento del mercato ed alla fruizione delle libertà fondamentali da parte dei cittadini e delle realtà produttive è perseguita facendo salvi i diritti dei lavoratori e garantendo alle imprese e agli imprenditori che si trovano in difficoltà finanziaria la possibilità di accedere a misure nazionali efficaci in materia di ristrutturazione preventiva per la prosecuzione delle loro attività, laddove risanabili, e per essere esdebitati con procedimenti efficienti, tali cioè da garantire in un ragionevole lasso di tempo l’opportunità di rientrare nel ciclo produttivo”.
In altri termini, il raggiungimento di tali obiettivi doveva avvenire, nella logica del legislatore europeo, attraverso la predisposizione di “quadri di ristrutturazione” , ovvero di misure e procedure volte al rapido risanamento dell’impresa in funzione preventiva dell’insolvenza, attraverso la modifica della composizione, delle condizioni o della struttura delle sue attività e passività o del capitale, quali la vendita di attività o di parti dell'impresa e la vendita dell'impresa in regime di continuità aziendale o anche una combinazione di questi elementi.
Per altro verso, tali misure dovevano allo stesso tempio garantire la stabilità dei livelli occupazionali e di evitate la perdita di conoscenze e competenze acquisite dagli imprenditori, in funzione quindi sia del miglior soddisfacimento per i creditori - rispetto a quanto ottenibile con procedure di tipo esclusivamente liquidatorio – sia per i proprietari che per l'economia nel suo complesso.
Il legislatore europeo al contempo caldeggiava, per le imprese non più risanabili, una loro tempestiva liquidazione, al fine di evitare che la ristrutturazione si presentasse inefficace e finisse per aggravare la situazione di difficoltà in cui si trovava il debitore, con accumulo di ulteriori perdite ai danni dei creditori, delle altre parti interessate dal processo di risanamento e del sistema economico in generale.
Se questi erano gli scopi prefissati, d’altro canto la direttiva rinveniva la necessità dell’armonizzazione delle legislazioni partendo dalla consapevolezza delle differenze esistenti tra gli ordinamenti dei vari gli Stati membri, sintetizzate: a) nel numero, a volte troppo limitato, di procedure messe a disposizione dei debitori in difficoltà economico-finanziaria; b) nell’inefficacia e nella tardività di molte delle procedure previste, caratterizzate da intervenire in un momento in cui il risanamento non era più perseguibile; c) nella mancata valorizzazione o implementazione di strumenti stragiudiziali di regolazione delle crisi; d) nelle differenze normative in tema di ruoli e poteri affidati all’autorità giudiziaria o amministrativa ed ai professionisti da queste nominate; e) nell’eccessivo divario nella concessione dell’esdebitazione tra i diversi ordinamenti; f) nella durata eccessiva delle procedure di ristrutturazione, insolvenza ed esdebitazione, “un fattore determinante dei bassi tassi di recupero e dissuade gli investitori dall'operare nelle giurisdizioni in cui le procedure rischiano di durare troppo e di essere indebitamente dispendiose” (così considerando 6).
Va da sé che l’armonizzazione perseguita dalla direttiva (UE) 2019/1023 è rivolta comunque a rimuovere incertezze rispetti ai costi prevedibili degli investitori e così a garantire una effettiva libertà di circolazione e stabilimento all’interno del mercato interno, sul presupposto che questo si presenta sempre più caratterizzato da uno scambio sovranazionale di merci, servizi, capitali e lavoratori e fortemente influenzato dalle dinamiche digitali.
Il testo normativo, in definitiva, ha inteso operare un intervento complessivo sulle misure e sugli strumenti di regolamentazione della crisi e dell’insolvenza, riguardanti tanto gli imprenditori commerciali già assoggettabili al fallimento, sia i gruppi di imprese ma, al contempo, i soggetti non fallibili ( consumatori, professionisti, imprese sotto soglia, imprese agricole etc) inglobando la disciplina relativa al cosiddetto sovranidebitamento.
Per quanto attiene al tema specifico dei rapporto tra liquidazione giudiziale e misure penali, il legislatore delegante ha previsto testualmente all’art. 13. “1. Nell’esercizio della delega di cui all’articolo 1, il Governo adotta disposizioni di coordinamento con il codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, stabilendo condizioni e criteri di prevalenza, rispetto alla gestione concorsuale, delle misure cautelari adottate in sede penale, anteriormente o successivamente alla dichiarazione di insolvenza. 2. Nell’esercizio della delega di cui all’articolo 1, il Governo adotta disposizioni di coordinamento con la disciplina di cui al decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, e in particolare con le misure cautelari previste dalla disciplina sulla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, nel rispetto del principio di prevalenza del regime concorsuale, salvo che ricorrano ragioni di preminente tutela di interessi di carattere penale”.
La delega partiva, all’evidenza, dal presupposto del difficile ed ancora indefinito contemperamento tra le esigenze derivanti dal sistema penale e quelle di tutela delle ragioni dei creditori concorsuali.
In un primo tempo la Cassazione civile aveva ritenuto al riguardo che il sequestro preventivo antimafia, avente ad oggetto l’intero patrimonio sociale, non costituisse di per sé ostacolo alla dichiarazione di fallimento della società, pur nell’evidente e plausibile incapienza della procedura.
La conclusione era correttamente intervenuta, in primo luogo, in virtù della previsione dell'art. 118, comma 1, n. 4, L. fall. – volto appunto regolare prevede la chiusura del fallimento per mancanza di attivo – ma anche di quella dell'art. 63, comma 6, del codice antimafia (e delle misure di prevenzione), che appunto impone la chiusura (e non la revoca) del fallimento, ex art. 119 L. fall., allorquando nella massa attiva siano ricompresi esclusivamente beni già sottoposti a sequestro; regola poi ripetuta dall'art. 64, comma 7, del codice predetto per il caso di sequestro o confisca sopravvenuti al fallimento.
Per altro verso essa fondava sulla differenza dei presupposti tra il sequestro di prevenzione – in ogni caso avente natura cautelare e per ciò solo provvisoria – ed il fallimento, inteso quale procedure diretta a tutelare non interesse pubblici, quanto le ragioni dei creditori concorsuali.[1]
Di tali possibili situazioni di conflitto tra le due procedure si era poi occupata la Cassazione penale in due note sentenze.
Nella prima[2] esaminando il caso di un sequestro preventivo disposto in funzione della confisca facoltativa prevista dall'art. 240 c.p., comma 1, sul profitto di delitti tributari e truffe ai danni dello Stato commessi in forma organizzata, la Corte affrontava la questione oggetto di un contrasto di giurisprudenza, ovvero "se sia consentito il sequestro preventivo finalizzato alla confisca facoltativa di beni provento di attività illecita dell'indagato e di pertinenza di impresa dichiarata fallita".
In quel contesto le Sezioni Unite risolvevano il conflitto rilevando che, pur in mancanza di un’apposita previsione legislativa, la radicale insensibilità del sequestro alla procedura concorsuale doveva essere risolta dal giudice, con la conciliazione dei contrapposti interessi, ovvero di quelli propri della tutela penale (impedire che i proventi di illecito potessero giovare all'indagato) e di quelli tipici della procedura concorsuale (tutela dei legittimi interessi dei creditori nella procedura fallimentare).
In altri termini, nessuna preclusione al sequestro penale a condizione che il giudice desse motivatamente conto della prevalenza delle ragioni sottese alla confisca rispetto a quelle attinenti alla tutela dei legittimi interessi dei creditori.
La sentenza evidenziava, in particolare, anche il rilievo pubblicistico degli interessi perseguiti dalla procedura concorsuale – basandosi sul dettato della Relazione ministeriale alla legge fallimentare, e sul ruolo del curatore fallimentare, inteso come organo che svolge una funzione pubblica nell'ambito della amministrazione della giustizia, incardinato nell'ufficio fallimentare a fianco del tribunale e del giudice delegato.
D’altro canto la sentenza Focarelli rilevava, in astratto, la possibile attitudine dello spossessamento determinato dalla procedura concorsuale ad assorbire la funzione del sequestro preventivo penale, che è quella di evitare che il reo resti in possesso delle cose che sono servite a commettere il reato o che ne sono il prodotto o il profitto, contemperandola con la garanzia dei creditori sul patrimonio dell'imprenditore fallito.
Nell'esaminare, poi, le diverse ipotesi di sequestro e confisca, la sentenza Focarelli escludeva che in ipotesi di confisca obbligatoria vi fossero margini di discrezionalità per il giudice e concludeva, infine, che le finalità del fallimento non sono in grado di assorbire la funzione assolta dal sequestro prevalendo la esigenza preventiva "di inibire l'utilizzazione di un bene intrinsecamente e oggettivamente pericoloso in vista della sua definitiva acquisizione da parte dello Stato; sicchè le ragioni di tutela dei terzi creditori sono destinate ad essere pretermesse rispetto alla prevalente esigenza di tutela della collettività".
A fronte di tale posizione e del rilievo della confisca obbligatoria quale elemento tale da indurre prevalenza alla misura rispetto al fallimento, non mancavano tuttavia decisioni che intendevano individuare un discrimine per l’operatività di detta prevalenza nella verifica concreta della pericolosità del bene frutto dell’attività illecita e non, piuttosto, del dato formale dell'obbligatorietà dell’intervento ablatorio.
A dirimere in apparenza il contrasto parevano successivamente essere intervenute le Sezioni Unite della Cassazione Penale con la sentenza Uniland[3] secondo la quale, in caso di fallimento di società a carico della quale era stata rilevata una ipotesi di responsabilità da reato ai sensi del D.Lgs n. 231/2001, "i diritti acquisiti dai terzi in buona fede che, ai sensi dell'art. 19 del citato decreto legislativo, sono fatti salvi rispetto alla confisca, si identificano nel diritto di proprietà e negli altri diritti reali che gravano sui beni oggetto dell'apprensione da parte dello Stato e non anche nei diritti di credito, con la derivante puntualizzazione che i creditori, prima della conclusione della procedura concorsuale e della assegnazione dei beni, non sono titolari di alcun diritto su questi ultimi e, quindi, sono privi di un titolo restitutorio - che Il Curatore fallimentare non è legittimato a proporre impugnazione avverso il provvedimento di sequestro preventivo, anche per equivalente, dei beni della società fallita, posto che non essendo questi titolare di alcun diritto sui beni del fallito, né in proprio, né quale rappresentante dei creditori del fallito i quali, prima della conclusione della procedura concorsuale, non hanno alcun diritto restitutorio sui beni, lo stesso non è portatore di alcuna posizione soggettiva tutelabile né in relazione al sequestro preventivo nè, a maggior ragione, in ordine alla successiva confisca, sia essa diretta od anche per equivalente“.
Ma nemmeno questa decisione sembra aver sopito i dubbi interpretativi.
In primo luogo le stesse Sezioni Unite penali hanno poi riconosciuto la legittimazione del curatore, alle impugnazioni riguardanti i beni sequestrati, in quanto derivante dalla sua posizione di soggetto avente diritto alla restituzione degli stessi, investe necessariamente la totalità dei beni facenti parte dell'attivo fallimentare.[4]
Secondo tale arresto, la conclusione è compatibile con il dato normativo rinvenibile nell'art. 42 della legge fallimentare per il quale la dichiarazione di fallimento conferisce alla curatela la disponibilità di tutti i beni di quest'ultimo esistenti alla data del fallimento e quindi anche di quelli già sottoposti a sequestro.
Pertanto, ha ritenuto la Corte, non può essere impedito al curatore di far valere le ragioni della procedura fallimentare con riguardo a tali beni, essi pure facenti parte dell'attivo fallimentare entrato nella disponibilità della curatela, avverso il vincolo apposto sugli stessi. Ne consegue che il curatore fallimentare è stato considerato legittimato a chiedere la revoca del sequestro preventivo ai fini della confisca e ad impugnare i provvedimenti in materia cautelare reale.
Non bastasse questo, con ordinanza molto recente la Corte di legittimità, questa volta in composizione semplice, ha nuovamente posto alle Sezioni Unite il tema della interferenza tra confisca obbligatoria in tema di reati tributari e fallimento anteriormente dichiarato ai danni della società[5].
La pronunzia si segnalava per l’attenta e completa ricostruzione degli orientamenti articolatisi nel tempo, sino a ricomprendere anche la motivazione addotta da una pronunzia immediatamente precedente, secondo cui: a) il sequestro preventivo finalizzato alla confisca, diretta o per equivalente, del profitto dei reati tributari, prevista dall'art. 12 bis, comma 1, del D.Lgs. n. 74/2000, prevale sui diritti di credito vantati sul medesimo bene per effetto del fallimento, attesa l'obbligatorietà della misura ablatoria alla cui salvaguardia il sequestro è finalizzato, con la precisazione che tale prevalenza incontra il solo limite dell'appartenenza dei beni a terzi estranei al reato; b) che tale assunto troverebbe giustificazione (appunto) anche nelle disposizioni degli agli artt. 317 e ss. del codice della crisi di impresa e dell'insolvenza, di cui al D.Lgs. n. 14/2019, non escludendo la sua differita entrata in vigore la possibilità che le norme definitorie in esso contenute, venute ad esistenza e a conoscenza con la promulgazione e la pubblicazione, siano utilizzate nell'ambito di una interpretazione logico sistematica delle norme vigenti contenute in altre leggi[6].
L’ordinanza concludeva, quindi, che tale essendo lo stato della giurisprudenza, era necessario rimettere alle Sezioni unite penali la questione del se, in caso di fallimento dichiarato anteriormente alla adozione del provvedimento cautelare di sequestro preventivo, emesso nel corso di un procedimento penale relativo alla commissione di reati tributari, avente ad oggetto beni attratti alla massa fallimentare, l'avvenuto spossessamento del debitore erariale, indagato o, comunque, soggetto inciso dal provvedimento cautelare, per effetto della apertura della procedura concorsuale operi o meno quale causa ostativa alla operatività del sequestro ai sensi dell'art. 12 bis, comma 1, del D.Lgs n. 74/2000 (secondo il quale la confisca e, conseguentemente il sequestro finalizzato ad essa, non opera nel caso di beni, pur costituenti il profitto o il prezzo del reato, se questi appartengono a persona estranea al reato).
A fronte di tale rimessione, le Sezione Unite Penali sono poi intervenute affermando il seguente principio di diritto: «L'avvio della procedura fallimentare non osta all'adozione o alla permanenza, se già disposto, del provvedimento di sequestro preventivo finalizzato alla confisca relativa ai reati tributari”[7].
Rileva la Corte nel contesto che il D.Lgs. n. 14/2019 si inserisce nel solco di altri interventi normativi ( la legge 17 ottobre 2017, n. 161 e il D.Lgs. 1 marzo 2018, n. 21) che avevano allargato l'ambito applicativo delle disposizioni in punto di amministrazione e destinazione dei beni sequestrati e confiscati e di tutela dei terzi ed esecuzione del sequestro previste nel "Codice Antimafia", tanto da portare la dottrina a concludere che l'art. 317 presenti portata precettiva globale, erigendo le regole di quest'ultimo a paradigma totalizzante.
Quanto alla "la tutela dei terzi", evidenzia come il regime introdotto dal nuovo codice della crisi deve essere letto alla luce dell'art. 104 bis, comma 1 quater, disp. att. c.p.p., che, nella sua attuale riformulazione, prevede l'applicazione ai sequestri e alle confische delle disposizioni del "Codice antimafia" riguardanti anche i rapporti con le procedure concorsuali.
Fatte queste premesse, la Corte afferma che dalla data del 15 luglio 2022 (data di entrata in vigore della peculiare disciplina dettata dagli artt. 317 ss. del e.e.i.), vige una unitaria disciplina di carattere generale che regola i rapporti tra sequestro preventivo a fini di confisca e dichiarazione di liquidazione giudiziale, ovvero quella contenuta negli artt. 63 ss. D.Lgs. n. 159/2011, anch'essi opportunamente rimodulati.
Inoltre, dà per assodata la prevalenza dello strumento penale, tal che la tutela dei crediti può assumere rilevanza, rispetto al sequestro, nei soli ristretti limiti indicati dall'art. 52 D.Lgs. n. 159/2011.
Per la S.C. l'art. 52, come riformato, recepisce la primazia dell'interesse pubblico ad assicurare l'effettività della misura ablatoria pure nel caso del fallimento, così escludendo che il sequestro penale o di prevenzione possa recedere rispetto all'interesse degli altri creditori, nel caso di prestazioni connesse all'attività illecita o a quella di reimpiego dei suoi proventi, di elusione degli effetti della confisca attraverso la precostituzione di posizioni creditorie di comodo, di simulazione della loro esistenza a posteriori.
Per altro verso viene sostenuto che la norma consente anche di escludere che la persona attinta dal sequestro possa giovarsi dei proventi delle attività illecite per esdebitarsi, come già evidenziato anche dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 94 del 2015.
Quanto all’aspetto procedimentale, la Corte ricorda che chi intenderà trovare soddisfazione su beni investiti da una confisca quale che sia (o da un sequestro preordinato) dovrà farlo secondo i dettami di sede e di tempo che il "Codice Antimafia" enuclea, senza che rilevi la data di apertura della liquidazione giudiziale.
La decisione si premura pure di ricordare le regole dei rapporti tra procedura concorsuale e confisca nel senso che:
“a) qualora il sequestro funzionale alla confisca preceda la liquidazione giudiziale, i beni attinti dal vincolo penale saranno esclusi dalla massa attiva concorsuale (art. 63, comma 4);
b) qualora sia preventiva l'apertura della liquidazione al sequestro, i beni acquisiti alla massa saranno separati dall’attivo liquidabile e consegnati all'amministratore giudiziario (art. 64, comma 1);
c) nell’ipotesi in cui il patrimonio della liquidazione si esaurisca nei beni già in precedenza sequestrati ai fini della successiva confisca, il tribunale concorsuale, sentiti curatore e comitato dei creditori, chiuderà la procedura (art. 63, comma 6); d) ove sequestro o confisca successivamente intervenuti riguardino l’intera massa attiva della liquidazione giudiziale in corso, il tribunale concorsuale dichiarerà chiusa la procedura (art. 64, comma 7);
e) qualora la misura penale antecedente alla liquidazione venga revocata, il curatore apprenderà i beni che ne sono stati oggetto, subentrando all'amministratore giudiziario nei rapporti processuali, sicché il tribunale riaprirà la procedura concorsuale, ancorché siano trascorsi cinque anni dalla chiusura (art. 63, comma 7);
f) se la misura penale posteriore alla liquidazione dovesse essere revocata prima della chiusura di quest'ultima, i beni vincolati saranno ex novo inglobati nella massa attiva del concorso e l'amministratore giudiziario li consegnerà al curatore (art. 64, comma 10).
Di particolare interesse anche il punto della decisione secondo il primato dello strumento penalistico ricorre anche quanto alle misure cautelari adottate dal tribunale concorsuale ai sensi dell’art. 54 CCII, in tesi idonee ad assicurare provvisoriamente gli effetti della sentenza che segna l'avvio della liquidazione giudiziale.
Affermato, quindi, che appare chiara la linea scelta dal legislatore di allinearsi alla tesi della prevalenza della confisca sulle procedure concorsuali, la Corte tuttavia avversa l’orientamento che intende ricorrere alla nuova disciplina per inferirne criteri interpretativi con riferimento alle vicende insorte in precedenza[8].
Il nucleo centrale del decisum attiene, in ogni caso, al superamento delle obiezioni all'orientamento favorevole alla prevalenza del fallimento sulla confisca sulla base di argomentazioni ulteriori rispetto a quelle già esaminate e decise nella sentenza "Focarelli".
Per le Sezioni Unite il sequestro preventivo funzionale alla confisca, diretta o per equivalente, del profitto dei reati tributari, prevista dall'art. 12 bis, comma 1, del D.Lgs. n. 74/2000, prevale sui diritti di credito vantati sul medesimo bene, sia nel caso di liquidazione giudiziale che per effetto della ammissione al concordato preventivo, in ragione della natura obbligatoria della misura ablatoria alla cui salvaguardia è finalizzato il sequestro.
Più in particolare, si ribadisce che a seguito della dichiarazione di fallimento, la titolarità dei beni resta in capo al fallito sino al momento della vendita fallimentare per i beni o del riparto dell'attivo per il denaro.
Per tale ragione, mancherebbe la condizione di "appartenenza a terzi" che inibisce, secondo la disposizione citata, l'adozione del provvedimento ablatorio della confisca.
Secondo principi noti, la Corte ricorda che la dichiarazione di fallimento di una società, invero steso discorso può farsi oggi per la liquidazione giudiziale, priva la stessa di ogni potere in relazione al suo patrimonio (eccezion fatta per i beni sottratti all'esecuzione concorsuale per disposizione di legge e per i beni sopravvenuti che non siano acquisiti dalla massa), senza intervenire sulla compagine sociale e sui suoi organi che restano in funzione, come evidenziato anche dalla giurisprudenza civile, sia pur con le limitazioni derivanti dall'intervenuta dichiarazione di fallimento.
Corollario di tale affermazione è che la società continui ad esistere come soggetto giuridico, suscettibile di essere sanzionato - nei casi in cui sia prevista una responsabilità dell'ente ai sensi del D.Lgs. n. 231/2001 - o di essere privato, ope legis, dei beni costituenti il profitto o il prezzo di un reato tributario.
In altri termini, le Sezioni Unite sottolineano come la privazione dell'amministrazione e della disponibilità dei beni, vincolati dalla procedura concorsuale a garanzia dell'equa soddisfazione dei creditori mediante l'esecuzione forzata, non determinano alcun mutamento della titolarità dei beni in capo al fallito, sino al momento della loro liquidazione.
I beni del fallito, quindi, non possono qualificarsi come «beni appartenenti a persona estranea al reato» sicché il curatore fallimentare diviene mero gestore - detentore dei beni dell'imprenditore.
D’altra parte, sostiene la Corte, le pretese vantate dai singoli creditori sul patrimonio del soggetto insolvente non possono sempre considerarsi d'ostacolo all'apposizione del vincolo penale
Sul punto si chiarisce che i diritti acquisiti dal terzo in buona fede in grado di prevalere sulla confisca (e quindi anche sul sequestro preventivo) si identificano, infatti, solo nella proprietà e negli altri diritti reali che gravano sui beni e non anche nel semplice diritto di credito, sempre che manchi qualsiasi rapporto di strumentalità con il reato.
Il resto della motivazione è incentrato tutto sugli effetti personali e, soprattutto, patrimoniali del fallimento, per suffragare la tesi della sola perdita della disponibilità e dell’amministrazione del patrimonio, spiegata in dottrina
richiamando gli effetti del pignoramento nella espropriazione singolare, poiché degli stessi effetti, sebbene quantitativamente più imponenti, si tratterebbe.[9]
2 . La disciplina contenuta nel codice della crisi
Così ricostruiti gli ultimi e per il momento definitivi approdi della giurisprudenza di legittimità, da un punto di vista normativo va detto che effettivamente, per recepire la delega contenuta all’art. 13 della legge n. 155/2017, il Codice della crisi ha regolamentato nel titolo VIII - intitolato “Liquidazione giudiziale e misure cautelari reali” - il rapporto tra tali misure e la procedura che ha sostituito il fallimento.
Il titolo consta di quattro articoli e si apre all'art. 317, a sua volta rubricato, con una intitolazione che fa comprendere la scelta di campo operata "Principio di prevalenza delle misure cautelari e tutela dei terzi".
Detta norma si preoccupa di precisare che le condizioni e i criteri di prevalenza delle misure cautelari reali sulle cose oggetto del generale spossessamento conseguente all’apertura della liquidazione giudiziale (ex art. 142 CCII) sono regolate dalle disposizioni del codice antimafia, con eccezione di quanto previsto ai successivi artt. 318, 319 e 320 CCII.
Al secondo comma l’art. 317 si premura di specificare che le misure reali di cui intende sono i sequestri delle cose di cui è consentita la confisca ex art. art. 321, comma 2, c.p.p., e vedono la propria attuazione disciplinata dall'art. 104 bis disp. att. c.p.p., anch'esso novellato.
Appare che effettivamente il legislatore abbia adottato un sistema normativo fondato su una regola rappresentata dalla prevalenza delle misure cautelari reali rispetto alla gestione concorsuale, su cose di cui è consentita la confisca, sia essa obbligatoria, sia essa facoltativa [10], con la conseguente applicazione del combinato disposto degli artt. 63 e 64 D.Lgs. n. 159/2011 e, quindi della esclusione o separazione di beni dalla liquidazione giudiziale la quale, se già aperta, sarebbe destinata a chiudersi ove non ne residuino altri[11].
Dall’altro, che lo stesso legislatore abbia previsto eccezioni a tale regola negli artt. 318 e 319 CCII, ove ha stabilito la recessività del sequestro impeditivo (321, comma 1, c.p.p.) e, in modo ancor più radicale, di quello conservativo (art. 316 c.p.p. e 54 D.Lgs. n. 231/2001), siano essi antecedenti o successivi all’apertura della liquidazione giudiziale, per la loro omogeneità funzionale con la procedura stessa.
Prima di addentarsi a verificare più nello specifico l’ambito di operatività della norma nonché le condizioni cui soggiace la prevalenza delle misure ablatorie penali sull’acquisizione all’attivo della liquidazione giudiziale dei beni riferibili  al soggetto sottoposto alla procedura concorsuale, non può non rimarcarsi l’affermazione contenuta nella Relazione illustrativa al cci, laddove ha evidenziato che "a fronte dell'esistenza [...] di un doppio binario di tutela nella ricorrenza di ipotesi di concorso sui medesimi beni di procedimenti penali e procedure concorsuali [...] si è inteso il coordinamento" con il codice antimafia richiesto dalla legge delega "nel senso di disciplinare in maniera uniforme ogni sequestro penale destinato a sfociare in un provvedimento di confisca, e ciò mediante rinvio al titolo IV del più volte citato decreto legislativo n. 159/2011 contenuto nell'art. 104-bis delle norme di attuazione del codice di procedura penale per tutto ciò che attiene alla tutela dei terzi e dei rapporti del sequestro con la procedura di liquidazione giudiziaria".
In altre parole, la scelta del legislatore della riforma concorsuale è caduta nel senso di introdurre disposizioni di coordinamento per l’ipotesi di beni assoggettati contemporaneamente alle cautele penali ed all’apprensione operata dagli organi della liquidazione giudiziale, mediante il postulato assoggettamento di ogni sequestro penale destinato alla confisca alla disciplina del codice antimafia sia quanto alla tutela delle ragioni dei terzi, che ai rapporti tra le misure penali e civili interferenti.
Ebbene, un primo dato che emerge dall’art. 317 è che esso rinvia alla norma del codice di procedura penale che si riferisce al "sequestro delle cose di cui è consentita la confisca", costruendo quindi un sistema in cui, ricorrendo le condizioni, la prevalenza della misura penale sussiste a prescindere dalla obbligatorietà o facoltatività della misura ablatoria[12].
Occorre allora chiedersi se effettivamente si è di fronte ad una disciplina che riguardi ogni sequestro finalizzato alla confisca, ovvero se sussistano deroghe alla indicata regolamentazione quanto al suo ambito di applicazione.
Si è sostenuto al riguardo che la portata dell’art. 317 sia totalizzante, in virtù del richiamo contenuto all'art. 104 bis, d.a. c.p.p., così da far ricadere nell’alveo della norma sia la confisca ex art. 240 c.p. che le altre forme di confisca obbligatoria del prezzo o del profitto del reato, ovvero per equivalente (da quella prevista e disciplinata dall'art. 322 ter c.p. a quella prevista e disciplinata dall'art. 19, D.Lgs. n. 231 del 2001), oltre che i sequestri alle stesse finalizzati[13].
Tuttavia non può tacersi come di recente la giurisprudenza di legittimità abbia sostenuto che l'art. 104 bis comma 1 quater disp. att. cod. proc. pen. non sia applicabile al sequestro preventivo finalizzato alla confisca del profitto ai sensi dell'art. 12 bis del D.Lgs. 10 marzo 2000 n. 74, in quanto essa estende le disposizioni in materia di amministrazione e destinazione dei beni sequestrati e  confiscati, nonchè quelle in materia di tutela dei terzi e di esecuzione del sequestro previste dal D.Lgs. 6 settembre 2011 n. 159 (codice antimafia), ai soli casi di sequestro e confisca previsti dall'art. 240 bis cod. pen. e dalle altre disposizioni, nelle quali il predetto art. 12 bis non rientra, che a tale articolo rinviano, nonché agli altri casi di sequestro e confisca di beni nei procedimenti relativi ai delitti di cui all'art. 51, comma 3-bis, cod. proc. pen.
Ritiene viceversa altra dottrina che, in ragione delle modifiche introdotte dall’art. 373 CCII al comma 1 quater dell’art. 104 bis disp. att. c.p.p. – richiamato dall’art. 317, comma 2, cit. - la disciplina a tutela dei terzi risulta sia stata completamente armonizzata e, quindi, estesa non più ai soli casi particolari di cui all’art. 240 bis c.p. e a quelli che ad essa rinviano ovvero ai provvedimenti assunti nell’ambito dei procedimenti relativi ai delitti di cui all’art. 51 comma 3 bis c.p.p. ma, più in generale, al sequestro funzionale ad ogni tipologia di confisca (diretta, per equivalente o allargata), ovunque prevista e a prescindere da richiami ad hoc, fatti comunque salvi i diritti della persona offesa dal reato alle restituzioni e al risarcimento del danno[14] .
Tale quadro ora va rivisto in ragione della natura totalizzante della portata dell’art. 317 del codice della crisi, come affermato dalle Sezione Unite esaminata al paragrafo 1).[15] 
3a . Il sequestro ai fini della confisca
Nell’ipotesi di sequestro delle cose di cui è consentita la confisca l’art. 317 CCII stabilisce, quindi, il principio di prevalenza delle misure cautelari reali, tuttavia con il limite inderogabile della tutela dei terzi.
La prevalenza della misura cautelare si realizza con l’apprensione in sede penale delle cose indicate dall'art. 142 CCII, ovvero dei beni del debitore alla data di apertura di apertura della liquidazione giudiziale, nonché quelli che pervengono  al medesimo durante la procedura, dedotte le passività incontrate per l'acquisto e la conservazione degli stessi.
In virtù del rinvio alla normativa del codice antimafia, la gestione di tali beni viene regolata dalle norme relative contenute del Libro I, titolo IV codice antimafia(La tutela dei terzi e i rapporti con le procedure concorsuali).
Più segnatamente, dagli artt. 52-65, laddove l'art. 104 bis disp. att. c.p.p. - novellato dall'art. 373 CCII e nel testo in vigore dal 15 luglio 2022 - disciplina le modalità per la fattispecie in cui il sequestro preventivo abbia per oggetto aziende, società ovvero beni di cui sia necessario assicurare l'amministrazione.
In ogni caso, tale formulazione dell'art. 104 bis disp. att. cit (salvo quanto appresso si dirà per effetto delle modifiche addotte dalla Riforma Cartabia) determina che il rinvio alle norme del libro I, titolo III del codice antimafia riguarda solo le disposizioni che attengono alla nomina e revoca dell'amministratore, ai compiti e agli obblighi dello stesso nonché alla gestione dei beni, mentre quelle in materia di Agenzia dei beni confiscati sono ritenute "estranee" ai sequestri penali.
La dottrina ha evidenziato il carattere innovativo della rubrica dell’'art. 317 CCII ove si riferisce alla tutela dei terzi, laddove in tal modo ha consacrato normativamente e per la prima volta che nella materia del sequestro e della confisca del prezzo o profitto del reato, o per equivalente la necessitò di garantire i diritti di credito dei terzi, cosa prima prevista solo in sede di interpretazione giurisprudenziale[16].
La tutela dei terzi in buona fede era stata del resto affermata dalla Corte Costituzionale[17] che aveva nel contempo identificato quali obiettivi del codice antimafia: 1) escludere dalla tutela i crediti scaturiti da prestazioni connesse all'attività illecita o a quella di reimpiego dei suoi proventi (requisito della non strumentalità del credito rispetto a quest'ultima, salva la dimostrazione dell'incolpevole ignoranza di tale nesso da parte del creditore); 2) evitare che il proposto possa eludere gli effetti della confisca precostituendo delle posizioni creditorie di comodo o simulandone a posteriori l'esistenza (requisiti della 'non astrattezza' del credito e della sua sicura anteriorità rispetto al sequestro); 3) impedire che la persona sottoposta al procedimento di prevenzione possa comunque giovarsi dei proventi delle attività illecite per 'liberare' dai debiti il  restante patrimonio personale (requisito della preventiva infruttuosa escussione degli altri beni del proposto)[18].
Ciò posto, quanto al coordinamento delle disposizioni della legislazione penale e di quella contenuta nel codice della crisi, va rilevato che gli artt. 63 e 64 del codice antimafia, norme cui rinvia l’art. 317 CCII – come premesso per tutte le ipotesi di sequestro preventivo per cui è consentita la confisca - disciplinano i casi di adozione della misura di prevenzione, successiva o precedente all'apertura del fallimento (rectius liquidazione giudiziale).
L'art. 63 riguarda il caso in cui la liquidazione giudiziale sia dichiarata dopo l'adozione della misura di prevenzione patrimoniale (sequestro e confisca) e stabilisce che i beni assoggettati a quest'ultima siano esclusi dalla massa fallimentare.
Essa attiene sia i casi in cui nella massa attiva del fallimento siano ricompresi esclusivamente beni già oggetto della misura cautelare penale, che l’ipotesi in cui in cui residuino nella massa attiva beni non sottoposti alla medesima.
Nel primo caso, l'art. 63, comma 6, dispone per l'effetto la chiusura del fallimento (ora liquidazione giudiziale) ai sensi dell'art. 235 CCII (art. 119 L. fall.), previa audizione del curatore e del comitato dei creditori.
Nel secondo caso, i beni non sottoposti a sequestro rimarranno nella disponibilità della procedura fallimentare.
Il curatore procederà alla relativa acquisizione e spetterà al giudice della procedura l'accertamento dei crediti (art. 63, comma 5) secondo quanto previsto dagli artt. 200 e ss. del CCII.
Tuttavia il giudice delegato dovrà verificare in tale contesto la ricorrenza delle ulteriori condizioni disciplinate dall'art. 52, comma 1, lett. a), b) e c) e c. 3, del codice antimafia[19].
In caso di revoca del sequestro o della confisca, il curatore procederà all'acquisizione di quei beni e il giudice delegato alla procedura concorsuale provvederà alla verifica anche dei crediti e dei diritti già esaminati in sede di prevenzione, i quali non potranno certamente essere considerati tardivi.
Se la revoca interviene dopo la chiusura del fallimento, si procederà alla riapertura, anche su iniziativa del Pubblico Ministero ai sensi e per gli effetti  dell'art. 237 CCII (art. 121 L. fall.); il termine quinquennale per la riapertura della procedura dovrà computarsi dal decreto di chiusura.
Norma di particolare rilievo è quella contenuta al comma 8 dell’art. 63, ove è previsto che l'amministratore giudiziario possa proporre le azioni revocatorie avverso gli atti pregiudizievoli ai creditori siano relative ad atti, pagamenti o garanzie concernenti i beni oggetto di sequestro.
La previsione si può spiegare in ragione dell’attitudine di quel rimedio a ricostruire il patrimonio, mediante pronunzie che dichiarino l’inefficacia e l’insensibilità relativa del compendio rispetto ad atti dispositivi che lo abbiano intaccato.
D’altra parte appare di difficile comprensione la mancata espressa previsione, in tale ambito, della legittimazione dell’amministratore giudiziario – soprattutto ove la misura attenga a partecipazioni societarie – all’esercizio delle azioni di responsabilità nei confronti degli organi di amministrazione e controllo delle società delle cui quote v’è sequestro (la cd. azione sociale). Peraltro il comma otto bis dell’art. 63 prevede poi la facoltà, in caso di sequestro di beni aziendali e produttivi o partecipazioni societarie di maggioranza, di presentare al tribunale territorialmente competente, prima che intervenga la confisca definitiva, domanda per l'ammissione al concordato preventivo o di omologazione di ristrutturazione dei debiti o un piano attestato idoneo a consentire il risanamento del debito.
L'amministratore giudiziario potrà, altresì, depositare sulla scorta del codice della crisi sia un piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione disciplinato dall'art. 64 bis CCII che, per le imprese "sotto soglia", il concordato minore ex artt. 74 e ss. CCII.
Sebbene non sia questa la sede, se non per fare un mero accenno alla tematica, queste ultime, di disposizioni invero non paiono tenere conto della competenza esclusiva dell’amministratore della società alla presentazione di una domanda di accesso ad uno degli strumenti di regolamentazione della crisi, così come previsto dall’art. 120 bis CCII.
L'art. 64 CAM disciplina, invece, il caso di sequestro di beni compresi in una procedura di fallimento (liquidazione giudiziale) già aperta.
Se il sequestro o la confisca di prevenzione hanno per oggetto l'intera massa attiva oggetto della liquidazione giudiziale o, nel caso di società di persone, l'intero patrimonio dei soci illimitatamente responsabili, il tribunale, sentiti il curatore ed il comitato dei creditori, dispone la chiusura della liquidazione giudiziale con decreto ex art. 235 CCII (art. 119 L. fall.).
Se invece risultano solo alcuni beni sottoposti a sequestro, la verifica dei crediti e dei rapporti relativi a questi, già verificati dal giudice fallimentare, saranno ulteriormente accertati dal giudice delegato alla procedura di prevenzione in ottemperanza agli artt. 52 e ss. del codice antimafia.
Sempre il medesimo art. 64, comma 4, precisa che ove pendano giudizi di impugnazione avverso il giudizio di liquidazione giudiziale, gli stessi dovranno essere sospesi, in attesa degli esiti del procedimento di prevenzione e solo se viene revocato il sequestro le parti potranno riassumere il giudizio.
Alle ripartizioni dell'attivo fallimentare concorrono soltanto i creditori ammessi al passivo, ai sensi dell'art. 64, comma 6, e quindi soltanto i creditori nei cui confronti sia stata accertata la sussistenza delle condizioni di cui al citato art. 52, comma 1 e 3 già esaminato, con esclusione quindi di quei creditori che, pur insinuati al passivo, non hanno superato il vaglio dell'accertamento rafforzato previsto dalla disciplina antimafia.
La ragione nella circostanza che in tal modo essi non possono essere considerati meritevoli di tutela in presenza di un possibile coinvolgimento nelle attività illecite del debitore o comunque non versanti in una situazione di buona fede nei rapporti con quest'ultimo[20].
L'accertamento e la verifica operata dal giudice delegato nel fallimento producono i loro effetti nella procedura ablativa, ex art. 64, comma 6, codice antimafia, giacché i creditori ammessi al passivo sono soddisfatti sui beni oggetto della confisca, secondo il piano di pagamenti previsto dall'art. 61, nel rispetto, in ogni caso, dei limiti previsti dall'art. 53.
E’ in particolare previsto un limite alla liquidazione a favore del terzo, atteso che i crediti per titolo anteriore al sequestro e debitamente accertati sono soddisfatti dallo Stato nel limite del 60% del valore dei beni confiscati, risultante dal valore di stima o dalla minor somma eventualmente ricavata dalla vendita degli stessi, al netto delle spese del procedimento di confisca nonché di amministrazione dei beni e di quelle sostenute nel procedimento di cui agli artt. 57 e ss..
Sì è ritenuto che la ratio della norma riposi sulla esigenza di assicurare allo Stato, all'esito del procedimento di confisca, un saldo positivo netto ed evitare quindi che la procedura abbia finito per soddisfare esclusivamente i creditori del preposto[21]. 
3b . Il sequestro impeditivo
Nelle ipotesi in cui il sequestro non sia finalizzato alla confisca, la scelta del legislatore è stata nel senso che esso non potrà riguardate i beni concorsuali, difettando ragioni tali da ritenerne la prevalenza.
La Relazione Illustrativa alla legge delegata ha chiarito al riguardo che, una volta interrotto il rapporto con l'utilizzatore del bene, indagato o imputato che sia, per effetto dell'intervenuta apertura della procedura di liquidazione, non vi siano ragioni per escludere che il bene possa essere utilizzato per il soddisfacimento delle pretese dei credito, a meno che non si tratti di cose in sé illecite e salva  l'ipotesi che queste ultime possano circolare a seguito di regolarizzazione ammnistrativa.
L'art. 318 CCII stabilisce, infatti, nel caso di sequestro preventivo cd impeditivo, il criterio inverso, ovvero quello della prevalenza della procedura di liquidazione giudiziale.
Ai sensi del comma terzo, il curatore avrà l'onere di comunicare all'autorità giudiziaria che aveva disposto o richiesto il sequestro, la dichiarazione dello stato di insolvenza e di apertura della procedura della liquidazione giudiziale, il provvedimento di revoca o chiusura della liquidazione giudiziale e l'elenco delle cose non liquidate e già sottoposte a sequestro. Egli provvederà altresì alla cancellazione delle iscrizioni e trascrizioni decorsi novanta giorni dalla detta comunicazione.
Si comprende che attraverso questo sistema, in ipotesi in cui la procedura concorsuale abbia avuto la sua fine (per revoca o chiusura) senza che si sia proceduto alla liquidazione dei beni oggetto dell'originario sequestro, il sequestro preventivo riprenderà vigore, onde evitare che essi tornino in possesso del soggetto al quale sono stati sequestrati e le esigenze che avevano determinato la iniziale misura penale non siano compromesse, non sussistendo e/o permanendo esigendo di contemperamento con quelle della tutela del ceto creditorio. 
3c . Il sequestro conservativo ex art. 319 CCII
Anche per l’ipotesi del sequestro penale conservativo, vige il principio della intangibilità dell’acquisizione dei beni in sede concorsuale.
L’opzione configura ossequio al dettato dall'art. 150 CCII che vieta ogni tipo di azione cautelare o esecutiva sul patrimonio del debitore soggetto alla liquidazione giudiziale, dovendo la procedura provvedere in via esclusiva alla relativa liquidazione al fine di distribuirne il ricavato nel rispetto dell principio della par condicio creditorum.
Più segnatamente, il secondo comma dell’art. 319 CCII prevede che ove sia stato disposto il sequestro conservativo ex art. 316 c.p.p.., a richiesta del curatore il giudice penale lo revoca e restituisce alla procedura i beni.
In ragione di quanto sinora rappresentato, occorre dire che la scelta del legislatore nel regolamentare l’interferenza fra misure cautelari reali e gestione concorsuale, sembra ispirata – quanto ai casi del sequestro impeditivo e del sequestro conservativo – ad un criterio di prevalenza "a canone inverso" rispetto a quello previsto per i sequestri finalizzati alla confisca.
La ratio è stata rinvenuta – quanto al sequestro impeditivo – nella individuazione della la liquidazione giudiziale quale elemento idoneo a scongiurare il periculum in mora della cautela; ovvero, che lo spossessamento delle cose pertinenti al reato, intervenuto in un settore alieno alla giurisdizione penale, sia comunque in grado di evitare l'aggravamento del reato, di limitarne le ulteriori conseguenze e sfavorire la commissione di altri illeciti (art. 321, comma 1, c.p.p.).
Viene, così, a profilarsi un'accidentale convergenza fra le finalità della procedura concorsuale e le finalità di prevenzione tipiche della cautela reale, le cui esigenze vengono, per così dire, assorbite in via indiretta da un vincolo di altra natura.
4 . Legittimazione del curatore all'impugnazione dei provvedimenti di sequestro ex art. 320 CCII
L’art. 320 CCII prevede espressamente la legittimazione del curatore della liquidazione giudiziale alla richiesta di riesame e appello avverso il decreto di sequestro e le ordinanze in materia di sequestro, nei casi, nei termini e con le modalità previsti dal codice di procedura penale. Nei predetti termini e modalità, altresì, il curatore è legittimato a proporre ricorso per cassazione. L’opzione è stata assunta dopo un lungo dibattito sul tema, fondato soprattutto sulla circostanza per cui il curatore non essendo titolare di alcun diritto sui beni sarebbe stato sprovvisto della capacità di agire in rappresentanza dei creditori.
Va detto che la giurisprudenza aveva già riconosciuto la legittimazione del curatore ad impugnare il sequestro preventivo adottato in funzione della confisca per equivalente del profitto dei reati tributari, ove il vincolo penale avesse avuto riguardo a somme giacenti sul conto corrente della procedura concorsuale e derivanti dall'attività di gestione degli organi fallimentari, sul presupposto del riconoscimento al curatore di una soggettività giuridica nelle vicende cautelari penali, quale titolare "gestionale" della proprietà e dei beni della massa fallimentare e tutore attivo degli interessi della procedura concorsuale dei creditori.
Più precisamente la Corte aveva affermato che il curatore fallimentare è in astratto legittimato a impugnare, con ricorso ex artt. 322 e 322 bis c.p.p., il provvedimento di sequestro preventivo finalizzato alla confisca (per equivalente) del profitto del reato ed avente ad oggetto somme di denaro depositate sul conto corrente bancario intestato alla procedura concorsuale aperta in epoca antecedente all'adozione del vincolo cautelare penale.
Tuttavia, che spettava al giudice apprezzare nel singolo caso concreto il diritto e l'interesse del curatore all'impugnativa della misura cautelare reale, avuto riguardo alla specialità sia delle norme fallimentari che della normativa penale di riferimento e formulando, di volta in volta, un giudizio di bilanciamento tra i contrapposti interessi parametrato anche sull'applicazione del principio di prevenzione temporale tra misura cautelare penale e dichiarazione di fallimento.[22]
Tale orientamento veniva successivamente confermato da altra decisione secondo la quale il curatore fallimentare è soggetto cui spetta la restituzione delle cose come effetto del dissequestro e, per tale motivo, titolare dell'interesse ad impugnare.[23] 
Nel contesto la Suprema Corte ricordava che, secondo il suo costante avviso, la legittimazione astratta alla proposizione del riesame reale era attribuita dall'art. 322 c.p.p. all'imputato o indagato, alla persona alla quale le cose sono state sequestrate ed a quella avente diritto alla loro restituzione.
Inoltre che – in aggiunta alla legittimazione - doveva sussistere l'interesse all'impugnazione, previsto dalle norme di carattere generale poste nel libro 9^ sulle impugnazioni, e nel Titolo I sulle "disposizioni generali", quale equisito generale per tutte le impugnazioni, anche cautelari.
La Corte poi specificava come l'interesse concreto ed attuale alla proposizione del riesame reale, dovendo corrispondere al risultato tipizzato dall'ordinamento per lo specifico schema procedimentale, andasse individuato in quello alla restituzione della cosa come effetto del dissequestro.
In base a tale ricostruzione, essa concludeva per la sussistenza dei presupposti all’attivazione del rimedio per il diritto del curatore ad ottenere la restituzione di quanto da liquidare in funzione della soddisfazione dei creditori.
Successivamente veniva rimessa alle Sezioni Unite la questione se il curatore fallimentare fosse legittimato a chiedere la revoca del sequestro preventivo a fini di confisca e ad impugnare i provvedimenti in materia cautelare reale quando il vincolo penale fosse stato disposto prima della dichiarazione di fallimento[24].
L'ordinanza sollecitava la revisione di un'affermazione di principio formulata da una precedente pronuncia delle Sezioni Unite nel senso della mancanza di legittimazione del curatore fallimentare a proporre impugnazione avverso il provvedimento di sequestro preventivo funzionale alla confisca dei beni della società fallita.
Le Sezioni Unite hanno risposto favorevolmente e riconosciuto la legittimazione del curatore, alle impugnazioni riguardanti i beni sequestrati, in quanto derivante dalla sua posizione di soggetto avente diritto alla restituzione degli stessi, investe necessariamente la totalità dei beni facenti parte dell'attivo fallimentare[25].
Ad avviso della Corte, ciò corrisponde peraltro al dato normativo rinvenibile nell'art. 42 della legge fallimentare per il quale la dichiarazione di fallimento conferisce alla curatela la disponibilità di tutti i beni di quest'ultimo esistenti alla data del fallimento e quindi anche di quelli già sottoposti a sequestro.
Secondo i Supremi Giudici non può pertanto essere impedito al curatore di far valere le ragioni della procedura fallimentare con riguardo a tali beni, essi pure facenti parte dell'attivo fallimentare entrato nella disponibilità della curatela, avverso il vincolo apposto sugli stessi.
Il curatore fallimentare, in definitiva, è stato riconosciuto legittimato a richiedere la revoca del sequestro preventivo a fini della confisca e ad impugnare i provvedimenti in materia cautelare reale a prescindere dal fatto che il vincolo sia stato disposto anteriormente o successivamente alla dichiarazione del fallimento.
Ebbene è stato ritenuto che la scelta del nuovo codice - prevedendo espressamente tale legittimazione in capo al curatore - è stata dettata proprio dall’esigenza di evitare che un sequestro illegittimo pregiudichi le finalità della liquidazione giudiziale, nonché la parità di trattamento dei creditori.[26]
In altri termini che, al di là della vista recessività del sequestro impeditivo e conservativo rispetto alla liquidazione giudiziale che consente al curatore di agire per la rimozione di atti pregiudizievoli ai fini della reintegrazione del patrimonio, un suo concreto interesse ad impugnare sussiste anche rispetto ai provvedimenti di sequestro preventivo ogniqualvolta si tratti di contestare i presupposti per la confisca (con riguardo, ad esempio, all'identificazione del profitto del reato) in mancanza dei quali, pur in attuazione del principio di prevalenza di cui all'art. 317 CCII, non sarebbe comunque possibile escludere o separare il bene dalla gestione concorsuale come disposto dagli artt. 63, comma 4 e 64, comma 1 codice antimafia[27].
5 . La scelta di rinvio del codice della crisi alla disciplina del codice antimafia
 Il Legislatore del codice della crisi ha quindi scelto il "codice antimafia" quale modello di risoluzione delle interferenze tra misura cautelare reale penale e liquidazione giudiziale.
Come copiosamente e diffusamente sostenuto, la disciplina delle misure di prevenzione si caratterizza per una forma espropriativa nei confronti di soggetti ( il c.d. "prevenuto" ) che non ne giustifichino la legittima provenienza riguardando beni di cui il predetto , anche per interposta persona fisica o giuridica, indiziato di reato, abbia la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al reddito o all'attività economica, nonché beni che si palesino frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego.
Espropriazione che prescinde da una condanna penale intervenuta e che si pone in contrapposizione con i terzi che vantino diritti su tali beni.
I creditori ricevono tutela, quand'anche provvisti di garanzie reali, solo qualora esibiscano diritti consacrati in atti di data certa anteriori al sequestro preordinato e provino, ad un tempo, la propria buona fede e l'inconsapevole affidamento[28]. 
Pertanto la tutela di quei terzi incolpevoli appare chiaramente in secondo piano rispetto all'esigenza espropriativa, tanto che anche il trattamento dei creditori ipotecari avrà luogo esclusivamente nel procedimento innanzi al tribunale di prevenzione, secondo le regole specifiche ivi dettate.
In altri termini, in base all'art. 52 del codice antimafia, per la tutela delle proprie ragioni al creditore non basterà l'anteriorità del diritto rispetto al sequestro preordinato alla confisca e la non strumentalità del credito all'attività illecita, essendo suo onere dimostrare la buona fede e l'incolpevole affidamento. Con tutte le difficoltà della prova da rendere in proposito, e quella ulteriore di cogliere in cosa consista la differenza tra buona fede e incolpevole affidamento.
D’altro canto, si è sostenuto come pure sia difficilmente comprensibile il dato della "forfettizzazione" del soddisfacimento previsto dal codice antimafia per i creditori, nei limiti del sessanta per cento del valore dei beni confiscati.
Ulteriormente criticato l’approccio che attribuisce superiorità quasi incondizionata al sequestro finalizzato alla confisca, laddove il legislatore conferisce all'autorità penale il potere di attingere un patrimonio quando il soggetto che lo possedeva, non lo possiede più[29].
Ed invero è noto come la liquidazione concorsuale sottragga alla società ogni potere sul proprio patrimonio.
Con la procedura si realizza u una divisione tra titolarità formale della proprietà in capo al fallito e titolarità sostanziale del diritto rimessa al monopolio del curatore.
Con l’art. 128 CCII si assegna al predetto l'amministrazione del patrimonio, nel contempo onerandolo di tutte le operazioni della procedura sotto la vigilanza specifica (non del debitore, ma) del giudice delegato e del comitato dei creditori. 
Esiste cioè una discontinuità tra ente nel cui interesse il reato è commesso e curatela (cui spetta la legittimazione attiva e passiva dei rapporti facenti capo alla società decotta, in sostituzione degli organi sociali), con la conseguenza che rende difficilmente condivisibile che sul ceto creditorio estraneo all'illecito ricadano gli effetti del carico delle misure ablatorie.
D’altra parte, la massa attiva da rimettere all’autorità penale potrebbe essere frutto di attività svolte dalla curatela, quale prodotto di azioni revocatorie o di responsabilità, con l’evidente diversa consistenza e connotazione rispetto a quella originaria riferibile all’illecito prospettato.
La tenuta del sistema dipenderà, quindi, in molta parte dall’atteggiamento del curatoee, legittimato ad impugnare tutte le misure reali, sino a poterne chiedere la revoca sul presupposto della ritenuta mancanza di presupposti per ablare il bene o per sequestrarlo.
Inoltre, passerà dalla corretta individuazione del profitto da sottoporre a misura (per la confisca per equivalente), atteso nella giurisprudenza di legittimità si è affacciata una nozione più estesa comprensiva delle trasformazioni che il denaro illecitamente conseguito subisce per effetto del suo investimento, qualora causalmente ricollegabili al reato e soggettivamente attribuibili al suo autore. In altre parole, l'equivalenza tra valore sottratto e il quantum prodotto dal reato è essenziale per adeguare il rimedio ablatorio al principio di responsabilità per fatto proprio e in ogni caso oggetto della sottrazione dovrebbe essere solo l'utilità effettivamente conseguita. 
6 . La novella all’art. 104 bis: la riforma Cartabia
Su tutto quanto prospettato e sul richiamato stato dell’arte ha inciso ulteriormente la modifica dell’art. 104 bis disp. att. c.p.p., introdotta dalla riforma Cartabia (D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150). L’art. 104 bis, primo comma, prevedeva che nel caso in cui il sequestro preventivo avesse per oggetto aziende, società ovvero beni di cui fosse necessario assicurare l'amministrazione, l’autorità giudiziaria dovesse nominare un amministratore giudiziario scelto nell’albo degli amministratori giudiziari previsto dall’art. 35 del codice antimafia.
Ora la norma viene modificata sostituendo l’espressione “Nel caso in cui …” con la più ampia formula “In tutti i casi..”, con la conseguenza che l’apertura della liquidazione giudiziale non può comportare che i beni oggetto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca siano amministrati dal curatore, dovendo tale incarico essere affidato all’amministratore giudiziario appositamente nominato.
Poiché il primo comma dell’art. 104 bis prevede che l’amministratore giudiziario è nominato dall’autorità giudiziaria che dispone il sequestro preventivo o la confisca di aziende, società o finanche beni di cui è necessario assicurare l’amministrazione, e poiché da tale nomina discende l’applicazione delle disposizioni dei titoli III e IV del libro I del codice antimafia, in tutti i casi in cui  vi è un’impresa da gestire ( e la liquidazione giudiziale per definizione non può che riguardare un imprenditore) la gestione spetterà in definitiva all’amministratore giudiziario e non al curatore.
Ai sensi dell’articolo 104, comma 1, ter i compiti del giudice delegato alla procedura ai sensi dell’articolo 35 del Codice Antimafia verranno svolti nel corso di tutto il procedimento dal giudice che ha emesso il decreto di sequestro, ovvero, nel caso di provvedimento emesso da organo collegiale, al giudice delegato nominato ai sensi di tale disposizione.
Infine in caso di sequestro finalizzato alla confisca allargata o per i reati di cui all’articolo 51, comma 3 bis, c.p.p., troveranno applicazione anche le norme del codice antimafia in materia di amministrazione, destinazione dei beni sequestrati e confiscati, con la previsione dell’intervento dell’Agenzia nazionale per i beni confiscati chiamata a coadiuvare l’Autorità Giudiziaria sino alla confisca di secondo grado.
Altra novità importante ha riguardato l’inserimento della confisca tra i provvedimenti che, ai sensi del nuovo testo dell’articolo 104 bis disp. att. c.p.p., impongono la nomina dell’amministratore giudiziario.
Ove la confisca venga disposta dal Giudice in assenza di un preventivo provvedimento di sequestro, essa non è immediatamente esecutiva, di tal che non si configurerebbe la necessità di nominare un amministratore giudiziario.
L’inserimento del termine confisca al primo comma dell’articolo 104 bis att. c.p.p. dovrebbe portare quindi all’amministrazione giudiziaria dei beni confiscati sotto la direzione del giudice dell’esecuzione dal momento in cui il provvedimento ablativo diventa definitivo sino alla vendita dei cespiti ex art. 86, comma 1, disp. att. c.p.p.
L’articolo 104 bis, comma 1, quinquies c.p.p. ha poi previsto l’obbligo di citazione nel processo di cognizione dei terzi titolari di diritti reali o di godimento sui beni in sequestro di cui l’imputato abbia la disponibilità a qualunque titolo, a garanzia delle relative prerogative.
Si tratta non solo del proprietario o del titolare di un diritto reale o di godimento sulla res, ma anche di coloro i quali vantino un titolo , sia pure derivante da un rapporto obbligatorio, idoneo a conseguire il possesso o la detenzione del bene legittimandone quindi il diritto alla restituzione.
Come indicato in precedenza, nei casi di sequestro finalizzato alla confisca o di confisca l'articolo 104 bis disp. att. c.p.p. prevede che colui il quale intenda far valere il proprio credito deve necessariamente partecipare al procedimento disciplinato dal codice Antimafia, esaminato in dettaglio nei paragrafi precedenti.
Per ultimo va fatta menzione all’introduzione del comma 1 bis nel corpo dell’articolo 86 disp.att. c.p.p.
Ai sensi della nuova disposizione, qualora sia disposta confisca per equivalente di beni non sottoposti a sequestro o, comunque, non specificamente individuati nel provvedimento che dispone la confisca, l’esecuzione si svolgerà con le modalità previste per l’esecuzione delle pene pecuniarie, ferma restando la possibilità per il PM di dare esecuzione al provvedimento su beni individuati successivamente al provvedimento ablativo.

Note:

[1] 
Cass. civ. Sez. I, 12/01/2017, n. 608 secondo cui “Le due procedure del sequestro preventivo antimafia e del fallimento si fondano su presupposti differenti, tra cui - quanto al fallimento - l'insolvenza, i requisiti soggettivi temporalmente determinati, la non cessazione dell'attività: tutte circostanze il cui accertamento non è ripetibile in epoche diverse, risultando pertanto irrazionale una posticipazione della tutela dei creditori a fronte di un interesse pubblico (tutelato dal sequestro in questione) che può nel frattempo divenire recessivo”; in precedenza sull’insussistenza di situazioni di interferenza tra le procedure in base alla disciplina antimafia previgente ed alla individuazione dell’estensione dell’oggetto della misura penale, si cfr. Cass. civ. Sez. I Sent., 24/05/2012, n. 8238 , per cui “In tema di fallimento della società di capitali, la confisca del "capitale sociale", disposta ai sensi dell'art. 2 ter della legge n. 575 del 1965, deve intendersi riferita alle quote di partecipazione dell'indiziato di mafia, non al patrimonio sociale, cosicché essa non interferisce con la dichiarazione di fallimento della società; neppure rileva, agli effetti della dichiarazione di fallimento della società, che il creditore sociale non dimostri la propria buona fede nell'acquisto del titolo sui beni aziendali, in quanto tale stato soggettivo incide esclusivamente sui conflitti interni alla procedura di confisca, mentre i beni aziendali non sono colpiti in modo diretto da questa, al pari della società in sé considerata." (in Fallimento, 2012, 12, 1427 nota di Signorelli, Sito Ilcaso.it, 2013 Fallimento, 2013, 2, 237.
[2] 
Cass. Pen., SS.UU., 24 maggio 2004, n. 29951, commentata da F. Massari, Note minime in materia di sequestro probatorio sui beni del fallito, in Giur. it., 2005, 1507 e da F.M. Iacoviello, Fallimento e sequestri penali, in questa Il Fall., 2005, 1265.; Fall. in proc. Focarelli, in Mass. Uff., n. 228165 (spec. par. 4.2.a e 4.2.b della motivazione) pubblicata, altresì, in Arch. N. Proc. Pen., 2004, 5, 511; Cass. pen., 2004, 10, 3087; Diritto e Giustizia, 2004, 34, 80, con nota di G. Fumu, Gli effetti del fallimento sul sequestro penale; Riv. dir. proc., 2004, 40, 7355, in Il Fallimento e le altre procedure concorsuali, 2005, 11, 1265, con nota di F.M. Iacoviello, Fallimento e sequestri penali; Giust. pen., 2005, II, 65; Giur. it., 2005, 7, 1507, con nota di F. Massari, Note minime in materiali sequestro probatorio sui beni del fallito.
[3] 
Cass. Pen., SS.UU., 15 marzo 2015, n. 11170, commentata da M. Bontempelli, Sequestro preventivo a carico della società fallita, tutela dei creditori di buona fede e prerogative del curatore, in Arch. pen., 3/2015, spec. pag. 2.
[4] 
Cass. pen. Sez. Unite, 13/11/2019, n. 45936.
[5] 
Cass. pen., sez, III, Ordinanza, 22 febbraio 2022 (ud. 29 novembre 2022), n. 7633 Presidente Sarno, Relatore Gentili In tema di reati tributari, sequestro preventivo e fallimento, segnaliamo l’ordinanza con cui la terza sezione penale ha rimesso alle Sezioni Unite la seguente questione di diritto: “se, in caso di fallimento dichiarato anteriormente alla adozione del provvedimento cautelare di sequestro preventivo, emesso nel corso di un procedimento penale relativo alla commissione di reati tributari, avente ad oggetto beni attratti alla massa fallimentare, l’avvenuto spossessamento del debitore erariale, indagato o, comunque, soggetto inciso dal provvedimento cautelare, per effetto della apertura della procedura concorsuale operi o meno quale causa ostativa alla operatività del sequestro ai sensi dell’art. 12-bis, comma 1, del d. lgs. n. 74 del 2000, secondo il quale la confisca e, conseguentemente il sequestro finalizzato ad essa, non opera nel caso di beni, pur costituenti il profitto o il prezzo del reato, se questi appartengono a persona estranea al reato“.
[6] 
 Corte di cassazione, Sezione III penale, 1 febbraio 2022, n. 3575). 
[7] 
Cass. SS.UU. , Sez. Un. Pen., 6 ottobre 2023, n. 40797, Pres. Sarno, Est. Scarcella. 
[8] 
Si legge in motivazione: “Le decisioni che valorizzano l'assetto normativo attuale attribuendo rilevanza allo stesso sul piano dell'interpretazione logico-sistematica (in particolare, la citata sentenza "Commisso"), muovono dalla possibilità di distinguere, all'interno del concetto di operatività di una norma, tra valenza "interpretativa" di altre norme ( che secondo la richiamata decisione prescinderebbe dalla sua entrata in vigore e, dunque, anche dai limiti della disposizione transitoria) e valenza "applicativa" delle stesse. Ritengono, tuttavia, le Sezioni Unite che una distinzione di tale tipo non sia, in linea generale, concepibile: sino a quando una norma non entri in vigore ne è precluso ogni effetto, anche solo di ordine interpretativo, dell'assetto precedente. In materia opera, invero, il principio posto dall'art. 11 preleggi secondo cui (Sez. 13 U civ., n. 2061 del 28/01/2021, Rv. 660307 - 01) «ove non sia il legislatore stesso a disporre in via retroattiva - e ciò può avvenire espressamente (anche tramite norma di interpretazione autentica) ovvero implicitamente (la retroattività essendo anche desumibile, se inequivocabile, in via interpretativa dalla disposizione interessata) - , un tale potere non è esercitabile dal giudice, neppure per il tramite del procedimento analogico, essendo l'efficacia temporale della fonte disponibile solo per il legislatore e pure per esso in termini tali da non poterne fare uso arbitrario». Nella specie, attraverso la disposizione transitoria dell'art. 390 del d.lgs. n. 14 del 2019 vengono volutamente introdotte dal legislatore scansioni temporali diverse per le nuove norme non aggirabili sul piano interpretativo”. 
[9] 
Ancora SS.UU. n. 40797/2023 in motivazione “Del resto, nell'ambito degli «effetti del fallimento per il fallito» (artt. 42-50, r.d. 16 marzo 1942, n. 267) si è soliti distinguere gli effetti di carattere "patrimoniale", che trovano disciplina negli artt. 42-47, dagli effetti di carattere "personale", regolati dagli artt. 48-50. Per designare l'insieme degli effetti che il fallimento produce nei riguardi del fallito, e che perciò ne costituiscono la condizione giuridica, può parlarsi, secondo la dottrina (sia pure in una lata e impropria accezione), di status del fallito. Circa la condizione giuridica del fallito nei riguardi dei «beni» (art. 42 legge fall.) o «rapporti di diritto patrimoniale compresi nel fallimento» (art. 43, primo comma, legge fall.), e costituenti dunque il «patrimonio fallimentare» (art. 31, primo comma, legge fall.), la Corte costituzionale ha chiarito che non si rinviene nell'ordinamento «una norma di carattere generale che privi il fallito della capacità di agire» (Corte cost., sent. n. 549 del 2000, richiamata dall'ord. n. 267 del 2002), con ciò superando talune precedenti affermazioni, nel senso dell'esistenza, a carico del fallito, di «limitazioni alla capacità di agire in ordine alla amministrazione ed alla disponibilità dei beni» (Corte cost., sent. n. 141 del 1970) ovvero di «limitazioni alla capacità di agire rivenienti all'imprenditore dalla dichiarazione di fallimento» (Corte cost., sent. n. 145 del 1982). Sul piano patrimoniale, alla sentenza dichiarativa del fallimento consegue che il fallito è privato dalla data di essa «dell'amministrazione e della disponibilità dei suoi beni esistenti alla data di dichiarazione di fallimento» (art. 42, primo comma, legge fall.: cosiddetto "spossessamento del fallito"). La natura giuridica 15 di tale "spossessamento" è stata spiegata in dottrina richiamando gli effetti del pignoramento nella espropriazione singolare, poiché degli stessi effetti, sebbene quantitativamente più imponenti, si tratterebbe. Per effetto della dichiarazione di fallimento (e a partire da essa), in virtù delle richiamate norme degli artt. 42-45 legge fall., dunque, il fallito non viene immediatamente "espropriato" (ossia privato della proprietà dei suoi beni e della titolarità dei suoi diritti), ma - con riguardo (e limitatamente) ai rapporti compresi nel fallimento - gli è inibito di compiere efficacemente atti giuridici (negoziali e non) di disposizione e di amministrazione dei suoi beni (ivi compreso il godimento e l'utilizzo materiale di essi), di esercizio dei suoi diritti, di adempimento delle sue obbligazioni, e di assunzione di nuove obbligazioni (anche mediante atti illeciti o per altre "fonti" ex art. 1173 cod. civ.), la cui responsabilità (ex art. 2740 cod. civ.) può essere fatta valere sui beni compresi nel fallimento; correlativamente, pertanto, i poteri di disposizione e amministrazione dei beni, l'esercizio dei diritti e facoltà, ecc. (ivi compreso il potere di impegnare il patrimonio del fallito con l'assunzione di nuove obbligazioni: c.d. "obbligazioni di massa": art. 111, primo comma, n. 1, legge fall.) passano agli organi fallimentari, verificandosi così una "sostituzione" di questi al fallito nel compimento di attività giuridiche incidenti sul «patrimonio fallimentare» (ossia il complesso dei rapporti giuridici sostanziali facenti capo al fallito assoggettati al particolare regime del fallimento in funzione della realizzazione dello scopo ultimo di esso, ovvero il soddisfacimento tendenzialmente paritario dei creditori), pienamente efficaci nei confronti del medesimo fallito e dei terzi, anche dopo la cessazione della procedura. In tal senso, quindi, la giurisprudenza di questa Corte, anche in tempi meno recenti (Sez. 5, n. 1926 del 30/03/2000, , Rv. 216540 - 01; Sez. 1, n. 5099 del 09/11/1987, dep. 1988, , Rv. 178105 - 01), si è sempre espressa nel senso che la sentenza dichiarativa di fallimento priva il fallito della amministrazione e della disponibilità dei beni esistenti alla data di dichiarazione del fallimento, ma non ne implica il trasferimento alla massa dei creditori, ma, semmai, alla curatela, nel senso, tuttavia, della gestione del patrimonio ai fini di soddisfacimento dei creditori. Detta privazione (il cosiddetto "spossessamento" appunto) non si traduce allora in una perdita della proprietà in capo al fallito e si risolve, invece, nella destinazione della totalità dei beni a soddisfare i creditori, oltre che nell'assoluta insensibilità del patrimonio all'attività svolta dall'imprenditore successivamente alla dichiarazione di fallimento (v. Sez. 2 civ., n. 16853 del 11/08/2005, Rv. 585055 - 01, secondo cui la privazione dell'amministrazione e della disponibilità”.
[10] 
Sul tema della estensione oggettiva della regola dettata sulla interferenza delle misure ablatorie penali e sulla liquidazione giudiziale, si rinvia a quanto più in dettaglio nel testo e, per un approfondimento sul tema, in: D. Piva, Sequestri e liquidazione giudiziale nel codice della crisi e dell’insolvenza, in Archivio Penale, 2022, 1; A. Rugani, I rapporti tra misure cautelari reali e procedure concorsuali nel codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.Lgs. 12 gennaio 2019 N. 14); M. Bontempelli e R. Paese, La tutela dei creditori di fronte al sequestro e alla confisca. Dalla giurisprudenza “Focarelli” e “Uniland” al nuovo codice della crisi d’impresa, cit., 124-127; Uslenghi-Liedholm, Il nuovo Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza, a cura di Sanzoburroni, Bologna, 2019, 392; G. Mastrangelo, Le soluzioni del codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza al problema della sovrapposizione dei sequestri penali con le procedure liquidatorie, in Sist. Pen., 2020, 5, 128 e, più ampiamente, 136 ss.; M. Sestieri, La tutela dei terzi e i rapporti con le procedure concorsuali, in La legislazione antimafia, diretto da Mezzetti-Luparia, Bologna, 2020, 905 ss. In precedenza, sulla portata dell’art. 104 bis disp. att. c.p.p. v., per quanto d’interesse in questa sede, G. Varraso, Il sequestro a fini di confisca: dalle scelte del codice del 1988 alla legge n. 161 del 2017, in www.penalecontemporaneo.it, 12 gennaio 2018, 21.
[11] 
Con specifico riguardo alle singole interferenze con la procedura liquidatoria, G. Mastrangelo, Le soluzioni del codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza al problema della sovrapposizione dei sequestri penali con le procedure liquidatorie, cit., 128-131 e 143 ss.; F. Verdoliva, sub artt. 63 e 64, in Commentario breve al codice antimafia e alle altre misure di prevenzione, a cura di  G. Spangher-A. Marandola, Padova, 2019; M. Sestieri, La tutela dei terzi e i rapporti con le procedure concorsuali, cit., 899 ss.
[12] 
Sul tema si veda S. Leuzzi, “I rapporti fra misure ablatorie penali e liquidazione giudiziale nel CCII”, in Il Fall., 2019, 12, 1440.
[13] 
Ancora S. Leuzzi, op. cit.
[14] 
In questi termini A. Rugani, I rapporti tra misure cautelari reali e procedure concorsuali nel codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.Lgs. 12 gennaio 2019 N. 14), in www.lalegislazionepenale.eu, 6 maggio 2019, 1 ss.
[15] 
Cass. SS.UU. , Sez. Un. Pen., 6 ottobre 2023, n. 40797, Pres. Sarno, Est. Scarcella, che sul punto afferma: Il D.Lgs. n. 14 del 2019 si inserisce nel solco di altri interventi normativi recenti: la L. 17 ottobre 2017, n. 161 e il D.Lgs. n. 1 marzo 2018, n. 21 avevano infatti allargato l'ambito applicativo delle disposizioni in punto di amministrazione e destinazione dei beni sequestrati e confiscati e di tutela dei terzi ed esecuzione del sequestro previste nel "Codice Antimafia" tant'è che la dottrina ha rilevato come "l'art. 317 assume portata precettiva globale, erigendo le regole di quest'ultimo a paradigma totalizzante". L'art. 317 cit. "completa" in realtà l'intervento di riforma operato con la L. n. 161 del 2017, immediatamente successiva alla L. n. 157 del 2017, che, in attuazione dei medesimi intenti, aveva già sostituito il comma 4-bis dell'art. 12- sexies D.L. n. 306 del 1992, stabilendo che "le disposizioni in materia di amministrazione e destinazione dei beni sequestrati e confiscati nonchè quelle in materia di tutela dei terzi e di esecuzione del sequestro previste dal codice di cui al decreto legislativo 6 settembre 2022 n. 159, si applicano anche ai casi di sequestro e confisca previsti dai commi 1 e 2-ter del presente articolo, nonchè agli altri casi di sequestro e confisca di beni adottati nei procedimenti relativi ai delitti di cui all'art. 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale". 
[16] 
A. Altieri, La "specialità" del concorso dei terzi nel sistema delle misure di prevenzione patrimoniali, in Il Diritto Fallimentare e delle Società Commerciali, 2021, 3-4.
[17] 
C. Cost., 27.2.2019, n. 26, relativa alla disciplina transitoria contenuta nella L. n. 228/2012 a tutela dei creditori in relazione ai beni confiscati all'esito dei procedimenti di prevenzione per i quali non si applicava, ratione temporis, il D.Lgs. n. 159/2011, ha statuito l'illegittimità relativa per contrasto con l'art. 3 Cost., dell'art. 1, comma 198, L. n. 228/2012, «nella parte in cui limita alle specifiche categorie di creditori ivi menzionati la possibilità di ottenere soddisfacimento dei propri crediti sui beni del proprio debitore che siano stati attinti da confisca di prevenzione», facendo cadere il riferimento della disposizione censurata ai soli creditori «muniti di ipoteca iscritta sui beni di cui al comma 194 anteriormente alla trascrizione del sequestro di prevenzione», nonché ai «creditori che: a) prima della trascrizione del sequestro di prevenzione hanno trascritto un pignoramento sul bene; b) alla data di entrata in vigore della presente legge sono intervenuti nell'esecuzione iniziata con il pignoramento di cui alla lettera a)».
[18] 
M. Bontempelli, Confisca di prevenzione e tutela costituzionale dei terzi in buona fede, in Il Fall., 2019, 12, 1453.
[19] 
Art. 52 D.Lgs. n. 159/2011 “Diritti dei terzi” 1. La confisca non pregiudica i diritti di credito dei terzi che risultano da atti aventi data certa anteriore al sequestro, nonché i diritti reali di garanzia costituiti in epoca anteriore al sequestro, ove ricorrano le seguenti condizioni: a) che il proposto non disponga di altri beni sui quali esercitare la garanzia patrimoniale idonea al soddisfacimento del credito, salvo che per i crediti assistiti da cause legittime di prelazione su beni sequestrati; (156) b) che il credito non sia strumentale all'attività illecita o a quella che ne costituisce il frutto o il reimpiego, sempre che il creditore dimostri la buona fede e l'inconsapevole affidamento; (156) c) nel caso di promessa di pagamento o di ricognizione di debito, che sia provato il rapporto fondamentale; …3. Nella valutazione della buona fede, il tribunale tiene conto delle condizioni delle parti, dei rapporti personali e patrimoniali tra le stesse e del tipo di attività svolta dal creditore, anche con riferimento al ramo di attività, alla sussistenza di particolari obblighi di diligenza nella fase precontrattuale nonché, in caso di enti, alle dimensioni degli stessi.
[20] 
V. Lenoci, Il sequestro del patrimonio dell'imprenditore successivo al fallimento, www.academia.edu, 2016.
[21] 
In questo senso L. De Gennaro-N. Graziano, Sequestri penali, Misure di prevenzione e procedure concorsuali, 2018, 102. 
[22] 
Cass. pen. Sez. III, 27/07/2017, n. 37439 Fallimento, 2018, 2, 187 nota di F. Tetto.
[23] 
Cass. pen. Sez. III Sent., 19/10/2018, n. 47737 (rv. 275438-01).
[24] 
Cass. Pen., 16.4.2019, n. 22602.
[25] 
Cass. pen. Sez. Unite, 13/11/2019, n. 45936.
[26] 
F. Cerqua, Bancarotta e misure cautelari, Il Fall., 2022, 8-9, 1143.
[27] 
D. Piva, Sequestri e liquidazione giudiziale nel codice della crisi e dell'insolvenza: tra regola ed eccezioni, in Archivio Penale 2022, 1, 12.
[28] 
S. Leuzzi, op. cit. “Il sequestro e la confisca nei confronti di soggetti indiziati di gravi delitti introdotti con la L. n. 646 del 1982 (c.d. L. "Rognoni - La Torre") e ora disciplinati dal D.Lgs. n. 159 del 2011 mostrano un disegno limpido: prosciugare le fonti di provvista e investimento del sodalizio criminale e neutralizzarlo privandolo di basi economico-patrimoniali; gli  strumenti sono densi di valenza simbolica, giacché il recupero della res all'economia legale scardina sul piano sociale la legittimazione mafiosa. La confisca di prevenzione colpisce i beni previamente sequestrati allorché il c.d. "prevenuto" non ne giustifichi la legittima provenienza; oggetto sono cespiti di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, l'indiziato abbia la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al reddito o all'attività economica, nonché beni che si palesino frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego. Lo strumento, in forma diretta o per equivalente, è una espropriazione praeter delictum, prescindendo da una condanna penale e dall'accertamento processuale di un reato, diversamente da tutte le altre confische penali(30). Perciò l'istituto si compone di uno statuto autonomo ed eccentrico, che fa perno su un corpus appartato di norme speciali, insuscettibili di analogie, a loro modo garantistiche. Nel quadro di un procedimento ad hoc per l'adozione, l'art. 23 fa salvo il diritto a interloquire di una cerchia di soggetti, imponendone la citazione ad udienza camerale, per deduzioni difensive o per sollecitare l'acquisizione di ogni elemento utile di decisione(31). La contrapposizione tra terzi che vantino diritti e autorità confiscante è risolta dalla prevalenza della disponibilità in capo al "prevenuto" rispetto alla titolarità formale altrui; i creditori ricevono tutela ex art. 52, quand'anche provvisti di garanzie reali, solo qualora esibiscano diritti consacrati in atti di data certa anteriori al sequestro preordinato e provino, ad un tempo, la propria buona fede e l'inconsapevole affidamento(32). Dunque, è preteso un elemento formale di opponibilità del titolo condito da requisiti di matrice soggettivistica; si mira ad evitare il sacrificio dei diritti dei soli terzi incolpevoli ed estranei ai propositi delittuosi o all'agire contra legem del titolare del patrimonio, giacché l'effettività delle confische verrebbe vanificata dall'applicazione tout court del criterio cronologico, che svilirebbe in ragione del fattore tempo la funzione statuale connessa all'ablazione(33).
[29] 
Ancora S. Leuzzi, I rapporti fra misure ablatorie penali e liquidazione giudiziale nel CCII, op. cit.

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Ai sensi dell’art. 2-undicies del D.Lgs. 196/2003 l’esercizio dei diritti dell’interessato può essere ritardato, limitato o escluso, con comunicazione motivata e resa senza ritardo, a meno che la comunicazione possa compromettere la finalità della limitazione, per il tempo e nei limiti in cui ciò costituisca una misura necessaria e proporzionata, tenuto conto dei diritti fondamentali e dei legittimi interessi dell’interessato, al fine di salvaguardare gli interessi di cui al comma 1, lettere a) (interessi tutelati in materia di riciclaggio), e) (allo svolgimento delle investigazioni difensive o all’esercizio di un diritto in sede giudiziaria)ed f) (alla riservatezza dell’identità del dipendente che segnala illeciti di cui sia venuto a conoscenza in ragione del proprio ufficio). In tali casi, i diritti dell’interessato possono essere esercitati anche tramite il Garante con le modalità di cui all’articolo 160 dello stesso Decreto. In tale ipotesi, il Garante informerà l’interessato di aver eseguito tutte le verifiche necessarie o di aver svolto un riesame nonché della facoltà dell’interessato di proporre ricorso giurisdizionale.

Per esercitare tali diritti potrà rivolgersi alla nostra Struttura "Titolare del trattamento dei dati personali" all'indirizzo ssdirittodellacrisi@gmail.com oppure inviando una missiva a Società per lo studio del diritto della crisi via Principe Amedeo, 27, 46100 - Mantova (MN). Il Titolare Le risponderà entro 30 giorni dalla ricezione della Sua richiesta formale.

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