Il D. lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 (di seguito per brevità CCII o Codice della crisi) pubblicato sulla G.U. il 14 febbraio 2019, recante il «Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza», in attuazione della legge delega 19 ottobre 2017, n. 155, ha apportato un’importante riforma, già in vigore a partire dal 16 marzo 2019, delle norme del diritto societario contenute nel Codice civile, volta ad assicurare l’adeguatezza dei modelli organizzativi delle imprese rispetto alla rilevazione tempestiva della crisi e alla salvaguardia della continuità aziendale. Con queste disposizioni il legislatore ha inteso dare attuazione alle prescrizioni contenute nell’art. 14 della legge delega, la quale indicava alcune modifiche del Codice civile «rese necessarie per la definizione della disciplina organica di attuazione dei principi e criteri direttivi di cui alla presente legge».
Si tratta di un complesso di norme, contenute nella Parte seconda del decreto delegato (artt. da 375 a 384 CCII), che, per quanto connesse e funzionali alla complessiva riforma del diritto concorsuale, per una parte rilevante sono entrate in vigore – non casualmente - con diciotto mesi di anticipo rispetto all’originaria entrata in vigore del Codice della crisi. In particolare, all’interno del suddetto complesso di norme, l’art. 375 CCII rappresenta la direttrice della riforma della crisi di impresa in relazione agli assetti organizzativi e di governo societario e su di essa si radicano tutti gli interventi in materia societaria. Tale norma ha previsto che all’art. 2086 c.c. sia aggiunto il seguente secondo comma: «L'imprenditore, che operi in forma societaria o collettiva, ha il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell'impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi d'impresa e della perdita della continuità aziendale, nonché di attivarsi senza indugio per l'adozione e l'attuazione di uno degli strumenti previsti dall'ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale»[1]. Il successivo art. 377, come modificato dal decreto correttivo e integrativo di cui al D.lgs. n. 147/2020, ha modificato le disposizioni societarie in materia di competenza sugli assetti, stabilendo per le società di persone (art. 2257 c.c.), per le società per azioni a modello tradizionale (art. 2380-bis c.c.) e per quelle a responsabilità limitata (art. 2475 c.c.) che l’istituzione degli assetti spetta esclusivamente agli amministratori, mentre nelle società per azioni con modello dualistico spetta al consiglio di gestione (art. 2409-novies c.c.).
Con il Codice della crisi, mediante la pocanzi citata integrazione al Codice Civile, la nozione di adeguati assetti, peraltro già presente nell’ordinamento civilistico a seguito della riforma del diritto societario del 2003 – per le sole S.p.a. (prima della riforma del CCII) - in forza del combinato disposto di cui agli artt. 2381 e 2403 c.c., assurge a paradigma comune a tutti i tipi societari e, quindi, oltre alle società di capitali , le società di persone, incluse quelle non commerciali e quelle non formalmente imprenditoriali, come le associazioni, le fondazioni ed i consorzi dediti in concreto allo svolgimento dell’attività di impresa[2].
L’introduzione del dovere di istituzione di adeguati assetti societari è strettamente funzionale alle finalità del Codice della crisi, ossia la diagnosi precoce della crisi di impresa e la salvaguardia della continuità aziendale, nella consapevolezza della tardività di intervento sovente registrata nei percorsi di risanamento aziendale[3]. La finalità dell’emersione tempestiva della crisi risponde alla necessità di un forte cambiamento culturale delle imprese, troppo spesso poco avvezze ad una gestione e programmazione formalizzate.
Il cambio di prospettiva appena descritto richiede necessariamente una commistione tra il diritto societario delle imprese in bonis e il diritto della crisi, che cessano di essere due universi paralleli, convergendo nel sistema unitario della gestione dell'impresa[4]. Infatti, come rilevato dai primi autorevoli commentatori, le modifiche al Codice Civile introdotte dalla riforma del 2019 hanno una portata applicativa che eccede i confini della sola disciplina della crisi dell'impresa e arriva a regolare l’attività di quest’ultima anche nella sua fisiologia[5]. Ne discende che l’epoca della cesura netta tra diritto dell’impresa in bonis e il diritto della crisi è tramontata e il sistema attuale vede una commistione di regole che si basano su due assunti fondamentali. Secondo il primo di essi la crisi rappresenta un fatto fisiologico della vita dell’impresa e non la fase terminale della stessa, mentre il secondo assunto è che la crisi dell’impresa sia tanto più gestibile e superabile quanto più tempestivamente si intervenga su di essa. Tali assunti rappresentano la presa d’atto di un dato ineludibile: il valore dell’azienda deve essere salvaguardato e l’imprenditore deve avere a disposizione degli strumenti che gli consentano di rimettersi in gioco facendo tesoro dell’esperienza pregressa[6].
Il fatto che il legislatore attribuisca specifica rilevanza agli assetti sia in relazione alla fisiologica condizione in cui deve trovarsi l’impresa, sia in funzione della rilevazione tempestiva della crisi si rinviene anche dalla previsione letterale della norma. Infatti, il dovere di istituire adeguati assetti è previsto «anche» in funzione della tempestiva rilevazione della crisi e della perdita della continuità aziendale. In altre parole, dal dato letterale della norma pare che il legislatore intenda evidenziare come le ordinarie e fisiologiche condizioni in cui opera la società devono essere tali da consentire di prevedere e prevenire possibili condizioni di squilibrio, in un contesto in cui la predisposizione di adeguati presidi gestionali consente di gestire il rischio, elemento mai assente nell’attività d’impresa.
Peraltro, in dottrina si discuteva già da tempo e anche prima dell’introduzione del CCII della necessità di adeguare il concetto di adeguati presidi organizzativi con l’emersione della crisi[7]. L’attenzione verso gli assetti organizzativi predisposti dall'imprenditore collettivo non è dunque una novità del CCI, il quale tuttavia esige – quale elemento di vera novità - che tali aspetti abbiano la specifica qualità di essere idonei alla rilevazione tempestiva della crisi e alla salvaguardia del cd. going concern.
In conclusione, è evidente, e di ciò si ha conferma nel recente provvedimento del Tribunale di Cagliari, che gli assetti societari di cui al novellato art. 2086, secondo comma, c.c. devono essere funzionali anche – e soprattutto - alla vita dell'impresa. Del resto, una volta manifestatasi la crisi, diventa meno rilevante la mancata adozione di un adeguato assetto societario, assumendo massimo rilievo il secondo dovere imposto dall’art. 2086 c.c., ossia l’adozione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per fronteggiarla.
In ordine all’implementazione di adeguati assetti un tema di strettissima attualità, e di cui tratta anche il provvedimento del Tribunale di Cagliari di cui si dirà appresso, concerne la possibilità dell’organo di controllo di reagire, tramite il procedimento ex art. 2409 c.c., a fronte della violazione da parte dell’organo gestorio dell’obbligo di predisporre assetti adeguati, in conformità al disposto di cui all’art. 2086, secondo comma, c.c.