Nonostante tali condivisibili conclusioni, le pesanti critiche mosse alla normativa regolante la transazione dei ruoli, le stringenti limitazioni previste, la scarna regolamentazione dell’istituto e i rilevanti dubbi sulla sua applicazione conseguentemente emersi nella sostanza ne ostacolarono drasticamente l’utilizzo[21], inducendo il legislatore a ripensare profondamente la questione[22]. Tenuto conto che la costante presenza di debiti verso l’Erario e/o verso enti previdenziali ed assistenziali di ammontare significativo da parte delle imprese insolventi è, sovente, di ostacolo ad una soluzione negoziale della crisi d’impresa, con il D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, nell’ambito della prima riforma organica della Legge fallimentare, dichiaratamente diretta appunto a evitare il fallimento delle imprese a favore di soluzioni negoziali delle loro crisi, fu abrogato l’art. 3, comma 3, del citato D.L. n. 138/2002 e fu introdotto nella Legge fallimentare l’istituto della transazione fiscale tramite l’inserimento dell’art. 182 ter.
Con tale norma il legislatore ha finalmente coniato una disposizione normativa che, in applicazione del principio di buon andamento e imparzialità della Pubblica amministrazione (di cui all’art. 97 Cost.), contiene una deroga espressa al principio di indisponibilità (più precisamente) del credito tributario, consentendo a quest’ultima di accettare un pagamento parziale dello stesso liberando il debitore dall’obbligo di pagamento della parte del credito rimasta insoddisfatta.
In considerazione di tale rilevante effetto fu paventata l’illegittimità costituzionale dell’art. 182 ter L. fall. da chi attribuiva al principio di indisponibilità del credito tributario rango costituzionale, che non avrebbe quindi potuto essere derogato da un provvedimento normativo di rango ordinario[23]. La nuova disposizione fu invece accolta benevolmente da chi, pur attribuendo fonte costituzionale al citato principio, riteneva la norma perfettamente legittima, in quanto contemperava il suddetto principio con quello, di pari rango, sancito dal citato art. 97 Cost.[24], nonché - chiaramente - da chi non attribuiva un rango costituzionale al principio di indisponibilità del credito tributario.
Con la circolare 18 aprile 2008, n. 40/E, l’Agenzia delle Entrate subito sostenne (analogamente a quanto aveva affermato in merito alla transazione dei ruoli con la circolare 4 marzo 2005, n. 8/E) che la transazione fiscale costituisce una (legittima) deroga al generale principio di indisponibilità del credito tributario, la cui applicazione, ancorché per perseguire finalità di pubblico interesse, non è però suscettibile di interpretazione analogica o estensiva proprio in quanto derogatoria di regole generali[25]. Questa posizione è stata ribadita anche nell’ambito della circolare 29 dicembre 2020, n. 34/E, in cui si legge che l’istituto della transazione fiscale “è apparso del tutto innovativo nell’ordinamento tributario, poiché ha permesso un parziale superamento del principio di indisponibilità del credito erariale, in ragione della necessità di tutelare altri interessi di pari rilievo costituzionale”.
Sulla mancanza di una rilevanza costituzionale del precetto in commento si era peraltro inizialmente pronunciata, oltre alla giurisprudenza di merito[26], la Corte di Cassazione con le sentenze n. 22931 e n. 22932 del 4 novembre 2011, secondo cui l’indisponibilità del credito tributario “esiste nella misura in cui la legge non vi deroghi e non sono certo estranee all’ordinamento ipotesi di rinuncia dell’Amministrazione all’accertamento (i cosiddetti ‘condoni tombali’) o alla completa esazione dell’accertato in vista di finalità particolari”.
L’insussistenza di una copertura costituzionale del principio di indisponibilità del credito tributario è stata successivamente avvalorata dalla stessa Corte costituzionale con la sentenza 15 luglio 2014, n. 225, ove è stato testualmente sancito che l’art. 182-ter della Legge fallimentare “è, di per sé, disciplina eccezionale rispetto al principio dell’indisponibilità della pretesa erariale”, perciò derogabile da una norma di rango ordinario[27].
Infine, la Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con la sentenza 25 marzo 2021, n. 8504, ha osservato come “una qualche non affatto irrilevante portata sistematica in relazione al principio, illo tempore quasi un “dogma”, della indisponibilità del credito tributario” fosse da attribuire già alla transazione dei ruoli, che però era rimasta “confinata nell’ambito dell’esecuzione esattoriale e quindi nell’ambito tributario, senza alcun riferimento diretto alle coeve esecuzioni concorsuali ordinarie”. Solo con la transazione fiscale, tuttavia, si è palesata una “radicale deroga al detto principio di indisponibilità dei crediti tributari”, prevedendosi testualmente per la prima volta “la possibilità di un accordo tra Ente impositore e contribuente insolvente sul pagamento parziale non satisfattivo ovvero sul dilazionamento del pagamento dei debiti tributari di quest’ultimo, ancorché non ancora cristallizzati da iscrizioni a ruolo a titolo definitivo ed anzi nemmeno ancora iscritti a ruolo”. Inoltre, attraverso le modifiche progressivamente apportate e, in ultimo, in considerazione della collocazione che ne è stata data con il Codice della crisi, ha ormai assunto prevalenza “la ratio concorsuale su quella fiscale dell’istituto in esame, almeno nel senso funzionale ossia nel senso che questo ‘incidente tributario’ è – essenzialmente – finalizzato alla definizione concordataria o di ristrutturazione debitoria della crisi di impresa, secondo le regole procedurali dettate per tali procedure concorsuali e di quelle più specifiche di cui all’art. 182-ter, LF”[28].
In conclusione, anche alla luce dell’interpretazione fornita dai giudici di legittimità, si può affermare che la deroga al principio di indisponibilità del credito tributario è da rinvenire o in specifiche disposizioni aventi a oggetto il trattamento dei debiti tributari, quali sono quelle relative alla transazione fiscale, introdotte nell’ordinamento con l’art. 182 ter della legge fallimentare ad opera del citato decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5, e ora previste negli articoli 63 e 88 del Codice della crisi, ovvero in disposizioni generali, cioè relative a tutti i crediti e inerenti quindi anche quelli tributari, di cui nell’ambito della crisi d’impresa ammettono la soddisfazione parziale dei crediti, assistiti o meno da una causa legittima di prelazione, quali erano quelle recate, relativamente al concordato preventivo, dall’art. 184 della legge fallimentare e ora dall’art. 117 del Codice della crisi.
In tal senso si è del resto espressa, con la sentenza 16 ottobre 2020, n. 22456, anche la Sezione Tributaria della Corte di Cassazione, che – nel confermare l’assenza di copertura costituzionale per il principio dell’indisponibilità della pretesa erariale (che perciò assume rilievo nella misura in cui la legge non vi deroghi) – aveva precisato testualmente quanto segue: “Nella materia concordataria, la deviazione alla regola dell’indisponibilità va identificata nell’art. 184 L. Fall., comma 1, che stabilisce che, una volta omologato, il concordato spiega effetti nei confronti di tutti i creditori anteriori, senza che sia dato ravvisare alcuna esenzione in favore del Fisco, nonché nell’art. 160, comma 2, che prevede la possibilità del pagamento in percentuale dei creditori privilegiati - fra i quali rientra anche l'Erario- a condizione di non sovvertire l’ordine delle cause legittime di prelazione: come si evince dalle citate disposizioni, oltre che dallo stesso art. 182-ter, il legislatore non ha previsto un trattamento preferenziale ed esente dalla regola della par condicio per i crediti tributari, unico limite invalicabile essendo il rispetto del grado di privilegio che ad essi compete, ovvero il rispetto del principio di omogeneità di posizione giuridica altre categorie di creditori”.
Pertanto, la deroga legislativa al principio dell’indisponibilità del credito tributario è da ricercare non solo nelle disposizioni attualmente contenute negli artt. 63 e 88, ma anche nelle norme ordinarie che prevedono la possibilità di soddisfare in misura parziale il debito tributario da soddisfare in ragione della crisi dell’impresa.
Se ne trova diretta conferma nel comma 3 dell’art. 80 del CCII, che conferisce al giudice il potere di omologare la procedura del concordato minore “anche in mancanza di adesione da parte dell’amministrazione finanziaria” (quando la proposta di soddisfacimento è conveniente rispetto all’alternativa liquidatoria), sebbene nessuna, tra le disposizioni disciplinanti detto istituto, contenga una previsione analoga a quella presente negli artt. 63 e 88 del CCII in tema di trattamento dei crediti tributari e contributivi[29].
Altrettanto dicasi con riferimento all’altra procedura di composizione delle crisi da sovraindebitamento, ovverosia quella della ristrutturazione dei debiti del consumatore, introdotto con la Legge 27 gennaio 2012, n. 3 e ora disciplinato dagli artt. 67 e seguenti del Codice della crisi, il cui art. 70, commi 7 e 9, stabilisce che: 1) il giudice, verificata l’ammissibilità e la fattibilità del piano, omologa il piano e ciò anche se il piano prevede la falcidia dei debiti tributari; 2) quando uno dei creditori, tra i quali l’Amministrazione finanziaria, contesta la convenienza il della proposta, il giudice omologa il piano se ritiene che comunque il credito dell’opponente possa essere soddisfatto dall’esecuzione del piano in misura non inferiore all’alternativa liquidatoria. Si tratta sostanzialmente di un cram down generato non dalla domanda del debitore, ma dall’opposizione del creditore.
Tuttavia, dal perimetro normativo testé descritto emerge che il credito tributario è da considerare indisponibile in assenza di una norma che, in via specifica, cioè dedicata ai debiti tributari, ovvero generale, cioè dedicata alla generalità dei debiti, ne consenta la riduzione, stabilendo i criteri da adottare affinché quest’ultima possa essere disposta.