di Salvo Leuzzi, Consigliere della Suprema Corte di Cassazione
Provvedimento rilevante quello meneghino sul caso Ilva, per le dimensioni socio-economiche della realtà produttiva al centro della contesa e per la materia che intercetta, quella del gruppo d’imprese di fronte alla crisi, la cui disciplina è una fra le più agognate novità dell’ordinamento concorsuale codificato.
Il gruppo ha ora cittadinanza nel Codice della crisi, il cui art. 2, lett. h), ne fornisce una definizione prudente, facendolo coincidere con l’insieme delle imprese che, ai sensi dell’art. 2497 c.c. e dell’art. 2545 septies c.c. esercitano o sono sottoposti alla direzione e coordinamento di una società o di una persona fisica. Si è puntato, dunque, su un istituto di collaudata esperienza, la direzione e il coordinamento.
Pure nell’alveo della crisi d’impresa il gruppo emerge come forma organizzata di svolgimento, da parte di più società, dotate di distinti patrimoni, di un’unica attività in sinergia. Il provvedimento milanese lo sottolinea incisivamente. È in funzione di un’attività collettiva che tutti i componenti del gruppo strutturano la propria operatività, ricorrono ai finanziamenti, programmano i propri investimenti. Una volta che gli squilibri abbiano fatto la propria comparsa non è plausibile far finta di nulla, perché è pur sempre con riferimento a quell’attività che li accumuna fino ad intrecciarne le sorti che i membri della compagine sono portati a immaginare una strategia comune di approccio alle difficoltà e di ripensamento del proprio futuro, se ve ne è spazio.
La disciplina specifica che gli artt. 284-292 CCII destinano alla "regolazione della crisi o insolvenza di gruppo" valorizza, anzi, proprio l'integrazione economica e finanziaria fra le società raggruppate nella fase patologica del default che colpisce una di esse. È un aspetto che il decreto in commento sottolinea a dovere. Al legislatore è parso infatti opportuno che alla compenetrazione fra le imprese del gruppo nella navigazione in calma piatta, possa far seguito una trattazione congiunta dell’onda alta del dissesto che investendo una di esse, impone pure alle altre una rotta anziché un’altra per non soccombere.
Nella dinamica di gruppo tenuta in conto dal legislatore affiorano alcuni aspetti precipui: la regolazione della crisi nella prospettiva dell’aggregato è essenzialmente una facoltà; la legittimazione ad accedere allo strumento concordatario non si radica in capo al gruppo in quanto tale, ma pur sempre in testa alle singole imprese che vi appartengono, le quali, condividendo una situazione di crisi o insolvenza, optano per un percorso programmatico ancora una volta univoco; l’interazione fra i membri del gruppo postula una pianificazione complessiva, nel cui quadro ogni atto – a partire dalla domanda di accesso con riserva – trova giustificazione e ragion d’essere, quindi d’ammissibilità, soltanto se osservato con riferimento al generale itinerario prescelto dalla compagine o da essa subito.
Nel caso specifico il gruppo si è obtorto collo disgregato. Lo hanno ammesso in buona fede le ricorrenti, lo ha constatato il Tribunale. L’apertura dell’amministrazione straordinaria di uno degli elementi dell’aggregato ne ha spezzato l’ingranaggio. E d’altronde, la fuoriuscita verso l’alveo dell’amministrazione straordinaria del soggetto che all’interno del raggruppamento esprimeva la direzione e il coordinamento, ha lasciato residuare un’organizzazione acefala, che non è in grado di assicurare un’operatività attuale, né di progettarne una futura. Di fronte all’improcedibilità del ricorso con riferimento alla società “pilota” e al suo destino concorsuale appartato, l’epilogo delle altre società del gruppo ne esce compresso e segnato.
In tal senso, il termine è stato giustamente negato e la domanda di accesso con riserva dichiarata inammissibile sul presupposto di un’evidenza: le società di un gruppo simul stabunt, simul cadent, il che vuol dire che quelle tra esse per le quali l’amministrazione straordinaria non sia ancora stata richiesta, è naturale vengano attratte presto o tardi nell’orbita di tale procedura, che già ha attinto la capofila.
A quel punto le imprese verranno assoggettate ad un perimetro di regole rispondente a finalità specifiche, in parte divaricate rispetto a quelle delle procedure codicistiche e avvinte ad un obiettivo omogeneo di conservazione di quello che al fondo le accomuna: un patrimonio produttivo, che in tanto si perpetua in quanto si prosegua, si riattivi o si riconverta l’attività imprenditoriale svolta dal gruppo, più che dalla società che all’interno di esso ha espresso la governance. Del resto, nell’amministrazione straordinaria non si mira a proteggere una realtà imprenditoriale come portatrice di un patrimonio fine a sé stesso, ma per quello che con quel patrimonio è in grado di generare a fini produttivi. La garanzia generica per i creditori concorsuali, sotto questo aspetto, rimane sullo sfondo, in quanto a svettare è l’esigenza di una continuità d’impresa particolarmente atteggiata, nel cui quadro l’attore pubblico esercita un ruolo di sussidio e di primato. Il settore in cui si collocano le odierne ricorrenti del caso all’esame del tribunale è strategico e la scelta della concorsualizzazione del dissesto non può che essere lato sensu politica. Il margine entro cui si muove l’amministrazione straordinaria è, infatti, necessariamente quello del recupero della produttività, attraverso la salvaguardia dei livelli occupazionali.
Ciò detto, nella vigenza della legge fallimentare la giurisprudenza si è in più occasioni soffermata sul tema della sussistenza di un “obbligo” per il tribunale, dinanzi al deposito di una domanda prenotativa, di pronunciarsi di concedere giocoforza il termine. La Corte di Cassazione ha già affermato il termine può essere negato ogni qualvolta la condotta del debitore sia palesemente abusiva. Non è questo il caso, perché di certo il termine non avrebbe arrecato un pregiudizio ai creditori e perché lo sforzo della difesa delle ricorrenti era finalizzato a tenere aperto ad oltranza un ombrello di protezione. Tuttavia, il dato che pesa è un altro: il tentativo delle società orfane della capogruppo di affrontare cumulativamente la crisi risulterebbe monco e suonerebbe velleitario. Pertanto, la domanda d’accesso allo strumento è già attualmente sprovvista di quei requisiti di legittimità formale e sostanziale che può renderla suscettibile di aspirare al placet del tribunale a fine corsa. Se il gruppo già oggi non esiste più o non è più attivo, va da sé che le imprese non abbiano diritto di paralizzare la liquidazione, dal momento che all’orizzonte non è allo stato neppure ipotizzabile una valutazione comparativa fra una soluzione alternativa della crisi passibile d’essere selezionata e l’orizzonte liquidatorio della singola impresa. E dunque l’accesso al concordato con riserva finisce per rispondere ad una logica dichiaratamente difensiva, rinunciando a priori ad una visuale programmatica. Lo strumento del concordato in bianco adottato non per una finalità di miglior elaborazione progettuale, ma per uno scopo di immediata protezione, sembra all’evidenza non rispondere a questo secondo obiettivo, posto che essendosi sfaldato il gruppo, non vi è più una sinergia organizzativa da preservare.
Su un crinale differente si sarebbe potuto ragionare solo in presenza di un’ipotetica, diversa soluzione. Qualora, infatti, le società a tutt’oggi in bonis, quand’anche caratterizzate da attività sinergica e da intensi rapporti infragruppo, oltre che sottoposte ad uno stringente coordinamento, avessero prescelto di agire singolarmente, e non in condominio, in funzione dell’accesso con riserva ad uno strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza. Solo in tal caso, si sarebbe dovuto guardare, ai fini del vaglio di ammissibilità, alla posizione del singolo soggetto alla data di presentazione del ricorso individuale.
Tuttavia, è in buona fede che le imprese del gruppo hanno ragionevolmente ritenuto di non farlo, consapevoli com’erano dell’imminente avvio dell’amministrazione straordinaria di una di esse e della verosimile difficoltà a reggere in solitudine.