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Trib. Napoli, 21 febbraio 2024, Pres. Scoppa, Est. De Gennaro

CONCORDATO PREVENTIVO DI GRUPPO – Continuità aziendale – Maggioranza per l’approvazione del concordato – Presenza di classi dissenzienti – Omologa ex art. 112, comma 2, CCII.

Postilla a cura di Anna Arlati , Dottoressa in Giurisprudenza

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Nell’ambito della procedura di concordato preventivo di gruppo in continuità aziendale, la facoltà del Tribunale di omologare la proposta presentata dal debitore, anche in presenza di una o più classi contrarie, nel caso in cui sussistano congiuntamente i presupposti di cui all’art. 112, comma 2, CCII, trova origine nell’art. 11 della Dir. (UE) 2019/1023 (c.d. Direttiva Insolvency). In particolare, tale ultima disposizione prevede la ristrutturazione trasversale dei debiti e impone l’accettazione della proposta anche alle classi dei creditori che la hanno respinta, non approvandola con il proprio voto. Alla luce di ciò, il piano verrebbe omologato grazie alla forzatura dell’autorità giudiziaria, tenendo conto della presenza predetti presupposti, essenziali per consentire l’omologa ex lege
 
Segnalazione a cura del Prof. Giacomo D’Attorre e massima a cura della Dott.ssa Anna Arlati
Riproduzione riservata

art. 109 CCII
art. 112, comma 2, CCII
art. 11 Dir. (UE) 2019/1023

POSTILLA

Profili di accesso al concordato di gruppo

di Anna Arlati, Dottoressa in Giurisprudenza

5 Marzo 2024

La pronuncia del Tribunale di Napoli del 21 febbraio 2024 ha portata innovativa nel panorama giurisprudenziale successivo all’entrata in vigore del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII). Infatti, seppur la gestione accentrata della crisi del gruppo di imprese abbia ricevuto sin da subito positivo riscontro, ad oggi sono ancora rare le pronunce di merito aventi ad oggetto la risoluzione della crisi del gruppo, ed ancor più rare sono ipotesi in cui tale (ri)soluzione preveda la continuazione dell’attività di impresa, sia essa diretta o indiretta.
Come noto, la disciplina del concordato con continuazione dell’attività d’impresa, ai sensi dell’art. 285, comma 1, CCII, deve essere applicata alla totalità dei ricorrenti – e preferita, pertanto, all’ipotesi liquidatoria – qualora, confrontando i flussi complessivi derivanti dalla liquidazione dell’impresa, risulti che i creditori delle imprese del gruppo sono soddisfatti in misura prevalente dal ricavato prodotto dalla continuità aziendale, diretta o indiretta.
Ciò premesso, con il provvedimento in commento il Tribunale di Napoli si è pronunciato – per la prima volta, per quanto consta allo scrivente – in senso favorevole all’omologa di un concordato preventivo in continuità aziendale proposto da un importante gruppo di imprese.
Le ragioni portate dal Tribunale a supporto della decisione assunta richiedono al medesimo giudicante l’attenta disamina delle singole voci di verifica e delle condizioni rispettivamente previste dai commi 1 e 2 dell’art. 112 CCII, la quale si sviluppa nel solco dei principi già previsti dalla Direttiva (UE) 2019/1023 (c.d. Direttiva Insolvency).
Ed infatti, è attraverso l’ammissione da parte dell’art. 12 della Direttiva Insolvency della ristrutturazione trasversale dei debiti, nota anche come “cross-class cram-down”, che il Tribunale di Napoli giustifica l’omologa del concordato preventivo in continuità aziendale pur in assenza delle maggioranze previste dall’art. 109, comma 5, CCII ([1]). Tale meccanismo è stato oggetto di trasposizione all’interno dell’art. 112, comma 2, CCII.
Orbene, nella pronuncia in esame, seppur il Giudicante riconosca le priorità dettate dalla Direttiva e dall’art. 112, comma 1, lett. f) CCII nel senso dell’approvazione del concordato con voto favorevole da parte di tutte le classi, quest’ultimo – su richiesta delle imprese del gruppo ricorrenti e previa verifica della sussistenza congiunta delle condizioni di cui alle lettere da a) a d) dell’art. 112, comma 2, CCII – consente l’omologa ex lege del concordato preventivo in continuità aziendale, nonostante la presenza di una o più classi dissenzienti ([2]).
La così definita “forzatura dell’autorità giudiziaria” ai fini dell’omologa non osta, tuttavia, al vaglio da parte della stessa dei presupposti di cui all’art. 112, comma 1, CCII, il quale – in ogni caso – deve avere esito positivo ([3]).
Nell’ambito delle verifiche normativamente dovute, il Tribunale adito certamente non dimentica né trascura l’intento del legislatore italiano ed europeo di ridurre gli ostacoli posti d’innanzi all’accesso alle procedure di ristrutturazione. Ciò nonostante, si evince tra le righe della motivazione, il vaglio cui l’Autorità è chiamata può essere tanto di metodo quanto di merito, spingendosi in tale ultimo caso sino a legittimare il sindacato del tribunale sulle scelte effettuate dai singoli ricorrenti.
Si sostanzia in (mero) controllo di merito quello operato dal tribunale, in sede di omologa, circa la regolarità della procedura (art. 112, comma 1, lett. a) CCII) ed in ordine alla fattibilità del piano, intesa quest’ultima come “non manifesta inattitudine” del medesimo al raggiungimento degli obiettivi prefissati, nonché come presenza di ragionevoli prospettive di impedimento o superamento dell’insolvenza (art. 112, comma 1, lett. f) e g) CCII).
Quanto alla regolarità della procedura, il controllo del tribunale – benché non sia limitato al rispetto delle norme di rito, ma si estenda anche all’osservanza delle norme di legge sostanziali – ha ad oggetto l’integrità e la correttezza dei dati forniti ai creditori ai fini della libera e consapevole espressione del voto, senza spingersi sino a sindacare in via diretta la regolarità ed attendibilità dei documenti depositati ai sensi dell’art. 39 CCII.
Del pari, in ordine alla fattibilità del piano, nel rispetto di quanto previsto dall’art. 10 par. 3 della Direttiva Insolvency, il Giudicante evidenzia come il vaglio operato non debba spingersi oltre i limiti del riscontro di una lampante inagibilità del piano e spiega, altresì, come la procedura di concordato guadagni l’avallo del Tribunale in sede di omologa sulla base di una valutazione non negativa del piano medesimo. Quest’ultimo, deve essere “non palesemente inidoneo” a regolare la crisi; non irrazionale, né implausibile ([4]).
Diversamente, l’Autorità deve spingersi nel merito delle scelte operate dal ricorrente con riferimento all’esito della votazione, alla corretta formazione delle classi e alla parità di trattamento dei creditori all’interno di ciascuna classe.
In sede di omologa, il Tribunale provvede al riesame delle determinazioni svolte dal giudice delegato in punto di ammissione provvisoria dei creditori al voto, anche in ragione dei possibili mutamenti derivanti dalla segnalazione del commissario giudiziale, ai sensi dell’art. 110, comma 3, CCII. Tale riesame si estende alle modalità di espressione del voto che devono essere idonee a salvaguardare il contraddittorio e l’effettiva partecipazione dei creditori (art. 47, comma 2, lett. c) CCII) e, altresì, devono rispettare il grado di appartenenza del credito ([5]). 
Come sopra anticipato, spetta poi al Giudice accertarsi che le classi – così come strutturate dal ricorrente – assicurino una maggiore adeguatezza distributiva in ragione delle affinità elettive dei creditori. Tale accertamento attiene alla logica dei criteri utilizzati dal debitore, nonché alla qualità intrinseca dei crediti rientranti nella medesima classe. 
In tal senso, sottolinea il Tribunale di Napoli, dovrà essere oggetto di censura in sede di omologa la composizione della classe che sia valsa a costituire raggruppamenti artificiosi, volti a sterilizzare il dissenso dei creditori attraverso l’isolamento degli stessi in categorie selettive e disomogenee. 
Da ultimo, con specifico riferimento alle ipotesi di concordato preventivo di gruppo, assume una particolare sfumatura il controllo (di merito) operato dal Tribunale in ordine al trattamento dei creditori, la quale emerge dalla lettura congiunta degli artt. 112, comma 2 lett. e) e 284, comma 4, CCII. 
Infatti, la facoltà concessa a più imprese in stato di crisi o di insolvenza di presentare con un unico ricorso la domanda di accesso al concordato preventivo soggiace – già in punto di ammissione della procedura – all’attento esame dell’Autorità in ordine al migliore soddisfacimento dei creditori delle singole imprese. 
Orbene, a differenza di quanto avvenga previsto nell’ipotesi di domanda di concordato proposta da un’impresa singola, ove il miglior soddisfacimento della pretesa creditoria si sostanzia nella “assenza di pregiudizio”, nell’ambito della procedura di concordato preventivo di gruppo costituisce specifico onere gravante sulle imprese ricorrenti quello di esporre le ragioni di maggiore convenienza della gestione accentrata della crisi o dell’insolvenza del gruppo (vuoi attraverso un unico piano ovvero piani reciprocamente collegati e interferenti) rispetto alla gestione atomistica della stessa. 
In altre parole, certamente l’accesso al concordato preventivo di gruppo costituisce facoltà per le imprese ricorrenti (in virtù del verbo “potere” di cui all’art. 284, comma 1, CCII), ciò nonostante, tale facoltà soggiace alla puntuale verifica dell’autorità giudiziaria in ordine al miglior trattamento dei creditori. 



([1]) Maggioranze che, ai sensi dell’art.286, comma 5, CCII, si formano a seguito della votazione contestuale e separata dei creditori sulla proposta presentata dalla singola impresa del gruppo debitrice.
([2]) Con particolare riguardo alle condizioni di cui alle lettere a) e b) dell’art. 112, comma 2, CCII, attraverso le quali è positivizzata la regola della relative priority rule già prevista dall’art. 11, par. 3, Dir. ((UE) 2019/1023, si veda S. Leuzzi, Il volto nuovo del concordato preventivo in continuità aziendale, in Diritto della Crisi.it, 12 settembre 2022. 
([3]) Eccezion fatta, per ragioni di incompatibilità, per la verifica inerente al voto favorevole di tutte le classi del ceto creditorio.
([4]) Ciò a differenza della disciplina della previgente Legge Fallimentare, la quale ancorava il vaglio del tribunale a specifici parametri previsti negli artt. 160 e 161 L. Fall.
([5]) A tal riguardo, il Tribunale di Napoli sottolinea come il controllo nel merito dell’entità e del rango del credito costituisca una questione procedurale da cui dipende la regolarità del rito, la quale – si è detto – è destinataria di un controllo di metodo.

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