di Lodovico Valsecchi, Avvocato in Bergamo
Nella fattispecie decisa con la sentenza in commento, la Curatela del Fallimento ha impugnato avanti al Tribunale Amministrativo Regionale un’ordinanza Sindacale adottata ai sensi dell’art. 192 D.Lgs. n. 152/2006, contestando la propria legittimazione passiva in relazione agli obblighi di rimozione e smaltimento dei rifiuti prodotti dalla società in bonis, sul presupposto di non aver apportato alcun contributo causale in relazione all’accumulo dei rifiuti oggetto dell’ordinanza, sia perché la condotta contestata era stata, se del caso, compiuta dalla società in bonis, sia in quanto i rifiuti non si trovavano su un’area di proprietà o, comunque, nella disponibilità della Procedura.
In particolare, la Società - nel corso dei lavori di esecuzione di un contratto di appalto - aveva depositato del materiale da scavo in un’area comunale limitrofa alla sede del cantiere, all’uopo messa a disposizione dalla concessionaria dell’area stessa previo accordo con la Committente dei lavori; successivamente, sebbene il materiale da scavo non fosse stato rimosso, era stato redatto il certificato di ultimazione dei lavori.
Dopo l’esecuzione del contratto di appalto, l’Impresa veniva dichiarata fallita e, a seguito dell’apertura della procedura concorsuale, il Comune aveva ordinato alla Curatela la rimozione dei rifiuti ancora insistenti sull’area di cui sopra.
Alla luce di tali circostanze, il Tribunale Amministrativo Regionale, accogliendo il ricorso proposto dal Fallimento, ha decretato che la Curatela non potesse essere ritenuta responsabile dell’abbandono dei rifiuti e, quindi, assoggettata agli obblighi di rimozione e smaltimento di cui all’art. 192 D.Lgs. n. 152/2006, in quanto non poteva ritenersi successore a titolo universale del soggetto inquinatore, non aveva concorso alla realizzazione della condotta illecita, essendo l’attività di deposito avvenuta e cessata prima della dichiarazione di fallimento, ed, infine, non aveva mai avuto la disponibilità dell’area su cui sono situati tali rifiuti poiché detta area (peraltro neppure di proprietà della fallita) non era stata nemmeno inserita nell’inventario dei beni ai sensi degli art. 87 e segg. L. Fall.
Per questo ultimo profilo, il Tribunale Amministrativo Regionale, riprendendo l’orientamento di recente assunto dal Consiglio di Stato (Adunanza Plenaria n. 3 del 2021), ha chiarito, infatti, che il presupposto per potersi porre a carico della Curatela fallimentare gli obblighi di smaltimento di cui all’art. 192 D.Lgs. n. 152/2006 non va più individuato nella detenzione del rifiuto, bensì nella detenzione dell’area su cui si trova il rifiuto stesso, da ciò discendendo che la mancanza di “detenzione” dell’area su cui insistono i rifiuti comporta l’estraneità della Curatela agli obblighi di smaltimento dei rifiuti medesimi.