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Federico Clemente, Dottore Commercialista in Bergamo

Dario Donadoni, Avvocato in Bergamo

Concordato preventivo, flussi derivanti dalla continuità, finanza esterna e degrado dei creditori prelatizi: un diverso punto di vista

3 Marzo 2022

Come è noto, il concordato preventivo con continuità aziendale ex art. 186-bis l. fall. “prevede la prosecuzione dell’attività di impresa da parte del debitore”, e il piano concordatario può rinvenire le risorse finanziarie necessarie al pagamento del passivo concordatario anche dalla prosecuzione dell’attività d’impresa, in termini di variazioni di capitale circolante netto.
Il percorso di risanamento può anche prevedere l’applicazione dell’art. 160, comma 2, l. fall., a norma del quale il debitore concordatario può avvalersi della facoltà di “prevedere che i creditori muniti di privilegio, pegno e ipoteca non vengano soddisfatti integralmente, purché il piano ne preveda la soddisfazione in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale, sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o diritti su cui sussiste la causa di prelazione”.
In questo quadro, è argomento da tempo dibattuto, sia in dottrina che in giurisprudenza, stabilire se i flussi derivanti dalla continuità aziendale siano o meno qualificabili come “finanza esterna” e se, conseguentemente, siano liberamente allocabili o debbano seguire l’ordine delle cause legittime di prelazione. La differente interpretazione comporta che, secondo la teoria più restrittiva i flussi, in quanto “beni futuri”, rientrano nell’alveo della responsabilità prevista dall’art. 2740 c.c. e, pertanto, dovranno essere distribuiti secondo le cause legittime di prelazione. In questa ipotesi, dunque, le valutazioni circa il degrado ex art. 160, comma 2, l. fall. dovranno comprendere negli attivi anche i flussi previsti, che quindi dovrebbero essere destinati in prima battuta ai creditori privilegiati, secondo i differenti gradi di prelazione.
A tale tesi si contrappone quella meno restrittiva, a mente della quale è possibile derogare a quanto previsto dall’art. 2740 c.c. a condizione che venga garantito ai creditori un trattamento migliorativo rispetto all’alternativa liquidatoria. Ne consegue in questa seconda angolatura che i flussi in formazione potranno essere liberamente distribuiti a creditori privilegiati e a creditori chirografari (tra questi compresi i privilegiati per quanto oggetto di degrado).
L’approccio di dottrina e giurisprudenza si è da sempre focalizzato sulla qualifica di finanza esterna o meno di tali flussi, con tutte le problematiche definitorie e di individuabilità concreta che tale qualificazione comporta (“neutralità dell’apporto”, “non aggravio del passivo”, “finanza esogena”, ecc).
Una differente prospettiva può peraltro essere introdotta soffermandosi sulla natura del credito prelatizio degradato, specie a seguito delle modifiche introdotte all’art. 182-ter dalla L. 159/2020.
L’aspetto determinante e sul quale si vuole focalizzare l’attenzione concerne la qualificazione giuridica da attribuire alla quota di credito prelatizio non coperto dal valore degli attivi alla data di domanda di concordato e su cui grava la prelazione, ossia se tale quota mantenga la caratteristica di credito prelatizio o divenga chirografaria a tutti gli effetti.
Sul punto viene immediatamente in rilievo l’art. 182-ter l. fall., nel cui corpo con l’intervento di riforma è stato specificato che “se il credito tributario o contributivo ha natura chirografaria anche a seguito di degradazione per incapienza, il trattamento non può essere differenziato rispetto a quello degli altri creditori chirografari”.
La modifica appare chiara: a seguito del degrado ex art. 160 l. fall. si ha una mutazione della natura, che volge da prelatizia a chirografaria.
La Corte di Cassazione[1], come è noto, ha statuito che su ogni incremento patrimoniale del debitore (anche se successivo alla domanda di concordato) i creditori prelatizi devono essere collocati secondo il proprio grado. Gli interventi hanno avallato le interpretazioni secondo cui la finanza prodotta dalla gestione aziendale dopo la domanda di concordato debba andare comunque a beneficio dei creditori privilegiati, senza possibilità di degrado per pari quota.
Tale posizione, tuttavia, è stata assunta con pronunce antecedenti rispetto alla modifica dell’art. 182-ter l. fall., e che quindi non hanno vagliato la mutata prospettiva circa la “natura” della quota degradata, come espressa ora dall’art. 182-ter.
Si consideri ad adiuvandum come l’articolo 177, terzo comma l. fall. chiarisca che “i creditori muniti di diritto di prelazione in cui la proposta di concordato prevede, ai sensi dell’articolo 160, la soddisfazione non integrale, sono equiparati ai chirografari per la parte residua del credito”.
Ed ancora, come osservato in dottrina [2], “una volta acquisita, quale allegato alla domanda di concordato che preveda la degradazione totale o parziale al chirografo di un credito munito di prelazione, la relazione dell’esperto prevista dall’art. 160, comma 2, credo che sia inevitabile considerare definitiva la degradazione al chirografo”.
Si può dunque affermare che, nel momento in cui viene attestata l'inidoneità del patrimonio a soddisfare alcuni creditori prelatizi, questi divengano chirografari a tutti gli effetti.
Pertanto, se dopo l’attestazione di incapienza i privilegiati degradati divengono chirografari, non è più necessario qualificare le risorse derivanti dalla continuità quale finanza esterna, in quanto con i flussi derivanti dalla prosecuzione dell’attività verrebbero pagati creditori per natura chirografari, ancorchè per effetto della attestazione di degrado.
Tale interpretazione è in linea anche con quanto previsto dalla riforma, non essendo sostenibile che in un concordato con continuità, senza previsione dell’apporto di risorse esterne, si debba prospettare il pagamento integrale dei creditori privilegiati, nonostante l’incapienza del patrimonio.
Infatti, la riforma prevede per il solo concordato liquidatorio l’obbligo di prevedere l’apporto di finanza esterna. Tale previsione, pur in presenza del richiamo all’art. 160, comma 2 l. fall., non è stata estesa ai concordati con continuità aziendale, neppure in caso di attestata incapienza per i privilegiati.
In definitiva, dopo il degrado tutti i creditori prelatizi non coperti dal valore degli attivi all’apertura del concorso sono qualificabili come chirografari, e si affiancano ai creditori chirografari ab origine. I flussi di liquidità prodotti dopo la domanda di concordato dalla gestione aziendale (o anche versati in azienda, ad esempio per un aumento di capitale) potranno quindi essere liberamente distribuiti al monte chirografario complessivo, senza dover essere destinati ai creditori prelatizi, fatta salva la quota non degradata, senza che sia sussistente alcuna alterazione dell’ordine delle cause di prelazione. 

Federico Clemente
Dario Donadoni
                                                      
[1] Cass. Civ., 8.6.2012, n. 9373; Cass. Civ., 8.6.2020, n. 10884.
[2] LAMANNA, “Definitività della degradazione al chirografo dei crediti privilegiati incapienti”, in www.ilfallimentarista.it, 12.5.2014.

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