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Giuliano Buffelli, Professore incaricato presso l'Università di Bergamo

Federico Clemente, Dottore Commercialista in Bergamo

Concordato semplificato e art. 86 D.P.R. 917/86 (T.U.I.R.): incertezze applicative e rischio su fattibilità

3 Febbraio 2022

Il nuovo istituto di cui agli articoli  18 e  19 della L. 147/21, denominato concordato semplificato, si colloca (subordinatamente alle precise condizioni previste dalle norme succitate nell’ambito delle disposizioni che hanno introdotto l’istituto della composizione negoziata della crisi) in un indirizzo di favore verso la composizione della crisi d’impresa tramite la liquidazione degli attivi.
Tuttavia, il nuovo strumento deve confrontarsi con aspetti fiscali che, nel silenzio della norma, rischiano di complicarne le prospettive di successo.
Tra gli interrogativi di natura tributaria si pone quello dell’applicabilità all’istituto della previsione di cui all’articolo 86, comma 5, D.P.R.. 917/86, a norma del quale “la cessione dei beni ai creditori in sede di concordato preventivo non costituisce realizzo delle plusvalenze e minusvalenze dei beni, comprese quelle relative alle rimanenze e il valore di avviamento”.
Trattasi di una prescrizione che da sempre è stata oggetto di ampi dibattiti.
In un primo momento, infatti, è stato motivo di divergenza il momento di applicazione.
Ad avviso dell’Agenzia delle Entrate, infatti, la previsione avrebbe dovuto essere limitata al momento dell’omologazione del concordato, escludendo che il perfezionarsi dell’esdebitazione e quindi della cessio bonorum potesse in tale momento generare plusvalenze e minusvalenze. Le successive cessioni dei beni in adempimento della proposta invece, sempre ad avviso della Agenzia, avrebbero dovuto essere assoggettate ad ordinaria tassazione in termini di plusvalenze e minusvalenze.
La posizione, invero non rispondente alle finalità della norma, è stata superata grazie all’intervento del Giudice di legittimità (fra tutte, Cass. Civ., sez. I, 21 gennaio 1993 n. 709 e Cass. Civ., sez. I, 4 giugno 1996, n. 5112; da ultimo Cass. Civ., sez.. Trib., 16 ottobre 2006, n. 22168), che ne ha cristallizzato l’applicazione al solo momento delle specifiche effettive cessioni a terzi degli attivi, cessioni dunque neutrali dal punto di vista della imponibilità ai fini delle imposte dirette. 
L’Agenzia delle Entrate con Risposta n. 29/E del 1 marzo 2004 si è allineata all’interpretazione del supremo giudice precisando che la disposizione in esame rileva non solo per la “cessione dei beni ai creditori” ma anche per la vendita dei beni nei confronti dei terzi.
In tempi recenti, il dibattito si è spostato sulla applicabilità della disposizione di esenzione alle cessioni dei beni in sede di concordato in continuità il cui piano preveda anche ex art. 186-bis l. fall. “la liquidazione di beni non funzionali all’esercizio dell’impresa” (cd. concordato misto).
Il testo letterale dell’articolo 86, D.P.R.917/86, rimanda alla “cessione dei beni in sede di concordato preventivo”, senza distinzione circa la tipologia di concordato (nella nota ripartizione tra concordato preventivo liquidatorio, in continuità e misto).
Peraltro l’Agenzia delle Entrate, in sede di risposta ad interpello (n. 462/2019), sostiene che “alle plusvalenze e minusvalenze derivanti dalla cessione dei beni immobili non strategici all’esercizio dell’attività d’impresa nell’ambito di un concordato preventivo in continuità aziendale, siano applicabili le regole generali di determinazione del reddito d’impresa, con la conseguenza che le stesse concorrono a formare il reddito nell’esercizio di competenza”. Al riguardo, il cammino interpretativo è ancora in atto.
Venendo al concordato semplificato, l’applicazione dell’articolo 86, D.P.R. 917/86, non è richiamata apertis verbis dalla L. 147/21.
Il silenzio del dettato normativo dunque apre a possibili incertezze, e impone un percorso interpretativo che, ad avviso di chi scrive, deve muovere dalla stretta esegesi delle norme.
L’articolo 86, DP.R. 917/86, testualmente, si applica al concordato “preventivo”.
Come si è già avuto modo di sostenere in questo portale [1], sono molteplici gli elementi di snellimento procedurale e di destrutturazione del concordato semplificato rispetto al concordato preventivo liquidatorio di cui alla legge fallimentare. Inoltre, l’articolo 18 in nessun passaggio definisce il concordato semplificato quale concordato “preventivo”.
Peraltro, si ritiene che in particolare il necessario vaglio del Tribunale, con la necessità di una omologazione di natura giudiziale della proposta, possa far considerare il concordato semplificato come una fattispecie di concordato preventivo.
D’altro canto, identiche sono le finalità dei due istituti, volte a comporre la crisi d’impresa evitando, e quindi prevenendo, le complessità del fallimento. Si rammenta inoltre come la Relazione illustrativa allo schema di decreto legge definisca il concordato semplificato come una “tipologia di concordato preventivo”.
Tali considerazioni portano a collocare il nuovo istituto nell’ambito del concordato preventivo. Secondo questo indirizzo, ne deriva che l’articolo 86, D.P.R. 917/86, sia applicabile, con la conseguente neutralità delle plusvalenze e delle minusvalenze derivanti dalla cessione dei beni (e, si ritiene, anche dell’azienda nel suo complesso, stante il richiamo nell’articolo 86 all’avviamento).
Una interpretazione contraria, di converso, porterebbe ad aggravare il piano  liquidatorio di oneri tributari in ipotesi anche rilevanti, con possibili effetti estremamente negativi per i creditori.
Ricordiamo altresì come, ai sensi dell’articolo 18, comma 5, L. 147/21, il Tribunale, prima di pronunciarsi sull’omologa, debba effettuare un confronto di convenienza con l’ipotesi del fallimento, nel quale non si applica la tassazione direttamente alle plusvalenze sulle cessioni dei beni; si ricorda infatti come l’articolo 183, comma 2, T.U.I.R. ,prevede, nel caso di fallimento, l’esistenza di reddito di impresa imponibile del periodo compreso tra l’inizio e la chiusura del procedimento concorsuale, quale sia la durata, nel solo caso in cui rilevi evidenza positiva per differenza tra il residuo attivo e il patrimonio netto dell’impresa all’inizio della procedura a valori fiscalmente rilevanti. (situazione di difficilissima ricorrenza, con conseguente quasi certa mancanza di oneri fiscali su plusvalenze di cessione).
Ne deriverebbe pertanto un confronto che, anche solo per motivi fiscali, potrebbe volgere a favore del fallimento e precludere la strada del concordato semplificato.
Ad analoga problematica conduce il tema delle note di variazione iva, di cui si è già trattato su questo portale [2].
Tenuto conto che sono stati preannunciati interventi correttivi della L. 147/21, si auspica che le tematiche fiscali possano trovare in tali interventi adeguato inquadramento se si vuole che l’impianto su cui si basa la composizione negoziata possa funzionare.

Giuliano Buffelli
Federico Clemente
                                                      
[1] BUFFELLI, "Il concordato preventivo: profili fiscali e trattamento dei crediti prelatizi", 12 gennaio 2022 in www.dirittodellacrisi.it; CLEMENTE, La stima dell'attivo nel concordato semplificato ex art. 18 d.l. 118/21, 7 gennaio 2022 in www.dirittodellacrisi.it
[2] BUFFELLI - CLEMENTE, "Concordato semplificato-Note di variazione iva-Ricadute di rilievo in ambito fabbisogno", 15 dicembre 2022 in www.dirittodellacrisi.it 

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