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Frank Oltolini, Avvocato in Milano

Il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione: una prima riflessione

27 Marzo 2022

A distanza di 80 anni dalla promulgazione del Regio Decreto n. 267/1942, si sta per assistere all’ennesimo intervento riformatore che impatterà nuovamente sul testo originario, già ampiamente rivisitato, del CCII destinato ad entrare in vigore (finalmente) il 16 maggio 2022, soppiantando così la vecchia legge fallimentare.

Tra le novità di recente introduzione campeggia su tutte un nuovo strumento di regolazione della crisi o, usando un’espressione cara al Legislatore europeo e recepita da quello italiano, “quadro di ristrutturazione preventiva”.

Ci si riferisce al piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione (di seguito anche solo “PRO”), disciplinato dai nuovi artt. 64-bis e 64-ter, CCII, per il tramite del quale la Commissione Pagni ha inteso adeguare l’ordinamento concorsuale domestico all’art. 11, par. 1, Direttiva “Insolvency” che deroga alla c.d. “absolute priority rule.”

La disciplina in commento riconosce all’imprenditore, in stato di crisi o di insolvenza, di poter chiedere l’omologazione di un piano diretto al soddisfacimento dei creditori, seppur in deroga al principio della par condicio creditorum.

Ai fini di un’ordinata analisi del nuovo quadro, si ritiene utile circoscrivere preliminarmente l’ambito di applicazione soggettivo dell’art. 64-bis, per poi passare a definirne le finalità.

Nel silenzio del Legislatore è da escludersi che possa trattarsi di uno strumento accessibile a tutte le imprese.

A sostegno della tesi di cui sopra militano le seguenti considerazioni.

In primis, si osserva che l’art. 64-bis contiene numerosi rinvii alle norme che disciplinano il concordato preventivo.

Secondariamente, rileva il fatto che l’art. 64-ter riconosce all’istante la possibilità di mutare, in qualsiasi momento, la domanda originaria, formulando una proposta di concordato preventivo.

Per ultimo, occorre considerare che la disciplina in esame, sebbene sia stata collocata all’interno del titolo IV subito dopo quella dedicata agli ADR, non presenta alcun rinvio all’art. 57 che consente anche all’imprenditore agricolo di ricorrere a tali strumenti di regolazione della crisi. 

Ne discende che il PRO sarà attivabile esclusivamente dall’imprenditore commerciale nei cui confronti potrà essere dichiarata aperta la liquidazione giudiziale, vale a dire l’unico soggetto legittimato a presentare domanda di concordato preventivo, mentre né l’imprenditore minore (art. 2, co. 1, lett. d) né quello agricolo (art. 2135, c.c.) potranno accedere al nuovo istituto.

Quanto alle finalità del medesimo, è da escludersi, in considerazione dei reiterati richiami alle norme che disciplinano il concordato in continuità (su tutti gli art. 94-bis e 109), la natura liquidatoria del PRO.

Il PRO, a maggior ragione se si tiene conto del nomen iuris, dovrà tendere sicuramente al risanamento dell’impresa in un’ottica di recupero del valore aziendale.

Ciò precisato, è evidente che il nuovo strumento di regolazione della crisi si distingua dal concordato preventivo perché derogatorio, fatti salvo in una logica di perfetta armonia con i principi espressi dal Legislatore euro-unitario i diritti di credito maturati dai lavoratori dipendenti, alla c.d. “absolute priority rule”.

Tuttavia, il sacrificio delle regole ordinarie di distribuzione è destinato a soggiacere al previo soddisfacimento di condizioni particolarmente rigorose, alcune delle quali determinanti ai fini dell’omologazione.

Nello specifico, la disciplina in commento impone:

·         la suddivisione in classi dei creditori secondo posizione giuridica ed interessi economici omogenei;
·         il soddisfacimento in denaro dei lavoratori dipendenti nel termine di trenta giorni dall’omologazione;
·         il coinvolgimento di un professionista indipendente (art. 2, co. 1, lett. o), che attesti la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano;
·         l’approvazione all’unanimità di tutte le classi affinché la proposta venga omologata.

Passando al profilo procedimentale, si segnala che, a differenza del concordato, non viene prevista la parentesi, ancorché meramente eventuale, “prenotativa”.

All'opposto, sulla falsariga di quanto già previsto in tema di concordato semplificato, è esclusa la fase deputata a vagliare l’ammissibilità della proposta.

Il tribunale sarà, infatti, chiamato a verificare, con particolare riguardo ai criteri di formazione delle classi, la ritualità della proposta, e in caso positivo:

·         nominerà il giudice delegato e il commissario giudiziale;
·         fisserà la data iniziale-finale per l’espressione del voto dei creditori, oltre a determinare il quantum della somma che il debitore avrà cura di depositare in cancelleria;

Su un piano altrettanto innovativo, si pone la disciplina degli effetti che la domanda di omologazione produrrà in capo al debitore.

È risaputo che in virtù dell’entrata in vigore del CCII, è decaduto l’automatismo protettivo originariamente previsto dall’art. 168, L.F.

Il venir meno del c.d. automatic stay, si riverbera altresì nell’ambito del procedimento diretto all’omologa del PRO.

L’art. 54, co. 4, subordina, anche nella fattispecie in esame, l’applicazione delle misure protettive ad una specifica richiesta proveniente dal debitore e ne limita gli effetti che potranno concretizzarsi solamente:

·         nel divieto di promuovere o proseguire azioni esecutive e cautelari sul suo patrimonio, ivi compresi i beni con cui viene esercitata l’attività d’impresa;
·         nel c.d. blocco delle dichiarazioni di apertura della liquidazione giudiziale.

Tuttavia, la suddetta norma presenta una particolarità.

Viene, infatti, precisato che tale istanza potrà essere formulata dall’imprenditore prima del deposito della domanda di cui all’art. 64-bis, presentando la domanda di nomina dell’esperto, ex art. 12, e, contestualmente chiedendo, ai sensi dell’art. 18, l’applicazione in proprio favore delle misure protettive.

Parrebbe, dunque, che l’imprenditore possa invocare l’applicazione in proprio favore delle misure protettive a condizione che la domanda di omologazione del PRO sia stata preceduta dal deposito della domanda di accesso alla CNC.

Alla luce del dato normativo in esame, sorgono due quesiti.

L’imprenditore potrà accedere al PRO direttamente oppure, come già accade nell’ipotesi di concordato semplificato, dovrà necessariamente esperire la CNC? 

In caso di deposito non mediato della domanda di omologazione ex art. 64-bis, l’istante potrà ugualmente attivare il sub-procedimento di cui all’art. 54 oppure si vedrà negare tale facoltà?

Secondariamente, emerge il richiamo all’art. 46, con particolare riferimento ai commi 4 e 5, che statuiscono rispettivamente i) la prededucibilità dei crediti di terzi sorti in ragione degli atti legalmente compiuti dal debitore e ii) il divieto per i creditori di acquisire diritti di prelazione con efficacia nei confronti dei creditori concorrenti.

Ma, su tutti, risalta il fatto che l’imprenditore non subirà alcuno spossessamento, neppure nella forma attenuata.

Anzi, pur dovendo gestire l’impresa nel prevalente interesse dei creditori, ne conserverà, benché sotto la vigilanza del commissario giudiziale, sia la gestione ordinaria sia quella straordinaria.

In particolare, con specifico riferimento al compimento di atti di straordinaria amministrazione, l’art. 64-bis, commi 5 e 6, replica, con alcune accortezze, la disciplina contenuta nell’art. 21, applicabile nell’ambito della CNC.

Le disposizioni sopra richiamate prevedono, infatti, che l’imprenditore sarà tenuto ad informare preventivamente il commissario giudiziale e nel caso in cui quest’ultimo ritenga l’atto pregiudizievole per i creditori lo segnalerà per iscritto sia all’imprenditore sia all’organo di controllo.

La disposizione in esame sanziona duramente la condotta che l’imprenditore potrebbe realizzare in spregio alle osservazioni comunicate dal commissario giudiziario.

Se, ciononostante, l’imprenditore dovesse ugualmente compiere l’atto, si attiverebbe il procedimento di cui all’art. 106, che potrebbe concludersi con l’apertura della liquidazione giudiziale.

Veniamo, dunque, alle “battute” finali.

Ai fini dell’omologazione, come già osservato, viene richiesta l’approvazione all’unanimità da parte di tutte le classi.

Nell’ipotesi in cui non si dovesse conseguire tale maggioranza “bulgara”, troverebbe applicazione l’art. 64-ter che propone al debitore due diverse soluzioni.

La prima stabilisce che l’imprenditore, entro il termine di quindici giorni dal deposito della relazione sull’esito della votazione, qualora ritenga di aver conseguito il quorum richiesto, potrà insistere per l’omologazione, invitando, sostanzialmente, il tribunale a procedere al riconteggio dei voti.

In alternativa, potrà modificare la domanda originaria, chiedendo che venga emesso il relativo decreto di apertura.

Ci si domanda, stante la vaghezza del dato normativo, se analoga facoltà, ovvero di mutare la propria domanda, venga riconosciuta anche all’imprenditore che abbia presentato inizialmente domanda di ammissione al concordato preventivo.

Infine, si osserva che, stante la sua natura, è facile prevedere che il PRO sia destinato ad entrare in concorrenza con gli ADR, i quali non solo consentono all’imprenditore di mantenere la gestione dell’impresa, ma derogano, anch’essi, al principio della par condicio creditorum.

Sebbene formulare previsioni sia sempre un azzardo, è possibile pronosticare che, almeno inizialmente, gli imprenditori preferiranno ricorrere agli ADR.

Si consideri, infatti, nell’ambito degli ADR per l’imprenditore sarà possibile concludere, ex art. 63, una transazione fiscale, mentre nel contesto del PRO, stante l’omesso rinvio, è da escludersi l’operatività dell’art. 88.

Tenuto conto la tendenza delle imprese in crisi di finanziarsi omettendo i pagamenti in favore del Fisco, è ragionevole immaginare che, almeno inizialmente, gli ADR saranno considerati maggiormente appetibili rispetto al PRO.

Angelo Galizzi, Dottore Commercialista in Bergamo

26 Aprile 2022 12:52

L’interessante scritto  che precede, ci consente di provare a delineare un parallelismo o, meglio, i possibili punti di contatto (vi ricordate l’ossimorico concetto delle “convergenze parallele”?) tra la Composizione Negoziata e i Quadri di ristrutturazione preventiva previsti dalla direttiva Insolvency, anche per capire dove si vanno ad intersecare, partendo dallo schema di decreto legislativo recante modifiche al CCII in attuazione della richiamata direttiva.
Partiamo da un  presupposto e sgomberiamo il campo da possibili equivoci: la vera essenza della CN sta, a mio avviso, come sin dalle prime interpretazioni di questo “percorso”, nella risanabilità dell’impresa in crisi e nel mantenimento in vita della stessa, vuoi attraverso una ristrutturazione in continuità diretta, in capo allo stesso imprenditore (si pensi all'imprenditore, proprietario di un'azienda sana - che ha “prodotto” e “mercato” -  e che, quindi,  produce reddito, ma temporaneamente incagliata dal lato finanziario), vuoi attraverso una cessione dell’azienda nel corso della CN, con un mantenimento in vita del valore azienda attraverso una continuità indiretta (stessi presupposti, né più, né meno,  previsti dall’art. 186 bis l. fall. per il CP in continuità). Quindi con l’obiettivo, in entrambi i casi, del salvataggio dell’impresa attraverso il mantenimento in vita dell’entità “azienda” - lato sensu - non decotta.
 
Le logiche della CN sono, a mio avviso, un po' quelle della vecchia Amministrazione controllata, una gestione soft dello stato di crisi in una fase di “temporanea difficoltà”, con eventuale paracadute su altre procedure concorsuali, in caso di esito negativo. Ma sempre con concreti presupposti di risanamento, per certi versi gli stessi ai quali si ispirano, appunto,  i QdRP - che, è bene ribadirlo, non riguardano procedimenti liquidatori - con un progressivo spostamento del baricentro del percorso di ristrutturazione dallo stretto interesse dei creditori alla continuazione dell’attività imprenditoriale, con finalità non necessariamente legate alla sola componente satisfattiva: in altre parole, tali Quadri, dovrebbero consentire all’imprenditore in difficoltà di ristrutturarsi efficacemente in fase precoce (c.d. twilight zone) per prevenire l’insolvenza prospettica ed impedendo la perdita di posti di lavoro e di imprescindibili asset intangible che, in scenari liquidatori alternativi, rimarrebbero privi di alcun valore.
 
Ciò detto, ho l’impressione che comunque permanga un equivoco di fondo generato (forse) dai dettami del decreto dirigenziale che sembrerebbero consentire l’accesso indiscriminato alla CN anche alle imprese in stato di insolvenza ( l’aggiunta dell’aggettivo “reversibile” mi pare, per certi versi, poco conciliabile con certe situazione di crisi), con EBITDA negativo e prospettive di continuità pregiudicate e con una commistione fuorviante dei concetti di insolvenza (che non può che essere di natura eminentemente di natura finanziaria, fermi i richiami al rapporto PFN/Ebitda, principale termometro dello stato di salute dell’impresa, che non può andare oltre certe soglie - almeno inferiore a 5 volte -) e redditività

Tornando al parallelismo tra CN e QdRP, mentre sin quando si resta al risanamento d’impresa le finalità restano indubbiamente comuni( pur se con percorsi e piani che possono restare solo “paralleli”), non  capisco invece la necessità - come mi sembra di aver colto in certi contesti -, di spingere il dibattito e il confronto  sino alla fase in cui la CN può sfociare, i.e. , nel Concordato Semplificato che ha finalità liquidatorie e che nulla ha che a vedere, quindi, con i QdRP  - che hanno come obiettivo di consentire ai debitori in difficoltà finanziarie di continuare ad operare, in tutto o in parte, accedendo a quadri nazionali efficaci in materia di ristrutturazione preventiva - portando il confronto su un terreno scivoloso, quanto residuale, che nasce proprio dall’equivoco cui ho accennato: in questa fase non ci possono essere punti di contatto tra i Quadri ed il percorso della CN, i presupposti comuni di risanamento sono ormai venuti meno. 

Angelo Galizzi

Giovanni La Croce, Dottore commercialista Milano

27 Giugno 2022 16:13

L’interessante scritto  che precede, ci consente di provare a delineare un parallelismo o, meglio, i possibili punti di contatto (vi ricordate l’ossimorico concetto delle “convergenze parallele”?) tra la Composizione Negoziata e i Quadri di ristrutturazione preventiva previsti dalla direttiva Insolvency, anche per capire dove si vanno ad intersecare, partendo dallo schema di decreto legislativo recante modifiche al CCII in attuazione della richiamata direttiva.
Partiamo da un  presupposto e sgomberiamo il campo da possibili equivoci: la vera essenza della CN sta, a mio avviso, come sin dalle prime interpretazioni di questo “percorso”, nella risanabilità dell’impresa in crisi e nel mantenimento in vita della stessa, vuoi attraverso una ristrutturazione in continuità diretta, in capo allo stesso imprenditore (si pensi all'imprenditore, proprietario di un'azienda sana - che ha “prodotto” e “mercato” -  e che, quindi,  produce reddito, ma temporaneamente incagliata dal lato finanziario), vuoi attraverso una cessione dell’azienda nel corso della CN, con un mantenimento in vita del valore azienda attraverso una continuità indiretta (stessi presupposti, né più, né meno,  previsti dall’art. 186 bis l. fall. per il CP in continuità). Quindi con l’obiettivo, in entrambi i casi, del salvataggio dell’impresa attraverso il mantenimento in vita dell’entità “azienda” - lato sensu - non decotta.
 
Le logiche della CN sono, a mio avviso, un po' quelle della vecchia Amministrazione controllata, una gestione soft dello stato di crisi in una fase di “temporanea difficoltà”, con eventuale paracadute su altre procedure concorsuali, in caso di esito negativo. Ma sempre con concreti presupposti di risanamento, per certi versi gli stessi ai quali si ispirano, appunto,  i QdRP - che, è bene ribadirlo, non riguardano procedimenti liquidatori - con un progressivo spostamento del baricentro del percorso di ristrutturazione dallo stretto interesse dei creditori alla continuazione dell’attività imprenditoriale, con finalità non necessariamente legate alla sola componente satisfattiva: in altre parole, tali Quadri, dovrebbero consentire all’imprenditore in difficoltà di ristrutturarsi efficacemente in fase precoce (c.d. twilight zone) per prevenire l’insolvenza prospettica ed impedendo la perdita di posti di lavoro e di imprescindibili asset intangible che, in scenari liquidatori alternativi, rimarrebbero privi di alcun valore.
 
Ciò detto, ho l’impressione che comunque permanga un equivoco di fondo generato (forse) dai dettami del decreto dirigenziale che sembrerebbero consentire l’accesso indiscriminato alla CN anche alle imprese in stato di insolvenza ( l’aggiunta dell’aggettivo “reversibile” mi pare, per certi versi, poco conciliabile con certe situazione di crisi), con EBITDA negativo e prospettive di continuità pregiudicate e con una commistione fuorviante dei concetti di insolvenza (che non può che essere di natura eminentemente di natura finanziaria, fermi i richiami al rapporto PFN/Ebitda, principale termometro dello stato di salute dell’impresa, che non può andare oltre certe soglie - almeno inferiore a 5 volte -) e redditività

Tornando al parallelismo tra CN e QdRP, mentre sin quando si resta al risanamento d’impresa le finalità restano indubbiamente comuni( pur se con percorsi e piani che possono restare solo “paralleli”), non  capisco invece la necessità - come mi sembra di aver colto in certi contesti -, di spingere il dibattito e il confronto  sino alla fase in cui la CN può sfociare, i.e. , nel Concordato Semplificato che ha finalità liquidatorie e che nulla ha che a vedere, quindi, con i QdRP  - che hanno come obiettivo di consentire ai debitori in difficoltà finanziarie di continuare ad operare, in tutto o in parte, accedendo a quadri nazionali efficaci in materia di ristrutturazione preventiva - portando il confronto su un terreno scivoloso, quanto residuale, che nasce proprio dall’equivoco cui ho accennato: in questa fase non ci possono essere punti di contatto tra i Quadri ed il percorso della CN, i presupposti comuni di risanamento sono ormai venuti meno. 

Angelo Galizzi

RIFLESSIONI IN PIENA SINDROME DI CASSANDRA
"… almeno inizialmente, gli imprenditori preferiranno ricorrere agli ADR", chiosa l'avv. Oltolini.
A me pare un'affermazione più che condivisibile da cui partire, seppure, causa il procedimento unitario, il loro percorso sarà più tortuoso e accidentato di quello che abbiamo conosciuto sino ad ora.
Forse sarà per l'anelasticità del tracciato cerebrale che contraddistingue quello di molti vecchi come me, ma difronte a questo dispiegamento di istituti e procedimenti traggo come un senso d'impotenza, quasi spaventato da novità così tante e complessamente barocche da considerarmi, al loro cospetto, non più all'altezza di "stare sul mercato" .
Mi consola solo che anche colleghi più giovani come te, Angelo, si trovino in difficoltà nel riannodare un fil rouge intorno al quale costruire buone prassi operative per il futuro.
Colgo l'avvento del 15 luglio come la fine di un'epoca nella quale la norma consentiva, a patto d'averla studiata e non abusata, scelte e percorsi sufficientemente razionali.
L'assetto normativo della riforma 2005/2006, ampiamente preveggente - con i suoi AdR, i suoi Piani attestati e il suo nuovo concordato preventivo - rispetto a quelli che sarebbero state le future richieste della Direttiva Insolvency, necessitava solo di semplificazioni. Esso ha, invece subito un'affastellata e irrazionale involuzione, difficilmente compatibile con l'obiettivo competitività preteso dal PNRR. Complice una struttura - quella del CCII - già presente, di cui non si è voluto, non si capisce per quale motivo, fare a meno.
L'ingenuità di chi non si è mai rassegnato a che questo Paese continuasse a essere retto - almeno nel nostro mondo - da leggi disegnate in guisa di un arabesco, mi aveva portato a ritenere che - chiusa una certa stagione politica - ragion di Stato (il PNRR) avrebbe consigliato di ripartire dal vecchio ordito del '42, così come modificato nel 2005/2006, per innestarvi un concordato preventivo stile chpt. 11, semplice e destrutturato, finalizzato solo alla ristrutturazione delle imprese e non alla loro liquidazione., per la quale semplicemente sarebbe stato sufficiente de-burocrattizare le già ottime disposizioni fallimentari in essere, dove enfatizzare l'obbligatorietà di uno o più CdC.
Un buon maquillage, nulla di più, con una rivisitazione completa, però, dell'annesso penalistico, che, al contrario, è rimasto pressoché intatto..
Vi leggo e, nei vostri dilemmi, vedo un futuro funesto dove la forma - al momento ignota in quello che essa sarà post sua interpretazione - prevarrà sicuramente sulla sostanza. Un futuro dove il solco tra i chierici della materia e il mercato diverrà incolmabile, e dove, a causa di ciò, l'obiettivo della competitività è perso in partenza.
Sono curioso di vedervi spiegare a un investitore internazionale il percorso con cui gli suggerirete di approcciare in futuro l'acquisizione di un'impresa in crisi e convincerlo così a investire. Io non ne sarei capace, ma, forse è solo perché sono vecchio e non capisco le "modernità".
Intendiamoci, non tutto il prodotto è da buttare, solo che aver usato troppi ingredienti (curry, caffè, zucchero, zenzero etc.) ha reso la pietanza della riforma, che ci è proposta come piatto unico, di sapore talmente disarmonico da essere indigeribile.
Mi sbaglierò, ma il 15 luglio 2022 sarà ricordato come una data funesta per il diritto della crisi, nonostante gli sforzi fatti dalla Commissione Pagni.