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Paolo Rinaldi, Dottore commercialista in Modena

La difficile compatibilità tra insolvenza e credito bancario nella composizione negoziata

15 Febbraio 2022

Il pregevole lavoro di revisione delle misure di allerta effettuato da parte della commissione, sfociato nel D.L. 118/2021 inizia a dare i primi risultati: sono una settantina gli esperti nominati, e in circa la metà dei casi è già presente una richiesta di misure protettive (Fonte Infocamere). Un inizio in sordina, dunque, con un numero di tavoli aperti inferiore alle previsioni e con un rilevante deterioramento della situazione finanziaria delle imprese che invocano la nomina dell’esperto: la richiesta immediata di misure protettive testimonia infatti la presenza di esposizioni scadute vistose, segnalando una condizione di insolvenza vera e propria, più che di crisi.
Il dibattito sulla inclusione delle imprese insolventi tra quelle beneficiare della composizione è stato molto acceso e ha visto contrapporsi quanti ritenevano plausibile limitare il percorso alle sole imprese in crisi e quanti hanno immaginato un percorso stragiudiziale alternativo a quello giudiziale, aperto a tutte le imprese in grado di guardare ad un orizzonte di possibile risanamento, benchè insolventi. Tale confronto è stato risolto in sede di conversione del DL 118 con l'opzione inclusiva: l'art. 9 prevede, infatti, due diverse modalità di conduzione dell’impresa a seconda che essa sia in crisi ovvero insolvente. Avere sdoganato l’ingresso in composizione alle imprese in insolvenza seppure reversibile può creare un maggiore appeal per il percorso, ma non possono sottostimarsene le conseguenze sui creditori bancari. La modesta attrattiva della composizione per il sistema bancario  è testimoniato da un dato di fatto: molto esiguo è il numero di trattative che dai tavoli bancari si sono spostate nelle stanze degli esperti. Le ragioni della difficoltà degli istituti bancari ad approcciare la composizione  vanno ricondotte a due ordini di circostanze. Sotto il profilo regolamentare, la circostanza che l’impresa autodichiari una situazione di difficoltà comporta certamente un evento SICR, tale da comportare – se non già intervenuto - il passaggio a stage 2 della posizione del debitore.  Pesa tuttora la mancanza di istruzioni da parte del regolatore bancario sulla classificazione di queste esposizioni. Diversamente dai concordati in bianco, in relazione ai quali gli intermediari hanno ricevuto istruzioni da parte della Banca d’Italia tramite la circ. 139 dell’11 febbraio 1991 “Centrale dei Rischi – istruzioni per gli intermediari creditizi”, nulla è stato detto in ambito di composizione negoziata. Ciò comporta che la banca sia (in via naturale) molto probabilmente portata a classificare a UTP la posizione non appena aperta la negoziazione, e ciò certamente in via automatica ogni volta che vengano richieste misure protettive. Questo passaggio a UTP (Unlikely To Pay–inadempienze probabili; v. Quaderno della Commissione Proc. Concorsuali ODCEC Milano e SAF Lombardia https://www.dirittodellacrisi.it/articolo/Ordine%20dei%20Dottori%20Commercialisti%20e%20degli%20Esperti%20Contabili%20di%20Milano), laddove intervenga, determina rilevantissime conseguenze sulla disponibilità di credito per l’impresa: gli istituti, indipendentemente dalle previsioni normative del D.L. 118 (in particolare dal disposto dell’art. 6, che disporrebbe l’obbligo di prosecuzione della prestazione creditizia qualora la banca sia destinataria delle misure protettive), disporranno con molta probabilità la sospensione degli affidamenti in attesa di prendere visione del Piano dell’impresa, con buona pace delle misure protettive.
Queste ultime, anche se invocate dall’imprenditore, avranno un duplice effetto negativo. Innanzitutto, si incrementeranno gli accantonamenti per la banca, sia a causa dell’eventuale maggior importo di erogato, sia per effetto del passaggio a stage 3). In secondo luogo, vi sarà certamente una accelerazione del confronto con gli intermediari, con una interlocuzione (forse intempestiva) che il declassamento del credito renderà ancor meno agevole. Sarebbe infatti consigliabile invitare al tavolo gli intermediari finanziari solamente quando il quadro informativo sia completo, e cioè laddove sia possibile per l’impresa presentare alle banche sia il piano, sia la manovra finanziaria. Aprire il tavolo negoziale prima di tale eventualità rende molto instabile l’accesso al credito per l’impresa: tentare di rimediare a ciò tramite la richiesta di misure protettiva non farà che peggiorare le cose, arrecando un danno immediato agli interlocutori – le banche – con i quali si dovrebbe invece tentare di raggiungere una intesa. E’ buon diritto della banca, infatti, valutare se vi sia o meno la concreta prospettiva di risanamento nel momento in cui le viene richiesta l’erogazione di credito da parte di un’impresa che – proprio per la presenza di misure protettive – si presenta prima facie come insolvente. Vi è la necessità di controbilanciare i sacrifici richiesti al creditore bancario in termini di maggiori accantonamenti con i concreti benefici in termini di valore dell’impresa e di ritorno atteso sotto forma di soddisfazione del creditore bancario stesso. Non può esservi una coazione unilaterale alla prosecuzione della prestazione creditizia senza la dimostrazione reale – da parte dell’imprenditore e dei propri advisors – della effettiva concretezza della prospettiva di risanamento. Questa postula, non solo un piano (che non sempre sarà presente se non in forma di abbozzo), ma anche la compatibilità tra i desiderata dell’imprenditore e quelli dei creditori: questi ultimi, nel caso di classificazione del credito a sofferenza (non già a UTP), hanno un obbligo di ottenere la liquidazione del patrimonio dell’impresa che ben poco si sposa con piani in continuità.  La continuità è un valore alla duplice condizione che essa dimostrabilmente produca maggiori flussi rispetto alla liquidazione e che i tempi ed i rischi di ottenimento di tali flussi siano compatibili con le attese dei creditori. La natura negoziale del percorso mal si coniuga con interventi unilaterali in grado di mettere i creditori bancari in urto con i regolamenti imposti dal regolatore centrale: il raggiungimento di una intesa basata sulla buona fede presuppone che il debitore faccia proposte “bancabili” ai propri creditori.
Ignorare, ad esempio, le previsioni del calendar provisioning in termini di tempistiche e prospettive di incasso significa porre i presupposti per un difficile terreno di confronto. La presenza di un modulo formativo proprio sulla regolamentazione bancaria dovrebbe dunque garantire che l’esperto “orienti” le proposte dell’imprenditore verso quelle accettabili dal punto di vista regolamentare. Vi è un altro aspetto rilevantissimo: si tratta dei rischi di natura penale e di revocatoria fallimentare. Il concordato in bianco si connota per due caratteristiche positive, lato banca: non prevede obbligo di erogare autoliquidante; si svolge sotto la vigilanza del Tribunale. Nella composizione la presenza di misure protettive, invece, partorisce l’obbligo per le banche di proseguire l’erogazione creditizia ex art. 6, nonostante la totale assenza di reportistica obbligatoria, la possibile mancanza di un piano di risanamento condivisibile, la presenza di un sistema di tutele particolarmente fragile.
La presenza di insolvenza, infatti, imporrebbe alla banca di non erogare o di farlo solo in presenza di elementi e riscontri che deve autonomamente valutare: essere obbligata ad erogare credito a prescindere da una propria scelta, non mette al riparo la banca dalle responsabilità penali e dai rischi di revocatoria.  L’art. 12, infatti, prevede che questo duplice livello di protezione pervenga in automatico alla banca solo in presenza di autorizzazione del tribunale alla prededucibilità dei relativi crediti: se l’imprenditore, tuttavia, chiedesse misure protettive ma non l’autorizzazione alla prededucibilità (ovvero il tribunale la negasse), la banca non sarebbe mai certa di essere protetta dalle responsabilità. La protezione solo eventuale – legata alla coerenza dell’attività di finanziamento con la prospettiva di risanamento – la connotazione ex post della valutazione da parte del curatore fallimentare, rende questa operatività ad altissimo rischio. Occorre dunque “sminare” il percorso per le banche. Una possibile proposta potrebbe essere quella di limitare l’accesso alla composizione negoziata alle sole imprese in crisi, escludendo quelle insolventi.
Gli altri strumenti potrebbero essere i seguenti:
a)  Certificare che l’impresa è “solo” in crisi ma non insolvente, all’interno di una relazione iniziale dell’esperto che illustri alle banche i concreti presupposti di risanamento individuati: ciò dovrebbe compendiarsi in una dichiarazione scritta dell’esperto in sede di ammissione, non in un comportamento tacito o in un placet implicito come adesso accade; b)  Obbligare la banca alla prestazione creditizia non dalla data della pubblicazione delle misure protettive nel registro delle imprese, ma solo ad esito della conferma delle medesime da parte del Tribunale - circostanza che sterilizzerebbe gli abusi;  c)  Consentire all’imprenditore di utilizzare le linee di credito solo nei limiti dell’esposizione esistente alla data di richiesta delle misure protettive, permettendo un aumento dell’erogazione e dei rischi conseguenti solo in ipotesi di accordo condiviso con gli intermediari; d)  Consentire l’accesso al concordato semplificato garantendo tuttavia ai creditori la possibilità di depositare proposte concordatarie concorrenti sia pure secondo uno schema destrutturato e agile rispetto al modello contemplato dall’art. 163 L.F.; e)  Rivedere gli effetti della erogazione creditizia (ai sensi dell’art. 12) cui la banca fosse obbligata in conseguenza dell’operare delle misure protettive ex art. 6. Un intervento correttivo delle norme del DL 118 apportato in questa fase prodromica all’entrata in vigore del codice potrebbe dare uno slancio effettivo alla composizione, neutralizzandole le criticità.

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