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Carlo Carbone, Avvocato e Dottore Commercialista in Roma

La società insolvente tra liquidazione volontaria e liquidazione giudiziale

9 Giugno 2025

Scorrendo le norme del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza che regolano la liquidazione giudiziale ne troviamo una a tutta prima assai oscura.

Il quarto comma dell’art. 130 CCII stabilisce che il curatore, entro sessanta giorni del deposito dal decreto di esecutività dello stato passivo, presenta al giudice una relazione particolareggiata in ordine al tempo ed alle cause dell’insorgere della crisi e del manifestarsi dell’insolvenza, sulla diligenza spiegata dal debitore nell’esercizio dell’impresa, sulla sua responsabilità, e su quanto può interessare in sede penale. 

Tuttavia, al secondo capoverso del citato quarto comma si fa cenno all’obbligo del curatore di allegare alla relazione particolareggiata, il rendiconto di gestione di cui all’art. 2487 bis c.c. 

Invero, prima del correttivo dell’autunno 2024 il curatore aveva l’obbligo di allegare alla citata relazione, anche il bilancio dell’ultimo esercizio ove non redatto dal debitore. 

L’incombente in questione era il risultato del combinato disposto della norma in esame con l’art. 198, II comma, CCII da subito molto criticata. 

Infatti, obbligare il curatore a depositare il bilancio, che allude alle attività svolte dal debitore prima della sua nomina, poteva offrire l’occasione per riaprire il dibattito, ancora non del tutto sopito, che il curatore ripeta i propri obblighi e le responsabilità dal legale rappresentante della società. 

Eppure, per risolvere il dilemma sarebbe sufficiente il seguente comma inserito all’art. 129 CCII che regola l’esercizio delle attribuzioni del curatore: “Il curatore non si sostituisce al debitore od al legale rappresentante della società assoggettati alla liquidazione giudiziale”. 

Invero, da qualche tempo il registro delle imprese recepisce detto principio laddove distingue, appunto, i ruoli dei soggetti in questione che non potrebbero essere più distanti tra loro per funzioni e responsabilità. 

Si tratta di una salvezza per il curatore. 

Infatti, al primo fraintendimento, sempre dietro l’angolo per il curatore, oggi è sufficiente produrre la visura camerale aggiornata della società per dimostrare che, sebbene in costanza della procedura di liquidazione giudiziale, egli non è il legale rappresentante del debitore, in special modo in forma collettiva. 

Purtroppo per il curatore gli uffici finanziari ancora si muovono nell’equivoco e pretendono di attribuire al curatore la qualifica di rappresentante legale del debitore, salvo risolversi, talora, precisando trattarsi di rappresentante fiscale, mutuando il concetto utile per le società estere con stabile organizzazione in Italia.

Errando doppiamente. 

Ora, si tratti di ricevere dal curatore la notifica di un avviso di accertamento o di rettifica del debitore, ai fini della prova dell’esistenza del credito in sede di insinuazione al passivo, il problema non si pone più di tanto.  

Tuttavia, esso sorge quando l’ufficio fiscale intende irrogare le sanzioni in applicazione della responsabilità solidale al legale rappresentante (art. 98, D.P.R. n. 602/1973) reputando tale il curatore.

Torniamo, però, al tema in argomento. 

Come il filo di Arianna, dunque, novelli Teseo, ci apprestiamo a prenderne un capo per entrare nel labirinto alla ricerca del Minotauro. 

Partiamo dal rendiconto della gestione ex art. 2487 bis c.c. che il curatore deve allegare alla relazione particolareggiata ex art. 130, IV comma, CCII. 

L’art. 380 CCII ha introdotto al primo comma dell’art. 2484 c.c. il numero 7 bis) CCII, il quale aggiunge tra le cause di scioglimento della società di capitali l’apertura della liquidazione giudiziale o della liquidazione controllata. 

In questo caso, recita la norma, si applicano, in quanto compatibili, gli articoli 2487 e 2487 bis c.c.

Il secondo comma dell’art. 380 CCII, inoltre, stabilisce che, nel caso dell’apertura della liquidazione giudiziale, il rendiconto sulla gestione è consegnato anche al curatore. 

A questo punto, il filo si è aggrovigliato e dobbiamo tornare indietro.

Tra le cause di scioglimento della società di capitali il Legislatore ha introdotto quelle dell’apertura della liquidazione giudiziale o della liquidazione controllata. 

La nuova previsione introdotta dalla norma appare, se vogliamo, superflua, posto che anteriormente alla apertura di siffatte procedure lo stato d’insolvenza preesisteva onde la sentenza del tribunale accerta meramente la sua condizione a fondamento dell’apertura di una delle due procedure medesime.

In questo caso, la norma riferisce che la gestione dell’impresa deve essere improntata a garantire l’interesse prioritario dei creditori e contigua a tale circostanza, tra le ipotesi di scioglimento della società di capitali, rinveniamo l’impossibilità di conseguire l’oggetto sociale. 

È chiaro, infatti, che una società in stato d’insolvenza non possa raggiungere l’oggetto sociale che corrisponde alla capacità di produrre utili attraverso l’esercizio dell’impresa (art. 2247 c.c).    

Come è noto, ai sensi dell’art. 2486 c.c., al verificarsi di una causa di scioglimento, gli amministratori conservano il potere di gestire la società ai soli fini della tutela dell’integrità e del valore del patrimonio sociale e, contestualmente, secondo l’art. 2487 c.c., debbono convocare l’assemblea dei soci per la nomina del liquidatore con l’attribuzione dei poteri conferiti.  

Quest’ultima deve essere iscritta nel registro delle imprese. 

Il secondo comma dell’art. 2487 bis c.c. regola quello che viene comunemente definito “passaggio di consegne” tra l’amministratore ed il neonominato liquidatore nel contesto del quale vengono consegnati i libri contabili, una situazione dei conti, ed un rendiconto sulla gestione relativo al periodo successivo all’ultimo bilancio approvato e sino alla cessazione dell’incarico ed alla nomina del liquidatore medesimo. 

Il rendiconto sulla gestione di cui si parla nell’art. 130, IV comma, II c.p.v., CCII è, dunque, quel documento che l’amministratore deve consegnare al liquidatore e non solo a questi, ma anche al curatore al quale, peraltro, stando alla lettera del disposto, il curatore medesimo dovrebbe apportarvi le eventuali rettifiche. 

Quanto previsto dal Legislatore appare sistematicamente logico, tuttavia, non possiamo non annotare che nel mondo della crisi d’impresa, attanagliato da innumerevoli problemi legati per lo più alla criticità del momento in cui versa l’impresa stessa, nella pratica non si è ancora vista l’applicazione della norma in esame. 

Non abbiamo contezza, infatti, di casi nei quali dopo l’apertura della liquidazione giudiziale della società di capitali l’amministratore abbia convocato l’assemblea dei soci per nominare un liquidatore che si relazioni con il curatore durante tutto il periodo della procedura. 

Sotto il profilo rassegnato incidentalmente all’inizio di questi scritti, nelle more come si diceva di un chiaro disposto della norma, l’ipotesi in argomento fornisce un ulteriore indizio che il legale rappresentante della società, si voglia nella figura dell’amministratore o del liquidatore, non cessi dal proprio incarico con l’apertura della liquidazione giudiziale ed il curatore, quindi, non si sostituisce ad esso.

Siamo giunti dunque alla fine, non abbiamo ucciso il Minotauro, però, almeno, su questo tema, siamo usciti dal labirinto del Codice della crisi.

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