“Lettere aperte” al Legislatore del “Correttivo” che verrà - La prima: i) sull’inutilità di tre (anzi quattro) concetti di crisi ed insolvenza e ii) sull’opportunità di un ritorno ad uno stabilizzato automatic stay
Con questa (mini) serie di “lettere-blog”, proveremo ad offrire degli “allert” rispetto a taluni possibili difetti di coordinamento tra norme del CCII (talvolta slegate a causa dell’urgenza di intervento su un ordito normativo già tanto stratificatosi in questi pochi anni), permettendoci in taluni casi di entrare nel merito delle stesse (soprattutto alla luce delle prime risposte pervenute “sul campo”), sempre con spirito costruttivo e, per quanto si riuscirà, comunque in linea con la Dir. 1023/2019.
1) La Dir. Insolvency ha lasciato liberi i legislatori nazionali di definire i concetti di insolvenza e probabilità di insolvenza (art. 2, par.2).
Ovviamente non obbligando in alcun modo a definirli, tantomeno entrambi.
E noi cosa abbiamo fatto?
Per probabilità di insolvenza abbiamo pensato al concetto di crisi (sconosciuto lessicalmente alla Dir.), coniandone, con l’art. 2, lett. a), CCII, una nuova definizione - forse anche troppo definita -, mentre per l’insolvenza abbiamo, saggiamente, confermato la solida enunciazione, di carattere generale, dell’art. 5 l. fall. (art. 2, lett. b), CCII).
Non paghi, però, prima con l’art. 2, co. 1 del D. L. 118/2021 (conv. in L. 147/2021) e poi con l’art. 12, co. 1 del CCII abbiamo introdotto anche il rivoluzionario (?) concetto di “probabilità di crisi”.
Tra l’altro, non chiarendo neppure in sede di CCII, se alla Composizione Negoziata (d’ora in poi anche CN) si possa accedere ove anche ci si trovi già, al momento della domanda (e quindi non in itinere, come lasciava presupporre l’art. 9, co. 1, L. 147/2021 ed ora l’art. 21, co. 1, CCII, in stato di insolvenza, per quanto “reversibile” (come evidenzia la relazione legis al D. L. 118/2021 ed invero anche la recente relazione 15.9.2022 dell’Ufficio del Massimario della Suprema Corte nonché, seppur cripticamente, l’art. 23 lett. c), CCII).
La criticità de qua risulta evidenziata anche da un recente provvedimento del Tribunale di Siracusa del 14.9.2022, pubblicato su questa Rivista.
Dunque, come visto, legislativamente il CCII ha germinato tre concetti per l’impresa non in bonis: probabilità di crisi, probabilità di insolvenza /alias crisi ed insolvenza; sul piano dottrinario e giurisprudenziale (e forse impropriamente nella predetta relazione legis, visto poi il relativo precipitato normativo) è stato riaffermato che non può parlarsi di insolvenza, qualora non risulti irreversibile e dunque sia solo transeunte (v. ex multis e da ultima Cass. 23993/2022, ma soprattutto si pensi alle tante attività date per “morte” durante la pandemia - ad es. gli alberghi delle città d’arte - quando invece avevano solo bisogno di un po’ di tempo per riprendere il loro regolare corso).
In un tale contesto, sarebbe opportuno, anche, soprattutto in considerazione che nessuno strumento previsto dal CCII riguarda esclusivamente il solo stato di crisi o di insolvenza, e men che mai di “probabile crisi”, riprodurre lo schema felicemente adottato con l’art. 160 l. fall. e cioè che ai fini degli strumenti messi a disposizione dal CCII lo stato di crisi equivale a stato di di insolvenza (e probabilmente neppure declinando lo stato di crisi con precisi concetti economici/finanziari, che possono essere riduttivi, limitandosi, invece, ad individuare la crisi come “lo stato del debitore che rende probabile l’insolvenza”).
D’altra parte, è quanto già avvenuto con il sovraindebitamento che nella relativa definizione assorbe, giustamente, crisi ed insolvenza (art. 2, co. 1 ,lett. c) CCII).
Quanto poi alla CN, potrebbe risultare saggio eliminare il neo riferimento alla “probabilità di crisi”, chiarendo inequivocabilmente all’art. 12 CCII ( e non implicitamente – e poi sarà mai vero che comunque così sia? – all’ art. 21 CCII ) che anche l’imprenditore insolvente potrà accedervi ove “risulta[i] ragionevolmente perseguibile il risanamento dell’impresa.”
D’altra parte, che la via della salvaguardia della continuità (diretta o indiretta che sia) sia oramai divenuto il ‘mantra’ del Legislatore domestico, in ossequio al precetto primo della Dir. Ins., non è revocabile in dubbio (come confermano ad ampio spettro le diffuse argomentazioni di LEUZZI, L’evoluzione del valore della continuità aziendale nelle procedure concorsuali , in Nuove leggi civ. comm., 2/2022, 479; in un contesto in cui anche il valore della sostenibilità ha cominciato a far capolino nella crisi d’impresa, con la previsione , per certi aspetti quasi pleonastica, della parte finale dell’art. 87, co.1, lett. f CCII, peraltro nell’assordante silenzio della Dir. Ins.; cfr. in tema le belle pagine appena sgorgate dalla penna di PACCHI, La gestione sostenibile della crisi d’impresa, in RistutturazioniAziendali.IlCaso.it, 3 settembre 2022).
2) L’anno decorso di esperienza sulla CN ha evidenziato che sulle misure protettive e relativo procedimento (artt. 18 e 19 CCII) è sostenibile un po’ tutto .
Ma, soprattutto, che per un provvedimento pur sempre interinale/di pochi mesi, vi è un grande dispendio di attività giurisdizionale (oltre che professionale, inevitabilmente distolta dalla finalità prima della CN: trovare una soluzione condivisa alla crisi d’impresa).
Dispendio destinato ora ad acuirsi con il procedimento unitario relativo ai vari strumenti di regolazione della crisi e conseguenti misure protettive e cautelari di cui agli artt. 54 e 55 CCII.
Forse, allora, bisognerebbe chiedersi se davvero la Dir. Insolvency imponeva di rivoluzionare, così come per ora avvenuto attraverso il necessario ricorso all’AGO, il sistema tanto collaudato dell’automatic stay di cui all’art. 168 l. fall.
Anche tenendo fermo l’arco temporale acceleratorio massimo di dodici mesi di sospensione delle azioni esecutive individuali (e peraltro solo di tali specifiche misure protettive), previsto dall’art. 6, par. 8, Dir. e puntualmente recepito dall’art. 8 CCII (invero anche un po’ generosamente, atteso che ha ricompreso qualsiasi misura protettiva e quindi non solo le predette azioni esecutive).
No, a nostro modesto avviso, la Dir. Insolvency non lo imponeva.
Cioè era, recte è possibile che, almeno per i primi quattro mesi, si dia vita da un automatic stay e quindi senza la necessità di un previo intervento giurisdizionale .
Basterebbe allo scopo leggere il cons. 32 Dir. , che addirittura avrebbe consentito la sospensione ex lege anche verso i garanti:
Cons. 32 : “Un debitore dovrebbe poter beneficiare di una sospensione temporanea delle azioni esecutive individuali, sia essa concessa da un'autorità giudiziaria o amministrativa oppure per legge allo scopo di agevolare le trattative sul piano di ristrutturazione, così da poter continuare a operare o almeno mantenere il valore della sua massa fallimentare durante le trattative. Ove previsto dal diritto nazionale, la sospensione dovrebbe essere possibile anche a beneficio dei terzi garanti, fra cui fideiussori e prestatori di garanzie reali…”
Comunque, andando poi alle norme poste dal Legislatore Unionale e quindi all’Art. 6 Dir., il precetto de quo si ricava agilmente da una combinata lettura dei parr. 1, 6 e 9 cap. finale, rammentando che il “possono prevedere” enuncia una mera facoltà per i singoli Stati :
“1. Gli Stati membri provvedono affinché il debitore possa beneficiare della sospensione delle azioni esecutive individuali al fine di agevolare le trattative sul piano di ristrutturazione nel contesto di un quadro di ristrutturazione preventiva.
Gli Stati membri possono prevedere che le autorità giudiziarie o amministrative abbiano la facoltà di rifiutare la concessione di una sospensione delle azioni esecutive individuali qualora tale sospensione non sia necessaria o non consegua l'obiettivo di cui al primo comma.
…
6. La durata iniziale di una sospensione delle azioni esecutive individuali è limitata a un massimo di quattro mesi.
…
9.
…
Gli Stati membri possono prevedere un periodo minimo, che non deve eccedere il periodo di cui al paragrafo 6, durante il quale non è possibile revocare una sospensione delle azioni esecutive individuali.”
Naturalmente, superato questo periodo (davvero) minimo “franco”, il debitore dovrà attivarsi in AGO ove abbia bisogno di una maggiore proroga, dimostrando obiettivamente di meritare maggiore fiducia.
Ed avere quattro mesi liberi, per pensare fattivamente solo al piano ed alle negoziazioni (nella CN, ma anche negli ADR o nei PRO e in fondo anche nei CP), non sarebbe certo cosa di poco conto, perché, comunque, la fase di conferma porta, oltre il rischio di involontaria ( quanto illogica) vanificazioni dei provvisori effetti ove nei dieci giorni non sia fissata dal Giudice l’udienza, l’aumento inevitabile ed ab initio delle fasi di conflitto, rendendo quindi più difficoltose le trattative.
Peraltro , a parte prevedere sempre la possibilità di intervenire sugli eventuali abusi, con una semplice norma analoga all’art. 69 bis l. fall. (o ancor meglio all’art. 10, co. 3 L. 40/20 di conv. Decreto Liquidità: “Quando alla dichiarazione di improcedibilità dei ricorsi presentati nel periodo di cui al comma 1 fa seguito, entro il 30 settembre 2020, la dichiarazione di fallimento, il periodo di cui al comma 1 non viene computato nei termini di cui agli articoli 10, 64, 65, 67, primo e secondo comma, 69-bis e 147 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267.”), gli eventuali effetti di un agire distorto del debitore verrebbero sterilizzati.
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Sono solo, come accennavamo all’inizio, semplici spunti: ben vengano , dunque , commenti implementativi o del tutto critici.
In tutti i casi, risulteranno offerti utili, speriamo, elementi di riflessione per il prossimo Legislatore del necessario “correttivo”.
Quanto a noi, Vi diamo appuntamento alla prossima “puntata” che riguarderà alcuni possibili difetti di coordinamento tra esenzioni da revocatorie, come rispetto al collegato effetto della prededuzione.