Riflettendo ancora su finalità e regole distributive del concordato in continuità nella necessaria controluce del faro unionale, come degli insegnamenti della (nostra) Suprema Corte
Un recente saggio di S. Ambrosini (
Finalità del concordato preventivo e tipologie di piano: gli interessi protetti e lo “statuto” della continuità aziendale ,in
ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it , 10 marzo 2024), spinge a tornare sull’ argomento del primato degli interessi: la continuità d’impresa, sostenibile (come mirabilmente trattata da S. Pacchi in
Sostenibilità, fattori ESG e crisi d’impresa, in
ilcaso.it, 26.05.2023. V. anche, su un piano essenzialmente aziendalistico, R. Ranalli,
Alcune riflessioni aziendalistiche sulla viability of the business della direttiva Insolvency, con particolare (ma non esclusivo) riguardo al concordato in continuità, in questa Rivista , 02.01.2023) o il miglior soddisfacimento del creditori?
L’ Autore sembra non aver dubbi: difatti, propugna, il permanere nel CCII della prevalenza del principio del miglior soddisfacimento dei creditori.
O più precisamente: di non deteriorita’ rispetto ai presumibili esiti della Liquidazione Giudiziale.
Già in altra occasione (v. sub
[*] nel commento che segue) si è sostenuta la necessaria connessione che (anche) al riguardo deve sussistere con la Dir. Insolvency, cioè rispetto allo ‘spirito guida’ nell’ (emanazione e poi) esegesi delle norme del CCII (v. S. Leuzzi,
Il giudizio di omologazione del concordato preventivo: oggetto, regole, controlli in questa Rivista, 9.10.2023, che autorevolmente ci ricorda come le
“norme codicistiche vanno, del resto, interpretate alla luce del diritto unionale").
Orbene, nella predetta occasione si era cercato di chiarire perché la tutela della viability rappresenti un, anzi, il mantra della normativa unionale.
Come, di contro, a stare a più di una disposizione ‘posta’ del CCII in materia di concordato preventivo, è tutt’altro che chiaro quale sia l’interesse tutelato in via primaria dalla normativa domestica (nonostante sia indubbio che la sostenibilità economica rappresenti comunque il baricentro anche del nostro diritto concorsuale, tanto che tra i principi generali del CCII, in punto di adeguatezza degli assetti organizzativi, la rilevazione tempestiva della crisi d’impresa, è tarata - v. art. 3/2/b - sull’esigenza costante di “
verificare la sostenibilità dei debiti e le prospettive di continuità aziendale”; S. Leuzzi,
Il volto nuovo del concordato preventivo in continuità aziendale, in questa Rivista, 12.9.2022; v. anche R. Ranalli, op. cit.).
Si leggano, in particolare, gli artt. 47/1/b e 53/5-bis CCII in cui l’equivalenza, tra interesse dei creditori e salvaguardia della continuità e/o del lavoro, è indiscutibile.
Come, invero, altrettanto non revocabile in dubbio che, nelle restanti disposizioni in tema del CCII (sempre sub [ * ] richiamate), si miri - ma evidentemente con una qualche incoerenza rispetto alle previsioni dei predetti due articoli - a far prevalere la tutela delle ragioni dei creditori
Tra l’altro, ritenendosi perciò che tale tutela possa,
recte debba avvenire anche in via officiosa, e quindi già nella fase di ammissione concordataria, non solo rispetto ad APR, ma anche in relazione alla RPR ( v. ad es.
Trib. Massa 16.1.24 in questa Rivista;
contra, nel senso che la fase di ammissione deve concernere il solo controllo di ritualità procedurale e dell’ eventuale manifesta inettitudine del piano,
App. Bologna 23.2.2024,
ibidem), oltre che, almeno di fatto, rispetto alla PARR (PArtners Relative Rule) di cui all’art. 120-
quater CCII (v. ad es.
Trib. Verona 21.7.23,
ibidem).
In un tale contesto, però, se davvero fosse questa la lettura processuale da dare alle disposizioni in tema del CCII, sorgerebbe un’inaccettabile corto circuito con la Dir. Ins., a cui, dunque, bisognerebbe por subito rimedio.
Difatti, la normativa sovraordinata unionale predica, esattamente, il contrario: no alla rilevabilità d’ufficio - dunque neppure in fase di omologazione - dell’eventuale violazione delle regole distributive concernenti il miglior soddisfacimento/assenza di pregiudizio (APR compresa), ma solo ove sussista la contestazione sul punto del singolo creditore, il progetto ristutturatorio pro continuità potrà, recte dovrà arrestarsi qualora ‘soccombente’ nella prova di “resistenza” comparativa di cui all’ art. 2/n. 6 Dir. Ins., che, come accennavamo, prevede l’espresso riferimento anche al “se fosse applicato il normale grado di priorità di liquidazione a norma del diritto nazionale”, dunque all’APR.
A conforto di quanto fin qui sostenuto militano le inequivoche disposizioni degli artt. 10/2/d/co. 2, 11/1/a e 16/4/co. 2 Dir. Ins., come d’altra parte confermato dal fatto che l’esigenza di comparazione tra i verosimili risultati delle due procedure (“minore” e “maggiore”) mai insorge in sede unionale, se non, appunto, nei casi di contestazione di convenienza ad opera anche del singolo creditore.
Naturalmente purché il piano, a prescindere dalla sussistenza o meno di tale opposizione, risulti comunque ragionevole e sostenibile, anche in relazione agli eventuali nuovi finanziamenti ex art. 10/2-e/3 Dir. Ins., oltre che in linea con i criteri formativi delle classi nonché con le disposizioni sui diritti di voto, tra l’altro, quest’ultimi, unici aspetti rilevabili d’ufficio già in fase di ammissione ex art. 9/5/co.2 Dir. Ins. (e - a conforto ulteriore di quanto fin qui sostenuto - senza che ex art. 9/4 Dir. Ins. risulti aprioristicamente vietato trattare una classe di creditori di rango inferiore meglio di una di grado poziore, purché sussista la comunanza di interessi all’interno della singola classe).
Ovviamente, diverso scenario viene a concretizzarsi qualora si giunga, ma a votazione già avvenuta senza le maggioranze in tutte le classi, all’ eventuale fase di omologazione trasversale, unica fase in cui, tra l’altro, la RPR dovrebbe entrare in gioco ai fini e per gli effetti degli artt. 11/1/c Dir. Ins. e 112/2/b CCII (come d’altra parte accade rispetto alla PARR nell’analogo scenario di cui all’omologazione con attribuzione ai soci di cui all’art. 120-quater CCII).
Ma, a ben guardare, anche nel caso di omologazione trasversale servirà l’opposizione di convenienza del singolo creditore, ove pure astrattamente i requisiti richiesti rispetto alla formazione delle singole classi risultino rispettati ai fini e per gli effetti dell’ art. 11/1/a-d Dir. Ins. ovvero dell’art. 112/2 CCII.
Difatti, solo con l’opposizione del creditore interessato sarà possibile verificare se anche in concreto la distribuzione di APR e RPR risulti correttamente operata.
O meglio, solo a seguito di tale opposizione ( e sempre purché specificatamente argomentata; v.
Trib. Lucca 25.07.2023, in questa Rivista, ma anche parte finale Cons. 63 Dir. Ins.) potrà accedersi
alla fondamentale valutazione di stima aziendale di cui all’ art. 14 Dir. Ins. o art. 112/4/ parte finale CCII.
Anche da tale previsione può evincersi la centralità della
viability o “della meritevolezza del complesso aziendale” (secondo l’antesignana felice definizione di S. Pacchi,
Dalla meritevolezza dell’imprenditore alla meritevolezza del complesso aziendale, Milano, 1989).
E tutto ciò dovrebbe ulteriormente confermare che, solo con l’opposizione del creditore, la comparazione tra gli esiti delle due procedure può entrare in gioco.
Dunque, non d’ufficio, neppure se il Commissario ritenesse diversamente circa i valori prospettati dal debitore e relativo attestatore (v. in tema anche la recente
Cass. 1393/2024,
sub punti 6 e 7, sempre in questa Rivista).
Anche perché non va dimenticato che , in linea in qualche modo con l’ esperienza del “Chapter 11” statunitense (per un illuminante squarcio di prassi sulla ‘blasonata’ procedura, v. M. Sciuto, La classificazione dei creditori nel concordato preventivo (un'analisi comparatistica), in Giur. Comm., 2007, I, 566 e ss; in part. 589 e ss) il nostro legislatore è stato lungimirante nel prevedere che per giungere alla formazione delle classi, e prima ancora alla formulazione della proposta, si debba, di regola, passare da un previo confronto ‘supportato’ fra tutte le parti.
Difatti, “nel concordato in continuità aziendale, nel termine concesso ai sensi dell’articolo 44, comma 1, lettera a), il commissario giudiziale, se richiesto o in caso di concessione delle misure protettive di cui all’articolo 54, comma 2, affianca il debitore e i creditori nella negoziazione del piano formulando, ove occorra, suggerimenti per la sua redazione” ( art.92/3 CCII), cui si aggiunge il successivo momento di pieno e plurale contraddittorio di cui all’art. 107 CCII.
Certo il tempo a disposizione potrebbe risultare tiranno per raggiungere un piano previamente condiviso dalla varie classi o almeno dalla maggioranza delle stesse, ma un debitore, che agisca davvero con serietà e tempestività, avrà modo di verificare il tutto in primis in sede di CN e se necessario poi anche di PRO, se del caso prima di giungere alla fine al CP.
Peraltro, non può non rilevarsi che l’affidare alla (esclusiva) iniziativa del singolo creditore la tutela dei propri diritti economici, prelatizi o meno che siano ( eccettuando quelli dei lavoratori, come appunto fa ora la Dir. Ins., come anche il CCII con in primis l’art. 84/7), è opzione che il nostro diritto vivente ritiene da tempo adeguata.
Difatti, la SC (con le decisioni nn. 2782 e 9675 del 2013, dunque ben ante Dir. Ins.), pur di fronte a possibili lesioni dell’ APR, ha reputato tale forma di tutela del tutto idonea allo scopo (v. nel commento che segue le parti enfatizzate [**]).
E pensare che ci troviamo in casi di concordato coatto (ex art. 214 LF ; oggi ex art. 314 CCII); dunque senza neppure la possibilità di una classe solinga “maltrattata” comunque votante sì (art. 112/2/d CCII) o quantomeno di un previo confronto/contraddittorio con/fra tutti i creditori (artt. 92/3 e 107 CCII).
Pertanto, di fronte a concordati in cui la tutela dei creditori medesimi, essendo privati di ogni forma di previo confronto e comunque di voto, non può che essere comunque assicurata.
Ma ciò nonostante, non con valutazioni d’ufficio, bensì garantendo - a ciascun creditore - la possibilità di opposizione di convenienza (senza quindi sia necessaria la sussistenza di classi minoritarie dissenzienti; anche perché l’art. 314 CCII richiama l’art. 245 CCII nei limiti comunque della compatibilità).
Cioè, trattandosi di uno dei diritti - qual è quello di credito - tra i massimamente disponibili, non si ritiene in alcun modo lesivo lasciare la relativa tutela all’iniziativa del singolo interessato (come appunto espressamente previsto in sede di Dir. Ins.).
Tra l’altro, concordati coattivi in cui è in gioco sempre la stessa dicotomia di interessi: prosecuzione dell’ attività d’impresa o soddisfacimento massimo possibile dei creditori.
Di sicuro andrebbe trovata una soluzione anche al tortuoso meccanismo (pensando anche al “120-quater”) dell’ omologazione trasversale nel CCII, che risente di un RPR di cui non ci pare vi sia traccia in sede unionale, se non allorché scatti il meccanismo, (ma) del tutto eventuale, dell’omologazione trasversale ex art. 11 Dir. Ins..
Ebbene, soprattutto ove si decida di mantenere il “120-quater”, forse basterebbe ‘ chiarire che i flussi della continuità (ovviamente per l’eccedenza rispetto a quanto eventualmente ricavabile da un esercizio provvisorio utilmente coltivabile) rappresentano, alla stessa stregua di finanza terza,
utilità liberamente allocabili in
toto (ovvero al netto di una certa percentuale/per un certo tempo comunque da computare, previsto
ex lege convenzionalmente come APR; v., ad es.,
Trib. Ferrara 11.3.2024, sempre in questa Rivista, che, in un caso di concordato minore in continuità, ha preso a misura massima i tre anni
ante ‘scatto’
ex art. 282/1 CCII della nuova procedura esdebitatoria in tema di liquidazione controllata).
A quel punto, il rischio sarebbe tutto del debitore ove non avesse previamente negoziato al meglio con i creditori ed al contempo avesse mal collocato detti liberi flussi (ovvero anche la vera e propria finanza terza esogena), tanto rispetto alla regola “112/2/b” che “112/2/d”, come “120-quater”.
Che ne pensate ?
Soprattutto ora che la Suprema Corte (v. recente ord. int. 8373/2024, in ilcodicedeiconcordati.it) sembra sempre più orientata ad impedire (il condizionale è comunque ancora d’obbligo) che possano aprioristicamente tarparsi le ali - cioè già in fase di ammissione e quindi senza dar modo ai principali interessati di dire la propria - a piani che risultano seriamente finalizzati a superare la crisi d’impresa, anche attraverso il ragionevole uso dei flussi della continuità post omologazione.
Affinché così non sia tradita la fondamentale causa concreta di qualsiasi strumento concordatario: il consentire ai creditori, rispetto alla proposta del debitore, di partecipare attivamente alla ristrutturazione dei propri (e di regola disponibili per antonomasia) diritti di credito , già maturati e, se del caso, futuri.