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Antonio Pezzano, Avvocato in Firenze

Silvia Becucci, Avvocato in Arezzo

Riflettendo ancora su finalità e regole distributive del concordato in continuità nella necessaria controluce del faro unionale, come degli insegnamenti della (nostra) Suprema Corte

9 Aprile 2024

Un recente saggio di S. Ambrosini ( Finalità del concordato preventivo e tipologie di piano: gli interessi protetti e lo “statuto” della continuità aziendale ,in ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it , 10 marzo 2024), spinge  a tornare sull’ argomento del primato degli interessi:  la continuità d’impresa, sostenibile (come mirabilmente trattata da S. Pacchi in Sostenibilità, fattori ESG e crisi d’impresa, in ilcaso.it, 26.05.2023. V. anche, su un piano essenzialmente aziendalistico, R. Ranalli, Alcune riflessioni aziendalistiche sulla viability of the business della direttiva Insolvency, con particolare (ma non esclusivo) riguardo al concordato in continuità, in questa Rivista , 02.01.2023) o il miglior soddisfacimento del creditori?
 
L’ Autore sembra non aver dubbi: difatti, propugna, il permanere nel CCII della prevalenza del principio del miglior soddisfacimento dei creditori.
O più precisamente: di non deteriorita’ rispetto ai presumibili  esiti della Liquidazione Giudiziale.
 
Già in altra occasione  (v. sub [*] nel commento che segue) si è sostenuta la necessaria connessione che (anche) al riguardo  deve sussistere  con la Dir. Insolvency, cioè rispetto allo ‘spirito guida’ nell’ (emanazione e poi) esegesi delle norme del  CCII (v. S. Leuzzi, Il giudizio di omologazione del concordato preventivo: oggetto, regole, controlli in questa Rivista, 9.10.2023, che autorevolmente ci ricorda come le “norme codicistiche vanno, del resto, interpretate alla luce del diritto unionale").

Orbene, nella predetta occasione si era cercato di chiarire perché la tutela della viability rappresenti un, anzi, il mantra della normativa unionale.

Come, di  contro, a stare a più di una  disposizione ‘posta’ del CCII in materia di concordato preventivo, è tutt’altro che chiaro quale sia l’interesse tutelato in via primaria dalla normativa domestica (nonostante sia indubbio che la sostenibilità economica rappresenti comunque il baricentro anche del nostro  diritto concorsuale, tanto che tra i principi generali del CCII, in punto di adeguatezza degli assetti organizzativi, la rilevazione tempestiva della crisi d’impresa, è tarata - v. art. 3/2/b - sull’esigenza costante di “verificare la sostenibilità dei debiti e le prospettive di continuità aziendale”; S. Leuzzi, Il volto nuovo del concordato preventivo in continuità aziendale, in questa Rivista, 12.9.2022; v. anche R. Ranalli, op. cit.).

Si leggano, in particolare,  gli artt. 47/1/b e 53/5-bis CCII in cui l’equivalenza, tra interesse dei creditori e salvaguardia della continuità e/o del lavoro,  è indiscutibile.
 
Come, invero,  altrettanto non revocabile in dubbio che,  nelle restanti disposizioni in tema del CCII (sempre sub [ * ] richiamate), si miri - ma evidentemente con una qualche incoerenza rispetto alle previsioni dei predetti due  articoli - a far prevalere la tutela delle ragioni dei creditori
 
Tra l’altro, ritenendosi perciò  che tale tutela  possa, recte debba  avvenire anche in via officiosa, e quindi già nella fase di ammissione concordataria, non solo rispetto ad APR, ma anche in relazione alla RPR ( v. ad es. Trib. Massa 16.1.24 in questa Rivista; contra, nel senso che la fase di ammissione deve concernere il solo controllo di ritualità procedurale e dell’ eventuale manifesta inettitudine del piano,  App. Bologna 23.2.2024, ibidem), oltre che, almeno di fatto, rispetto alla PARR (PArtners  Relative Rule) di cui all’art. 120-quater CCII (v. ad es. Trib. Verona 21.7.23, ibidem).
 
In un tale contesto, però, se davvero fosse questa la lettura processuale  da dare alle disposizioni in tema del CCII, sorgerebbe un’inaccettabile corto circuito con la Dir. Ins., a cui, dunque, bisognerebbe por subito rimedio.
 
Difatti, la normativa sovraordinata unionale predica, esattamente, il contrario: no alla rilevabilità d’ufficio -  dunque neppure in fase di omologazione - dell’eventuale violazione delle regole distributive concernenti il miglior soddisfacimento/assenza di pregiudizio (APR compresa), ma solo ove sussista la contestazione sul punto del singolo creditore,  il progetto ristutturatorio pro continuità potrà, recte dovrà arrestarsi qualora ‘soccombente’ nella prova di “resistenza” comparativa di cui all’ art. 2/n. 6 Dir. Ins., che, come accennavamo, prevede l’espresso riferimento anche al “se fosse applicato il normale grado di priorità di liquidazione a norma del diritto nazionale”, dunque all’APR.
 
A conforto di quanto fin qui sostenuto militano le inequivoche disposizioni  degli artt. 10/2/d/co. 2, 11/1/a  e 16/4/co. 2 Dir. Ins., come d’altra parte confermato dal fatto che l’esigenza di comparazione tra i verosimili  risultati delle due procedure (“minore” e “maggiore”) mai insorge in sede unionale, se non, appunto, nei casi di contestazione di convenienza ad opera anche del singolo creditore. 
 
Naturalmente purché il piano, a prescindere dalla sussistenza o meno di tale opposizione, risulti  comunque  ragionevole e sostenibile, anche in relazione agli eventuali nuovi finanziamenti ex art. 10/2-e/3 Dir. Ins., oltre che in linea con i criteri formativi delle classi nonché con le disposizioni sui diritti di voto, tra l’altro, quest’ultimi, unici aspetti rilevabili d’ufficio già in fase di ammissione ex art. 9/5/co.2 Dir. Ins. (e -  a conforto ulteriore  di quanto fin qui sostenuto - senza  che ex art. 9/4 Dir. Ins. risulti aprioristicamente vietato trattare una classe di creditori di rango inferiore meglio di una di grado poziore, purché  sussista la comunanza di interessi all’interno della singola classe).     
 
Ovviamente, diverso  scenario viene a concretizzarsi qualora si giunga, ma a votazione già avvenuta  senza le maggioranze in tutte le classi, all’ eventuale fase di omologazione  trasversale, unica fase in cui, tra l’altro, la RPR dovrebbe entrare in gioco ai fini e per gli effetti degli artt. 11/1/c Dir. Ins. e 112/2/b CCII (come d’altra parte  accade rispetto alla PARR  nell’analogo scenario di cui all’omologazione con attribuzione ai soci di cui all’art. 120-quater CCII). 
 
Ma, a ben guardare, anche nel  caso di omologazione trasversale  servirà l’opposizione di convenienza  del singolo creditore, ove pure astrattamente i requisiti richiesti rispetto alla formazione delle  singole classi risultino rispettati ai fini e per gli effetti dell’ art. 11/1/a-d Dir. Ins. ovvero dell’art. 112/2 CCII.
 
Difatti, solo con l’opposizione  del creditore interessato  sarà possibile verificare se anche in concreto la distribuzione di APR e RPR risulti correttamente operata.
 
O meglio, solo a seguito di  tale  opposizione ( e sempre purché specificatamente argomentata; v. Trib. Lucca 25.07.2023, in questa Rivista, ma anche parte finale Cons. 63 Dir. Ins.) potrà accedersi  alla fondamentale valutazione di stima aziendale di cui all’ art. 14 Dir. Ins. o art. 112/4/ parte finale CCII.
Anche da tale previsione può evincersi la centralità della viability o “della meritevolezza del complesso aziendale”  (secondo l’antesignana felice definizione di S. Pacchi, Dalla meritevolezza dell’imprenditore alla meritevolezza del complesso aziendale, Milano, 1989). 
 
E tutto ciò dovrebbe ulteriormente confermare che, solo con l’opposizione del creditore, la comparazione tra gli esiti delle due procedure può  entrare in gioco.
 
Dunque, non d’ufficio, neppure se il Commissario ritenesse diversamente circa i valori prospettati dal debitore e relativo attestatore (v.  in tema anche la recente Cass. 1393/2024, sub punti 6 e 7, sempre in questa Rivista).
 
Anche perché non va dimenticato che , in linea in qualche  modo con l’ esperienza del “Chapter 11” statunitense (per un illuminante squarcio di prassi sulla ‘blasonata’ procedura, v. M. Sciuto, La classificazione dei creditori nel concordato preventivo (un'analisi comparatistica), in Giur. Comm., 2007, I, 566 e ss; in part. 589 e ss) il  nostro legislatore è stato lungimirante nel prevedere che per  giungere alla formazione delle classi, e prima ancora alla formulazione della proposta, si debba, di regola, passare da un previo confronto ‘supportato’ fra tutte le parti.

Difatti,  “nel  concordato in continuità aziendale, nel termine concesso ai sensi dell’articolo 44, comma 1, lettera a), il commissario giudiziale, se richiesto o in caso di concessione delle misure protettive di cui all’articolo 54, comma 2, affianca il debitore e i creditori nella negoziazione del piano formulando, ove occorra, suggerimenti per la sua redazione” ( art.92/3 CCII), cui si aggiunge il successivo  momento di pieno e plurale  contraddittorio di cui all’art. 107 CCII.
 
Certo il tempo a disposizione  potrebbe risultare tiranno per raggiungere un  piano previamente condiviso dalla varie classi o almeno dalla maggioranza delle stesse, ma un debitore, che agisca davvero   con serietà e tempestività, avrà modo di verificare il tutto in primis  in sede di CN e se necessario poi anche di PRO, se del caso prima di giungere alla fine al CP.
 
Peraltro, non può non rilevarsi che l’affidare alla (esclusiva) iniziativa del singolo creditore la tutela dei propri diritti economici, prelatizi o meno che siano ( eccettuando quelli dei lavoratori, come appunto fa ora la Dir. Ins., come anche il CCII con in primis l’art. 84/7), è opzione che il nostro diritto vivente ritiene da tempo adeguata.
 
Difatti, la SC (con le decisioni nn. 2782 e 9675 del 2013, dunque ben  ante Dir. Ins.), pur di fronte a possibili lesioni dell’ APR, ha reputato tale forma di tutela  del tutto idonea allo scopo (v.  nel commento che segue le parti enfatizzate [**]).
 
E pensare che ci troviamo  in casi di concordato coatto (ex art. 214 LF ; oggi ex  art. 314 CCII); dunque senza neppure la possibilità di  una classe solinga “maltrattata” comunque votante sì (art. 112/2/d CCII) o quantomeno di un previo confronto/contraddittorio con/fra tutti i creditori (artt. 92/3 e 107 CCII). 
 
Pertanto, di fronte a concordati in cui la tutela dei creditori medesimi, essendo privati di ogni forma di previo confronto e comunque di voto,  non può che essere comunque assicurata.
 
Ma ciò nonostante, non con valutazioni d’ufficio, bensì garantendo - a ciascun creditore - la possibilità di opposizione di convenienza  (senza quindi sia necessaria la sussistenza di classi  minoritarie dissenzienti; anche perché l’art. 314 CCII richiama l’art. 245 CCII nei limiti comunque della compatibilità). 
 
Cioè, trattandosi di uno dei diritti - qual è quello di credito - tra i massimamente disponibili, non si ritiene in alcun modo lesivo lasciare la relativa tutela all’iniziativa del singolo interessato (come appunto espressamente previsto  in sede di Dir. Ins.). 
 
Tra l’altro, concordati coattivi in cui è in gioco sempre la stessa dicotomia di interessi:  prosecuzione dell’ attività d’impresa o soddisfacimento massimo possibile dei creditori.
 
Di sicuro andrebbe trovata una soluzione anche al tortuoso meccanismo  (pensando anche al “120-quater”) dell’ omologazione trasversale nel CCII, che risente di un RPR di cui non ci pare vi sia traccia in sede unionale, se non allorché scatti il meccanismo, (ma) del tutto eventuale, dell’omologazione trasversale ex art. 11 Dir. Ins..
 
Ebbene,  soprattutto ove si decida di mantenere il “120-quater”, forse basterebbe ‘ chiarire che i flussi della continuità (ovviamente per l’eccedenza rispetto a quanto eventualmente ricavabile da un esercizio provvisorio utilmente coltivabile) rappresentano, alla stessa stregua di finanza terza, 
utilità  liberamente allocabili in toto (ovvero al netto di una certa percentuale/per un certo tempo comunque da computare, previsto ex lege  convenzionalmente come APR; v., ad es., Trib. Ferrara 11.3.2024, sempre in questa Rivista, che, in un caso di concordato minore in continuità, ha preso a misura massima i tre anni ante ‘scatto’ ex art. 282/1 CCII della nuova procedura esdebitatoria in tema di liquidazione controllata).
 
A quel punto, il rischio sarebbe tutto del debitore ove non avesse previamente negoziato al meglio con i creditori ed al contempo avesse mal collocato detti liberi flussi (ovvero anche la vera e propria finanza terza esogena), tanto rispetto alla regola “112/2/b” che  “112/2/d”, come  “120-quater”.
 
Che ne pensate ?
 
Soprattutto ora che la Suprema Corte (v. recente ord. int. 8373/2024, in ilcodicedeiconcordati.it)  sembra sempre più orientata ad impedire (il condizionale è comunque ancora  d’obbligo) che possano  aprioristicamente tarparsi le ali -  cioè già in fase di ammissione e quindi senza dar modo ai principali interessati di dire la propria  - a piani che risultano seriamente finalizzati a superare la crisi d’impresa, anche attraverso il ragionevole uso dei flussi della continuità post omologazione. 

Affinché  così non  sia tradita  la fondamentale causa concreta di qualsiasi strumento concordatario: il consentire ai creditori, rispetto alla proposta del debitore,  di partecipare attivamente  alla ristrutturazione dei propri  (e di regola disponibili per antonomasia) diritti di credito , già maturati e, se del caso, futuri.

Antonio Pezzano, Avvocato in Firenze

9 Aprile 2024 17:58

Note al suesteso blog  "Riflettendo ancora su finalità e regole distributive del concordato in continuità nella necessaria controluce del faro unionale, come degli insegnamenti della (nostra) Suprema Corte"

[*]
<< Il recente blog di  Luigi Bottai (https://www.dirittodellacrisi.it/blog/i-veri-interessi-tutelati-nellattuale-concordato-in-continuita-traspare-una-revisione-di-fondo-delle-priorita?foto=2 )  pone  stimolanti  interrogativi sul concordato in continuità aziendale e sui valori - in particolare della sostenibilità - che ne stanno alla base, proponendo  una visione quasi   armoniosa delle disposizioni del CCII che però non pare completamente  condivisibile.

A partire proprio dalla  “promiscuità”  degli interessi tutelati .

Difatti, come vedremo fra un attimo , le norme del CCII non hanno effettuato una netta scelta tra - per sintetizzare - tutela dell’impresa e tutela del credito.

Lasciando quindi al Giudice (a differenza della tanta vituperata A.S. in cui invece/almeno la gradazione gli  obiettivi è chiara) l’ingrato - e forse neppure delegabile -  compito di districarsi nell’amletico dubbio : continuità o non continuità , anche senza miglior soddisfacimento dei creditori ?

 Il tutto, però, in un contesto in cui la Dir. Ins. la scelta l’ha fatta ed e’, di regola, pro continuità (ovviamente purché si tratti di risanare un’impresa non ancora insolvente: artt. 1/a e 4/1 Dir. Ins.)
E che sia nettamente pro continuità lo confermano le seguenti cogenti norme (cioè non derogabili dagli Stati ): 
-       Art. 4/1 :“Gli Stati membri provvedono affinché, qualora sussista una probabilità di insolvenza, il debitore abbia accesso a un quadro di ristrutturazione preventiva che gli consenta la ristrutturazione, al fine di impedire l'insolvenza e di assicurare la loro sostenibilità economica, fatte salve altre soluzioni volte a evitare l'insolvenza, così da tutelare i posti di lavoro e preservare l'attività imprenditoriale”.
-      Idem:  artt. 1/1/a,  8/1/h e 10/3.

Invece , nel CCII si leggano gli artt.: 
  • 7/2/c ( “le ragioni della assenza di pregiudizio per i creditori”); 
  • 47/1/b (“il piano è manifestamente inidoneo alla soddisfazione dei creditori, come proposta dal debitore, e alla conservazione dei valori aziendali.”);
  • 53/5bis (“può confermare la sentenza di omologazione se l’interesse generale dei creditori e dei lavoratori prevale rispetto al pregiudizio subito dal reclamante”);
  • 84/1 e 2(“il soddisfacimento dei creditori in misura non inferiore a quella realizzabile in caso di liquidazione giudiziale” E “ La continuità aziendale tutela l’interesse dei creditori e preserva, nella misura possibile, i posti di lavoro. “);
  •  87/1/f-o/2 e 3 (“tenendo conto anche dei costi necessari per assicurare il rispetto della normativa in materia di sicurezza sul lavoro e di tutela dell’ambiente “ , “ le modalità di informazione e consultazione dei rappresentanti dei lavoratori nonché gli effetti della ristrutturazione sui rapporti di lavoro, sulla loro organizzazione o sulle modalità di svolgimento delle prestazioni“,  “Nella domanda il debitore indica le ragioni per cui la proposta concordataria è preferibile rispetto alla liquidazione giudiziale.” “ in caso di continuità aziendale, che il piano è atto a impedire o superare l’insolvenza del debitore, a garantire la sostenibilità economica dell’impresa e a riconoscere a ciascun creditore un trattamento non deteriore rispetto a quello che riceverebbe in caso di liquidazione giudiziale. ”);
  •  112/1/f (“ che il piano non sia privo di ragionevoli prospettive di impedire o superare l’insolvenza e che eventuali nuovi finanziamenti siano necessari per l’attuazione del piano e non pregiudichino ingiustamente gli interessi dei creditori”);
per rendersi subito conto che sono  tutte norme in cui non è chiaro cosa debba  privilegiarsi come interesse da tutelare.

Analogamente, rispetto ai finanziamenti, in cui la Dir. Ins. è chiara nella previsione dell'art. 10/2/e (“se del caso, qualsiasi nuovo finanziamento sia necessario per attuare il piano di ristrutturazione e non pregiudichi ingiustamente gli interessi dei creditori).

Mentre nel CCII, se l’art. 112/1/f  risulta in linea con la Dir. Ins., lo stesso non può certo dirsi rispetto all’ art. 99/1 e 2  in cui, oltre a parlarsi del diverso concetto di miglior soddisfacimento (che presuppone che alcun pregiudizio via sia , per quanto “giusto”), non è chiaro - ancora un volta -  se prevalga  la tutela di un interesse o dell’altro.

D’ altra parte, mentre nel CCII continua a porsi in più norme il tema della comparazione - sempre relativamente al miglior soddisfacimento dei creditori - con la  liquidazione giudiziale (con mille ricadute, a partire dal profilo di ritualità/ ammissibilità della domanda), quest’ “ansia” non si registra in  sede di Dir. Ins.

Sì non c’è, perché la tematica entra in gioco solo se il creditore si duole - e con ragione -  ai sensi delle previsioni chiarissime degli artt. 10/2/d e 16/4. Anche in caso di omologazione trasversale, visto l’art. 11/1/a. >>

(Dal commento di Antonio Pezzano al predetto blog di Luigi Bottai).

                                                                               

[**]

Da Cass. 2782/2013: 
 
“””6. Il motivo è fondato.
Sul tema dei limiti e del significato della differenza tra le discipline del concordato, nel fallimento e nella liquidazione coatta amministrativa, questa corte si è già pronunciata con la sentenza 18 marzo 2008 n. 7263, affermando il principio che la L. Fall., art. 214 - nel testo, applicabile ratione temporis, anteriore alle modifiche di cui al D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169, art. 22 - delinea una disciplina peculiare dell'istituto, rispetto a quella del concordato fallimentare di cui alla L. Fall., art. 124, nella quale, tuttavia [ndr: e su tale aspetto nulla è cambiato neppure con il CCII], l'interesse pubblico si attua nella sola scelta di convenienza tra conservazione o liquidazione dell'impresa (rimessa all'autorità amministrativa), e non prevale su quello dei creditori concorrenti alla soddisfazione delle loro ragioni, tutelabile mediante le eventuali opposizioni. 
(… omissis…)
7. Con riferimento al dibattito processuale svoltosi in questo giudizio sembra di dover puntualizzare i seguenti punti decisivi.
Innanzi tutto, condividendosi per quest'aspetto le considerazioni svolte dagli stessi organi della liquidazione concorsuale nella memoria depositata, a proposito della compatibilità del concordato coattivo con la giurisprudenza della Corte di Giustizia CE, si deve ricordare che nel concordato L. Fall., ex art. 214, l'unica deroga alle regole normalmente vigenti in materia di fallimento riguarda l'assenza della votazione dei creditori, che però sono ampiamente tutelati con la previsione della procedura di opposizione al concordato…”””
 
•••
 
Da Cass. 9675/2013:
 
””Come già questa Corte ha avuto modo d i statuire, i n tema d i concordato,nella liquidazione coatta amministrativa, l a disciplina integrale dell' istituto dettata dall'art. 214 L . Fall. e la sua autonomia dal concordato fallimentare attribuiscono all'interesse pubblico il solo potere di scegliere circa la convenienza tra conservazione o liquidazione dell'impresa in quanto i creditori non sono chiamati all'approvazione della proposta, ma ad essi spetta i l diritto di presentare opposizione,in modo da provocare il sindacato giurisdizionale sul rispetto del principio della par condicio creditorum (Cass., sez. 1, 18 marzo 2008 n. 7263; Cass., sez. 1, 19 settembre 2006 n. 20.259, che hanno ritenuto incompatibile con il principio la sottrazione di parte dell'attivo alla garanzia patrimoniale di cui all'art. 2740 cod. civ., mediante liquidazione solo parziale dell'attivo di un consorzio agrario).”””

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