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Saggio

Appunti sul regime disciplinare del concordato preventivo con piano di continuità *

Massimo Fabiani, Ordinario f.r. di diritto commerciale nell’Università del Molise

15 Settembre 2025

*Saggio sottoposto in forma anonima alla valutazione di un referee.
Il presente contributo è una rielaborazione di un lavoro destinato al Trattato, edito da Lefebvre-Giuffrè diretto da Antonio Didone, Francesco De Santis e Ilaria Pagni.
Il saggio intende analizzare, in modo trasversale, le peculiarità del concordato preventivo ‘in continuità', prendendo in considerazione, dapprima, i profili istituzionali, per poi esaminare le regole applicative di questo modello di concordato.
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1 . Piano, proposta, domanda
Il titolo di questo contributo impone una spiegazione preliminare perché, da subito, dobbiamo chiederci la ragione per la quale si parla di “piano di continuità” e non genericamente di “concordato in continuità”, pur se nel prosieguo, per comodità espositiva potrà capitare di utilizzare proprio l’espressione concordato in continuità, ma questo solo dopo avere fissato i confini della locuzione [1]. 
Prima dell’approdo al testo attuale degli artt. 48, 84 e 87 CCII non vi era una chiara distinzione fra la proposta, il piano di concordato e la domanda di concordato. 
La frammentazione del concordato era però stata prospettata in dottrina  [2], quando si era formulata una tesi volta a distinguere piano, proposta e domanda, non già a scopo descrittivo o didascalico come taluno aveva obiettato, ma direttamente in funzione di selezionare aspetti di criticità e ipotesi di soluzione per questa trilogia  [3]. 
Al fondo, molte delle questioni controverse — dal tema del controllo sulla fattibilità, al tema della formazione delle classi, al tema della necessità di una soddisfazione per i creditori ed in una certa predeterminata misura — possono essere risolte, aldilà delle specificità del caso concreto, sulla base di una chiarificazione dei confini tra ciò che è piano, ciò che è proposta e ciò che è domanda. È vero che gli sforzi più significativi sono indirizzati a valorizzare le distinzioni e gli intrecci fra piano e proposta, ma che vi sia una distinzione fra loro è ormai legge positiva visto l’incipit dell’art. 87 CCII che parla proprio del piano come documento che accompagna la proposta. 
Rispetto al più remoto regime (quello anteriore al 2005) uno dei valori dominanti del nuovo concordato preventivo è sicuramente quello della flessibilità  [4], visto che il debitore può organizzarlo nel modo che reputa più appetibile per i creditori e al contempo meno pregiudizievole per sé, anche se il codice della crisi ha innestato qualche rigidità in più rispetto all’ultima versione della legge fallimentare. Il quadro normativo che ci viene offerto è costituito i) dall’art. 84 CCII là dove si stabilisce cosa la proposta possa/debba contenere; ii) dall’art. 87 CCII che descrive il contenuto del piano; iii) dall’art. 40 e dall’art. 48 CCII che hanno per oggetto la domanda di concordato. Fatta questa descrizione normativa di sintesi, occorre risolvere l’interrogativo preliminare su come marcare i confini fra piano, proposta e domanda  [5]. 
Nell’art. 87 si fa cenno sia alla proposta che al piano e spesso nell’analisi di questa disposizione si finisce col sovrapporre e confondere due concetti che vanno fra loro tenuti ben distinti, sebbene anche coordinati vista la pluralità degli intrecci fra ciò che il debitore stabilisce di fare e ciò che il debitore stabilisce di dare
La proposta di concordato è la proposta negoziale che il debitore formula ai suoi creditori  [6]; si può convenire o dissentire in ordine all’importanza dell’assetto negoziale del concordato ma non è revocabile in dubbio che le tecniche del contratto siano ampiamente impiegate nella disciplina del concordato [7]. È ben vero che, poi, una lettura che veda dilatati i poteri del giudice si risolverà coerentemente in una restrizione dell’importanza del contratto quale tecnica del concordato [8], ma che nella procedura vi sia uno spazio sufficientemente ampio all’autonomia del proponente è ormai fuori discussione  [9], pur essendo un istituto non riducibile al fenomeno del contratto [10]. Fenomeno del contratto che, se si vuole, è poi fortemente messo in discussione dalle nuove regole di omologazione, là dove ci si spinge sino ad una omologazione contraria al volore della maggioranza dei creditori quando risulta determinante l’endorsement di una sola classa interessata. 
Con la proposta il debitore assume un impegno verso i creditori, pur se questo impegno diviene vincolante (art. 117 CCII) solo dopo che sia stato omologato il concordato; ma la caratteristica più singolare è rappresentata dal fatto che nella proposta l’imprenditore disegna anche il contenuto delle obbligazioni che si assumeranno i creditori. Obbligazioni che saranno tanto più articolate quanto lo è la proposta del debitore. La ragione per la quale nella proposta di concordato il debitore deve prevedere anche le obbligazioni ex latere creditoris dipende dalla dinamica di formazione dell’accordo: i creditori non hanno un’organizzazione che consente loro di negoziare col debitore [11], ma sono chiamati ad accettare o rifiutare la proposta e nella proposta l’imprenditore deve anche stabilire quale è la misura delle concessioni che i creditori sono ancora disposti a fare al debitore [12]. Se anche si può convenire sulla circostanza che la proposta sia negoziata, nei fatti, con taluni creditori e possa essere conformata ai rilievi del commissario giudiziale, resta il fatto che l’accordo si forma sulla proposta e i creditori sono chiamati ad approvare la proposta. Non solo. Anche quando non si forma la maggioranza [13] ed è il tribunale che deve validare l’operazione concordataria, la decisione del giudice si forma sulla proposta del debitore, essendo dato incontroverso che nessuna modifica della proposta può intervenire ex officio. Dunque, la proposta pre-compone il patto che i contraenti stipulano. Ma la proposta si fonda su di un piano; ecco, dunque, che il piano rappresenta lo strumento operativo e organizzativo per formulare la proposta [14]. Il piano si rivela come l’architettura organizzativa (una sorta di pianificazione economica, patrimoniale e finanziaria [15]) per far sì che la proposta appaia ai creditori credibile; è evidente l’interconnessione fra il piano e la proposta, ma questo non esclude che fra i due profili vi sia anche autonomia. Con modalità didascaliche il codice disegna analiticamente il contenuto del piano (art. 87 CCII) [16], da cui per logica dovrebbe conseguirne la proposta [17]. Tuttavia, questa stretta interconnessione non sempre opera in modo coerente. Basti pensare all’ipotesi (non rara) in cui viene presentato un piano sicuramente realizzabile ma che regge una proposta che viene ritenuta insoddisfacente dai creditori perché esistono le condizioni per un impegno maggiore da parte del debitore; oppure all’ipotesi opposta quando viene predisposto un piano velleitario che regge una proposta migliorabile ma che i creditori reputano di accettare. In sintesi, la proposta può essere accettata anche se il piano non convince (ma i creditori confidano comunque nell’impegno del debitore), ovvero può essere rifiutata anche se fondata su un piano convincente. 
Se si applicassero esclusivamente le categorie contrattuali, omettendo di considerare gli interessi di coloro che sono coinvolti nella crisi, il discorso potrebbe finire qui; ma poiché il legislatore ha confermato anche dopo la riforma, che l’accordo produce effetti soltanto se è omologato dal tribunale [18], è chiaro che il piano e la proposta da soli non servono a nulla, in quanto è necessario che il debitore formuli una domanda giudiziale con la quale chiede che la proposta, una volta approvata dai creditori, sia anche omologata. 
Ecco, allora, che la domanda del debitore non è tanto o solo la domanda di un contraente che chiede che il tribunale con il suo provvedimento dia efficacia ad un accordo già concluso inter partes, ma la domanda di concordato è, in principalità, la domanda con la quale il debitore chiede che il giudice accerti e legittimi la pretesa dell’imprenditore che la crisi (o l’insolvenza) sia regolata secondo la disciplina del concorso (in luogo della disciplina civilistica dell’esecuzione forzata) e segnatamente, del concorso concordatario [19] e ciò al fine ultimo di validare una “operazione di mercato”. 
Ed allora, la domanda di omologazione del concordato preventivo è prima di tutto espressione della richiesta dell’imprenditore di non applicare il regime della liquidazione giudiziale (se l’impresa è insolvente) o dell’esecuzione forzata (se l’impresa è in crisi) e dunque oggetto del processo di omologazione del concordato diviene proprio il controllo sul potere del debitore di ottenere di regolare la crisi con lo strumento dell’autonomia negoziale e cioè di quell’autonomia negoziale che si sostanzia in una proposta che viene rivolta ai creditori sulla base di un piano che si ritiene realizzabile. L’art. 7 CCII nello stabilire che deve essere data priorità alla trattazione della domanda di concordato rispetto alla (eventualmente concorrente) domanda di liquidazione giudiziale esprime proprio l’idea della pretesa del debitore di risolvere la crisi senza l’apertura della liquidazione giudiziale. 
La sequenza piano → proposta → domanda è un poco complicata per il fatto che il legislatore ha ritenuto che il controllo che spetta al giudice si formi all’interno di un complesso procedimento nel quale è raccolto il consenso e questo consenso deve essere validamente espresso in base ad una certa serie di regole che vanno obbligatoriamente rispettate. Il procedimento è, poi, funzionale alla valutazione della pluralità e complessità degli interessi in gioco visto che è normale che vi sia una collettività incisa dalla crisi di un’impresa. Nel concordato preventivo è rafforzata la fase del procedimento a tutela della collettività e a tutela della verifica dell’accettabilità della soluzione concordataria in luogo di quella della liquidazione concorsuale o di quella dell’esecuzione forzata. Tutta la disciplina del concordato si gioca su questi tre diversi profili: alcune norme vanno riferite al piano, altre alla proposta ed altre ancora alla domanda. Soltanto se si condivide questa impostazione, si riesce a ben delimitare i ruoli che spettano ai diversi protagonisti e soprattutto alla dialettica fra tribunale e creditori. 
La distinzione concettuale fra piano e proposta è, come si è visto, abbastanza semplice; la sua declinazione in concreto è però meno nitida. Se è indiscusso che il consenso venga espresso dai creditori sulla proposta, nondimeno è logico che questo consenso sia condizionato dalla concreta praticabilità del piano, talché se il piano non può avere attuazione è verosimile che la proposta — divenuta obbligazione per effetto dell’approvazione ed omologazione — non possa essere adempiuta. Il che, però, non significa che vi sia un rapporto di perfetta osmosi fra piano e proposta. 
L’art. 87, comma 1, lett. e) stabilisce che il piano deve contenere le modalità e i tempi di adempimento della proposta: questa integrazione pone un ponte fra il piano e la proposta dal momento che la modalità di adempimento può essere intesa come programma di approvvigionamento delle risorse per soddisfare i creditori, ma potrebbe anche essere intesa come modo di eseguire il soddisfacimento (con denaro, con beni o con altri mezzi) ed allora interferirebbe con la proposta. 
L’evidente commistione e la volontà del legislatore di riferire modi e tempi al piano e non alla proposta inducono a preferire una lettura più cauta della disposizione, nel senso che il piano per essere tale deve riguardare anche questi dati; dati che, però, non assumono rilievo ai fini della proposta e, salva la diversa volontà del debitore, non vengono assunti come impegni, il cui mancato adempimento potrebbe poi riflettersi nella risoluzione del concordato. Pertanto, modi e tempi del piano sono degli indicatori che l’imprenditore deve esternare al fine di fornire ai creditori maggiori informazioni per esprimere un voto ancor più consapevole; divengono impegni negoziali quando il debitore formula una proposta nella quale sono scanditi anche i termini non già di realizzazione del piano ma di trasferimento delle risorse ricavate dal piano a favore dei creditori. Pertanto, un conto è il c.d. orizzonte di piano che attiene alla pianificazione dell’organizzazione della ristrutturazione, e altro conto è il tempo di adempimento della proposta; tra questi due tempi vi può essere sintonia ma anche una relativa distanza. 
Anche se è la proposta l’argomento sul quale si concentrano le maggiori difficoltà dell’interprete, assecondando un percorso cronologico coerente, pare opportuno iniziare dal piano posto che la proposta dovrebbe, proprio, scaturire dal piano e non condizionarlo, come invece frequentemente accade. Il piano rappresenta, dunque, il mezzo attraverso il quale il debitore è poi in grado di formulare la proposta [20]. Se si seguisse un percorso logico, l’imprenditore dovrebbe prima predisporre il piano che ritiene di poter realizzare; piano che ha un valore prospettico per poi redigere la proposta in forza degli obiettivi che il piano consente di raggiungere. Ma non va escluso che l’imprenditore decida prima quale proposta vuole offrire ai creditori e su quella costruire il piano che permette di dare ad essa esecuzione. 
L’assetto organizzativo del piano è decisamente rimesso all’autonomia del debitore quanto alle operazioni da intraprendere [art. 87, comma 1, lett. d)] e in particolare dovrebbe essere confezionato da professionisti in grado di realizzare un programma operativo di gestione dell’attività dell’impresa, gestione che potrà trascorrere dal piano puramente liquidatorio rispetto al quale va disciplinato solo il modo di procedere alla dismissione degli asset, al piano che prevede una continuità aziendale o imprenditoriale ma che in ogni caso non potrà essere disgiunto dalla presentazione di un vero e proprio piano industriale [21], senza escludere che si possa predisporre un piano nel quale siano frammiste queste varie ipotesi.
1.1 . Flessibilità del piano e della proposta
Come si è accennato e come si vedrà infra, alla flessibilità che connota la proposta (espressa dalla scelta di rendere non vincolante la qualità e quantità della remunerazione dei creditori nel caso che qui interessa, cioè quello della continuità), si affianca l’opzione di riconoscere al proponente una quasi illimitata dotazione di strumenti per perseguire quel risultato. Il legislatore ha menzionato alcuni tipi di intervento, ma solo a scopo esemplificativo; per il recupero delle risorse da destinare ai creditori è possibile operare mediante cessione dei beni, accollo, o altre operazioni straordinarie, ivi compresa l’attribuzione ai creditori, nonché a società da questi partecipate, di azioni, quote, ovvero obbligazioni, anche convertibili in azioni, o altri strumenti finanziari e titoli di debito; così pure è possibile invocare la tecnica dell’attribuzione delle attività delle imprese interessate dalla proposta di concordato ad un assuntore; così come possono essere costituite società, le azioni delle quali siano destinate ad essere attribuite ai creditori per effetto del concordato. Ed ancora si possono (nei concordati diversi da quelli in continuità) suddividere i creditori in classi secondo posizione giuridica e interessi economici omogenei e attribuire trattamenti differenziati (nei concordati diversi da quelli in continuità) [22] tra creditori appartenenti a classi diverse. Si può ipotizzare che alcuni dei creditori trasformino i loro crediti in capitale di rischio di nuovi soggetti (“veicoli”) [23] cui siano attribuite alcune attività, come pure la realizzazione di operazioni di cartolarizzazione. In un certo qual senso, davvero, è il debitore che può impostare la strategia generale della ristrutturazione anche con strumenti largamente distanti da quelli praticati sino a poco tempo fa. 
Tuttavia, molti altri strumenti si possono aggiungere al catalogo delle operazioni di pianificazione per condurre in porto l’operazione concordataria; si consideri che, in larghissima parte, questi strumenti volti alla riorganizzazione della impresa (attraverso interventi sulla società, così come sull’azienda) possono essere invocati in tutto il plesso dei possibili tentativi di soluzione della crisi e dell’insolvenza. Il complesso di operazioni, ascrivibili ad un’unica categoria e cioè quella dell’operazione di destrutturazione della crisi, che si possono prefigurare, abbraccia tutte le alternative, dagli accordi stragiudiziali puri, ai piani di risanamento e agli accordi di cui all’art. 57 CCII. A seconda della peculiarità della crisi, potrà essere preferito un modello al posto di un altro, perché ormai la duttilità dei modelli ben si presta a cogliere ogni aspetto singolare della specifica vicenda. 
I tipi di intervento sono descritti negli artt. 84 e 87 CCII. Così, il piano può prevedere la continuità imprenditoriale e quella aziendale; può prevedere la cessione di tutti i cespiti o soltanto di alcuni; può prevedere la continuità aziendale ma con dismissione dei cespiti non strategici; può contemplare la costituzione di nuove società il cui capitale sociale sia assegnato ai creditori a titolo satisfattivo; può stabilire scissioni, fusioni e trasformazioni che servano a riorganizzare la società [24]; può prevedere la costituzione di nuove garanzie e comunque tutto quanto risulti funzionale per presentare una proposta che ai creditori appaia appetibile e soprattutto credibile. È sin troppo ovvio che queste opzioni alternative (ma anche cumulative [25]) non possono essere previste se non nel quadro di una programmazione di fondo che sia coerente con la proposta da avanzare. 
Le strette interconnessioni fra piano e proposta comportano che uno stesso aspetto possa essere riguardato sia come elemento del piano che come oggetto della proposta. La previsione del compimento di operazioni di riorganizzazione societaria dovrebbe rappresentare una esplicazione del piano nel senso che attraverso operazioni di fusione, scissione o trasformazione si acquisiscono le risorse da destinare ai creditori, ma per converso queste operazioni straordinarie possono rivelarsi una componente della proposta nel momento in cui il debitore offre ai creditori i titoli di partecipazione della società beneficiaria o della incorporante [26]. Così pure la cessione dei beni dovrebbe esprimere solo il modo tramite il quale acquisire la liquidità da destinare ai creditori e tuttavia si può immaginare che la cessione dei beni costituisca l’oggetto della proposta quando ai creditori viene offerta la proprietà dei beni. 
Quindi le frammentazioni che si svilupperanno nei successivi §§ vanno considerate come espressione di mera tecnica descrittiva, in quanto le questioni sono assai più articolate e complesse; per tutte meriterebbe svolgere una doppia trattazione, sia come questioni che pertengono al piano sia come questioni che pertengono alla proposta. In tale cornice alcune delle considerazioni che si svolgeranno a proposito del piano dovranno essere replicate a proposito della proposta.
2 . La correlazione tra continuità e piano
Una volta tracciati i confini tra piano e proposta va da subito precisato che il lemma “continuità” va associato al piano e non alla proposta. Tale parola ricorre nel codice della crisi decine di volte: è un segnale limpido di quanto il legislatore abbia voluto investire sulla continuità aziendale sul presupposto che la prosecuzione dell’impresa possa creare un valore superiore a quello ritraibile dalla sua disgregazione. Si tratta di una scelta decisivamente influenzata dal legislatore dell’Unione europea che è stata raccolta in misura rilevante a livello domestico; scelta che, però, va misurata con la realtà e con il fatto che una soluzione di continuità è realmente e virtuosamente possibile soltanto quando alla crisi il debitore reagisce tempestivamente (art. 3 CCII). Non a caso la continuità è il valore dominante della composizione negoziata della crisi, e la cifra della continuità va ben oltre se si guarda agli accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa, se si analizzano le norme sui gruppi, se si valorizza il criterio di priorità di trattazione ai fini del procedimento unitario. 
La continuità non è fenomeno nuovo del codice della crisi. Per un lungo periodo successivo al 2005, gli operatori della materia concorsuale avevano faticato a distaccarsi dagli stereotipi del passato, sì che per alcuni anni nella maggior parte dei casi i concordati nuovi sono stati presentati secondo la vecchia formula della cessione dei beni. Solo dopo qualche tempo, alcuni studiosi più avvertiti [27] hanno rilevato che venuta meno ogni forma preconfezionata di modello concordatario, potevano anche essere rispolverate passate esperienze che non avevano avuto successo (il c.d. concordato con garanzia impropria sul patrimonio dello stesso debitore), ma che allora potevano essere riproposte alla luce della nuova normativa. 
Si è, quindi, fatta avanti, non in modo prepotente ma con una inesorabile progressione, l’idea che il concordato potesse essere gestito mantenendo l’impresa in capo all’imprenditore ma in un mutato contesto. Si sono così articolati diversi modelli concordatari, tutti avvinti dal medesimo bisogno di valorizzare la continuità aziendale, ma declinati in modo assai diverso: gli uni pensati per separare l’imprenditore dall’impresa e convogliare l’impresa in esercizio in altre mani, gli altri pensati, all’opposto, per conservare il valore dell’impresa e risanarla con sacrificio collettivo dei creditori, da sopportare con dismissioni di beni non strategici e con i flussi di cassa positivi. Due modelli opposti ma entrambi, come detto, fondati sull’idea valoriale della continuità aziendale. Una continuità aziendale tante volte quasi necessitata in presenza di valori immateriali destinati a divenire evanescenti se non conservati in capo alla medesima entità. Nella misura in cui appariva che la continuità dell’attività potesse creare valore anziché disperderlo, si faceva avanti la soluzione di consentire questa prosecuzione in modo trasparente e in funzione di una ottimizzazione del risultato da offrire ai creditori [28]. È noto che nel passato regime molto si era discusso sull’idoneità del concordato preventivo a fungere da strumento di conservazione dell’impresa e molteplici erano le prese di posizioni contrarie [29]. Quella preclusione è stata superata perché si ammette comunemente che nella regolazione della crisi e nella previsione del trattamento dei creditori trovi posto anche il mantenimento in vita dell’impresa [30] sebbene con le modalità più varie che subito si esporranno.
2.1 . Il piano di continuità “pura”
In verità, il concordato attuale risente della scomparsa dell’amministrazione controllata, istituto forse un po’ troppo frettolosamente abbandonato pur a dispetto di qualche utilità [31]; così, in una misura (forse) marginale, non si può escludere che una gestione controllata dell’impresa per un certo periodo non sia efficace per pervenire ad un risanamento (anche soggettivo e cioè senza mutamento degli assetti proprietari). In tale ottica non va escluso che il nuovo concordato preventivo, vista la flessibilità dei piani e delle proposte, riempia lo spazio lasciato vuoto dall’abrogazione dell’amministrazione controllata [32], senza, però assumerne i connotati qualificanti in quanto le regole disciplinari del concordato preventivo saranno in ogni caso orientate alla tutela dei creditori e non dirette a conseguire il risanamento. Pur nella consapevolezza che una crisi d’impresa può essere difficilmente superata solo tramite una dilazione dei pagamenti, l’ipotesi non va scartata a priori se solo si pensa al caso in cui un’impresa abbia esaurito le linee di credito e si trovi in crisi di liquidità generata dalle difficoltà di incasso nei confronti della pubblica amministrazione, di cui sono ben noti i ritardi nei pagamenti; in questo caso il congelamento degli interessi e la protezione del patrimonio potrebbero essere mezzi sufficienti per consentire che il solo passaggio del tempo, rigeneri il normale equilibrio di cassa dell’impresa [33]. Sia chiaro, però, che oggetto della proposta non può essere la mera dilazione, ma se mai, il normale soddisfacimento dei debiti una volta terminato il periodo di moratoria [34]. Almeno in teoria, diversamente da quanto talora opinato, non v’è un impedimento a pensare che oggetto della proposta di concordato sia la dilazione del debito ad un certo tempo dato [35]. L’attività d’impresa prosegue; l’imprenditore continua a governare l’impresa nel rispetto di taluni controlli e al termine del periodo che lo stesso debitore indica nella proposta, l’impresa è di nuovo in grado di far fronte con regolarità alle proprie obbligazioni. Non è poi importante se a questo risultato si possa meglio pervenire tramite accordi con alcuni creditori che sono disponibili ad una remissione parziale del debito, forse in concomitanza col rilascio di nuove garanzie. Il raggiungimento di accordi che non investono l’intero ceto dei creditori è pur sempre inquadrabile nella cornice del concordato di puro risanamento. 
Questo caso va qualificato come concordato di risanamento in senso stretto perché l’impresa è risanata e i creditori si ritrovano di fronte un soggetto pienamente solvibile. Si tratta di un’ipotesi in cui riecheggia la previsione di cui all’art. 27, lett. b), D.Lgs. n. 270/1999 in tema di amministrazione straordinaria. Queste ipotesi che si erano avanzate prima del codice della crisi, sono probabilmente destinate ad essere surrogate dalla composizione negoziata della crisi, ma non elidono i possibili effetti benefici del concordato se solo si pensa al principio di obbligatorietà (art. 117 CCII) che ovviamente non pervade le soluzioni della crisi fondate su base negoziale (e non deliberativa). 
2.2 . Continuità e ristrutturazione del debito
In disparte l’ipotesi più virtuosa (ma anche meno realistica), la continuità aziendale viene posta nel piano come strumento per la ristrutturazione del debito e il soddisfacimento parziale dei crediti. In passato, dopo qualche timido approccio lassista, la giurisprudenza aveva con fermezza stabilito che il concordato con garanzia tale era solo se si offriva una garanzia esterna; la garanzia non poteva essere costituita dal patrimonio del debitore [36], mentre oggi la proposta di concordato si atteggia come proposta di pagamento parziale, sostenuta da un piano che non prevede dismissioni (o solo in parte) ma che, al contrario, presuppone la continuità aziendale come occasione di formazione di un c.d. “cash flow”, idoneo con altre risorse (rinvenienti da dismissioni non strategiche) a remunerare i creditori. Diversamente dal caso di prima, qui non si assiste ad un risanamento complessivo che concerna i debiti passati, attuali e quelli futuri (che tornano ad essere normalmente esigibili), ma ad un risanamento che ha per oggetto diretto l’impresa intesa come complesso produttivo. Qui, per effetto di accordi col ceto creditorio (e non coi singoli creditori), si generano risorse che possono essere distribuite e se non è previsto che l’impresa passi di mano al termine del periodo fissato per riscuotere la necessaria liquidità, il risultato potrà essere quello di un’impresa che è sopravvissuta e che è in grado di riposizionarsi sul mercato in un clima di ritrovata competitività rispetto ai nuovi creditori; in alternativa potrà anche essere ceduta l’azienda risanata. Sempre per proporre un paragone, questo modello di proposta si avvicina all’ipotesi del concordato con ristrutturazione di cui all’art. 4 bis D.L. n. 347/2003, generato nel “caso Parmalat” [37]. È quella che, a buon titolo, possiamo battezzare come “operazione di mercato”. 
L’idea della continuità non è scevra da complicazioni perché il regime disciplinare deve comunque fare i conti con i tempi che pertengono al patrimonio dell’impresa e alla garanzia patrimoniale. Quando l’attività prosegue in capo alla medesima impresa se questa è una società di capitali si pongono tutte le questioni che attengono alla conservazione del capitale sociale e per l’effetto alle deliberazioni, eventualmente necessarie, che impongano un riassetto societario, cosicché sarà normalmente necessario procedere alla riduzione (o azzeramento) del capitale sociale per poi ricostituirlo ed aumentarlo, pur sotto l’ombrello provvisorio della neutralizzazione per tutta la durata del procedimento gli obblighi di ricapitalizzazione che tornano, però, ad essere attuali appena scavalcato il decreto di omologazione (art. 89 CCII) [38]. 
Non minori sono le complicazioni che hanno per oggetto il rapporto fra prosecuzione dell’attività caratteristica, continuità dei rapporti pendenti, effettuazione di pagamenti e consolidamento (e successiva remunerazione) dei debiti pregressi. Solo per una esemplificazione, occorre distribuire le risorse fra le esigenze di continuità imprenditoriale e le aspirazioni dei creditori concorsuali ad essere soddisfatti. Ed in tale cornice è logico che la fluidità dell’attività d’impresa vada coordinata con apposite previsioni di scostamento che possano essere adeguatamente assorbite senza influire sull’adempimento dei crediti vecchi. Ancora, a far preferire la scelta per questa soluzione in continuità diretta, militano quelle situazioni in cui conviene che sia la stessa impresa a proseguire l’attività perché in capo ad essa insistono valori non “cedibili”. Lo scenario del concordato in continuità, in tutti i suoi modelli operativi ora declinati, impone ulteriori adattamenti alle regole concordatarie classiche, anche se recentemente innovate. Occorre, infatti, tener conto che in caso di continuità la valutazione dei beni sui quali insistono le cause di prelazione dovrà far riferimento ad un concetto di valore di liquidazione del tutto particolare. 
Ed ancora, non può essere ignorato, di per sé, il rischio della deriva della continuità anche al lume del più recente orientamento del giudice di legittimità che ha escluso la natura prededucibile delle obbligazioni sorte durante l’esecuzione del concordato, rimaste insoddisfatte e al sopraggiungere di una procedura liquidatoria successiva [39]. 
2.3 . Continuità valore-mezzo
Una volta acquisiti questi principi di fondo, quando si discute di continuità in uno scenario di crisi il primo interrogativo che ci si pone è se la continuità sia un valore-fine o sia, soltanto, il valore-mezzo per procurare il soddisfacimento dei creditori. Sappiamo che nel nostro ordinamento concorsuale, prima del codice della crisi, si fronteggiavano due plessi normativi assai distanti tra loro: da una parte l’amministrazione straordinaria nella quale l’obiettivo (fine) è la prosecuzione dell’impresa anche a discapito dei diritti dei creditori, e dall’altra parte il concordato preventivo nel quale l’obiettivo è assicurare ai creditori il soddisfacimento migliore cui è funzionalizzata la continuità dell’impresa (mezzo). 
Nel concordato preventivo e nei diversi istituti che compongono l’assortimento degli strumenti di negoziazione affidati al debitore emerge sempre più frequentemente che il valore della continuità possa divenire il punto cardinale di riferimento, anche con possibile parziale compromissione dei diritti dei creditori, creditori che, però, non sono sempre allineati, ed anzi spesso si vengono a trovare in posizione di conflitto perché vi sono coloro che sono interessati alla prosecuzione dell’attività e coloro che, invece, sono interessati solo alla riscossione del credito “vecchio” [40]. In tal senso già si è abdicato alla clausola generale primaria del “soddisfacimento migliore” [41] per i creditori per scivolare in quella di “assenza di pregiudizio” [42] che, rispetto alla prima, sembra assumere un valore più residuale come a dire che la protezione dei creditori è sì, interesse prevalente, ma solo nei limiti del valore di liquidazione [43]. 
Si agita, qui, il rischio che si ripeta l’espressione “risanamento finanziato dai creditori” anche nel concordato preventivo, espressione coniata per l’amministrazione straordinaria, là dove si fatica a comprendere come la netta opzione del favor verso la continuità si possa armonizzare con le regole disciplinari delle crisi delle altre (le più) imprese. L’utilità sociale e l’interesse nazionale, quali valori costituzionali protetti, possono giustificare l’opzione di dare prioritario rilievo alla prosecuzione dell’attività d’impresa ma si dovrebbe trattare di casi periferici ed eccezionali. 
Se, in passato, il territorio della continuità come valore-fine era ben marcato e solo nell’amministrazione straordinaria, si tratta, ora, di capire se quelle conclusioni siano ancora attuali oppure se la mutazione del concordato preventivo abbia determinato un ribaltamento degli obiettivi facendo assurgere la continuità a valore-fine. L’interrogativo muove dal rilievo della particolare attenzione riservata dal codice alla dimensione della continuità e, soprattutto, dal fatto che molteplici sono le disposizioni che inclinano il concordato con piano di continuità nella direzione di un regime nettamente di favore. 
Per rispondere al quesito con piena consapevolezza è necessario indugiare su alcune norme che lette nel loro insieme ci consentono di optare per una soluzione non ideologica ma ancorata al tessuto legislativo. 
La continuità dell’impresa è idealmente un fenomeno che tutela l’occupazione, che favorisce la prosecuzione delle relazioni commerciali, che tende a salvaguardare (o accrescere) i valori immateriali dell’impresa destinati, invece, a dissolversi nel caso di liquidazione [44]; la direttiva unionale n. 1023/2019 esprime in modo netto questo assioma: una impresa in continuità genera maggior valore di una impresa disgregata. 
Così, nulla impedirebbe di incentrare tutto il sistema nella direzione della continuità come accade per l’amministrazione straordinaria. Può ben darsi che la continuità, nelle procedure giurisdizionali e negli strumenti del codice della crisi, sia divenuta la stella polare da cui ci si deve far guidare ma non ad ogni costo, perché una lesione anche minima del diritto di credito non è tollerabile finanche nel caso più estremo declinato nell’art. 53, comma 5 bis, CCII, là dove in nome della continuità l’accertata lesione del credito non conduce alla rimozione dello strumento, ma si trasforma in pari diritto al risarcimento del danno. Questa disposizione che esalta il valore della continuità ne costituisce, però, anche il limite estremo, nel senso che il diritto di credito, pur riconvertito in diritto risarcitorio, non viene pregiudicato (come accadrebbe nell’amministrazione straordinaria). 
Così, il c.d. concordato di risanamento (ovverosia la modalità concordataria opposta a quella per cessione), va, dunque, ascritto al piano e non alla proposta perché il risanamento o anche la sola continuità aziendale altro non sono che uno strumento per offrire ai creditori i) o il pagamento integrale al termine del periodo previsto nel piano, pagamento integrale che diviene possibile per effetto di una ri-organizzazione dell’impresa e della moratoria concessa dai creditori [45], ii) o un pagamento parziale alimentato dalle risorse generate dalla prosecuzione dell’attività [46]. Sia chiaro, però, che oggetto della proposta resta il soddisfacimento del credito e non il percorso per realizzarlo [47]. Pur quando si enfatizzi la libertà di contenuto della proposta, ciò non può tracimare nella negazione del fatto che la proposta di concordato è diretta ai creditori, non fosse altro perché sono loro (e solo loro) che sono chiamati ad approvarla. Ed allora se la proposta è diretta ai creditori e se questa deve essere adeguata a regolare la crisi, questa regolazione non può non tradursi anche nella stessa regolazione dei crediti. Pertanto, la proposta non può essere il risanamento dell’impresa; il risanamento è solo un modo per proporre qualcosa ai creditori e dunque il risanamento è oggetto del piano [48]. La proposta sarà sempre una soltanto: come regolare i crediti. Il ricorso al concordato preventivo presuppone necessariamente la crisi dell’impresa e la volontà del debitore di affrontarla facendo sponda sulla ristrutturazione del debito; se mancasse questo, si avrebbe un uso strumentale del concordato preventivo (v., subito in appresso). 
Ecco, allora, che tutti gli indici che giocano a favore del piano di continuità puntualmente scanditi nel codice non appaiono tali da trasfigurare il concordato preventivo da procedura di tutela dei creditori a procedura di risanamento [49]. Non a caso, se collochiamo la continuità aziendale come programma, e cioè come componente del piano, ci avvediamo che il debitore non propone ai creditori la continuità ma un trattamento delle loro pretese; la continuità non è oggetto della proposta perché, di per sé, la continuità non è una obbligazione che possa essere offerta ai creditori in luogo della loro disponibilità a liberare il debitore dal debito non soddisfatto. Infatti, se anche volessimo portare all’estremo il valore della continuità come elemento della proposta, nel senso che il debitore si impegna con i creditori a proseguire l’attività, resterebbe l’obiezione che in questo modo la proposta non contiene una specifica utilità per ciascuno dei creditori (art. 84, comma 3, CCII). 
Quando esaminiamo alcune delle disposizioni del codice della crisi, notiamo che il contenuto della proposta resta, sempre, quello del soddisfacimento dei creditori. 
L’art. 84 CCII contiene, a tal proposito, almeno tre decisivi principi: i) il debitore può proporre un concordato che realizzi, sulla base di un piano avente il contenuto di cui all’art. 87 CCII, il soddisfacimento dei creditori; ii) si stabilisce che la continuità aziendale tutela l’interesse dei creditori e preserva, nella misura possibile, i posti di lavoro; si tratta di una innovazione ideologicamente importante [50] ma non così decisiva sul piano pratico perché la tutela dei lavoratori resta obiettivo subvalente rispetto alla tutela del credito [51]; iii) la proposta di concordato deve prevedere per ciascun creditore un’utilità specificamente individuata ed economicamente valutabile [52], che può consistere anche nella prosecuzione o rinnovazione di rapporti contrattuali con il debitore o con il suo avente causa, purché si tratti di rapporti dai quali possa desumersi un valore misurabile. 
Da questi tre principi ricaviamo che la tutela dell’interesse dei creditori è prevalente perché la preservazione dei posti di lavoro è obiettivo importante ma non assoluto [53], perché offrire ai creditori una utilità diversa dal pagamento in denaro significa comunque attribuire ai creditori un valore economicamente misurabile individualmente (mentre la continuità non è di per sé una utilità specifica per ciascun creditore), perché la proposta deve basarsi sul soddisfacimento dei creditori [54]. 
Pertanto, pur nella consapevolezza che l’asse del concordato si è grandemente spostato nella direzione della salvaguardia della continuità e della stessa tutela della continuità con una serie di norme di favore che declineremo nei prossimi §§, i principi spingono ancora il concordato preventivo tra gli strumenti di regolazione della crisi volti a sistemarla mediante il soddisfacimento dei creditori [55]. 
A ben vedere, l’unica disposizione che inclina il concordato verso la preminenza della continuità è quella di cui all’art. 109, comma 5 bis, CCII a tenore della quale nel caso di più proposte – diverse per tipologie di piano - che abbiano conseguito l’approvazione è preferita quella che si fonda su un piano di continuità [56]: se si guarda con attenzione questa previsione ci si avvede che non viene preferita la proposta migliore per i creditori ma quella basata su un piano di continuità. Sennonché, tale regola non assume da sola il rango di norma-cardinale che può orientare tutto il concordato [57], ma può trovare una precisa giustificazione: se i creditori hanno ritenuto indifferenti due proposte con piani diversi significa che reputano che il soddisfacimento a loro offerto sia nella sostanza equivalente e quindi, solo in seconda istanza, può giustapporsi un criterio selettivo di chiusura che eleva la continuità come valore scriminante, ma non per questo penalizzante.
3 . Tipologie di continuità
Il concordato assolve al fine del soddisfacimento dei creditori (art. 84, comma 1, CCII), che è a sua volta un mezzo per pervenire all’obiettivo di fondo che è la sistemazione della crisi. Per giungere al soddisfacimento dei creditori occorre disporre di un programma [58] con il quale si prevedono le modalità di raccolta delle risorse necessarie; questo programma è rimesso alle scelte del debitore (o del proponente terzo ai sensi dell’art. 90 CCII), scelte non vincolate purché funzionali al risultato finale. In tal senso la legge indica alcune tipologie di piani concordatari che potremmo definire “tipici” ma non costruisce un recinto, lasciando ampi margini di manovra [59]. Dobbiamo leggere assieme l’art. 84, comma 1, con l’art. 87, comma 1, lett. d)]. 
In questo contributo, però, prendiamo in esame, soltanto, un modello di concordato, quello che si sviluppa su un piano di continuità. 
Superato lo scoglio del rapporto piano/proposta, i paradigmi della continuità sono essenzialmente tre: i) la continuità può essere diretta (soggettiva) o indiretta (oggettiva) [60]. Nell’un caso l’attività d’impresa continua in capo al medesimo soggetto economico (non rilevando come al suo interno venga a modificarsi l’assetto proprietario), mentre nel secondo l’attività prosegue ma chi la gestisce è un terzo [61]; ii) la continuità può realizzarsi secondo le forme più varie; iii) l’applicazione del regime disciplinare del concordato in continuità prescinde dalla dimensione quantitativa delle risorse da destinare ai creditori, perché seppure queste risorse ricavate dalla continuità siano inferiori a quelli conseguite dalla liquidazione, le regole da applicare restano quelle del concordato in continuità. 
L’attenzione va posta sul potenziale dissidio tra continuità indiretta e liquidazione; un dissidio paventato in relazione al teorico conflitto tra l’art. 84 CCII, che include il trasferimento d’azienda nel perimetro della continuità, e l’art. 25 septies CCII, che a sua volta annette il trasferimento d’azienda al concordato semplificato, che è concordato di natura liquidatoria. 
Questa adombrata antinomia in realtà non ci convince; l’art. 84 dà rilievo al fatto oggettivo della continuazione dell’attività d’impresa in capo ad un soggetto diverso dal debitore e postula che questa prosecuzione sia un valore meritevole di un trattamento di favore perché “qualcosa” resta sul mercato; al contrario, l’art. 25 septies contiene una disposizione sulle modalità di vendita dell’azienda perché si assume che ai fini di conseguire il miglior risultato di mercato sia preferibile vendere l’azienda unitariamente anziché alienare i singoli beni che la compongono, ma nel concordato semplificato è del tutto indifferente ciò che accadrà dopo la vendita dell’azienda, perché questa potrebbe essere disgregata dal compratore senza nessun effetto lesivo dei diritti dei creditori. La differenza sta, dunque, nel fatto che nel concordato preventivo interessa la continuità aziendale, mentre nel concordato semplificato interessa il trasferimento dell’azienda solo perché maggiormente remunerativo. 
Nessuno dubita che il trasferimento dell’azienda (o di suoi rami) non sia un atto di liquidazione del patrimonio del debitore ma la legge ha voluto ribaltare la prospettiva, e si è stabilito che del trasferimento di azienda non si debba guardare il profilo soggettivo, ma quello oggettivo della prosecuzione dell’impresa [62]. Certo si potrebbe obiettare che in questo modo viene premiato un atto di liquidazione che potrebbe essere compiuto anche all’interno della liquidazione giudiziale, ma a questa critica si può replicare nel senso che se sono osservate le regole delle procedure competitive di vendita (previste anche nel concordato) non si deve temere una sottrazione di valore e, semmai, il vantaggio di un trasferimento d’azienda prima dell’evento traumatico della liquidazione giudiziale dovrebbe generare, per una logica razionale, un ricavato migliore. Che sia premiante la continuità indiretta come fattispecie distinta dal trasferimento dei complessi aziendali lo si apprezza al lume del fatto che nell’art. 87, comma 1, lett. e) ed f), CCII si prevede espressamente che il piano includa l’analitica individuazione dei costi e dei ricavi attesi, del fabbisogno finanziario e delle relative modalità di copertura, in tutti i casi in cui le risorse per i creditori sono, in tutto o in parte, realizzate nel tempo attraverso la prosecuzione dell’attività in capo al cessionario dell’azienda [63]. Nella continuità indiretta (od oggettiva) conta il fatto che la gestione dell’azienda sia affidata ad un soggetto diverso dal debitore in forza di cessione, usufrutto, conferimento in una o più̀ società, anche di nuova costituzione, ovvero in forza di affitto, anche stipulato anteriormente, purché in funzione della presentazione del ricorso [64], o a qualunque altro titolo. Il perimetro delle modalità tramite le quali l’attività prosegue in capo ad un terzo è ampio ed inclusivo dell’affitto di azienda sul quale si era molto discusso in passato. Il passaggio, anche provvisorio, della titolarità dell’azienda in capo ad un terzo è sufficiente perché si possano applicare le regole del concordato in continuità, purché l’affitto sia parte del piano di concordato e sia, dunque, lo strumento di attuazione del concordato [65]; non rientrerebbe in questo ambito l’affitto di azienda volto a conservare il valore ma in funzione di un piano di liquidazione. Questo sarà senz’altro ammesso, ma senza l’applicazione delle norme di favore. 
Si è opportunamente osservato che nell’art. 84 CCII sarebbe prevista non solo la prosecuzione ma anche la “ripresa” dell’attività soltanto nella continuità indiretta [66]; in disparte il fatto che la lettura più semplice possa portare a concludere che la norma non escluda la ripresa dell’attività anche nella continuità diretta, resta il fatto che sicuramente questa lettura deve essere patrocinata il che consente di riconoscere l’ammissibilità di un concordato in continuità partorito da una società in stato di liquidazione [67] potendosi, dunque, ammettere una ripartenza dell’attività con revoca dello stato di liquidazione [68]. 
Nel caso della continuità indiretta, sempre che vi sia questa previsione nel piano, è possibile giungere al trasferimento dell’azienda (o di suoi rami) anche prima dell’omologazione [69].
3.1 . Discontinuità, prevalenza e tempistica
Si può anche ammettere che vi sia parziale modifica dell’attività dell’impresa, ma appunto solo parziale [70]. Nel caso della continuità indiretta — e ciò al fine di distinguere una continuità da una liquidazione “secca” — per postulare che una cessione di una porzione del patrimonio possa essere configurata come una manovra di continuità sarà necessario dimostrare che ciò che viene trasferito a terzi è, in verità, un ramo aziendale perché chi acquista proseguirà, proprio, l’attività caratteristica. In tale contesto, diviene parametro essenziale il fatto che unitamente agli immobili venga trasferito anche ciò che alimenta l’attività: si pensi al trasferimento di personale, al trasferimento di relazioni professionali in corso, si pensi al trasferimento dei contratti di locazione pendenti, sia dal lato attivo che dal lato passivo. Se il piano prevede tali trasferimenti aggregati in un ramo aziendale, non v’è alcuna ragione di escludere che quello in discussione sia un concordato preventivo con continuità indiretta, al contrario di quanto potrebbe verificarsi laddove questi valori venissero trasferiti in modo disaggregato [71]. 
A tal fine può essere anche utile rammentare che nel previgente regime (là dove non era previsto che il requisito della prevalenza non fosse oggetto di dibattito) si era stabilito che il concordato preventivo in cui alla liquidazione atomistica di una parte dei beni dell’impresa si accompagnava una componente di qualsiasi consistenza di prosecuzione dell’attività aziendale, il concordato rimaneva regolato nella sua interezza, salvi i casi di abuso dello strumento [72], dalla disciplina speciale prevista dall’art. 186 bis L. fall., che al comma 1, espressamente contemplava anche detta ipotesi fra quelle ricomprese nel suo ambito [73]. 
Ovviamente, ora che l’art. 84, comma 3, CCII ha espressamente stabilito che la quantità delle risorse da assegnare ai creditori possa dipendere da flussi non prevalenti rispetto alle altre componenti, è consentito sostenere che — in virtù di quel principio di preferenza sopra rammentato — ciò che davvero conta, ai fini della qualificazione, è che esita una vera [74] anche se non predominante prosecuzione dell’attività aziendale, purché della stessa natura. 
Anche un parziale mutamento dell’oggetto potrebbe non impedire la qualificazione di continuità indiretta. Come è stato recentissimamente precisato dal giudice di legittimità [75] « la continuità, implicando la prosecuzione della pregressa attività d’impresa e proprio al fine di assumere questa caratteristica, deve tuttavia riguardare, ove sia soltanto parziale, quanto meno una porzione significativa del nucleo aziendale, vale a dire (mutuando la terminologia utilizzata dall’art. 2112, comma 5, cod. civ.) un’articolazione funzionalmente autonoma dell’attività economica precedentemente organizzata che conservi la propria identità ed alla quale i beni sottratti alla liquidazione siano effettivamente strumentali. In altri termini, la continuità presuppone che la pregressa attività di impresa, pur potendo subire un ridimensionamento della sua consistenza quantitativa, prosegua con le peculiari caratteristiche già assunte e mantenga la sua identità sotto un profilo qualitativo, senza essere completamente destrutturata e sostituita con un’attività di impresa altra e differente da quella precedentemente svolta. La conservazione di questa identità deve essere accertata in base al complesso delle circostanze di fatto che caratterizzano la specifica operazione prevista in piano (tra cui, ad esempio, il tipo d’impresa, l’identità dell’attività produttiva, l’utilizzo, almeno in parte, della medesima forza lavoro, il tendenziale mantenimento della stessa clientela, la sottrazione alla liquidazione e la destinazione, almeno in parte, dei beni materiali già in precedenza utilizzati per lo svolgimento dell’attività) ». 
Ed allora, occorre prendere atto che la preferenza verso il piano di continuità è emblematicamente rappresentata dalla scelta di rinunciare al criterio della prevalenza tra continuità e liquidazione [76]; anche se la continuità non genera la maggior parte delle risorse da destinarsi ai creditori si applicano le regole più favorevoli della continuità, sempre però al riparo dal dubbio dell’abuso dello strumento concordatario [77]. 
Continuità sì, ma per quanto tempo? La disciplina del concordato non contiene disposizioni che regolino il tempo della continuità sì che v’è da chiedersi se una continuità per un breve periodo possa attrarre al regime della continuità un intero concordato. Il quesito è importante perché è doveroso evitare situazioni nelle quali il totem della continuità venga strumentalizzato per garantirsi condizioni regolatorie migliori, a partire dall’assenza di soglie minime di soddisfacimento dei creditori. 
Ebbene, la legge ci offre qualche ipotesi di soluzione ragionevole: l’art. 84 CCII nulla esplicita al riguardo e tuttavia altre indicazioni si ritrovano nell’art. 87 CCII che descrive il contenuto del piano concordatario e alla lett. e) dice espressamente che il concordato in continuità contiene « il piano industriale con l’indicazione degli effetti sul piano finanziario e dei tempi necessari per assicurare il riequilibrio della situazione economico-finanziaria ». 
Da tale disposizione sembra ricavarsi che al termine del piano debba raggiungersi il riequilibrio non solo della situazione finanziaria (e cioè la manovra di gestione dell’indebitamento) ma anche di quella economica [78], il che potrebbe risultare incompatibile con una cessazione dell’attività — ferma restando la continuità indiretta tramite cessione. A ben vedere, però, le cose non sembrano stare così, nel senso che una volta ripristinato l’equilibrio si tratterà di vedere se sia legittimo dismettere l’attività risanata. 
Una volta che si verifichi che l’equilibrio economico è assicurato mentre quello finanziario deriverà dalla approvazione del concordato e dagli effetti che si producono ai sensi dell’art. 117 CCII, è necessario valutare se e come, una volta raggiunto l’equilibrio, l’impresa (o una parte come accade in questo caso) possa essere disgregata, come a dire che una liquidazione successiva sia perfettamente compatibile con una continuità “a tempo”. 
Per rispondere a questo interrogativo giova ricordare che nel sistema delle procedure a matrice giurisdizionale (e non amministrativa) la continuità appare, ancora oggi, solo un mezzo (per quanto virtuoso) per pervenire ad un accettabile soddisfacimento dei creditori. 
Ma se così è, e la maggior parte della dottrina è assestata su questa posizione, e cioè che la continuità non è un valore in sé, allora non è incoerente assumere che una volta posta in equilibrio l’impresa e una volta soddisfatti i creditori (nella misura della proposta concordataria) l’imprenditore sia libero di scegliere se proseguire l’attività o se dismetterla. 
Come si è già enunciato, tanto l’art. 84 CCII, quanto i giudici di legittimità predicano che le risorse tratte dalla continuità non debbono essere prevalenti su quelle tratte dalla liquidazione, sì che se i valori generati dalla continuità soccombono rispetto a quelli generati dalla liquidazione questo non esclude la ricorrenza di un piano in continuità [79]. 
Le superiori considerazioni, però, non assorbono del tutto il quesito e cioè se non occorra rispettare un termine minimo per la prosecuzione dell’attività d’impresa. 
A questo interrogativo merita di essere fornita una risposta affermativa perché, appunto, la continuità viene considerata, di per sé, un valore tanto che viene “premiata” con condizioni di favore che sono state analiticamente indicate nel precedente parere. 
Una volta riconosciuto che la prosecuzione dell’attività deve avere uno spettro temporale minimo, diviene necessario individuarlo e questa operazione non è troppo complicata perché è la legge che lo indica. Infatti, tanto nella composizione negoziata della crisi [art. 23, comma 1, lett. a), CCII] quanto nell’amministrazione straordinaria [art. 63, comma 2, D.Lgs. n. 270/1999] si fa riferimento ad un periodo biennale. 
Pertanto, si può parlare di concordato in continuità quando vi è la previsione di una prosecuzione della gestione imprenditoriale per almeno un biennio post omologazione.
3.2 . La continuità impropria endoprocedimentale
Prima di affrontare le problematiche che concernono il regime disciplinare, assai variegato, del concordato in continuità, giova dar conto della c.d. “continuità impropria” e cioè di quel fenomeno che corrisponde alla naturale e fisiologica prosecuzione dell’attività d’impresa durante lo snodarsi del procedimento. 
Tutte le “provvidenze” di cui gode il concordato in continuità vanno riferite solo a quei casi nei quali si prevede la continuità, diretta o indiretta, dopo l’omologazione o, più precisamente, a tutti quei casi nei quali la continuità è elemento cardine della proposta perché da essa si ritraggono, almeno in parte, risorse da destinare ai creditori. Detto altrimenti, non può reputarsi piano di continuità quel regime di continuità fisiologica di una attività d’impresa senza che questa sia elemento di forza del piano [80]. Prima della sentenza di omologazione, in virtù di quanto si ricava dall’art. 94 CCII, l’impresa è sempre in continuità tutte le volte in cui l’attività prosegua, ma non è di questo che si è occupato il legislatore. Questa continuità, però, non è del tutto neutrale in quanto, nonostante l’obiettivo del concordato sia il soddisfacimento dei creditori tramite la liquidazione, alcuni vantaggi sono comunque assicurati: i) l’art. 95, comma 2, CCII stabilisce che le disposizioni di favore sulla prosecuzione dei contratti pubblici si applicano anche al concordato liquidatorio quando la prosecuzione dell’attività è necessaria per una più proficua liquidazione; ii) l’art. 99, comma 1, CCII a sua volta consente la contrazione di finanziamenti prededucibili in presenza di una continuità funzionale alla liquidazione [81].
4 . Le regole disciplinari per il concordato in continuità nella legge fallimentare
Il debitore quando presentava una domanda di concordato non sceglieva se avvalersi dei vantaggi di cui all’art. 186 bis L. fall., ma questi vantaggi derivavano, automaticamente, dal fatto che nel piano di concordato il debitore prevedesse una continuità dell’impresa secondo uno dei tre schemi stabiliti nell’art. 186 bis L. fall. [82]. Pertanto, alle regole dettate in tema di concordato se ne sommavano delle altre le quante volte il piano prevedesse la continuità dell’attività d’impresa. 
a) Tutte le regole societarie in tema di conservazione del capitale sociale restavano sospese sino all’omologazione; la disposizione di cui all’art. 182 sexies L. fall. si applicava indistintamente a tutte le società, comprese quelle che volevano accedere ad un concordato liquidatorio [83], ma è chiaro che la norma aveva il suo terreno elettivo di sperimentazione per le società che volevano proseguire l’attività secondo il modello della continuità diretta. Questo significava che la continuità aziendale non rendeva necessario un processo immediato di ricapitalizzazione che però era soltanto rimandato all’omologazione, quando la falcidia concordataria ben poteva risultare un effetto determinante per il riequilibrio del patrimonio [84]. La causa di sospensione era funzionale alla programmazione dell’operazione concordataria ma anche alla opportunità di utilizzare le perdite conseguenti all’effetto esdebitatorio quale “polmone finanziario” per la ricapitalizzazione; ciò che doveva accadere al momento del decreto di omologazione provvisoriamente esecutivo [85]. 
b) Non erano efficaci e non potevano essere opposte le clausole contrattuali che prevedessero che l’ammissione di un contraente al concordato preventivo comportava la perdita dell’affare, anche in relazione a contratti pubblici. 
c) Non erano efficaci i limiti posti alla partecipazione a gare pubbliche per le imprese in concordato e in continuità quando vi fosse una garanzia duplice costituita dall’attestazione di un esperto e dalla condivisione dell’operazione da parte di altro imprenditore titolato, purché vi fosse espressa autorizzazione del tribunale, acquisito il parere del commissario giudiziale se nominato (in mancanza di tale nomina provvede il tribunale) [86]. 
d) Non erano efficaci le clausole risolutive espresse il cui operare dipendeva dall’essere uno dei contraenti in concordato (v., art. 72 L. fall.). 
e) Il debitore poteva chiedere di essere autorizzato, sia nella fase del pre-concordato che durante la procedura, a procedere al pagamento di creditori concorsuali, quando ciò fosse conforme al miglior interesse di tutti gli altri creditori e purché ciò risultasse da un’attestazione, salvo che per questi pagamenti non fosse possibile fare ricorso a risorse finanziarie esterne o devolute al concordato ma in regime di postergazione. 
Nelle ipotesi di cui alle lett. a-e), le norme venivano incontro a bisogni tipici dei concordati in continuità. Tuttavia, l’art. 186 bis disegnava anche cosa doveva comporre necessariamente il piano e cosa lo può facoltativamente comporre 
In primo luogo, il debitore doveva depositare un progetto imprenditoriale cui si coniugasse un preciso piano finanziario delle risorse necessarie. Occorreva, dunque, predisporre un piano industriale che contemplasse la prosecuzione dell’attività per un arco di tempo che consentisse di svolgere delle previsioni ragionevoli [87]. Questo poneva due quesiti e cioè se fosse sufficiente la continuità di un minimo ramo di azienda e se fosse necessario che questa continuità si sviluppasse per un arco temporale non inferiore ad un certo periodo. 
I vantaggi competitivi si conquistavano quando il piano di concordato rispondeva ai requisiti di cui all’art. 186 bis L. fall., tanto è vero che non era previsto che il tribunale dovesse procedere — in via astratta o preliminare — alla qualificazione del piano. Ogni volta che il debitore si voleva avvalere di una delle misure di favore che la legge stabilisce, occorreva verificare che il piano di concordato prevedesse la continuità. 
Proprio l’esistenza di una serie di regole disciplinari che si applicavano al concordato con piano di continuità (e non ad altri), imponeva al tribunale di delibare, volta per volta, se il piano presentato o solo delineato, potesse qualificarsi come piano di continuità [88] e ciò al fine di verificare l’applicabilità delle norme “favorevoli”. 
La “memoria” di quanto stabiliva la legge fallimentare è utile a comprendere quali passi in avanti abbia compiuto il codice della crisi al fine di valorizzare la continuità imprenditoriale o aziendale. Ed è parimenti opportuno segnalare la distanza tra la versione del codice successiva al D.Lgs. n. 83/2022 e la versione del codice licenziata nel 2019 e mai entrata in vigore [89]. Lo statuto del concordato in continuità è particolarmente complesso perché si è nettamente amplificata la distanza regolatoria rispetto al concordato liquidatorio, al punto che diverse sono le regole distributive, quelle di approvazione e quelle di omologazione. 
È noto, così, che una parte della dottrina si sia indirizzata nel sostenere la perdita di identità e di unità del concordato che vedrebbe, oggi, disciplinati due modelli fortemente distinti [90]. 
Tuttavia, se la continuità e la liquidazione risultano strumenti (e non fini) è ancora possibile predicare che il concordato preventivo è uno strumento unitario di regolazione della crisi [91].
5 . Il piano di continuità
Il contenuto del piano di concordato è fissato in modo analitico nell’art. 87 CCII 
Il piano rileva all’interno dell’impresa come documento programmatico diretto a individuare le coordinate operative di gestione dell’impresa in funzione della redazione di una proposta da rivolgere ai creditori. 
Il piano, però, rileva anche all’esterno perché è un documento di natura informativa rivolto ai creditori e al tribunale per metterli nelle condizioni di valutare se approvare la proposta (i primi) e se omologarla (il secondo). 
Il corredo informativo è molto vario perché vi sono informazioni che guardano al futuro e si tratta delle azioni che il debitore intende intraprendere, ma vi sono anche notizie sul passato (ad esempio in tema di atti compiuti) che possono agevolare i creditori nella scelta se approvare la proposta. 
Di sicuro, il piano deve essere completo, esposto razionalmente e fondato su previsioni attendibili, confezionato in modo trasparente e supportato da idonea documentazione in modo che i creditori ed il tribunale possano assumere una decisione facendo riferimento tanto all’attestazione quanto alla documentazione allegata. 
Più nel dettaglio, rispondono ad una esigenza di trasparenza i) l’indicazione del debitore e delle eventuali parti correlate, le sue attività e passività al momento della presentazione del piano e la descrizione della situazione economico-finanziaria dell’impresa e della posizione dei lavoratori, nonché ii) la precisazione delle azioni risarcitorie e recuperatorie esperibili, nonché le azioni eventualmente proponibili solo nel caso di apertura della procedura di liquidazione giudiziale e le prospettive di realizzo. 
Le precisazioni sulle azioni giudiziali rilevano, però, anche ai fini della valutazione che devono esprimere i creditori che vanno resi edotti del presumibile valore di liquidazione del patrimonio, alla data della domanda di concordato, in ipotesi di liquidazione giudiziale al fine di effettuare una comparazione. 
Vi sono, poi, una serie di indicazioni che attengono, direttamente, al contenuto del piano come programma di azione: i) la descrizione delle cause e dell’entità dello stato di crisi o di insolvenza in cui si trova l’impresa (profilo fondamentale perché la continuità si fonda, proprio, sulla discontinuità rispetto al passato) [92] e l’indicazione delle strategie d’intervento; ii) le modalità di ristrutturazione dei debiti e di soddisfazione dei crediti attraverso qualsiasi forma, anche mediante cessione dei beni, accollo, o altre operazioni straordinarie, ivi compresa l’attribuzione ai creditori, nonché a società da questi partecipate, di azioni, quote, ovvero obbligazioni, anche convertibili in azioni, o altri strumenti finanziari e titoli di debito; iii) la descrizione analitica delle modalità e dei tempi di adempimento della proposta nonché, in caso di concordato in continuità, il piano industriale con l’indicazione degli effetti sul piano finanziario e dei tempi necessari per assicurare il riequilibrio della situazione finanziaria [93]; iv) ove sia prevista la prosecuzione dell’attività d’impresa in forma diretta e indiretta, l’analitica individuazione dei costi e dei ricavi attesi, del fabbisogno finanziario e delle relative modalità di copertura, tenendo conto anche dei costi necessari per assicurare il rispetto della normativa in materia di sicurezza sul lavoro e di tutela dell’ambiente; v) gli apporti di finanza nuova eventualmente previsti e le ragioni per cui sono necessari per l’attuazione del piano. 
Il piano deve prevedere altresì le iniziative da adottare qualora si verifichi uno scostamento dagli obiettivi pianificati: si tratta di una previsione importante — e rilevante soprattutto nei piani in continuità — perché accade spesso che l’esecuzione del piano sia resa difficile non tanto dalla condotta di chi lo deve attuare quanto dal sopravvenire di situazioni esogene che, comunque, debbono essere governate. Se gli scostamenti riguardano il piano e il debitore vi apporta, preventivamente, degli aggiustamenti, anche gli atti indicati nel piano “di riserva” saranno protetti dalle azioni revocatorie. La previsione preventiva di un piano alternativo consente, infatti, ai creditori di orientare la loro scelta tenendo conto di possibili scenari peggiorativi. 
Tale previsione è, altresì, coerente con la previsione di modifiche del piano successive alla omologazione che possano essere accettate dai creditori (art. 118 bis CCII) [94]. Il meccanismo, di là da una imprecisione tecnica (nella parte in cui si confonde al comma 2 la proposta con il piano), non ha impatto sulle obbligazioni concordatarie perché rispetto al patto di concordato validato dal tribunale nessuna modifica unilaterale è concepibile, al contrario del piano che è atto di organizzazione (solo) imprenditoriale. 
Infine, il piano contiene indicazioni relative al trattamento dei creditori che vanno poi declinate nella presentazione della proposta: i) il piano individua le parti interessate dal piano, indicate singolarmente o descritte per categorie di debiti, e l’ammontare dei relativi crediti e interessi, con indicazione di quanto eventualmente contestato; ii) nel piano sono indicate le classi in cui le parti interessate sono suddivise ai fini del voto, con selezione dei criteri di formazione utilizzati, del valore dei rispettivi crediti e degli interessi di ciascuna classe; iii) il piano determina le eventuali parti non interessate dal piano, indicate individualmente o descritte per categorie di debiti, unitamente a una descrizione dei motivi per i quali non sono interessate; iv) nel piano sono precisate le modalità di informazione e consultazione dei rappresentanti dei lavoratori nonché gli effetti della ristrutturazione sui rapporti di lavoro, sulla loro organizzazione o sulle modalità di svolgimento delle prestazioni; v) nel piano il debitore indica le ragioni per cui la proposta concordataria è preferibile rispetto alla liquidazione giudiziale.
6 . I vantaggi della continuità
Dalla scelta concordataria della continuità discendono automaticamente vantaggi decisivi [95]: 
a) la legge indica che la proposta deve essere conveniente per i creditori ma quando il piano è formato in continuità questa convenienza trascolora in assenza di pregiudizio (art. 7 CCII) [96]; 
b) ai fini dell’apertura del concordato il tribunale valuta la ritualità della proposta senza effettuare alcun sindacato di merito [97]; 
c) la continuità deve essere preservata anche nel giudizio di reclamo sul provvedimento che ha deciso sulla domanda di concordato (art. 52 CCII); 
d) quando è impugnata la sentenza di omologazione di un concordato in continuità la corte d’appello adita in sede di reclamo, nonostante la fondatezza del gravame, può confermare la sentenza di omologazione se l’interesse generale dei creditori e dei lavoratori prevale rispetto al pregiudizio subito dal reclamante, riconoscendo a quest’ultimo il risarcimento del danno (art. 53, comma 5 bis, CCII)  [98]; 
e) nel concordato in continuità la distribuzione del valore avviene secondo la regola della relative priority rule sulle risorse eccedenti quanto ricavabile dalla liquidazione (art. 84 CCII) [99]: 
f) il piano può prevedere una moratoria per il pagamento dei creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca con la conseguenza che i termini di adempimento della proposta possono essere dilatati (art. 86 CCII) [100]; 
g) nel piano in continuità il commissario giudiziale giuoca un ruolo più marcato perché oltre al consueto compito di sorveglianza assume anche quello di (possibile) consulente nella redazione del programma (art. 92 CCII); 
h) nei concordati in continuità i contraenti-creditori dell’impresa non hanno a disposizione i rimedi di autotutela negoziale che non sono attivabili né per il solo fatto dell’accesso al concordato né per il fatto che in presenza di contratti essenziali, concesse le misure protettive, non siano pagati i debiti anteriori (art. 94 bis CCII). La disciplina dei contratti pendenti è articolata su tre piani: i) la disciplina di carattere generale (art. 97 CCII) [101]; ii) la disciplina per i concordati in continuità (art. 94 bis CCII); iii) la disciplina per i contratti con la pubblica amministrazione (art. 95 CCII). Nei concordati con continuità aziendale il decreto di apertura della procedura accompagnato dalla conferma delle misure protettive (o dalla concessione di quelle cautelari) inibisce i mezzi di autotutela negoziale in quanto i contraenti in bonis che siano creditori non possono rifiutare l’adempimento dei contratti pendenti, non possono provocarne la risoluzione, né possono anticiparne la scadenza o modificarli, e neppure sono efficaci le clausole negoziali che prevedessero la caducazione del contratto come effetto automatico dell’apertura del concordato (art. 94 bis CCII) [102]. Il divieto di autotutela negoziale si estende ai contratti essenziali (da intendersi come quelli necessari per la continuazione della gestione corrente dell’impresa, inclusi i contratti relativi alle forniture la cui interruzione impedisce la prosecuzione dell’attività del debitore) rispetto ai creditori interessati dalle misure protettive; costoro non possono, nei concordati in continuità, rifiutare l’adempimento, provocarne la risoluzione, né possono anticiparne la scadenza o modificarli in danno dell’imprenditore per il solo fatto del mancato pagamento di crediti anteriori rispetto alla presentazione della domanda di accesso al concordato preventivo [103]. Pertanto, nel concordato in continuità né l’apertura del concordato, né il mancato pagamento costituiscono titolo per consentire al contraente in bonis di sciogliersi dal contratto. La regola di cui all’art. 94 bis CCII, limitatamente ai concordati in continuità, si pone come principio opposto (divieto di avvalersi dei meccanismi di autotutela negoziale) a quello che attribuisce al debitore la facoltà di sciogliersi dal contratto [104]. Per partecipare alle nuove gare è necessaria l’autorizzazione del tribunale (o del giudice delegato dopo il decreto di apertura) che si deve ritenere, nonostante il silenzio della norma, possa essere concessa solo per i concordati in continuità. 
i) quando la proposta si fonda sul piano di continuità il tribunale può omologare anche in assenza della maggioranza delle classi purché abbia votato a favore almeno una classe interessata (art. 109 CCII); 
j) analogamente, l’omologa può essere disposta quando vi sia l’opposizione di un creditore che lamenti la non convenienza della proposta ma dalla comparazione con la liquidazione giudiziale emerga che il trattamento non è pregiudizievole (art. 109 CCII); 
k) la continuazione dell’attività consente all’impresa di proseguire i contratti con la pubblica amministrazione (art. 94 bis CCII); 
l) la continuazione dell’attività consente anche di stipulare contratti di finanziamento con il beneficio della prededuzione (artt. 99 e 101 CCII); fruiscono del beneficio della prededuzione i crediti derivanti da finanziamenti erogati in esecuzione di un concordato preventivo con piano di continuità. La prededuzione compete ai finanziamenti effettuati dopo l’omologazione, vale a dire quelli previsti nel piano, e che tuttavia vengono erogati nella fase dell’esecuzione (art. 101). In tal caso non occorre una espressa autorizzazione del giudice perché se il finanziamento è previsto nel piano, sarà la sentenza di omologazione che certifica la coerenza del finanziamento con il concordato [105] 
m) quando è prevista la continuazione dell’attività aziendale, il tribunale può autorizzare il debitore a pagare crediti anteriori per prestazioni di beni o servizi, a pagare le retribuzioni dovute per le mensilità antecedenti il deposito del ricorso ai lavoratori addetti all’attività di cui è prevista la continuazione nonché al rimborso, alla scadenza convenuta, delle rate a scadere del contratto di mutuo (art. 100 CCII) [106]. Quanto al regime dei pagamenti per i concordati per i quali il piano preveda la continuità (art. 84 CCII), il debitore può chiedere di essere autorizzato, sia nella fase interinale che durante la procedura, a procedere al pagamento di creditori concorsuali, quando ciò sia conforme al miglior interesse di tutti gli altri creditori. L’art. 100 CCII scioglie il dogma del divieto dei pagamenti a favore dei creditori anteriori e riconosce la legittimità di questi pagamenti sebbene con alcune precise limitazioni [107]. In primo luogo, il pagamento anticipato dei creditori anteriori è soggettivamente limitato a coloro che hanno effettuato prestazione di beni o di servizi essenziali per la prosecuzione dell’attività, cioè coloro che vengono di solito qualificati come “fornitori strategici”; per stabilire se i pagamenti attengano a fornitori strategici e se risultino funzionali all’interesse di tutti i creditori è necessario che il debitore si munisca di una attestazione (redatta dal professionista indipendente di cui all’art. 2 CCII) che certifichi la ricorrenza di un fatto (l’essenzialità) e di una prognosi (il miglior soddisfacimento dei creditori). Tale attestazione non è necessaria quando il pagamento è eseguito facendo ricorso a risorse esterne procurate da un terzo che rinuncia a pretenderne la restituzione, ovvero che subordina la restituzione al soddisfacimento dei creditori anteriori. Nel solo caso del concordato con continuità il tribunale può autorizzare il pagamento delle rate a scadere di un mutuo assistito da garanzia reale (pegno o ipoteca) gravante su beni strumentali all’esercizio dell’attività economica a condizione che i) il debitore abbia adempiuto le obbligazioni precedenti o ci sia una espressa deroga disposta dal giudice, ii) sia presentata l’attestazione di un professionista indipendente il quale dichiari che il bene in garanzia consentirebbe il soddisfacimento integrale del credito e il pagamento non incida sui diritti degli altri creditori [108]. Ciò significa che il contratto di mutuo viene considerato uno strumento per una più proficua prosecuzione dell’attività sempre che le risorse impiegate per il pagamento del creditore mutuante non siano distratte dal piano concordatario che deve sempre escludere il pregiudizio per tutti i creditori [109]. Il mutuo finisce, così, con l’essere trattato al pari di un contratto pendente ai fini del pagamento delle prestazioni successive alla domanda di concordato (art. 97 CCII). 
Tutte queste previsioni permettono di predicare che il concordato in continuità è una procedura che riceve un chiaro sostegno del legislatore. Ma la schiacciante prevalenza dei concordati in continuità deriva, prima di tutto, da una “disposizione mancante” e cioè quella che non prevede alcuna soglia minima di soddisfacimento dei creditori chirografari.
7 . Classi e distribuzione del valore nel concordato in continuità
Nel concordato preventivo con piano di continuità la formazione delle classi è sempre obbligatoria (art. 85 CCII) [110], al pari del piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione. Tale soluzione è il portato della scelta di condizionare l’omologazione o alla approvazione dell’unanimità delle classi, o all’approvazione della maggioranza o ancora alla approvazione da parte di almeno una classe. Ciò significa che nel concordato in continuità il presupposto approvativo si realizza solo rispetto alle classi e non alla collettività dei creditori (art. 112 CCII). Non solo. La legge stabilisce ancor più in dettaglio che nei piani di continuità vanno allocati in classi distinte: a) i creditori privilegiati di cui si prevede un soddisfacimento solo parziale e che perciò sono catalogati tra i creditori interessati alla ristrutturazione (ovverosia i creditori che non pagati per l’intero entro centottanta giorni o trenta giorni se sono i crediti di cui all’art. 2751 bis, n. 1, c.c.),  [111] e b) i creditori da qualificare come imprese titolari di crediti chirografari derivanti da rapporti di fornitura di beni e servizi, che non hanno superato, nell’ultimo esercizio, almeno due dei seguenti requisiti: un attivo fino a euro cinque milioni, ricavi netti delle vendite e delle prestazioni fino a euro dieci milioni e un numero medio di dipendenti pari a cinquanta [112]; c) vanno poi rispettati gli ulteriori criteri di cui all’art. 85 CCII. In sintesi è necessaria una classe separata per: b/1) i creditori titolari di crediti previdenziali o fiscali dei quali non sia previsto l’integrale pagamento, b/2) per i creditori titolari di garanzie prestate da terzi, b/3) per i creditori che vengono soddisfatti anche in parte con utilità diverse dal denaro e b/4) per i creditori proponenti il concordato e per le parti ad essi correlate; c) nei concordati in continuità vanno formate classi separate per c/1) i creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, interessati dalla ristrutturazione perché non ricorrono le condizioni di cui all’articolo 109 comma 5 [113]; c/2) i crediti delle imprese titolari di crediti chirografari derivanti da rapporti di fornitura di beni e servizi, che non hanno superato, nell’ultimo esercizio, almeno due dei seguenti requisiti: un attivo fino a euro cinque milioni, ricavi netti delle vendite e delle prestazioni fino a euro dieci milioni e un numero medio di dipendenti pari a cinquanta [114]; d) per i soci nel caso di società quotate o di previsioni di piano con incisione sui diritti dei soci; e) per i crediti postergati, che però in quanto non interessati si è detto non dovrebbero partecipare alla votazione salvo che non ne sia previsto il soddisfacimento [115]; f) nell’art. 240, comma 3, CCII si è previsto che debba essere formata la classe degli obbligazionisti (o dei titolari di strumenti finanziari partecipativi) il che induce a ritenere che tutti i portatori di titoli esprimano un voto singolo che va a confluire in quello di classe. 
All’esito del processo riformatore le classi hanno perso, soprattutto nei concordati in continuità, l’importanza di strumento di distribuzione asimmetrica del valore, per assumere una diversa rilevanza, tutt’altro che inferiore, ai fini dell’approvazione e, ancor più, ai fini dell’omologazione. Le classi continuano, però, a poter essere reputate un chiaro sintomo della collettivizzazione degli interessi racchiusi negli scenari di crisi, così risultando evidente, rispetto ai modelli espropriativi, che la tutela del singolo creditore, assicurata in modo assoluto rispetto alla salvaguardia del principio del “non pregiudizio, tende a soccombere rispetto alla tutela dei creditori intesi come comunità [116]. 
Le regole sono cambiate ed ora il perimetro di applicazione della vecchia regola, cioè l’absolute priority rule, riguarda i) il concordato con piano di liquidazione e con assunzione, ii) il concordato in continuità ma nei limiti di quello che è definito come “valore di liquidazione” [117] e iii) i crediti di lavoro dipendente per i quali il privilegio generale è esercitato anche sul valore eccedente quello di liquidazione  [118] . 
Nel concordato in continuità la distribuzione delle risorse avviene in modo diverso: (a) in primo luogo occorre valutare la dimensione del patrimonio statico del debitore simulando quanto si ricaverebbe se l’attivo venisse liquidato, e ciò nella cornice della liquidazione giudiziale, perché per valore di liquidazione non si può intendere valore di mercato in una liquidazione “civile”; pertanto, poiché nella liquidazione giudiziale è prevista anche una provvisoria continuazione dell’esercizio dell’impresa (art. 211 CCII), va preferita l’interpretazione secondo la quale nel valore di liquidazione debba essere compreso anche il risultato netto (patrimonio dinamico) di un possibile esercizio provvisorio (ovviamente, solo se praticabile in concreto) [119]; (b) in secondo luogo occorre valutare quali risorse possono essere conseguite con la continuazione dell’attività [120], e se queste risorse nel loro complesso superano il valore di liquidazione, per la parte eccedente il debitore può ripartire le risorse osservando una regola diversa e più flessibile perché è sufficiente che a ciascuna classe sia attribuito un soddisfacimento almeno pari a quello delle classi dello stesso grado e più favorevole (ma non integrale) rispetto a quello delle classi di grado inferiore (relative priority rule) [121]; (c) restano, invece, sottratte ad ogni regola distribuiva le risorse che pervengono dall’esterno del patrimonio responsabile. Quindi, il valore eccedente non è rappresentato dai cc.dd. flussi della continuità ma dalla differenza tra quanto si ricava nel complesso dalla prosecuzione dell’attività e quanto si ricaverebbe con la liquidazione giudiziale [122]. 
Così, nel caso del concordato in continuità il bene gravato da un privilegio (o l’intero patrimonio) potrebbe non essere mai liquidato perché i cespiti sono funzionali alla prosecuzione dell’attività. In questo caso la proposta può prevedere che i creditori privilegiati siano soddisfatti nel tempo indicato nel piano (moratoria) salvo che il bene sia liquidato, nel qual caso il creditore privilegiato va soddisfatto subito dopo la liquidazione. Tuttavia, a maggiore protezione dei diritti dei lavoratori, la moratoria non può oltrepassare i sei mesi successivi all’omologazione per i crediti muniti del privilegio di cui all’art. 2751 bis, n. 1, c.c. 
Non vi è, invece, una soglia minima per le proposte che si basano su un piano di continuità fermo restando che a ciascun creditore deve essere assicurata una utilità misurabile economicamente e che ciascun singolo creditore non deve subire un pregiudizio [123]. Non può esistere un concordato nel quale ai creditori non sia offerto qualcosa di economicamente misurabile, ma nulla impone una soglia minima di proposta di soddisfacimento [124]. Pertanto, quando il soddisfacimento è costituito da modalità di prosecuzione dei rapporti commerciali occorre essere in grado di misurare l’attribuzione [125]; ad esempio, la prosecuzione delle forniture con un aumento del prezzo potrebbe consentire questa misurazione. Tutto ciò senza necessità di indagare se sia necessaria una causa concreta del concordato perché è la legge, comunque, che richiede l’attribuzione di una utilità, qui da intendersi come forma di soddisfacimento. 
8 . Le regole di approvazione nel concordato in continuità
Nel concordato in continuità le regole di approvazione sono speciali e sono intese a favorire l’approvazione. 
In primo luogo, va rammentato che in questo modello di concordato è obbligatoria la formazione delle classi, per cui occorre che vi sia il voto favorevole della unanimità delle classi (o almeno della maggioranza delle classi ai fini della ristrutturazione trasversale di cui all’art. 112 CCII o del voto della classe interessata). 
Tuttavia, fermo il diritto del proponente di chiedere l’omologazione anche in difetto di unanimità, è utile provare a percorrere l’ipotesi più semplice. Ai fini dell’approvazione dei creditori all’interno di ciascuna classe, vi sono due regole in ordine scalare: i) la maggioranza si forma con il voto palese favorevole della maggioranza assoluta sull’ammontare dei crediti ammessi al voto; ii) se la maggioranza assoluta non è raggiunta, la proposta si intende, comunque, approvata quando vi è il voto favorevole di almeno due terzi dei creditori votanti (c.d. quorum deliberativo), purché questi siano almeno la maggioranza dei creditori ammessi al voto (quorum costitutivo)[126]: tale criterio sussidiario è volto a sterilizzare la condotta dei creditori apatici che non votando, in realtà, non manifestano alcuna propensione al voto (né favorevole, né contrario) [127], con la conseguenza che la soglia di creditori favorevoli sufficienti si può abbassare al 33,33% [128], e con l’effetto che il concordato è approvato da una minoranza. 
Si può ipotizzare che la volontà unanime delle classi si realizzi in base ad un quorum differente, nel senso che in una classe la maggioranza si può formare sugli aventi diritto al voto e in un’altra classe sui votanti [129]. È un criterio discutibile ma di per sé non è un criterio che rinnega il principio di maggioranza [130], come invece accade nell’ipotesi del consenso della classe determinante. 
Se la maggioranza non è stata raggiunta, il commissario ne informa il giudice delegato che a sua volta provoca dal collegio una decisione che pone fine al concordato, e se vi sono istanze provenienti da soggetti “qualificati”, il tribunale dichiara l’apertura della liquidazione giudiziale, mentre se queste non vi sono dovrà essere dichiarata l’improcedibilità del concordato. 
La verifica sulla intervenuta approvazione dei creditori sconta, però, la necessità di operare un confronto con quanto potrebbe accadere in occasione del giudizio di omologazione. In tale ottica, l’art. 111 CCII nella parte in cui prevede che il giudice delegato informa immediatamente il tribunale della mancata approvazione può trovare applicazione diretta solo nel caso dei concordati non in continuità perché rispetto a questi la non approvazione di tutte le classi deve confrontarsi con l’omologabilità ai sensi dell’art. 112 CCII in presenza della maggioranza o persino del voto favorevole di una sola classe (quella “interessata”), considerando che l’art. 112 è espressamente richiamato nel corpo del comma 5 dell’art. 109 CCII In tal caso, il meccanismo di cui all’art. 111 CCII resta, dunque, sospeso sino a quando il debitore dichiara di volersi avvalere del diritto di chiedere, comunque, l’omologazione: tale diritto va esercitato entro sette giorni. Se il debitore non presenta l’istanza riparte il meccanismo di cui all’art. 111. 
Si pone, ancora, il tema della valorizzazione del voto, ai fini del conseguimento delle maggioranze, quando vengano formate classi dei soci. Sebbene possa apparire bizzarro, l’effetto del voto è diverso a seconda che sia un voto positivo o negativo. Se la classe dei soci esprime un voto sfavorevole, deve escludersi che il concordato possa reputarsi approvato da tutte le classi [131] – pur se approvato da tutte le classi dei creditori -  e questo apre le porte al meccanismo della ristrutturazione trasversale [132]; se, invece, la classe esprime un voto favorevole ciò non consente di rendere applicabile la regola della ristrutturazione trasversale nel senso che la classe dei soci non è una classe di creditori interessati e non è una classe di creditori privilegiati; pertanto, il voto favorevole della sola classe dei soci non consente l’omologazione del concordato. Resta, forse, il dubbio se il voto favorevole possa rilevare per computare la classe tra quelle che esprimono il consenso e ciò al fine di costituire la maggioranza: il fatto che si parli solo di classe e non di classe di creditori può far propendere per la soluzione per cui il voto può essere conteggiato. Sia chiaro che il socio esprime il voto solo in relazione alla quota di capitale posseduta, senza che rilevino diritti speciali derivanti dallo statuto, e il valore della quota non si mescola con il valore dei crediti, proprio perché la legge non richiede una maggioranza assoluta di voti favorevoli. 
In conclusione, nel concordato in continuità il sistema di voto non prevede che debba essere raggiunta la soglia di una maggioranza (ancorché non qualificata) di creditori favorevoli per somme [133]. Tuttavia, questa scelta non è affatto bizzarra o eterodossa, ma è il risultato del recepimento di una indicazione eurounionale, perché nella direttiva si enfatizza il ruolo delle classi e, persino, della classe determinante [134]. 
9 . Le regole di omologazione
 Nel concordato in continuità la regola di approvazione, posta l’obbligatorietà della formazione delle classi, è costituita dalla unanimità delle classi. Se vi è unanimità, il tribunale deve valutare che il trattamento offerto ai creditori nella proposta sia conforme ai limiti legali imposti (ad esempio a proposito del rispetto minimo del soddisfacimento dei creditori privilegiati), ma soprattutto deve verificare che sia stato rispettato l’ordine di distribuzione delle risorse. Nel concordato in continuità il controllo sul piano comporta anche la verifica che non sia privo di ragionevoli prospettive di impedire o superare l’insolvenza, e che eventuali nuovi finanziamenti siano necessari per l’attuazione del piano e non pregiudichino ingiustamente gli interessi dei creditori. Più precisamente, il tribunale deve valutare che se l’impresa è in crisi il piano consenta di evitare l’insolvenza e al contempo di superare la crisi; se l’impresa già si trova in situazione di insolvenza il piano deve essere in grado di rimuoverla. 
La regola di approvazione della proposta di concordato in continuità è ben delineata nell’art. 109, comma 5, nella parte in cui si dispone che l’approvazione è conseguita con il voto favorevole di tutte le classi, classi che, come detto, sono obbligatorie [135]. Lasciando, qui, in disparte il metodo di computo dei voti favorevoli, quel che rileva è il risultato complessivo: soltanto se tutte le classi votano a favore il concordato è approvato. Sennonché, alla mancata approvazione non fa specchio la mancata omologazione, così che si rompe il tradizionale cordone ombelicale tra mancata approvazione e mancata omologazione (nel senso che la mancata approvazione precludeva l’apertura della fase di omologazione). La circostanza che l’approvazione non sia stata acquisita non impedisce al debitore di percorrere la via della omologazione, quando chiede che, ricorrendo determinate situazioni, il concordato possa essere egualmente omologato o quando presta il consenso a che ciò avvenga in relazione alla proposta del terzo. 
Quando non è stata raggiunta l’unanimità delle classi è, quindi, ancora possibile omologare il concordato in presenza di altre condizioni, condizioni tra loro alternative e non concorrenti (c.d. ristrutturazione trasversale). All’esito della fase di approvazione e del mancato raggiungimento della unanimità, il debitore può chiedere che venga in ogni caso fissata l’udienza per l’omologazione perché in quella sede il tribunale può valutare che anche in difetto di approvazione il concordato sia omologabile (artt. 109, 111 e 112 letti in modo sequenziale). 
Ed allora, quando sono state rispettate le regole di distribuzione del valore (che la modifica del comma 6 dell’art. 84 apportata dal decreto correttivo n. 136/2024 chiarisce debbano essere rispettate “ai fini del giudizio di omologazione”), il tribunale omologa il concordato  quando — nel testo dell’art. 112, comma 2, lett. d), modificato dal decreto correttivo n. 136/2024 — vi è (a) il voto favorevole della maggioranza delle classi, purché una delle classi aderenti sia costituita da creditori privilegiati (e sempre che non si tratti di creditori privilegiati degradati) oppure (b) il voto favorevole di almeno una classe purché composta da creditori i) ai quali è offerto un importo non integrale del credito; ii) che sarebbero soddisfatti in tutto o in parte qualora si applicasse l’ordine delle cause legittime di prelazione anche sul valore eccedente quello di liquidazione. Se questi creditori, ferma restando la waterfall di cui all’art. 84, approvano il concordato, il tribunale può omologare la proposta. 
Poiché per la parte capiente sono collocati in una classe autonoma si comprende la ragione per la quale il loro voto favorevole è considerato decisivo ai fini dell’omologazione: i creditori privilegiati soddisfatti parzialmente nei limiti della garanzia non hanno un interesse specifico perché ricevono quanto otterrebbero dalla liquidazione, sì che un loro voto a favore assume un significativo sostegno al debitore [136]. 
L’art. 112, comma 2, CCII prevede che si possa passare alla c.d. “ristrutturazione trasversale” quando il valore eccedente quello di liquidazione è distribuito in modo “obliquo”. Tale previsione induce, allora, a chiedersi se questa forma agevolata di omologazione possa ricorrere anche quando oltre alle risorse da liquidazione si aggiungono risorse esterne — le risorse esterne all’impresa, quelle cioè non riconducibili al suo patrimonio, possono essere distribuite liberamente non ricadendo nell’ambito applicativo della garanzia patrimoniale che la legge costituisce in linea generale in capo al debitore [137] — e ciò perché l’impresa prosegue sì, ma non genera flussi [138]. Se si guardasse al profilo di economicità dell’attività d’impresa sarebbe lecito dubitare dell’applicazione di una norma di favore ad un caso nel quale la continuità non genera ricchezza, ma si potrebbe anche attenuare questa conclusione là dove lo stesso debitore tratti la distribuzione delle risorse esterne come il valore eccedente quello di liquidazione. Quando il debitore si assoggetta ad una restrizione distributiva potrebbe essere coerente l’applicazione della ristrutturazione trasversale [139]. 
La questione si ripropone, nella sostanza, quando il concordato — in continuità — prevede che vi siano attribuzioni ai soci (art. 120 quater). 
La classe (o le classi) dei soci non concorrono a formare le maggioranze per l’approvazione del concordato quando il classamento è facoltativo; se, invece, la classe dei soci dissente sulla proposta che prevede la modifica dei loro diritti partecipativi, si potrà avere una approvazione a maggioranza ma non alla unanimità con le conseguenze di cui all’art. 112. 
Tuttavia, nel caso in cui i soci siano inclusi in una classe perché viene prevista una attribuzione di valore a loro favore (e ciò accade nel concordato in continuità, l’unico che può prevedere attribuzioni a favore dei soci), quando non è raggiunta l’unanimità delle classi e si è formata solo la maggioranza, il dissenso della classe dei creditori va valutato non solo ai sensi dell’art. 112 ma anche in base ad una ulteriore comparazione. Infatti, quando il valore risultante dalla ristrutturazione è attribuito anche ai soci, il concordato può essere omologato se il trattamento proposto a ciascuna delle classi dissenzienti è almeno altrettanto favorevole rispetto a quello proposto alle classi del medesimo rango e più favorevole di quello proposto alle classi di rango inferiore, anche se a tali classi venisse destinato il valore complessivamente riservato ai soci. In sostanza, come per la ristrutturazione trasversale, i creditori delle classi dissenzienti possono sì ricevere un trattamento inferiore a quello che riceverebbero con la regola della absolute priority rule ma alla condizione che la “perdita” non derivi da attribuzioni riconosciute ai soci, posto che i soci in quanto residual claimants non possono prevaricare i creditori. Pertanto, per evitare questa discriminazione si deve formare, nella sostanza, un accordo tra le classi consenzienti e quelle dei soci [140] per attribuire alle classi dissenzienti un valore tale da consentire loro di “recuperare” quanto avrebbero potuto ricevere se non vi fossero state attribuzioni ai soci o queste fossero state minori. 
Questa conclusione è avvalorata dalla regola sussidiaria secondo la quale l’ultima classe dei creditori non può ricevere meno di quello che è complessivamente riservato ai soci (art. 120 quater). 
Il termine di comparazione tra attribuzioni ai creditori e attribuzioni ai soci deve tener conto della valorizzazione di quelle assegnate ai soci e che si identificano nelle loro partecipazioni e negli strumenti che attribuiscono il diritto di acquisirle, dedotto il valore da essi eventualmente apportato ai fini della ristrutturazione in forma di conferimenti o di versamenti a fondo perduto oppure, per le imprese minori, anche in altra forma; i soci possono opporre, in una sorta di compensazione atipica, che quanto riceveranno dovrà essere conteggiato al netto delle risorse che hanno immesso ai fini della ristrutturazione. Si tratta di una comparazione estremamente complessa perché deve tener conto di una pluralità di fattori e in particolare del valore della società al termine della ristrutturazione: un valore (evidentemente superiore) che non si identifica con il c.d. plusvalore generato dalla continuità. 
La partecipazione dei soci al voto è funzionale alla approvazione della manovra finanziaria o della previsione di attribuzioni. Pertanto, i soci dissenzienti, da intendersi come quelli che sono inseriti in classi che hanno negato il consenso, possono opporsi all’omologazione del concordato al fine di far valere il pregiudizio subito rispetto all’alternativa liquidatoria [141]. Si tratta di una dimostrazione non agevole perché presuppone che sia elevato il valore della ristrutturazione rispetto a quello di liquidazione e che nel primo abbiano trovato eccessiva soddisfazione i creditori anteriori. 
Come si è già enunciato a proposito della conformazione della proposta, nel concordato in continuità le regole di distribuzione del valore sono più elastiche perché il rigoroso rispetto della graduazione e della garanzia patrimoniale (artt. 2740, 2741, 2777 ss. c.c.) è limitato a quanto ricavabile dalla liquidazione del patrimonio, mentre le risorse eccedenti, frutto della continuità aziendale, sono parti integranti del patrimonio del debitore [142] e non possono essere ripartite liberamente (come accade per quelle che possiamo definire vere e proprie risorse esterne che non entrano mai a far parte del patrimonio del debitore e che sono assegnate direttamente ai creditori; nella previgente legge fallimentare l’orientamento consolidato della Corte di Cassazione [143] in ordine al perimetro della nozione di “finanza esterna” era nel senso che l’apporto del terzo deve essere considerato neutrale rispetto allo stato patrimoniale della società, non comportando né un incremento dell’attivo patrimoniale del debitore, né un aggravio del passivo della stessa, con il riconoscimento di ragioni di credito a favore del terzo) [144], e vanno distribuite sì in ordine verticale/obliquo ma senza che sia necessario soddisfare integralmente il credito collocato, secondo le regole della graduazione, in posizione superiore. 
L’art. 112 CCII stabilisce che questa valutazione vada operata rispetto alle classi dissenzienti perché nel caso del consenso di tutte le classi si presume una corretta distribuzione del valore; si tratta, però, di una mera presunzione che può essere contrastata dal singolo creditore che lamenti un pregiudizio. 
Questo indubbio favor per la proposta concordataria in continuità trova però un contrappeso nel fatto che ciascun creditore dissenziente (anche se appartiene ad una classe consenziente) può opporsi all’omologazione e rappresentare che il trattamento offertogli non è conveniente rispetto all’alternativa della liquidazione giudiziale, per cui in caso di opposizione l’omologazione può intervenire soltanto se il tribunale verifica l’assenza di pregiudizio. Il rischio dell’opposizione di singoli creditori è un serio stimolo al debitore a non confezionare proposte discriminatorie: di fatto, la regola dell’opposizione individuale può persino scardinare una proposta approvata alla unanimità [145]. Quando è contestata la convenienza ed occorre valutare comparativamente i valori, è possibile procedere con la stima del complesso aziendale del debitore (operazione, però, non impedita anche in altri casi se necessario). 
Tuttavia, nel caso in cui i soci siano inclusi in una classe perché viene prevista una attribuzione di valore a loro favore (e ciò accade nel concordato in continuità, l’unico che può prevedere attribuzioni a favore dei soci), quando non è raggiunta l’unanimità delle classi e si è formata solo la maggioranza, il dissenso della classe dei creditori va valutato non solo ai sensi dell’art. 112 CCII ma anche in base ad una ulteriore comparazione. Infatti, quando il valore risultante dalla ristrutturazione è attribuito anche ai soci, il concordato può essere omologato se il trattamento proposto a ciascuna delle classi dissenzienti è almeno altrettanto favorevole rispetto a quello proposto alle classi del medesimo grado e più favorevole di quello proposto alle classi di grado inferiore, anche se a tali classi venisse destinato il valore complessivamente riservato ai soci. In sostanza, come per la ristrutturazione trasversale, i creditori delle classi dissenzienti possono sì ricevere un trattamento inferiore a quello che riceverebbero con la regola della absolute priority rule, ma alla condizione che la “perdita” non derivi da attribuzioni riconosciute ai soci, posto che i soci in quanto residual claimants non possono prevaricare i creditori. Questa conclusione è avvalorata dalla regola sussidiaria secondo la quale l’ultima classe dei creditori non può ricevere meno di quello che è complessivamente riservato ai soci (art. 120 quater CCII). 
La proposta va accompagnata con l’attestazione del professionista indipendente che dichiari la convenienza del trattamento proposto rispetto alla liquidazione giudiziale e, nel concordato in continuità aziendale, la sussistenza di un trattamento non deteriore. Nel caso di concordato in continuità, fermo restando che l’attestazione deve avere ad oggetto la fattibilità del piano di prosecuzione dell’attività, anche considerando che la fattibilità di un piano economico presenta naturali profili di incertezza e aleatorietà, il tribunale in occasione dell’apertura del concordato deve limitarsi a verificare che non sia manifestamente inidoneo alla soddisfazione dei creditori, come proposta dal debitore, e alla conservazione dei valori aziendali. Una volta che la proposta è stata approvata dai creditori, il sindacato del tribunale è ancor meno intenso (proprio perché la fattibilità è stata valutata positivamente dai creditori) dal momento che diviene ostativo solo il piano che è privo di ragionevoli prospettive di impedire o superare l’insolvenza, con la conseguenza che il concordato non può essere omologato solo in caso di irragionevole incapacità del piano di sistemare la crisi. 
La previsione per la quale il piano deve essere adeguato ad impedire o superare l’insolvenza (di stretta derivazione unionale) va spiegata così: poiché il piano prevede la continuità dell’impresa, questa continuità non deve essere fine a sé stessa ma deve consentire ad una impresa in crisi di non cadere nello scenario di insolvenza, e ad una impresa insolvente di rimuovere questo stato. L’impresa che prosegue deve, dunque, apparire una impresa “sana” in grado di stare sul mercato. 
In sede di omologazione emerge la questione del trattamento dei crediti fiscali e contributivi. Il Decreto correttivo del 2024 ha risolto una strisciante antinomia fra il divieto di trattamento deteriore dei crediti tributari e contributivi e la regola di priorità relativa da ultimo introdotta per i concordati in continuità [146]. La disposizione sul divieto si apre ora con un riferimento all’art. 84, commi 6 e 7, il che fissa una clausola di salvezza della relative priority rule anche in relazione ai crediti fiscali e previdenziali. Sul principio dell’art. 88, comma 1, prevale ora expressis verbis la prerogativa del debitore di distribuire il plusvalore secondo il modello di nuova generazione. 
Il decreto correttivo del 2024 ha sciolto il dilemma concernente l’applicazione del cram down anche al concordato preventivo in continuità [147]. La questione scaturiva, per un verso, dall’infelice incipit del comma 1 della norma, a tenore del quale veniva tenuto fermo « quanto previsto, per il concordato in continuità aziendale, dall’art. 112, comma 2 », ma senza precisare se la norma oggetto di rinvio valesse in aggiunta o in sostituzione; per altro verso, dal soppresso comma 2-bis, che evocava il solo comma 1 dell’art. 109, concernente in esclusiva il concordato liquidatorio [148]. 
L’omologazione coattiva è trattata separatamente per il concordato liquidatorio al comma 3 e per il concordato in continuità al comma 4 dell’art. 88. 
Con riferimento al concordato liquidatorio il sindacato del giudice si esplica in un giudizio di convenienza: il tribunale omologa lo strumento, anche in mancanza di adesione da parte delle Amministrazioni, quando l’adesione è determinante ai fini del raggiungimento delle percentuali di cui all’art. 109, comma 1, e, anche sulla base delle risultanze della relazione del professionista indipendente, la proposta di soddisfacimento è conveniente rispetto all’alternativa della liquidazione giudiziale. 
Con riferimento al concordato in continuità l’omologazione del pari avviene anche in mancanza di adesione dell’ente fiscale o previdenziale, ma il parametro è dato, non dalla convenienza [149], bensì dalla non deteriorità del trattamento rispetto al plesso liquidatorio. La mancata adesione è ora esplicitamente comprensiva, oltre che del “non voto”, del voto contrario. A prescindere dalla tipologia di concordato, se le condizioni delineate dalla norma di riferimento sono rispettate, il voto del creditore pubblico non condiziona, dunque, l’epilogo dell’iniziativa concordataria. Il voto non espresso o contrario non si trasforma in voto favorevole ma viene neutralizzato [150], e le maggioranze si calcolano avendo riguardo solo agli altri creditori, come a dire che la decisione è rimessa a tutti gli altri creditori. 
10 . La continuità nel concordato di gruppo
Quando si avvia una procedura concordataria di gruppo debbono essere rispettate le regole di cui agli artt. 284 e 285 CCII. 
In particolare, l’art. 285, comma 1, CCII prevede che « Il piano o i piani concordatari di gruppo possono prevedere la liquidazione di alcune imprese e la continuazione dell’attività di altre imprese del gruppo. Si applica tuttavia la sola disciplina del concordato in continuità quando, confrontando i flussi complessivi derivanti dalla continuazione dell’attività con i flussi complessivi derivanti dalla liquidazione, risulta che i creditori delle imprese del gruppo sono soddisfatti anche in misura non prevalente dal ricavato prodotto dalla continuità aziendale ». 
Il tema che si pone è, dunque, quello di verificare che vi sia almeno un piano di continuità [151] tra tutti i piani delle società del gruppo. 
Con l’addenda del D.Lgs. n. 136/2024, l’art. 285, nella sua versione attuale dispone che si può applicare la disciplina del concordato in continuità per tutte le imprese del gruppo anche se i flussi derivanti dalla continuità destinati ai creditori possano risultare non prevalenti rispetto ai flussi generati dalla liquidazione [152]. 
A questo punto ci si può chiedere se la regola dell’art. 285 e cioè quella di assorbire sotto l’alveo della continuità tutti i piani valga in tutte le ipotesi di concordato di gruppo o solo nel caso della proposta unitaria, il che significherebbe che rispetto ai piani tra loro coordinati il regime disciplinare andrebbe distinto tra ciascuna delle singole entità [153]. La giustificazione di questa tesi è indubbiamente molto seria perché si muove sul crinale della volontà di allontanare le soluzioni elusive, ma nel complesso il tessuto normativo non sembra evidenziare regimi disciplinari effettivamente differenziati tra il piano unitario e i piani coordinati. 
Sennonché, è evidente che una siffatta regola che favorisce le operazioni concordatarie di gruppo [154] non può essere assunta a regola elusiva, nel senso che benché la prevalenza non sia più richiesta, nondimeno è necessario che vi sia almeno un rapporto di proporzionalità e ciò per evitare che si possa qualificare come abusiva/elusiva una proposta di gruppo quando i flussi della continuità di una impresa in concordato siano del tutto sproporzionati rispetto ai flussi complessivi. Pare un criterio quanto meno opportuno perché altrimenti si correrebbe il rischio di utilizzare strumentalmente il piano di una società minore al “servizio” dei creditori di tutte le altre [155]. 
A questo punto occorre chiedersi quale sia l’interpretazione corretta dell’art. 285 CCII per stabilire un criterio di proporzionalità (una volta tramontata la prevalenza). 
Al lume della lettera della norma sembra potersi sostenere che, se i flussi della continuità destinati ai creditori nel loro complesso [156] sono superiori ai valori di liquidazione di tutte le società del gruppo vi è senz’altro prevalenza e a maggior ragione proporzione. 
Tuttavia, è pure possibile assumere, che anche in assenza della prevalenza, stando sempre alla lettera della norma, vadano comparati i flussi netti da continuità (cioè, il differenziale tra valore da continuità e valore di liquidazione) con tutti i flussi da liquidazione delle società per le quali è previsto un piano di liquidazione. 
Il criterio della proporzione che qui si suggerisce di adottare risponde all’idea della organizzazione della manovra concordataria nel suo complesso [157] e cioè proprio il fatto che si sia scelta una procedura aggregata impone una valutazione complessiva e comparativa [158]. 
Esiste, però, una ulteriore lettura, secondo la quale il rapporto andrebbe valutato in relazione ai creditori che ricevono i flussi da continuità [159]. La legge non offre un criterio interpretativo univoco e tuttavia il segno distintivo va colto nel fatto che sia comunque opportuno valutare comparativamente i flussi complessivi da continuità rispetto agli altri i) in modo che i primi risultino, comunque, non marginali e ii) in modo che siano effettivi e frutto di una continuità aziendale al servizio del piano nel suo complesso. 
Nel concordato di gruppo in continuità la proposta deve prevedere che i creditori di tutte le società siano trattati meglio rispetto a ciò che avverrebbe se il concordato fosse presentato separatamente e, in particolare, la proposta deve indicare i vantaggi, sì che dato, nel regime di continuità, un surplus complessivo, è ragionevole che questo sia distribuito dapprima in misura proporzionale tra gli attivi delle singole società [160] e, una volta affluito, ai singoli patrimoni, ripartito secondo la regola di priorità relativa.
11 . Continuità e attività liquidatoria
Quando il piano di concordato prevede, oltra alla continuità diretta, anche il compimento di atti di liquidazione (art. 114 bis CCII), il tribunale può nominare il liquidatore e il comitato dei creditori ed in tal caso le vendite sono espressamente ricondotte alla categoria delle vendite forzate con coerente applicazione degli artt. 2919-2929 c.c. e del regime di purgazione dei gravami [161]; quando, invece, il piano di concordato prevede che la liquidazione sia gestita dal debitore (e il tribunale non ritenga di decidere diversamente) il regime delle vendite è quello privatistico, non diversamente da quanto accade per le vendite di ciò che è generato dalla continuità dell’impresa. V’è da chiedersi se il potere gestorio del debitore soffra limitazioni dopo l’omologazione e ciò dipenderà dal contenuto del piano e dalla proposta che è stata formulata ai creditori: se il piano prevede la cessione dei beni e la nomina di un liquidatore giudiziale la gestione del patrimonio del debitore è affidata al liquidatore; se il piano prevede la continuità dell’impresa, quei vincoli di cui all’art. 94 CCII vengono meno con riferimento all’esercizio dell’attività d’impresa, mentre per ciò che attiene ad una eventuale fase liquidatoria, i vincoli sono quelli che sono impressi nella proposta, fermo restando che le vendite sono affidate ad un liquidatore (art. 114 bis CCII) salvo che non si ritenga più finzionale all’interesse dei creditori che siano gestite dal debitore. 
L’art. 114 CCII, comma 5, stabilisce che alle vendite, alle cessioni e ai trasferimenti legalmente posti in essere dopo il deposito della domanda di concordato o in esecuzione di questo, si applicano, in quanto compatibili, le modalità di liquidazione proprie della procedura di liquidazione giudiziale, cioè le cc.dd. vendite competitive; lo statuto delle vendite è quello delle vendite forzate ogni volta che vi sia stata la nomina del liquidatore giudiziale (art. 114 bis CCII). Nella sostanza, se il debitore ritiene di meglio gestire la liquidazione per conto proprio, rinuncia ad avvalersi dei vantaggi delle vendite forzate (purgazione delle garanzie ed esclusione della garanzia per vizi della cosa) ma conquista il beneficio della flessibilità negoziale; ove, invece, reputi necessario avvalersi dei vantaggi deve assoggettarsi alla nomina di un liquidatore giudiziale. È, dunque, coerente con l’impostazione generale che il debitore scelga a quale regime ricondurre la liquidazione dei beni, a seconda delle utilità ritraibili dai predetti atti di liquidazione. 
L’art. 115 CCII si occupa del concordato con nomina di un liquidatore giudiziale. Nel concordato con piano di continuità, la titolarità dell’azione sociale di responsabilità resta prerogativa della società e specificatamente dell’assemblea, salvo che il debitore non chieda la nomina di un liquidatore giudiziale perché in questo caso l’esercizio dell’azione viene trasferito al liquidatore  [162]. 
All’opposto e cioè nell’ambito di un concordato in continuità che preveda la conservazione di valore in capo all’impresa non v’è ragione di dubitare della legittimità di un piano così configurato volta che il risultato offerto sia superiore a quello generabile dalla liquidazione del bene [163], nel senso che la società ben può abdicare all’esercizio dell’azione di responsabilità ma il valore recuperabile dall’azione deve essere comunque considerato ai fini del giudizio comparativo sul valore di liquidazione [164].
12 . Una valutazione di sintesi nel sistema
Il dato normativo, connotato da una articolata serie di provvidenze assegnate al concordato in continuità, consente di predicare che la continuità è un valore. Le regole agevolative sia in tema di approvazione che di omologazione mostrano plasticamente il favore che la legge riconosce a questo modello concordatario. Tuttavia, si è cercato di dimostrare che assicurare la continuità, puramente e semplicemente, non è un valore sufficiente perché la tutela del diritto di credito resta invalicabile quanto meno entro la dimensione del c.d. “valore di liquidazione” [165]. Il plusvalore generato dalla continuità è, invece, contendibile perché la regola distributiva non consentendo distribuzioni asimmetriche a creditori di pari livello fissa al contempo [166], al rovescio, una regola di distribuzione verticale in modo assai meno rigido che in passato e ciò sul presupposto teorico per cui ciò che la liquidazione non avrebbe potuto offrire si sottrae, in parte, al principio della responsabilità patrimoniale (art. 2740 c.c.). Pertanto, la continuità intesa in senso relazionale rispetto alla liquidazione giudiziale consente che il risultato di fine piano possa essere assorbito all’interno dell’impresa, senza destinazione residuale ai creditori [167], ma con il caveat di cui all’art. 120 quater CCII [168]. 
È una regola accettabile perché può avvantaggiare alcuni senza pregiudicare altri [169], il che si traduce nell’assioma per cui le diseguaglianze sono tollerabili se si consolidano “verso l’alto”. Con ciò si sposta in avanti la recessività del dogma della par condicio creditorum che nei concordati in continuità diviene regola tecnica distributiva solo all’interno della singola classe. 
La possibilità tutt’altro che remota di pervenire alla omologazione di un concordato in continuità nonostante un’ampia maggioranza contraria esalta il valore della proporzionalità distributiva che fa premio sulla forza della maggioranza. La collettivizzazione degli interessi è così intensa, non scevra da condizionamenti di stampo solidaristico [170], che la valutazione di questi interessi sembra quasi travalicare i diritti quando il giudice si convince che l’operazione di mercato inclusa nel concordato è equa, fattibile e rispettosa delle regole di cornice [171]. 
Come si è avuto modo di anticipare [172], il novello regime concordatario di là da una sbandierata e velleitaria tesi di riconduzione a interessi privatistici mostra la centralità del ruolo del giudice nella composizione di un conflitto virtuale tra esigenze di continuità dell’impresa, bisogni di tutela dei creditori e determinazioni distributive del valore. 
L’eterotutela va ben aldilà della protezione di interessi altri rispetto a quelli dei creditori [173], perché si esprime anche sovrapponendosi agli interessi dei creditori: il superamento potenziale del principio di maggioranza [174] rappresenta, così, la chiave di volta del ribaltamento dei concetti tradizionali in materia di concordato. Ed allora, proprio al lume di un rovesciamento di concetti, di valori e di bisogni è necessario prestare la massima attenzione a che la continuità non tracimi in un rischio di evaporazione di altri diritti [175].

Note:

[1] 
Va subito chiarito che la locuzione concordato in continuità rappresenta un istituto giuridico vero e proprio che non deve essere confuso la ben diversa nozione di continuità aziendale nella crisi, tema sul quale i contributi sono del tutto eterogenei, v. in luogo di molti, M. Spiotta, La (rafforzata) continuità aziendale nel contesto dei rinnovati strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza, in Dirittodellacrisi.it, 5 ss.; F. Foggetta, La continuità aziendale nel nuovo CCII tra scansione temporale e obblighi degli amministratori, in Soc., 2020, 921 ss.; S. Fortunato, Insolvenza, crisi e continuità aziendale nella riforma delle procedure concorsuali: ovvero la commedia degli equivoci, in Dir. fall., 2021, 28 ss. 
[2] 
M. Fabiani, Per la chiarezza delle idee su proposta, piano e domanda di concordato preventivo e riflessi sulla fattibilità, in Il Fall., 2011, 172). In passato, F. Ferrara, Il fall., Milano, 1989, 173, cogliendo il senso della distinzione rilevava che la domanda si rivolgeva al tribunale con riguardo al profilo processuale e ai creditori con riguardo al profilo sostanziale della proposta. 
[3] 
Per una condivisione di questa distinzione si veda G. D’Attorre, Manuale di diritto della crisi e dell’insolvenza, Torino, 2024, 108 ss.; L. Baccaglini, La domanda di accesso, in A. Jorio, M. Spiotta (diretta da), I concordati dopo il Correttivo, Bologna, 2025, 175; G. Fauceglia, La proposta, in I concordati dopo il Correttivo, diretta da A. Jorio, M. Spiotta, Bologna, 2025, 219 ss.; S. Becucci, Il controllo del tribunale nel giudizio di omologazione tra adesione dei creditori e divisione in classi, in Dir. fall., 2011, II, 471 ss.; S. Pacchi, La valutazione del piano del concordato preventivo. I poteri del tribunale e la relazione del commissario giudiziale, ibid., 2011, I, 96 ss.; G. B. Nardecchia, Nuova proposta di concordato, istanza di fallimento e poteri del tribunale in sede di ammissione, in Il Fall., 2011, 1454; T. E. Cassandro, C. Ceschel, S. Nicita, E. Norelli, Il concordato preventivo, in U. Apice (diretto da), Trattato di diritto delle procedure concorsuali, III, Torino, 2011, 47 ss.; A.Jorio, M. Spiotta, Il (Giano bifronte) del concordato preventivo nel codice della crisi (ri)corretto, in Giur. comm., 2025,II, 187. Distingue il piano dalla proposta anche G. Canale, Il concordato preventivo a cinque anni dalla riforma, in Giur. comm., 2011, I, 366 ss., ma poi, invertendo ciò che si sostiene qui nel testo, reputa che la volontà delle parti si incontri sul piano. 
[4] 
F. Di Marzio, Natura giuridica ed evoluzione del concordato: da strumento liquidatorio a strumento di risanamento e turnaround, in A. Jorio, M. Spiotta (diretta da), I concordati dopo il Correttivo, cit., 84 ss.; V. Zanichelli, I concordati giudiziali, Torino, 2010, 148; G. Jachia, Il concordato preventivo e la sua proposta, in G. Fauceglia, L. Panzani (diretto da), Fallimento e altre procedure concorsuali, III, Torino, 2009, 1584 ss.; S. Bonfatti, P.F. Censoni, Manuale di diritto fallimentare, Padova, 2011, 523; S. Pacchi, La valutazione del piano del concordato preventivo, cit., 2011, 95; G. Canale, Il concordato preventivo a cinque anni dalla riforma, cit., 358; F. Santangeli, Auto ed eterotutela dei creditori nelle soluzioni concordate delle crisi d’impresa (il piano di risanamento, l’accordo di ristrutturazione, il concordato preventivo) - Le tutele giudiziali dei crediti nelle procedure ante crisi in Dir. Fall., 2009, I, 616; F. P. Censoni, Il “nuovo” concordato preventivo, in Giur. comm., 2005, I, 726 ss.; G. Racugno, Concordato preventivo, accordi di ristrutturazione e transazione fiscale, in V. Buonocore, A. Bassi (diretto da), Trattato di diritto fallimentare, Padova, 2010, 487; A. Patti, Il giudice nella crisi d’impresa: le ragioni di una presenza, in Il Fall., 2011, 261. 
[5] 
Trattasi di una distinzione che non sempre è praticata; ad esempio, per l’equipollenza fra domanda e proposta, si veda G. Racugno, Concordato preventivo, accordi di ristrutturazione e transazione fiscale, cit., 486. 
[6] 
G. Fauceglia, La proposta, in A. Jorio, M. Spiotta (diretto da), I concordati dopo il Correttivo, cit., 219; M. Arato, Il concordato preventivo, in O. Cagnasso, L. Panzani (diretto da), Crisi d’impresa e procedure concorsuali, Milano, 2025, 1586 ss. 
[7] 
F. Galgano, La forza del numero e la legge della ragione. Storia del principio di maggioranza, Bologna, 2007, 206 ss.; G. Fauceglia, N. Rocco di Torrepadula, Diritto dell’impresa in crisi, Bologna, 2010, 320; S. Bonfatti, F.P. Censoni, Manuale di diritto fallimentare, cit., 521; A. Nigro, D. Vattermoli, Diritto della crisi delle imprese, Bologna, 2023, 338 (anche alla accentuazione del fenomeno contrattuale non fanno corrispondere una visione esclusivamente privatistica); A. M. Azzaro, Concordato preventivo e autonomia privata, in Il Fall., 2007, 1275; si veda anche A. Jorio, Sub art. 160, in A. Nigro, M. Sandulli e V. Santoro (a cura di), La legge fallimentare dopo la riforma, III, Torino, 2010, 2040 ss.; G. Bevivino, Il ruolo dell’autonomia privata nel diritto dell’insolvenza riformato, in Giust. civ., 2024, 42. 
[8] 
Questa circostanza emerge in misura dirompente nel caso della ristrutturazione trasversale quando non si raggiunge neppure la maggioranza favorevole tra le classi. 
[9] 
In effetti non sono molti gli autori che prediligono una impostazione dichiaratamente contrattualistica, ma diffusa è la convinzione che nell’interpretazione delle norme vi debba essere assai più spazio per le regole dei contratti, si veda G. Lo Cascio, Il concordato preventivo, Milano, 2015, 148. 
[10] 
A. Nigro, D. Vattermoli, Diritto della crisi delle imprese, cit., 379. 
[11] 
È ben vero che i creditori finanziari spesso riescono ad organizzarsi tra loro per presentare un fronte comune nelle trattative, ma il ceto creditorio è ben più frastagliato e non è mai capitato di vedere una concentrazione di interessi tra tutti i creditori al punto da presentarsi come soggetto unico. 
[12] 
A. M. Azzaro, Concordato preventivo e autonomia privata, cit., 1270; G. Fauceglia, La proposta, cit., 220 ss. 
[13] 
G. D’Attorre, Dal principio di maggioranza al principio di minoranza, in Il Fall., 2023, 308; M. Fabiani, Il diritto diseguale nella concorsualità concordataria postmoderna, in Fall., 2022, 1485 ss. 
[14] 
Anche F. S. Filocamo, L’art. 173, primo comma, L. fall. nel « sistema » del nuovo concordato preventivo, in Il Fall., 2009, 1473, distingue piano e proposta ma osserva che sarebbe il piano che si trasforma in proposta una volta che il tribunale dispone l’ammissione con decreto. 
[15] 
F. Di Marzio, Natura giuridica ed evoluzione del concordato: da strumento liquidatorio a strumento di risanamento e turnaround, cit., 86; S. Pacchi, L. D’Orazio, A. Coppola, Il concordato preventivo, in A. Didone (a cura di), Le riforme della legge fallimentare, II, Torino, 2009, 1828; D. Galletti, Sub art. 160, in C. Cavallini (diretto da), Commentario alla legge fallimentare, III, Milano, 2010, 346, esalta l’importanza del piano come programma strategico ma senza trarne le dovute conseguenze rispetto al tema dell’adempimento, tema che riguarda la proposta. 
[16] 
M. Arato, Il concordato preventivo, cit., 1586. 
[17] 
R. Ranalli, Il piano di concordato, in M. Irrera, S. A. Cerrato (diretto da), Crisi e insolvenza dopo il Correttivo-ter, Bologna, 2024, 1574. 
[18] 
A. Jorio, Il concordato preventivo: struttura e fase introduttiva, in A. Jorio, M. Fabiani(diretto da), Il nuovo diritto fallimentare. Novità ed esperienze applicative a cinque anni dalla riforma, Bologna, 2010, 973; I. Pagni, Il controllo del tribunale e la tutela dei creditori nel concordato preventivo, in Il Fall., 2008, 1091. 
[19] 
Sull’oggetto del processo di omologazione del concordato preventivo, v., M. Fabiani, I. Pagni, L’omologazione del concordato preventivo e gli eventuali reclami, in A. Jorio, M. Spiotta (diretto da), I concordati dopo il Correttivo, cit., 916 ss. 
[20] 
A. Nigro, D. Vattermoli, Diritto della crisi delle imprese, cit., 339. 
[21] 
L. Mandrioli, sub art. 160, in M. Ferro (a cura di), La legge fallimentare, Padova, 2011, 1757. 
[22] 
La differenziazione può essere sia quantitativa che qualitativa, v., G. Racugno, Concordato preventivo, accordi di ristrutturazione e transazione fiscale, cit., 494. 
[23] 
Si pensi, per certe situazioni di crisi, alla creazione di fondi chiusi immobiliari affidati alla gestione di SGR con parziale conversione dei crediti in quote partecipative dei fondi, o più in generale alle operazioni debt for equity swap. 
[24] 
S. Ambrosini, Il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione dei debiti, in G. Cottino (diretto da), Trattato di diritto commerciale, VIII, Padova, 2011, 38. 
[25] 
L. Mandrioli, Sub art. 160, cit., 1745; D. Galletti, Sub art. 160, cit., 363. 
[26] 
F. Guerrera, M. Maltoni, Concordati giudiziali e operazioni societarie di « riorganizzazione », in Riv. soc., 2008, 89. 
[27] 
G. Lo Cascio, Il concordato preventivo nel quadro degli istituti di risanamento, in Il Fall., 2012, 137. 
[29] 
L. Stanghellini, Il concordato con continuità aziendale, in Il Fall., 2013, 1222. 
[30] 
S. Pacchi, L. D’Orazio, A. Coppola, Il concordato preventivo, cit., 1744. 
[31] 
Perplessità sull’abrogazione dell’amministrazione controllata sono manifestate, ad esempio, da N. Rondinone, Il mito della conservazione dell’impresa in crisi e le ragioni della “commerciabilità”, Milano, 2012, 348. 
[32] 
F. Di Marzio, Natura giuridica ed evoluzione del concordato: da strumento liquidatorio a strumento di risanamento e turnaround, cit., 82 ss.; S. Ambrosini, Il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione dei debiti, cit., 33: S. Bonfatti, I concordati preventivi di risanamento, in A. Caiafa (a cura di), Le procedure concorsuali, II, Padova, 2011, 1376; L. Guglielmucci, Diritto fallimentare, Torino, 2015, 329; G. Racugno, Concordato preventivo, accordi di ristrutturazione e transazione fiscale, cit., 473; G. Santoni, Contenuto del piano di concordato preventivo e modalità di soddisfacimento dei creditori, in Aa.Vv., Le soluzioni concordate delle crisi d’impresa, Torino, 2007, 51; contra S. Pacchi, L. D’Orazio, A. Coppola, Il concordato preventivo, cit., 1791. 
[33] 
G. Fauceglia, La proposta, cit., 221. 
[34] 
S. Ambrosini, Il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione dei debiti, cit., 33. 
[35] 
Fenomeno da non confondere con il concordato dilatorio inteso come concordato volto soltanto a procrastinare nel tempo l’apertura del fallimento/liquidazione giudiziale, su cui cfr., R. Santagata, Concordato preventivo “meramente dilatorio” e nuovo “codice della crisi e dell’insolvenza”: verso il tramonto dell’abuso di diritto (o del processo)?, in Dir. fall., 2019, I, 350. 
[36] 
Cass. civ. 17 settembre 1993 n. 9580, in Il Fall., 1994, 253; Cass. civ. 12 luglio 1991 n. 7790, ivi, 1991, 1248; G. de Ferra, Manuale di diritto fallimentare, Milano, 1998, 349; P. Pajardi, Manuale di diritto fallimentare, Milano, 1986, 710. 
[37] 
Per una simile impostazione volta ad un confronto fra concordato e ipotesi di piani straordinari, v. L. Guglielmucci, Diritto fallimentare, cit., 26. 
[38] 
G. Racugno, La sospensione delle regole sul capitale sociale, in A. Jorio, M. Spiotta (diretto da), I concordati dopo il Correttivo, cit., 705; M. Arato, Il concordato preventivo, cit., 1642. Per vero alla medesima soluzione era pervenuto in via interpretativa Trib. Ancona 12 aprile 2012, in Il Fall., 2013, 110 ss.; in dottrina, T. Ariani, Disciplina della riduzione del capitale per perdite in caso di presentazione di domanda di concordato preventivo, in Il Fall., 2013, 111. 
[39] 
Cass. civ. 18 aprile 2025, n. 10307, in Proc. conc., 2025, 725 ss., che ha così superato Cass. civ. 10 gennaio 2018, n. 380, in Il Fall., 2018, 417. 
[40] 
S. Ambrosini, Le finalità del C.P. e le declinazioni tipologiche dell’istituto: profili ricostruttivi di fattispecie e disciplina, in A. Jorio, M. Spiotta (diretto da), I concordati dopo il Correttivo, cit., 102 ss. 
[41] 
Sulla valenza della clausola v., R. Brogi, Clausole generali e diritto concorsuale, in Fall., 2022, 884; S. Leuzzi, L’evoluzione del valore della continuità aziendale nelle procedure concorsuali, in Nuove leggi civ.comm., 2022, 506. 
[42] 
A. Maffei Alberti, L’interesse dei creditori e la continuazione dell’attività nel codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza: un’analisi trasversale, in ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 4. 
[43] 
In termini simili anche se si parla di “principio” v., L. Sicignano, L’assenza di pregiudizio e il rischio di insuccesso nei piani concordatari, in Banca borsa tit. credito, 2024, I, 145. 
[44] 
P. Vella, Riflessi della Direttiva Insolvency sulla nuova disciplina del c.p., in A. Jorio, M. Spiotta (diretto da), I concordati dopo il Correttivo, cit., 15. 
[45] 
Una soluzione possibile per F. Ferrara, Il Fall., cit., 198, già nel vigore della vecchia legge. 
[46] 
Sulla certa praticabilità della prosecuzione dell’attività v., Trib. Palermo 18 maggio 2007, in Il Fall., 2008, 75. 
[47] 
In tale contesto non pare da condividere un eccesso di valorizzazione del profilo della conservazione dell’impresa su cui cfr., invece, C. Cavallini, Dalla crisi alla conservazione dell’impresa nelle ultime riforme fallimentari, in Riv. soc., 2013, 764. 
[48] 
A. Patti, Il pagamento di debiti anteriori ex art. 182-quinquies, comma 4, l.fall. in favore dell’affittuario in continuità aziendale, in Fall., 2014, 193. 
[49] 
F. Macario, voce Concordato preventivo in continuità, in Enc. Dir., Annali, VIII, Crisi d’impresa, Milano, 2024, 266. 
[50] 
P. Montalenti, Le nuove clausole generali nel Codice della crisi, in Giur. comm., 2023, I, 1436. 
[51] 
G. D’Attorre, Manuale di diritto della crisi e dell’insolvenza, cit., 99; M. Arato, Il concordato preventivo, cit., 1592, osserva che la conservazione dei posti di lavoro si pone sullo stesso piano dell’interesse volto alla tutela dei creditori, ma diviene elemento di valutazione solo a parità di condizioni nel trattamento dei creditori; per F. Aprile, Note sparse in tema di interesse dei creditori e tutela dei posti di lavoro nel concordato preventivo in continuità, in dirittodellacrisi.it, 2 ss., la disposizione dell’art. 84 CCII deve essere intesa nel senso che, da una parte “nella misura possibile” va intesa come “nella misura sostenibile” e, dall’altra parte, che va fissato un limite oltre il quale le ragioni dei creditori non possono bruciare le ragioni dei lavoratori. 
[52] 
F. Di Marzio, Natura giuridica ed evoluzione del concordato: da strumento liquidatorio a strumento di risanamento e turnaround, cit., 93. Ma nel regime previgente v., Cass. civ. 2 ottobre 2024, n. 25919, in Proc. conc. crisi impr., 2025, 195, secondo la quale l’utilità specifica suscettibile di valutazione economica di cui all’art. 161, comma 2, lett. e), L. fall., da destinare ai creditori, deve essere intesa nel senso di una concreta corrispettività della proposta concordataria, anche se in continuità, senza che rilevi — neppure dal punto di vista interpretativo — la sopravvenuta disposizione dell’art. 84, comma 3, CCII, nella parte in cui attribuisce rilievo anche alla sola rinnovazione o prosecuzione dei rapporti contrattuali. 
[53] 
S. Ambrosini, Le finalità del C.P. e le declinazioni tipologiche dell’istituto: profili ricostruttivi di fattispecie e disciplina, cit., 107. 
[54] 
F. Macario, voce Concordato preventivo in continuità, cit., 268; in senso assai critico sulla possibilità di non attribuire nulla in denaro ai creditori v., G. Bozza, La tutela dei creditori nel concordato in continuità, in Dirittodellacrisi.it, 27. 
[55] 
G. Fauceglia, La proposta, cit., 229; F. Macario, voce Concordato preventivo in continuità, cit., 266; F. Di Marzio, Natura giuridica ed evoluzione del concordato: da strumento liquidatorio a strumento di risanamento e turnaround, cit., 88 (ma in senso dubitativo v. F. Di Marzio, Diritto dell’insolvenza, Milano, 2023, 499); S. Ambrosini, Le finalità del C.P. e le declinazioni tipologiche dell’istituto: profili ricostruttivi di fattispecie e disciplina, in I concordati dopo il Correttivo, cit., 109; S. Di Amato, Diritto della crisi d’impresa, Milano, 2024, 370; A. Nigro, D. Vattermoli, Diritto della crisi delle imprese, cit., 392,; in senso dubitativo, R. Ranalli, Il piano di concordato, cit., 2024, 1534; M. L. Guarnieri, Sub art. 80, in F. Santangeli (a cura di), Il codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, Milano, 2023, 544. In senso opposto e cioè per la continuità come valore-fine v., G. Bozza, Votazione, in A. Jorio, M. Spiotta (diretto da), I concordati dopo il Correttivo, cit.; A. Jorio, M. Spiotta, Introduzione, ibid., 2 ss.; P. Vella, Riflessi della Direttiva Insolvency sulla nuova disciplina del c.p., cit., 37; M. Spiotta, Ruolo dei creditori nella composizione negoziata e negli strumenti di regolazione della crisi/insolvenza, in Il Fall., 2022, 1279. Per S. Leuzzi, L’evoluzione del valore della continuità aziendale nelle procedure concorsuali, cit., 482, la continuità avrebbe “scalato” posizioni avvicinandosi sempre di più a risultare un valore-fine anche se non ancora così in fondo; per simili valutazioni, v., R. Rordorf, Crisi, continuità aziendale, adeguati assetti organizzativi, composizione negoziata: le parole chiave del nuovo codice (una prefazione), in Ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it., 4. Non sono condivisibili le obiezioni di G. Bozza, La tutela dei creditori nel concordato in continuità, cit., 22, perché non sono le regole di maggioranza (in gran parte evanescenti) che assicurano tutela, ma la misura di soddisfacimento del credito che resta del tutto neutrale rispetto ad un consenso della maggioranza. Ma se anche manca il consenso e la legge stabilisse che il credito deve essere protetto in misura assoluta, prevalendo sugli altri valori, non per questo si potrebbe negare la maggior tutela offerta ai creditori. Per l’Autore le disposizioni che ancora evocano il miglior soddisfacimento dei creditori riguardano solo specifiche situazioni, perché altrimenti il valore dominante è la conservazione dell’impresa. 
[56] 
D. Burroni, Il voto, in M. Irrera, S. A. Cerrato (diretto da), Crisi e insolvenza dopo il Correttivo ter, cit., 1810. 
[57] 
Sulla assoluta rilevanza della disposizione v., M. Spiotta, La (rafforzata) continuità aziendale nel contesto dei rinnovati strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza, cit., 9. 
[58] 
F. Macario, voce Concordato preventivo in continuità, cit., 269 ss. 
[59] 
S. Ambrosini, Le finalità del C.P. e le declinazioni tipologiche dell’istituto: profili ricostruttivi di fattispecie e disciplina, cit., 111. 
[60] 
A. Nigro, D. Vattermoli, Diritto della crisi delle imprese, cit., 380. 
[61] 
G. Fauceglia, La proposta, cit., 227. 
[62] 
F. Macario, voce Concordato preventivo in continuità, cit., 272. 
[63] 
S. Sanzo, M. Esposito, Il piano di concordato, in A. Jorio, M. Spiotta (diretto da), I concordati dopo il Correttivo, cit., 203. 
[64] 
G. Fauceglia, La proposta, cit., 229 ss. Sulla necessità di non sopravvalutare la funzionalità v., S. Ambrosini, Le finalità del C.P. e le declinazioni tipologiche dell’istituto: profili ricostruttivi di fattispecie e disciplina, cit., 140. 
[65] 
S. Ambrosini, ibid., 138; Id.., La continuità aziendale tra diritto contabile e nuovo concordato preventivo: profili ricostruttivi di fattispecie e disciplina, in Giur. comm., 2025, I, 39 ss. 
[66] 
S. Ambrosini, ibid., 109; Trib. Torino, 25 luglio 2024, in Dirittodellacrisi.it
[67] 
S. Ambrosini, ibid. 146; M. Spiotta, La (rafforzata) continuità aziendale nel contesto dei rinnovati strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza, cit., 3; Trib. Bari 21 dicembre 2023, in dirittodellacrisi.it; in senso critico, però, G. Bozza, Votazione, cit., 895. 
[68] 
Tutt’affatto diverso è il discorso che pertiene ad una continuità concordataria in costanza di liquidazione, ipotesi ammessa da V. V. Chionna, Società di capitali in liquidazione e concordato preventivo in “continuità aziendale”, in Dir. fall., 2023, I, 228, ma che pare non condivisibile in quanto la continuità provvisoria è ben praticabile, ma come quella endoprocedimentale non determina l’assuefazione alla qualificazione del progetto come concordato in continuità. 
[69] 
M. Arato, Il concordato preventivo, cit., 1636. 
[70] 
Cass. civ. 15 giugno 2023, n. 17092, in Fall., 2023, 886 ss. 
[71] 
App. Firenze 20 maggio 2015, n. 943, rep. 938, in R.G. 22/2015, citata in Cass. civ. 23 luglio 2021 n. 21208. Si veda, a contrario, Trib. Napoli, 3 febbraio 2021, in Dirittodellacrisi.it, secondo il quale (giustamente) non è stato considerato in continuità un concordato in cui un unico immobile veniva concesso in affitto con utilizzazione dei canoni come cespite della continuità. 
[72] 
F. Macario, voce Concordato preventivo in continuità, cit., 267 ss.; S. Pacchi, L’abuso del diritto nel concordato preventivo, in Giust. civ., 2015, 789. 
[73] 
Cass. civ. 22 ottobre 2020, n. 23139, in Il Fall., 2021, 19 ss. 
[74] 
S. Sanzo, Finalità del concordato preventivo e tipologie di piano, in M. Irrera, S. A. Cerrato (diretto da), Crisi e insolvenza dopo il Correttivo-ter, cit., 1542; G. D’Attorre, La continuità aziendale tra “scommessa” e “tradimento”, in Il Fall., 2024, 1057 ss.; G. Bozza, La tutela dei creditori nel concordato in continuità, cit.., 32; G. Minutoli, La continuità indiretta nel concordato preventivo: prosecuzione e riavvio dell’attività tra legge fallimentare e Codice della crisi, in Il Fall., 2024, 368. 
[75] 
Cass. civ., 8 gennaio 2025, n. 348, in Proc. conc., 2025, 181 ss. 
[76] 
La prevalenza era già stata disinnescata da Cass. civ. 15 gennaio 2020, n. 734, in Fall., 2020, 477; Cass. civ. 15 giugno 2023, n. 17092, in Il Fall., 2023, 886. R. Brogi, Concordato con continuità e liquidazione dei beni: prevalenza qualitativa, prevalenza quantitativa o combinazione, in Il Fall., 2020, 477; S. Ambrosini, Le finalità del C.P. e le declinazioni tipologiche dell’istituto: profili ricostruttivi di fattispecie e disciplina, cit., 119; G. Bozza, La tutela dei creditori nel concordato in continuità, cit., 32; S. Di Amato, Diritto della crisi d’impresa, cit., 371. 
[77] 
F. Macario, voce Concordato preventivo in continuità, cit., 267; S. Pacchi, L’abuso del diritto nel concordato preventivo, cit., 789. 
[78] 
Trib. Torino 25 luglio 2024, in Dirittodellacrisi.it
[79] 
Cass. civ. 22 ottobre 2020, n. 23139; specificatamente, cfr., ora, N. Abriani, L. Benedetti, La crisi dei gruppi di imprese, in O. Cagnasso, L. Panzani (diretto da), Crisi d’impresa e procedure concorsuali, cit., 1970 ss. 
[80] 
A. Nigro, D. Vattermoli, Diritto della crisi delle imprese, cit., 382. 
[81] 
G. Fauceglia, La proposta, cit., 225 S. Bonfatti, Effetti per il debitore, in A. Jorio, M. Spiotta (diretto da), I concordati dopo il Correttivo, cit., 464. 
[82] 
L. Stanghellini, Il concordato con continuità aziendale, cit., 1225; A. Patti, Il pagamento di debiti anteriori ex art. 182-quinquies, comma 4, l.fall. in favore dell’affittuario in continuità aziendale, cit., 194. 
[83] 
L. Tronci, Perdita della continuità aziendale e strategie di risanamento, in Giur. comm., 2013, II, 1289. 
[84] 
Sulla ricapitalizzazione, v. Trib. Milano 16 luglio 2010, in Il Fall., 2011, 487. 
[85] 
A. Dimundo, La sospensione dell’obbligo di ridurre il capitale sociale per perdite rilevanti nelle procedure alternative al fallimento, in Fall., 2013, 1168. 
[86] 
In tema di partecipazione alle gare per affidamento di contratti pubblici, il punto di equilibrio tra la previsione dell’art. 38, comma 1, lett. a), D.Lgs. n. 163 del 2006 e quella dell’art. 186 bis L. fall. va individuato nella possibilità per l’azienda in crisi che ha chiesto l’ammissione al concordato preventivo con continuità aziendale di concorrere alle gare e acquisire le relative commesse, ma solo se è in grado di fornire, qualora risulti aggiudicataria — ma comunque entro il momento dell’aggiudicazione definitiva — la documentazione prevista dall’art. 186 bis, comma 4, L. fall., v. Cons. Stato 27 dicembre 2013, n. 6272, in unijuris.it. Secondo Cons. Stato 14 gennaio 2014, n. 101, in giustizia.amministrativa.it, le modifiche alla L. fall. ed all’art. 38 del codice dei contratti introdotte dal D.L. n. 83 del 2012, mirano a conciliare le esigenze di salvaguardia delle imprese in crisi con le necessarie cautele che presidiano le gare pubbliche. 
[87] 
Trib. Monza, 2 ottobre 2013, in Ilcaso.it. Per l’accettabilità di un piano di durata quinquennale, v. Trib. Forlì 12 dicembre 2013, ibid
[88] 
Trib. Mantova 19 settembre 2013, in Ilcaso.it. 
[89] 
Per una analisi del contesto normativo prima del D.Lgs. n. 83/2022 v., F. D’Angelo, Il concordato preventivo con continuità aziendale nel nuovo codice della crisi e dell’insolvenza, in Dir. fall., 2020, I, 30 ss.; M. Fabiani Il concordato con piano di continuità dopo il codice della crisi, in Foro it., 2020, V, 45; V. Pinto, La fattispecie di continuità aziendale nel concordato nel codice della crisi, in Giur. comm., 2020, I, 387; R. Brogi, Il concordato con continuità aziendale nel codice della crisi, in Il Fall., 2019, 845 ss.; M. Arato, Il concordato con continuità nel codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, ibid., 855 ss. 
[90] 
P. Vella, Riflessi della Direttiva Insolvency sulla nuova disciplina del c.p., cit., 38; G. D’Attorre, Manuale di diritto della crisi e dell’insolvenza, cit., 100; S. Sanzo, Finalità del concordato preventivo e tipologie di piano, cit., 1531; V. Pinto, La fattispecie di continuità aziendale nel concordato nel codice della crisi, cit., 386. 
[91] 
G. Fauceglia, La proposta, cit., 229. 
[92] 
S. Ambrosini, Le finalità del C.P. e le declinazioni tipologiche dell’istituto: profili ricostruttivi di fattispecie e disciplina, cit., 136. 
[93] 
F. Macario, voce Concordato preventivo in continuità, cit., 271 ss. 
[94] 
F. Di Marzio, Natura giuridica ed evoluzione del concordato: da strumento liquidatorio a strumento di risanamento e turnaround, cit., 97 ss. 
[95] 
A. Jorio, M. Spiotta, Introduzione, cit., 5 ss.; S. Ambrosini, Le finalità del C.P. e le declinazioni tipologiche dell’istituto: profili ricostruttivi di fattispecie e disciplina, cit., 116 ss.; S. Di Amato, Diritto della crisi d’impresa, cit., 368; S. Leuzzi, L’evoluzione del valore della continuità aziendale nelle procedure concorsuali, cit., 488 ss; M. Spiotta, La (rafforzata) continuità aziendale nel contesto dei rinnovati strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza, cit., 6. 
[96] 
F. Macario, voce Concordato preventivo in continuità, cit., 275 ss. 
[97] 
G. D’Attorre, Manuale di diritto della crisi e dell’insolvenza, cit., 126; Trib. Bologna, 23 marzo 2024, in Dirittodellacrisi.it.; M. Montanari, Profili processuali dell’ammissione, in I concordati dopo il Correttivo, Opera diretta da A. Jorio, M. Spiotta, cit., 397 ss., tende, però, a considerare equipollenti le nozioni di ritualità e ammissibilità; Trib. Roma, 22 aprile 2025, in Dirittodellacrisi.it; Trib. Firenze 11 dicembre 2024, ibid.; Trib. Roma 20 dicembre 2023, ibid.; Trib. Bologna 5 dicembre 2023, ibid.. 
[98] 
F. Macario, voce Concordato preventivo in continuità, cit., 287; S. Leuzzi, L’evoluzione del valore della continuità aziendale nelle procedure concorsuali, cit., 495. 
[99] 
G. D’Attorre, Manuale di diritto della crisi e dell’insolvenza, cit., 113; P. F. Censoni, Il diritto delle crisi e i nuovi concordati, in ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 19; sulle regole distributive prima del CCII v., G. Ballerini, Art. 160, comma 2°, l. fall. (art. 85 c.c.i.i.), surplus concordatario e soddisfazione dei creditori privilegiati nel concordato preventivo, in Nuove leggi civ. comm., 2021, 625 ss.; G. Lener, Considerazioni intorno al plusvalore da continuità e alla “distribuzione” del patrimonio (tra regole di priorità assoluta e regole di priorità relativa), in dirittodellacrisi.it., 4. 
[100] 
G. Bozza, Votazione, cit., 821; M. L. Guarnieri, Sub art. 80, cit., 552 ss. 
[101] 
F. Macario, voce Concordato preventivo in continuità, cit., 284. 
[102] 
F. Macario, ibid., 284 ss. 
[103] 
V. Sanna, Effetti sui contratti pendenti, in A. Jorio, M. Spiotta (diretto da), I concordati dopo il Correttivo, cit., 629; F. Macario, voce Concordato preventivo in continuità, ibid., 285. 
[104] 
V. Sanna, Effetti sui contratti pendenti, cit., 617 ss.; A. Pezzano, M. Ratti, Effetti della presentazione della domanda; il regime autorizzatorio ed i contratti pendenti; divieto di clausole ipso facto; contratti della P.A., in O. Cagnasso, L. Panzani (diretto da), Crisi d’impresa e procedure concorsuali, cit., 1663 ss.; G. D’Attorre, Manuale di diritto della crisi e dell’insolvenza, cit., 122. 
[105] 
F. Macario, voce Concordato preventivo in continuità, cit., 282 ss. 
[106] 
F. Macario, ibid., 280 ss. 
[107] 
S. Bonfatti, Effetti per il debitore, cit., 454 ss. Tale disposizione è considerata da F. Macario, ibid., 268, una palese deroga al principio della par condicio creditorum; A. Dentamaro, Finanziamenti e pagamenti pregressi, in O. Cagnasso, L. Panzani (diretto da), Crisi d’impresa e procedure concorsuali, cit., 1810; A. Irace, V. Santoro, Sub artt. 99-101, in P. Valensise, G. Di Cecco, D. Spagnuolo (a cura di), Il codice della crisi, Torino, 2024, 604 ss. 
[108] 
F. Macario, voce Concordato preventivo in continuità, cit., 281. 
[109] 
S. Bonfatti, Effetti per il debitore, cit., 480. 
[110] 
F. Macario, voce Concordato preventivo in continuità, cit., 278; S. Di Amato, Diritto della crisi d’impresa, cit., 379; L. Panzani, Ambito di applicazione e definizioni, in M. Irrera, S.A. Cerrato (diretto da), Crisi e insolvenza dopo il Correttivo-ter, cit., 11.
[111] 
F. Santangeli, M. Spadaro, Sub art. 85, in F. Santangeli (a cura di), Il codice della crisi, cit., 557; V. Pinto, R. Sacchi, Diritti e garanzie comuni dei dissenzienti nel concordato preventivo, negli adr e nel pro, in Nuove leggi civ. comm., 2024,.486. 
[112] 
G. Bozza, Votazione, cit., 847. 
[113] 
In questo caso il creditore esprime un doppio voto dovendo essere collocato in classi distinte, v. S. Rossetti, Appunti sul classamento dei creditori nel concordato in continuità, in dirittodellacrisi.it, p.4; ci pare in senso contrario, S. Ambrosini, Classi di creditori, moratoria dei privilegiati e contenuti del piano nel nuovo concordato preventivo, in Dir. fall., 2023, I, 241. 
[114] 
Sulla classe delle imprese “minori” v., Trib. Vicenza, 28 settembre 2023, in Dirittodellacrisi.it
[115] 
Trib. Benevento 14 aprile 2021, in Dirittodellacrisi.it; G. Terranova, L’autonomia del diritto concorsuale, Torino, 2016, 144; F. Santangeli, M. Cortese, Sub art. 109, in F. Santangeli (a cura di), Il codice della crisi, cit., 740. 
[116] 
F. Macario, voce Concordato preventivo in continuità, cit., 290. 
[117] 
F. Macario, voce Concordato preventivo in continuità, ibid., 277; P. Vella, Riflessi della Direttiva Insolvency sulla nuova disciplina del c.p., cit., 71; L. Panzani, La doppia regola distributiva, in A. Jorio, M. Spiotta (diretto da), I concordati dopo il Correttivo, cit., 1054 ss. 
[118] 
G. Fauceglia, La poposta, cit., 223 ss.; A. Nigro, D. Vattermoli, Diritto della crisi delle imprese, cit., 385. 
[119] 
Sul valore di liquidazione, in luogo di molti v., A. Turchi, Il valore di liquidazione, in dirittodellacrisi.it., 2 ss.; F. Rolfi, Di alcune ricorrenti tematiche del concordato preventivo in un caso di concordato di gruppo, in Il Fall., 2024, 1433; A. Zanardo, Relazione del professionista “stimatore” e valutazione delle azioni risarcitorie (in particolare delle azioni risarcitorie per mala gestio ), in Giur. comm., 2025, II, 349; Trib. Milano, 22 aprile 2025, in Dirittodellacrisi.it; Trib. Napoli, 21 febbraio 2024, in Fall., 2024, 1421; Trib. Monza, 18 luglio 2024, in Dirittodellacrisi.it; Trib. Spoleto, 4 luglio 2024, ibid.; Trib. Avellino, 26 marzo 2024, ibid.; Trib. Verona, 13 marzo 2024, ibid.; Trib. Roma, 24 ottobre 2023, ibid.; Trib. Verona, 10 luglio 2023, ibid.; Trib. Milano, 6 luglio 2023, ibid. 
[120] 
In precedenza, sulle risorse ricavate dalla continuità i giudici di legittimità avevano assunto una interpretazione rigida volta a reputare tali risorse come patrimonio incrementale del debitore. 
[121] 
S. Ambrosini, Le finalità del C.P. e le declinazioni tipologiche dell’istituto: profili ricostruttivi di fattispecie e disciplina, cit., 127. Una regola ibrida secondo P. Vella, Riflessi della Direttiva Insolvency sulla nuova disciplina del c.p., cit., 68. 
[122] 
S. Ambrosini, Le finalità del C.P. e le declinazioni tipologiche dell’istituto: profili ricostruttivi di fattispecie e disciplina, cit., 129; A. M. Leozappa, Sul “valore eccedente quello di liquidazione” nel concordato preventivo in continuità aziendale (art. 84, comma 6, CCII), in Dirittodellacrisi.it, 5. 
[123] 
M. Arato, La proposta di concordato e l’utilità economicamente rilevante per i creditori, in A. Jorio, M. Spiotta (diretto da), I concordati dopo il Correttivo, cit., 312; in senso critico v., A. Nigro, D. Vattermoli, Diritto della crisi delle imprese, cit., 385; G. Fauceglia, Brevi osservazioni sulle “utilità” proposte ai creditori nel concordato preventivo in continuità, in Proc. conc. crisi impr., 2025, 202. 
[124] 
S. Ambrosini, Le finalità del C.P. e le declinazioni tipologiche dell’istituto: profili ricostruttivi di fattispecie e disciplina, cit., 123. 
[125] 
M. Arato, La proposta di concordato e l’utilità economicamente rilevante per i creditori, cit., 312. 
[126] 
G. D’Attorre, Manuale di diritto della crisi e dell’insolvenza, cit., 154. 
[127] 
F. del Rosso, G. Trisorio Liuzzi, Il concordato preventivo, in G. Trisorio Liuzzi (a cura di), Diritto della crisi d’impresa, Bari, 2023, 287; F. Santangeli, M. Cortese, Sub art. 107, in F. Santangeli (a cura di), Il codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, Milano, 2023, 738; M. Fabiani, Il diritto diseguale nella concorsualità sistematizzata postmoderna, in Il Fall., 2022, 1488; G. D’Attorre, I principi generali, in F.Barachini (a cura di), La crisi d’impresa nel nuovo codice: problemi e prospettive, Torino, 2024, 31; S. Rossetti, Appunti sul classamento dei creditori nel concordato in continuità, in dirittodellacrisi.it, 3; F. Di Marzio, Diritto dell’insolvenza, cit., 572. 
[128] 
S. Di Amato, Diritto della crisi d’impresa, cit., 425; F. Di Marzio, Diritto dell’insolvenza, ibid., 573; A. Jorio, Il diritto della crisi e dell’insolvenza, Torino, 2023, 236; F. Macario, voce Concordato preventivo in continuità, in Enc. Dir., Annali, VIII, Crisi d’impresa, Milano, 2024, 286. 
[129] 
Si pone, ancora, il tema della valorizzazione del voto, ai fini del conseguimento delle maggioranze, quando vengano formate classi dei soci. Sebbene possa apparire bizzarro, l’effetto del voto è diverso a seconda che sia un voto positivo o negativo. Se la classe dei soci esprime un voto sfavorevole, deve escludersi che il concordato possa reputarsi approvato da tutte le classi (N. Michieli, Il ruolo dell’assemblea dei soci nei processi ristrutturativi dell’impresa in crisi alla luce del d.lgs. N. 83/2022, in Riv. soc., 2022, 866 ss.) e questo apre le porte al meccanismo della ristrutturazione trasversale (G. Scognamiglio, F. Viola, I soci nella ristrutturazione dell’impresa. Prime riflessioni, in Nuovo dir.soc., 2022, 1184); se, invece, la classe esprime un voto favorevole ciò non consente di rendere applicabile la regola della ristrutturazione trasversale nel senso che la classe dei soci non è una classe di creditori interessati e non è una classe di creditori privilegiati; pertanto, il voto favorevole della sola classe dei soci non consente l’omologazione del concordato. Resta, forse, il dubbio se il voto favorevole possa rilevare per computare la classe tra quelle che esprimono il consenso e ciò al fine di costituire la maggioranza: il fatto che si parli solo di classe e non di classe di creditori può far propendere per la soluzione per cui il voto può essere conteggiato; in questo senso v., A. Rossi, I soci nella regolazione della crisi della società debitrice, in ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it., 958; per considerazioni simili a quelle del testo, v., N. Michieli, ibid., 866. 
[130] 
In senso critico, anche vibratamente, sulla regola che abbassa la soglia di maggioranza v., A. Nigro, D. Vattermoli, Diritto della crisi delle imprese, cit., 438; G. Bozza, Votazione, cit., 870. 
[131] 
N. Michieli, Il ruolo dell’assemblea dei soci nei processi ristrutturativi dell’impresa in crisi alla luce del d.lgs. N. 83/2022, cit., 866. 
[132] 
G. Scognamiglio, F. Viola, I soci nella ristrutturazione dell’impresa. Prime riflessioni, cit., 1184. 
[133] 
A. Jorio, Il diritto della crisi e dell’insolvenza, cit., 234. 
[134] 
In senso opposto G. Bozza, La tutela dei creditori nel concordato in continuità, in dirittodellacrisi.it, 19. 
[135] 
F. Di Marzio, Diritto dell’insolvenza, cit., 570. 
[136] 
P. Vella, Riflessi della Direttiva Insolvency sulla nuova disciplina del c.p., cit., 63. 
[137] 
App. Brescia, 13 novembre 2024, in Diritodellacrisi.it, ha precisato che ai fini dell’applicazione dell’art. 112, comma 2, CCII, la finanza esterna non può essere considerata come flusso della continuità eccedente il valore di liquidazione. Il c.d. surplus concordatario non consiste, infatti, nella finanza esterna, in quanto la prima è costituita dall’importo che deriva dall’attuazione del concordato e nella disponibilità degli organi della procedura, chiamati a ripartirlo secondo i criteri distributivi previsti dal piano, purché conformi al dettato dell’art. 84, comma 6, CCII, mentre la finanza esterna si riferisce a risorse di soggetti terzi, del tutto svincolati da rapporti con i creditori, che possono essere distribuite liberamente, senza dover soggiacere alle regole distributive previste per la liquidazione giudiziale e per il concordato in continuità; Trib. Mantova 14 marzo 2024, in Dirittodellacrisi.it
[138] 
L’ipotesi è segnalata da P. D. Beltrami, Omologazione e disposizioni sulla liquidazione nel concordato liquidatorio e in continuità, in O. Cagnasso, L. Panzani (diretto da), Crisi d’impresa e procedure concorsuali, cit., 1874. 
[139] 
In senso parzialmente simile, v., G. P. Macagno, La distribuzione di valore tra regole di priorità assoluta e relativa. Il plusvalore da continuità, in Dirittodellacrisi.it, 26. 
[140] 
M. Perrino, Il concordato preventivo, in M. Irrera, F. Pasquariello, M. Perrino (a cura di), Lineamenti di diritto della crisi e dell’insolvenza, Bologna, 2025, 236 ss. 
[141] 
F. Di Marzio, Diritto dell’insolvenza, cit., 579 ss. 
[142] 
In sostanza il codice non ha smentito l’orientamento prevalente dei giudici di merito che avevano reputato patrimonio del debitore — e non, risorse esterne — i flussi generati dalla continuità (App. Messina 22 maggio 2023, in Dirittodellacrisi.it; App. Venezia 5 luglio 2021, ibid.; App. Torino 31 agosto 2018, in Il Fall., 2019, 380; ma, in senso opposto, v., Trib. Monza 22 dicembre 2011, in Ilcaso.it; Trib. Milano 5 dicembre 2018, in Il Fall., 2019, 1087; S. Leuzzi, L’evoluzione del valore della continuità aziendale nelle procedure concorsuali, cit., 501), ma edulcorato la regola stabilendo che la distribuzione può avvenire in modo non rigidamente verticale. 
[143] 
Cass. civ. 8 giugno 2012, n. 9373, in Il Fall., 2013, 370; Cass. civ. 17 maggio 2019, n. 13391, ivi, 2019, 1478; Cass. civ. 8 giugno 2020, n. 10884, ivi, 2020, 1071. 
[144] 
L. Panzani, La doppia regola distributiva, cit., 1074 ss. Sulla libera distribuzione del valore v., anche S. Di Amato, Diritto della crisi d’impresa, cit., 373, con la conseguenza che con le risorse esterne possono essere effettuate distribuzioni asimmetriche tra creditori di classi diverse ma di identica posizione giuridica. 
[145] 
P. Vella, Riflessi della Direttiva Insolvency sulla nuova disciplina del c.p., cit., 64 ss. 
[146] 
G. Fauceglia, La proposta, cit., 301 ss. 
[147] 
M. Pollio, Trattamento dei crediti tributari e contributivi negli strumenti di composizione della crisi e dell’insolvenza, in O. Cagnasso, L. Panzani (diretto da), Crisi d’impresa e procedure concorsuali, cit., 2026. Per un esame delle ragioni che militano a supporto dell’orientamento favorevole e di quello contrario v. G. Andreani, Il cram down fiscale nel concordato preventivo in continuità, in Dirittodellacrisi.it
[148] 
Per Trib. Milano, 30 novembre 2023, in Dirittodellacrisi.it, qualora vi fossero classi erariali o fiscali dissenzienti, non era applicabile l’art. 88, comma 2 bis, CCII al fine di rendere favorevole il voto di queste classi, in modo da raggiungere il presupposto della unanimità delle classi di cui all’art. 109, comma 5, e, comunque, non sembrava essere necessario il ricorso al cram down fiscale, stante l’istituto del cross class cram down che è molto più esteso ed appunto trasversale; né poteva applicarsi l’art. 88, comma 2 bis, per realizzare il presupposto della lett. d) dell’art. 112, comma 2, la quale ultima era norma non coordinata con l’art. 88 comma 1; Trib. Grosseto 9 maggio 2024, in Dirittodellacrisi.it; Trib. Cosenza, 12 giugno 2024, ibid.; Trib. Ferrara 11 dicembre 2024, ibid.
[149] 
Così, prima della modifica, App. Messina 22 maggio 2023, in Dirittodellacrisi.it. 
[150] 
G. Bozza, Votazione, cit., 909. 
[151] 
M. P. Fuiano, I gruppi di imprese, in G. Trisorio Liuzzi (a cura di), Diritto della crisi d’impresa, Bari, 2023, 702 ss. Anche nella forma “indiretta”, v., F. Di Marzio, Diritto dell’insolvenza, cit., 860. 
[152] 
F. Macario, voce Concordato preventivo in continuità, cit., p. 272; S. Ambrosini, Le finalità del C.P. e le declinazioni tipologiche dell’istituto: profili ricostruttivi di fattispecie e disciplina, cit., 120; G. Bozza, Votazione, cit., 897. 
[153] 
In questo senso, G. D’Attorre, I concordati di gruppo nel codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, in Fall., 2019, 285. 
[154] 
L. Panzani, La doppia regola distributiva, cit., 1132. Ma già prima della modifica la norma creava dei vantaggi, v., Tribunale di Bari 9 gennaio 2024, in dirittodellacrisi.it. Sulla importanza della continuità anche parziale nell’ambito del gruppo v., F. Guerrera, La regolazione negoziale della crisi e dell’insolvenza dei gruppi di imprese nel nuovo CCII, in Questionegiustizia.it
[155] 
Tuttavia, va considerato che in dottrina — dopo il decreto correttivo del 2024 — non sembra che questa prudenza sia stata colta con l’effetto che comunque un piano di continuità di una singola entità “assorbe” il regime disciplinare di tutte, v., S. Di Amato, Diritto della crisi d’impresa, cit., 479; G. D’Attorre, Manuale di diritto della crisi e dell’insolvenza, cit., 379. 
[156] 
G. Scognamiglio, I gruppi di imprese nel CCII: tra unità e pluralità, cit., 425. 
[157] 
E. Ricciardiello, La crisi dell’impresa di gruppo tra strumenti di prevenzione e di gestione, Milano, 2020, 385. 
[158] 
Per simili valutazioni v., G. Scognamiglio, sub art. 285, in P. Valensise, G. Di Cecco, D. Spagnuolo (a cura di), Il codice della crisi, cit., 1529. In relazione ai rapporti tra le società del gruppo con piani diversi, v., Trib. Ravenna 24 febbraio 2023, in ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, secondo la quale « la continuità di gruppo sussiste ogniqualvolta le sinergie risultino, all’esito del risanamento, sostanzialmente preservate, sia pur nel quadro di un ridimensionamento del perimetro di gruppo; ciò in ragione dell’assunto — implicitamente riconosciuto e fatto proprio dal Legislatore del Codice — che il valore della continuità di gruppo non corrisponda alla somma atomistica di quello delle sue componenti, potendo apprezzarsi indipendentemente dalla sorti di taluna di queste ultime, e dovendosi dunque tutelare quale bene in sé ». 
[159] 
L. Panzani, Codice della crisi e gruppi di società, in Riv. soc., 2022, 1366; M. L. Vitali, Sub art. 285, in F. Santangeli (a cura di), Il codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, cit., 1463 ss. 
[160] 
M. Engheben, Considerazioni sul plusvalore “da gestione unitaria della crisi” e sulla sua distribuzione non proporzionale nel concordato preventivo di gruppo, in Dir. fall., 2024, I, 1100; ma, in senso contrario e cioè per libera distribuzione come se si trattasse, per ciascuna società, di risorse esterne, v., G. D’attorre, I concordati di gruppo nel codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, cit., 282; R. Sacchi, Sui trasferimenti di risorse nell’ambito del concordato di gruppo nel C.C.I.I, in Nuove leggi civ. comm., 2021, 314; L. Benedetti, La nuova disciplina del concordato di gruppo: tra separate entity ed enterprise approach, cit., 82 ss.; M. Arato, La conservazione dei valori aziendali e le liquidazioni nelle procedure di gruppo, in Il Fall., 2023, 1485 ss.; N. Abriani, La disciplina dei gruppi di imprese nel Codice della crisi e dell’insolvenza, in Dirittodellacrisi.it, 28. 
[161] 
V. Sanna, Effetti sui contratti pendenti, cit., 1029 ss. 
[162] 
S. Ambrosini, Le finalità del C.P. e le declinazioni tipologiche dell’istituto: profili ricostruttivi di fattispecie e disciplina, cit., 119; F. Sacchi, Esecuzione, risoluzione, annullamento, in O. Cagnasso, L. Panzani (diretto da), Crisi d’impresa e procedure concorsuali, cit., 1934 ss. 
[163] 
Per Trib. Roma, 22 aprile 2025, in Dirittodellacrisi.it, il proponente di un concordato in continuità diretta non può mantenere la titolarità di alcun bene che non faccia parte del compendio aziendale e non sia funzionale all’esercizio dell’attività, in rispetto della regola d’ordine pubblico circa la responsabilità patrimoniale del debitore di cui all’art. 2740 c.c. Invero a diversamente concludere si avrebbe a fronte dell’effetto esdebitatorio ai sensi dell’art. 278 e ss. CCII con riferimento alla porzione dei debiti non pagati in sede concordataria, una vera e propria sottrazione ai creditori di quella società̀ di parte dell’attivo. Ciò tuttavia a meno che il proponente, a fronte di uno specifico bene non strumentale alla continuità per il quale non prevede la liquidazione, a) metta a disposizione, attraverso finanza esterna e/o i flussi che quel bene è in grado di generare nell’arco di piano, il controvalore del bene stesso; b) dimostri che quel bene, sebbene oggettivamente estraneo al perimetro aziendale, sia — per ragioni chiare, oggettive ed economicamente rilevanti — parte integrante del piano concordatario (un piano che per legge deve generare risorse non inferiori se non maggiori rispetto a quelle che si trarrebbero dalla liquidazione giudiziale: art. 87 comma 2) e dunque il mantenimento in capo al debitore sia, per la sua stretta connessione col piano, necessario e non evitabile. 
[164] 
Trib. Roma, 10 luglio 2024, in Dirittodellacrisi.it
[165] 
F. Di Marzio, Natura giuridica ed evoluzione del concordato: da strumento liquidatorio a strumento di risanamento e turnaround, cit., 90. 
[166] 
App. Milano, 8 novembre 2024, in Dirittodellacrisi.it
[167] 
Trib. Lucca, 25 luglio 2023, in Dirittodellacrisi.it
[168] 
Trib. Verona, 21 luglio 2023, in Dirittodellacrisi.it
[169] 
A. Nigro, D. Vattermoli, Diritto della crisi delle imprese, cit., 383. 
[170] 
P. Vella, Riflessi della Direttiva Insolvency sulla nuova disciplina del c.p., cit., 74. 
[171] 
Quella che V. Pinto, Il concordato preventivo nei centoventi anni della rivista del diritto commerciale, in Banca borsa tit. credito, 2024, I, 538, definisce una giustizia distributiva. Ed ancora, non sono certo considerazioni velleitarie o utopistiche quelle che mettono in evidenza l’emersione di “interessi altri”, comunque da tutelare, v., R. Tarolli, Crisi, continuità aziendale e bene comune: interessi, prerogative e responsabilità nel complesso ciclo dell’impresa sostenibile, in ristrutturazioniaziendali.it, 2025, 1 ss.; G. Palmieri, L'interesse della società in crisi tra tutela dei creditori e corporate social responsibility. profili critici, in Banca, borsa, tit.cred., 2025, I, 127. 
[172] 
Si vis, M. Fabiani, Il valore della solidarietà nell’approccio e nella gestione della crisi, in Il Fall., 2022, 5; M. Spiotta, “Utilità solidale” nel codice della crisi: un ossimoro solo apparente, in ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 5. 
[173] 
In questo senso, F. Di Marzio, Natura giuridica ed evoluzione del concordato: da strumento liquidatorio a strumento di risanamento e turnaround, cit., 92. Per S. Leuzzi, L’evoluzione del valore della continuità aziendale nelle procedure concorsuali, cit., 505, «non è agevole, però, riconoscere al giudice ordinario un bilanciamento valoriale, che è prerogativa del Legislatore prima, della Consulta subito dopo. La procedura concorsuale non è ontologicamente un contenitore di politica economica, ne´ uno strumento di sostegno dell’economia o di concretizzazione — per contingenza — dello stato sociale. Può diventare l’uno e l’altro, ma solo in presenza di scelte di campo normative, che all’attualità latitano. L’efficienza del procedimento concorsuale finisce per proteggere anche il risparmio e per riflettersi positivamente sul mercato, ma la realizzazione coattiva di crediti possiede ragioni intrinseche, che trascendono la salvaguardia dell’economia nazionale e attengono alla compiutezza della tutela giurisdizionale, plesso di rango sicuramente non inferiore rispetto agli altri valori costituzionali. Pertanto, desta qualche perplessità l’ipotesi di un bilanciamento diffuso e intimamente variabile ad opera dei tribunali, che correrebbe il pericolo di risolversi in un’attività di “forfettizzazione” giudiziale del credito ». Sennonché, è proprio la complessità degli interessi e dei valori in giuoco che reclamano l’individuazione di un soggetto deputato a conciliarli e questo soggetto non può che essere il giudice. 
[174] 
G. D’Attorre, Dal principio di maggioranza al principio di minoranza, cit., 308; M. Fabiani, Il diritto diseguale nella concorsualità concordataria postmoderna, cit., 1485; per una critica v., A. Nigro, D. Vattermoli, Diritto della crisi delle imprese, cit., 450. 
[175] 
G. D’Attorre, La continuità aziendale tra “scommessa” e “tradimento”, cit., 1051. 

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