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Saggio

Composizione negoziata, norme unionali e (nuovo) Codice della crisi*

Vittorio Minervini, Avvocato e Docente a contratto presso l’Università degli Studi di Roma - Tor Vergata

30 Marzo 2022

*Lo scritto anticipa (e in parte anche sviluppa e attualizza) alcune delle idee raccolte in un articolo in corso di pubblicazione sulla Rivista di diritto fallimentare, n. 2/2022.
Il saggio è altresì stato sottoposto in forma anonima alla valutazione di un referee.
L’Autore esamina l’istituto della composizione negoziata, muovendo dal concetto di “risanabilità” e illustrando le implicazioni del primato conseguito, nel quadro delle regole unionali, dalla continuità aziendale.
Riproduzione riservata
1 . Premessa
Le Misure urgenti in materia di crisi d’impresa e di risanamento aziendale recate dal D.L. n. 118/2021 (c.d. “Decreto Pagni”), convertito con modificazioni dalla L. n. 147/2021, hanno suscitato nutrita attenzione da parte della dottrina. 
I primi commentatori si sono spesi in analisi di vario taglio ed esito[1], che hanno scandagliato, in particolare, due topoi maggiormente ricorrenti, vale a dire: da un lato, il nuovo rinvio dell’entrata in vigore del Codice della crisi d’impresa (rispetto al quale occorre dire che comincia a circolare, mentre si scrive, uno schema di decreto legislativo di ulteriore modifica del Codice, per il necessario adeguamento alla direttiva Insolvency); dall’altro, il diverso e ulteriore differimento delle misure di allerta, nonché il delicato rapporto fra queste e la nuova “composizione negoziata per la soluzione della crisi di impresa”, istituita dal medesimo Decreto (e su questo la scelta dello schema di decreto legislativo in circolazione è, a quanto parrebbe, radicale: v. meglio infra su questo).
Pur cercando di far tesoro delle riflessioni sin qui svolte, il presente contributo non si addentrerà nell’esegesi minuziosa delle norme relative alla composizione negoziata (tanto più che esse sembrano destinate a subire mutamenti e integrazioni, ove fossero – come oggi pare – trasfuse e integrate nel nuovo Codice), ma cercherà invece di trasferire l’analisi su un piano differente, nel tentativo cioè di inquadrare l’intervento normativo in una prospettiva d’insieme e su un piano soprattutto culturale, per cercare di comprendere quale valenza ricostruttiva possa (o debba) ascriversi al nuovo istituto che, a parere di chi scrive, non costituisce solo uno dei tanti “strumenti” transeunti introdotti per meglio affrontare il periodo emergenziale[2], rappresentando piuttosto un’anticipazione delle linee di intervento richieste dalla Direttiva Insolvency, sì da poter diventare parte del nuovo diritto della crisi riformato e adeguato alla Direttiva[3] (e lo schema di decreto legislativo di modifica del Codice in adeguamento alla Direttiva viene ora ad avvalorare tale conclusione). 
Se è vero che dietro ogni riforma dell’ordinamento dovrebbe esservi “un cambiamento di passo al quale spesso dovrebbe corrispondere un cambio di cultura nell’approccio al tema e nella gestione delle soluzioni” [4], è apparsa subito evidente, innanzitutto, la volontà di imprimere, in questo caso, un “cambio di passo”: il Decreto e la successiva legge di conversione sono apparsi infatti segno di un legislatore che non voleva (più) preoccuparsi (soltanto) di dare ossigeno alle imprese ma che, di fronte ai prodromi della tanto attesa ripresa economica [5] (oggi messa peraltro nuovamente a repentaglio dallo spettro inaudito e insensato di una guerra), intendeva dedicarsi a una più duratura e lungimirante attività di ricostruzione normativa, che favorisse il rilancio del sistema economico e produttivo del Paese. 
Nonostante la forma tecnica dell’intervento d’urgenza, il Decreto Pagni è sembrato inaugurare una nuova (e speriamo anche decisiva) fase di quel cantiere di riforme aperto da troppo tempo, che parrebbe destinato a radicare anche un rilevante “cambio di cultura” nel diritto della crisi d’impresa, e non solo nella sua dimensione emergenziale (lo schema di decreto legislativo di modifica al Codice della crisi in circolazione sembra oggi suffragare questa ipotesi).
La composizione negoziata appare come uno snodo determinante di tale processo: fulcro logico e innovativo del Decreto Pagni, essa sembra poggiare, solidamente, su una riflessione dottrinaria avviata, anche a livello internazionale, ben prima della pandemia; riflessione che, nell’ordinamento unionale, è culminata, come a tutti noto, a seguito di un lungo e non semplice iter[6] (fatto anche di compromessi e di parziali annacquamenti delle soluzioni inizialmente proposte), nell’approvazione della direttiva “Insolvency” [7]. 
È su questo “cambio di cultura”, che appare profondamente innestato nella Direttiva, che vorrei provare a soffermarmi, svolgendo alcune rapide considerazioni in merito alle linee evolutive del diritto della crisi d’impresa che sembrano emergere, in nuce, nei nuovi istituti, a fortiori nella prospettiva – che parrebbe oggi avvalorata – che questi possano diventare parte integrante del nuovo diritto della crisi riformato e armonizzato alle norme unionali.
2 . Il “cambio di cultura” anticipato dalla composizione negoziata: preferenza per le soluzioni di tipo negoziale a istanza di parte ed “earliest warning”
Già la Relazione Illustrativa del Decreto suona invero come una sorta di manifesto programmatico in ordine al diverso intento perseguito in questo caso dal legislatore: se i “sostegni di tipo finanziario ed economico riconosciuti alle imprese” dal diritto emergenziale hanno avuto l’indubbio merito di aver “ridotto il peso della crisi sulle attività produttive”, nel lungo periodo questi “non potranno […] contenere e risolvere i profondi mutamenti del tessuto socio-economico provocati dalle restrizioni collegate alla pandemia” [8]; al contempo, la Relazione prosegue riconoscendo expressis verbis [9] che la legge fallimentare, il Codice e, in generale, lo strumentario normativo/concettuale pre-pandemico non sono adatti a garantire la gestione dell’emergenza in atto [10], evidenziando in particolare – per quanto qui maggiormente interessa – che in questo percorso di riforma degli strumenti per affrontare la crisi d’impresa “occorre dare completa attuazione […] alla Direttiva del Parlamento e del Consiglio, 20 giugno 2019, n. 2019/1023 UE riguardante i quadri di ristrutturazione preventiva []”; e che, a tale precipuo scopo, sarà necessario apportare anche le opportune “integrazioni” alle disposizioni del Codice della crisi [11] (pur tenendo conto “dell’emergenza sanitaria” ancora in atto) [12].
Pur nella sua veste formale di decreto legge, l’intervento normativo sembra dunque collocarsi oltre la dimensione squisitamente emergenziale, in un mutato contesto socio-economico con diversi obiettivi politici e normativi [13], da perseguire ora in un’ottica di piena coerenza con le normative unionali volte a rafforzare negli Stati membri l’efficacia e la tempestività degli strumenti di salvataggio e ristrutturazione precoce delle imprese in crisi.
In questo senso, e come eredità della fase pandemica, un primo elemento rivelatore di questo nuovo approccio si rinviene nel come si intende affrontare la condizione di “insolvenza diffusa” [14]. Dopo essere stata al centro del dibattito dottrinario [15] e delle misure assistenziali nelle prime settimane successive al dilagare del contagio (sotto il profilo del trattamento che essa richiede anche a fini concorsuali), tale “condizione” ha rappresentato certamente uno dei presupposti (e anche delle giustificazioni) del Decreto [16]. Si tratta di un tema che potrebbe apparire “tipicamente pandemico” e dunque, almeno in auspicio, intrinsecamente “transitorio”. E tuttavia, al di là di fattori ormai strutturali dell’economia globalizzata che amplificano e accelerano il diffondersi delle crisi c.d. sistemiche [17], la storia delle varie “bolle” (finanziarie e immobiliari) del recente passato insegna che da una crisi di liquidità generalizzata in uno o più comparti produttivi possono scaturire ricadute a monte e a valle della filiera, che possono poi estendersi ad altri comparti e mercati connessi, con implicazioni anche globale [18]; e d’altra parte è evidente che un simile spettro sta tornando purtroppo ad aleggiare negativamente sui mercati in ragione delle (già gravi) conseguenze economiche della guerra in Ucraina (in particolare quanto alla disponibilità di materie prime e di risorse energetiche a prezzi abbordabili, con tutte le ricadute sulla catena del valore) e per i (più gravi) timori di una denegata (ma ancor possibile) escalation militare.
Al di là di queste preoccupate considerazioni, quel che appare a mio avviso più rilevante è il tipo di strumento scelto dal legislatore per fronteggiare una tale condizione di crisi (o anche insolvenza) “diffusa” (e, non di meno, in quanto derivante per lo più da fattori esogeni, in molti casi anche “reversibile”) e, in particolare, il favor che il Decreto riconosce (non solo nella composizione negoziata: si pensi ad es. alle norme che estendono e agevolano l’efficacia degli accordi di ristrutturazione dei debiti) agli strumenti di soluzione della crisi di tipo negoziale e a istanza di parte [19], confermando, in ciò, un tratto già osservabile, sia pure con rilevanti oscillazioni e incertezze, nella precedente evoluzione delle discipline concorsuali [20].
Assai chiara, sul punto, è la stessa Relazione, che espressamente qualifica la composizione negoziata come un “nuovo strumento di ausilio alle imprese in difficoltà, di tipo negoziale e stragiudiziale”, sottolineando anche il fatto che tale preferenza verso l’iniziativa di parte e la scelta di rimedi – almeno in prima battuta – di tipo esclusivamente “negoziale” (a meno che non sia lo stesso imprenditore in difficoltà a richiedere interventi protettivi e riequilibrativi al Tribunale: v. infra su questo) appariva congrua alla situazione di insolvenza diffusa per cause soprattutto esogene che si intendeva affrontare. Come è stato ben evidenziato[21], “in queste circostanze lo strumento negoziale è [stato ritenuto] quello più adatto anche perché non è imperniato sulla contrapposizione tra debitore e creditori, ma piuttosto sulla ricerca congiunta di una risposta adeguata al problema che affligge tutti, cercando di puntare alla conservazione della relazione economica. L’accordo si proietta oltre la soluzione del debito”.
Si tratta di un’osservazione a mio avviso corretta e densa di rilevanti implicazioni (su cui si tornerà a ragionare più avanti). 
In ogni caso, si nota qui, a mio avviso, una prima evidente (e ritrovata) armonia con i princìpi portati dalla Direttiva in punto di predisposizione di quadri efficienti di ristrutturazione precoce delle imprese in difficoltà, fondate in prima istanza sulla volontarietà, sull’autonomia negoziale e sulla (tendenziale) stragiudizialità, nella convinzione che la situazione di crisi dell’impresa debba poter (emergere ed) essere affrontata – paradossalmente, ma perspicuamente – “quando ancora non c’è”[22], quando cioè si è ancora in quella “Twilight-Zone” nella quale le possibilità di risanamento e di ristrutturazione sono certamente maggiori, a vantaggio di tutti gli attori in gioco.
E proprio sotto questo profilo, un’ulteriore continuità concettuale fra i più recenti approdi normativi (anche unionali) e dottrinari e il Decreto (pur con differenze e rilevanti “correzioni” quanto all’impostazione di fondo) è dato ritrovare anche in punto di emersione precoce della situazione di crisi, che come noto costituisce uno degli assi portanti del diritto della crisi riformato sulla base delle fonti euro-unitarie[23]. In linea con la dottrina dell’early warning predicata dalla Direttiva (a partire dai considerando 2-4) e (con impostazioni logiche diverse) dal Codice della crisi[24] e poi anche dal Codice civile (insieme a quest’ultimo sul punto novellato) [25], l’intento perseguito dal Decreto è infatti quello di “prevenire l’insorgenza di situazioni di crisi” e di riuscire a “risolvere tutte quelle situazioni di squilibrio economico-patrimoniale che, pur rivelando l’esistenza di una crisi o di uno stato di insolvenza, appaiono reversibili” (così la Relazione). La soglia di rilevanza viene ora abbassata, come è stato giustamente notato, dalla probabilità di insolvenza (art. 1 Direttiva, che tuttavia rimette tale definizione normativa al legislatore nazionale; e in questo senso v. anche l’art. 2 del Codice della crisi) alla mera “probabilità della probabilità dell’insol­venza” [26]. 
Rispetto all’early warning codicistico il trattamento della crisi viene dunque qui ulteriormente “anticipato”, ma su base solo volontaria e riservata (almeno fino a quando non sia la stessa impresa a invocare misure protettive e/o riequilibrative che richiedono l’intervento del tribunale fallimentare).
A voler coniare un neologismo, si potrebbe dire allora che il Decreto introduce una earliest warning, una sorta di allerta precocissima, e però su basi concettuali e procedimentali ben diverse da quelle delineate dal Codice e certo più affini a quelle predicate dalla Direttiva[27] (come si dirà meglio a breve).
Non c’è bisogno, in questa sede, di soffermarsi sulla intrinseca problematicità del nesso intercorrente fra la composizione negoziata, le misure di allerta esterna previste dal Codice e la composizione assistita in esso delineata (trattandosi di tema già autorevolmente e condivisibilmente trattato [28] e che peraltro sarebbe stato risolto alla radice, stando allo schema di decreto legislativo di modifica del Codice oggi in discussione). A me basta evidenziare che l’an­ticipazione della soglia di attenzione introdotta dal Decreto, che è in piena armonia con i princìpi della Direttiva [29] (iscrivendosi anzi in un trend che appare piuttosto definito, ancorché non privo di incertezze [30]), rende lecito pensare che anche nella “nuova normalità” postpandemica una earliest warning possa avere pieno diritto di cittadinanza (sebbene più problematica, anche da un punto di vista concettuale e procedimentale, sarebbe la relazione con le procedure di composizione assistita della crisi delineate dal Codice) [31]. In questo senso l’allerta “precocissima”, insita nella composizione negoziata risulta indubbiamente assai più aderente alla funzione “tipica” preconizzata dalla Direttiva (di incrementare cioè la consapevolezza del debitore a promuovere l’accordo fra le parti prima che il valore incorporato nell’organizzazione dell’impresa sia irrimediabilmente disperso, a danno degli stessi creditori), mentre l’early warning codicistico (e in particolare l’allerta esterna), quale rimedio estrinseco, pare rivolto invece, com’è stato correttamente osservato, a “forzare la mano al debitore”, costringendolo a rivelare “la sua crisi anche a terzi” [32].
3 . Il fulcro logico del nuovo istituto: il concetto di “risanabilità” (dell’impresa obiettivamente considerata)
Ma il vero fulcro logico della nuova composizione negoziata sembra essere quello della “risanabilità” che, evidentemente, si predica del (e inerisce al)l’impresa in sé, obiettivamente considerata [33].
La risanabilità dell’impresa costituisce, infatti, il primo e indefettibile presupposto-requisito che deve ricorrere perché si possa accedere alla composizione (dovendo essere “[] ragionevolmente perseguibile il risanamento dell’impresa”: art. 2): su di essa sono stati costruiti tanto l’onere probatorio gravante sull’impresa (cfr. art. 3, 2° comma, e art. 7, 2° comma, lett. e) quanto il mandato conferito all’esperto, che fin dalla prima audizione è tenuto a “valutare l’esistenza di una concreta prospettiva di risanamento”; soprattutto, da essa dipende l’esito stesso della “procedura” [34], posto che l’istanza deve essere archiviata de plano laddove un tale risultato non sia ragionevolmente perseguibile (v. art. 5, 5° comma).
Ho già avuto modo di soffermarmi, nel recente passato, sul concetto di “risanabilità” e sui suoi sfuggenti connotati giuridici [35]. Volendo semplificare, per quanto qui di interesse, un discorso in realtà assai più complesso, si può dire che a partire dalla sua emersione nella disciplina dell’amministrazione straordinaria (art. 27 D.Lgs. n. 270/1999) e passando per il suo successivo inserimento all’in­terno della legge fallimentare comune (con l’introduzione dei piani attestati di risanamento ex art. 67, 3° comma, lett. d), L. Fall., ora art. 56 del Codice), tale paradigma concettuale si è consolidato, acquisendo progressivamente centralità, nel diritto della crisi, anche nella disciplina speciale riservata agli intermediari bancari e finanziari [36]. 
Questo trend si è rafforzato ancor di più negli ultimi anni anche nel diritto comune della crisi d’impresa, e proprio nella cornice giuridica della Direttiva Insolvency, il cui obiettivo notoriamente è quello di “garant[ire] alle imprese e agli imprenditori sani che sono in difficoltà finanziarie la possibilità di accedere a quadri nazionali efficaci in materia di ristrutturazione preventiva che consentano loro di continuare a operare” (cfr. considerando 1). Anche nel Codice il giudizio sulla risanabilità dell’impresa in crisi assume del resto un ruolo centrale nell’ambito del procedimento giurisdizionale unitario, ai fini dell’ap­plicazione dell’una o dell’altra disciplina e, dunque, della produzione di effetti giuridici potenzialmente antitetici (conservazione ovvero liquidazione dell’impre­sa e delle sue attività). Per questa ragione (oltre che per l’attitudine ad assicurare una tendenziale coerenza e circolarità logica fra le discipline della crisi e i princìpi anche di livello euro-unitario vigenti in materia di concorrenza e di aiuti di Stato, anche all’interno della teoria dell’impresa [37]), avevo suggerito un utilizzo (anche) in chiave “anti-Covid” del concetto di “risanabilità”, trattandosi di un criterio che, per sua stessa natura, ben si presta a selezionare, fra le (tante) imprese che per ragioni esogene si trovano in stato di insolvenza, quelle che hanno una valida chance di restare profittevolmente sul mercato e di continuare a produrre ricchezza e che, dunque, “meritano” di essere salvate e – a seconda dei casi – di accedere alle misure assistenziali pubbliche [38]. Ciò che ben si coniuga, ancora, con il credo della second chance predicato dalla Direttiva [39].
A mio avviso il Decreto non solo conferma il ruolo centrale che il concetto di risanabilità dovrà avere anche nel diritto della crisi post-pandemico, ma ha il merito di individuare una soluzione applicativa che, rimettendo l’iniziativa all’impresa (pur con la spinta degli organi di controllo interno)[40], mira a massimizzare anche in concreto le chances di poter risanare l’impresa in difficoltà, incentivando la descritta emersione “precocissima” [41].
Ciò detto, residuano tuttavia non pochi profili di incertezza, di cui si era già dato conto in passato e che solo in parte paiono risolti dal Decreto e dalle norme attuative a questo correlate. Mi pare infatti che resti ancora privo di univoche risposte l’interrogativo, che avevo sollevato tempo addietro, in merito al chi, e in base a quali parametri, possa pronunciare – con ragionevoli margini di certezza giuridica – una “prognosi di risanabilità”, identificando con chiarezza il “discrimen tra imprese viables e non” [42].
Quanto alla prima questione, il Decreto conferma quanto già richiesto sul punto dalla Direttiva [43], riconoscendo che non esiste in seno alle nostre sezioni fallimentari una classe “professionale” già adeguatamente formata ed esperta, cui una tale valutazione possa essere rimessa. Non a caso, il Decreto prova a costruire da zero tale cerchia di professionisti, istituendo la figura dell’esperto (“facilitatore” e/o “garante”, a seconda delle opinioni dei primi commentatori) che, sulla base delle proprie specifiche competenze, vagliando i dati messi a disposizione dall’impresa e dai suoi organi di controllo, dovrebbe già nell’arco di pochi giorni essere in grado di esprimere una prognosi attendibile sulla risanabilità (o meno) dell’impresa e, dunque, sul suo destino [44]. Compito, invero, tutt’altro che facile, come è stato già evidenziato e pure cruciale, ai fini del conseguimento dell’obiettivo atteso. 
L’esigenza di colmare, soprattutto nella fase di start-up della Composizione, il gap cognitivo degli esperti è, d’altra parte, il risvolto in chiava soggettiva dell’altro grande problema, che attiene ai parametri sulla base dei quali è possibile affermare la “risanabilità”. L’accertamento di serie e concrete prospettive di recupero dell’equilibrio economico-finanziario dell’im­presa in crisi è determinante ai fini dell’accesso alla Composizione, ma è ancora oggi ostaggio di un (forse ineliminabile) alone di incertezza giuridica, essendo la “risanabilità” un concetto tecnico proprio delle scienze aziendalistiche, relativo (in quanto variabile in funzione delle assunzioni di base e delle ipotesi prospettiche) e pertanto intrinsecamente opinabile e spesso anche indeterminabile con certezza a priori (essendo fondato, inevitabilmente, su assumptions nonché su elementi valutativi e predittivi).
Va detto che la “redazione del piano di risanamento” e lo svolgimento di un “test pratico per la verifica della ragionevole perseguibilità del risanamento” da parte dell’impresa (art. 3, 2° comma, Decreto, che risuona dell’art. 8 della Direttiva) dovrebbe, almeno in teoria, permettere all’esperto di esprimere in maniera più obiettiva un giudizio sulla risanabilità, fondato su elementi specifici, chiari e (almeno in parte) verificabili. In questo senso le disposizioni di attuazione [45] si caratterizzano certamente per un significativo grado di dettaglio; ma resta da capire se gli elementi e i dati numerici in cui esse si articolano siano sufficienti a esprimere una valida prognosi di risanabilità di tipo anche “qualitativo” (un’impresa non risanabile secondo un determinato modello di business potrebbe diventarlo modificando l’organiz­zazione produttiva o mediante una parziale – o anche totale – riconversione delle attività).
A tal proposito, un tema di non secondaria importanza riguarda l’apporto in “autodiagnosi” dell’impresa, che potrebbe diventare terreno fertile per abusi e strumentalizzazioni. Provenendo da un soggetto che di certo non è né terzo né disinteressato (avendo viceversa un interesse diretto a ottenere i benefici del regime premiale cui si può accedere attraverso il ricorso alla composizione), non si possono evidentemente escludere dichiarazioni parziali, fuorvianti, strumentali o eccessivamente ottimistiche, se non addirittura mendaci [46]. La vera sfida starà, dunque, nell’assicurare che sia l’esito del test, sia il piano di risanamento predisposto dall’impresa, sia soprattutto il giudizio dell’esperto (che su questi documenti ed elementi si fonda) restituiscano un’immagine quanto più fedele e obiettiva della situazione in cui versa (e, prospetticamente, potrà versare) l’im­presa. 
In questo senso, la selezione delle imprese da risanare (quelle cioè la cui insolvenza risulti “reversibile”, adottando la terminologia del Decreto) rappresenta un’esigenza vitale del sistema, specie in questo periodo storico di potenziale rilancio dell’economia e delle attività produttive, messe però nuovamente a dura prova dalle nefaste conseguenze di una guerra che si consuma alle porte della nostra casa comune europea. A maggior ragione in questi difficili frangenti, in cui le risorse economiche e produttive sono scarse e perciò preziose, non ci si può permettere che l’esperto, magari fuorviato da un’autodiagnosi non impeccabile (o peggio fraudolenta), esprima una prognosi che sbarri la strada a chi ha i numeri per essere rimesso in sesto o, viceversa, faccia cadere in errore i creditori che partecipano alla negoziazione, inducendoli a sostenere lo sforzo inutile (anzi, dannoso) di tenere in vita un’impresa zombie (ciò che avverrebbe a scapito dell’interesse dei creditori, che ne dovrebbero sopportare i costi, oltre che delle dinamiche competitive del mercato e dell’economia nel suo complesso) [47]. E forse, onde evitare che gli errori dell’esperto possano avere ricadute pesantemente negative (non solo per i creditori, i fornitori, i lavoratori, ma anche – mutuando le parole della Direttiva – “per l’economia nel suo complesso”) occorrerebbe domandarsi se, almeno de jure condendo e nella prospettiva della stabilizzazione dell’istituto nel Codice della crisi riformato, non sia necessario prevedere, a chiusura della fase “negoziale” e in particolare nei casi in cui la composizione fallisse, una qualche forma di “appello al mercato”, per valutare cioè se – come altre volte detto – incentivando e realizzando un “mercato” delle imprese in crisi non possa realizzarsi una più efficiente allocazione delle risorse e una nuova creazione di valore, a favore dei creditori, in primis, e di tutti gli altri soggetti coinvolti (e/o comunque incisi) dalla vicenda di crisi[48].
4 . Implicazioni ricostruttive “di sistema”: l’oggettivizzazione del diritto della crisi d’impresa e gli interessi “altri”
Il ruolo di perno logico assunto dal concetto di risanabilità (dell’impresa in senso oggettivo, intesa, come detto, in termini di “organizzazione produttiva”) conferma un ulteriore elemento chiave, nitidamente desumibile dall’evoluzione delle discipline della crisi: la progressiva oggettivizzazione di queste ultime, a superamento del tradizionale “rapporto duale «creditore-debitore»” [49], di natura soggettiva ed esecutiva.
In piena coerenza con i princìpi della Direttiva [50], la composizione sottende infatti un’imposta­zione di stampo prettamente oggettivo, che considera l’impresa come valore giuridico a sé stante, collocato al centro del sistema, intorno al quale gravita la pluralità di interessi eterogenei portati anche dagli altri stakeholders.
È sull’impresa in senso obiettivo, intesa dunque come organizzazione [51] (e non sul soggetto-imprenditore) che va espresso il giudizio di risanabilità e vanno dunque ponderate le possibilità di successo dell’azione di salvataggio, volta a sottrarre l’impresa obiettivamente considerata alla possibile disgregazione [52]. Si potrebbe anzi dire, in questo senso, che l’intera composizione è un “percorso” (secondo la diplomatica qualifica data dalla Relazione) ontologicamente preordinato a commisurare, attraverso il (para)metro della risanabilità, le esigenze di protezione del valore-impresa con tutti gli “altri” interessi coinvolti e, pure, potenzialmente meritevoli di tutela, ivi compresi, naturalmente, quelli dei creditori, ai quali è rimessa, in ogni caso, l’ultima parola [53].
Non si tratta, certo, di una novità assoluta, se è vero che l’impresa come organizzazione produttiva è certamente al centro della disciplina (speciale, perché non armonizzata a quella del Codice e portatrice di scelte valoriali diversificate) dell’amministrazione straordinaria (funzionalizzata però soprattutto verso la salvaguardia dei posti di lavoro) [54]; e tuttavia questo profilo diviene ora patrimonio comune di tutte le discipline concorsuali e di tutte le imprese, indipendentemente da fattori di tipo quantitativo, legati al numero dei posti di lavoro da tutelare.
Questo nuovo corso, per così dire progressivamente “oggettivato”, del diritto della crisi d’impresa ha probabilmente alle sue basi anche precisi fattori di carattere storico ed economico: soprattutto in quella che si definisce come new economy il vero valore di un’impresa non sta, infatti, tanto nei beni materiali di cui l’azienda si compone, quanto in altri elementi, per lo più intangibili (quali ad es. il know-how, l’avviamen­to, la forza del brand, la reputation sociale e commerciale) [55], che in caso di sua dissoluzione si perderebbero pressoché totalmente, in danno degli stessi creditori (donde, dunque, anche il loro interesse a preservare tali valori, mantenendo vitale l’impresa) [56].
Questa funzione di considerazione e bilanciamento di tutti gli interessi coinvolti nella vicenda di crisi legata ad un’impresa – intesa appunto in senso obiettivo, come organizzazione e dunque come titolare di contratti, relazioni commerciali, know-how specifico, capitale umano, ecc. – risulta perfettamente consequenziale non solo con le previsioni della Direttiva [57] e del codice civile [58], ma anche con la posizione di chi, in dottrina, aveva (a mio avviso correttamente) evidenziato come anche l’impresa in crisi dovesse continuare ad assolvere agli oneri della responsabilità sociale, mantenendo – anche nella fase di gestione della crisi – una considerazione bilanciata anche degli interessi “altri” (dalla tutela del mercato a quella dell’occupa­zione, passando per quelle del territorio, dell’ambiente, della salute) [59].
In un’ottica sistematica, mettere al centro l’impresa in senso oggettivo (in luogo del rapporto soggettivo e patrimoniale “debitore/creditore”) va anche a diretto beneficio di tutti gli interessi che intorno ad essa si addensano, incrementandone peso e rilevanza anche nell’ambito della gestione della sua vicenda di crisi, come anche la Relazione illustrativa del Decreto afferma con chiarezza. Ne segue, all’evidenza, che anche la salvaguardia di questi interessi “altri” attraverso l’operazione di risanamento e ristrutturazione aziendale potrà essere tanto più efficace quanto più vitale sia (ancora) l’im­presa su cui il tentativo si appunta: donde, anche – e a maggior ragione – l’esigenza di assicurare l’emersione e il trattamento precoce (anzi precocissimo) della condizione di crisi.
Si tornerà nelle conclusioni su questi profili, anche da un diverso (e a mio avviso complementare) punto di vista.
Si vuole ora osservare che, secondo la Relazione, in una dimensione quasi di ottimo paretiano, la Composizione dovrebbe far sì che attraverso “il risanamento dell’impresa [si garantisca] il ripristino delle sue capacità solutorie, [ciò che] rappresenta per tutti i creditori la migliore alternativa rispetto alla gestione della crisi in sede concorsuale”.
Il concetto espresso è, in linea di massima, astrattamente condivisibile; ciò non di meno, esso andrebbe formulato con maggiore realismo e dunque in termini meno assoluti e perentori. Non solo perché – per come già altrove scritto – risanare o ristrutturare un’impresa in crisi è certo desiderabile, ma anche assai difficile e, in concreto, non sempre possibile (ragion per cui l’effettiva risanabilità dell’impresa dovrà essere sempre appurata attraverso uno scrutinio obiettivo e rigoroso [60]); ma anche perché non sempre e non in tutti i casi la conservazione dell’impresa sarà preferibile alla sua liquidazione, come chiarisce peraltro, sin dall’esordio e inequivocabilmente, proprio la Direttiva, in coerenza con altri valori portanti dell’ordinamento euro-unitario [61].
Si tratta di un tema forse difficile, specie in questo particolare frangente storico; ma la Composizione non deve diventare un viatico per tenere in vita inutilmente imprese decotte o per alimentare il mito del salvataggio “ad ogni costo”, che sarebbe incompatibile con le previsioni della Direttiva (come già si diceva, la “second chance” di cui al considerando 1 non è concessa a tutti, ma soltanto “alle imprese e agli imprenditori sani” [62]).
5 . (Segue): la “business rescue culture” e il primato della continuità aziendale
Le riflessioni appena svolte consentono di portare il ragionamento su un altro caposaldo concettuale della Composizione, quello della c.d. “business rescue culture”.
Si tratta, notoriamente, di una filosofia ormai comune a molteplici ordinamenti continentali ed extraeuropei, in un percorso ben osservabile a livello globale [63] che, attraverso linee di ragionamento fondate in particolare sul modello concettuale del Chapter 11 statunitense, viene oggi positivamente accolta nelle fonti unionali che regolano la materia (come chiariscono già, ad es., i primi quattro Considerando della Direttiva). 
Tale filosofia risulta comunque ben identificabile, sia pur come minore nettezza, anche nelle disorganiche leggi di riforma che a partire dal 2005 hanno caratterizzato il diritto fallimentare nazionale [64] e (in modo però non sempre esente da incertezze e contraddizioni) nell’impostazione seguita dal nuovo Codice della crisi [65] e si salda ora, sul piano anche sostanziale, (last but not least), con quanto richiesto dal nuovo art. 2086, 2° comma, c.c. [66].
Se la Direttiva privilegia certamente la salvaguardia dell’impresa in crisi nell’interesse generale e di quello di tutti i soggetti potenzialmente incisi (e impone perciò agli Stati membri di perseguire il tentativo di risanamento ricercando l’“e­quilibrio” fra i diritti di tutte le parti coinvolte [67]), la nuova composizione negoziata appare ancor più chiaramente preordinata a dare priorità al salvataggio dell’impresa (nel senso sopra precisato), tutelando cioè in via diretta la continuità aziendale; e in questo supera, piuttosto nettamente, l’assetto di interessi definito, sul punto, dal Codice [68].
Infatti – com’è stato già validamente osservato – mentre il Codice ha sposato in sostanza un’impostazione qualificabile come creditor-oriented, nel Decreto la filosofia della business rescue (e della salvaguardia della continuità aziendale che ne è il corollario) è stata indubbiamente privilegiata, imprimendo alla Composizione, con la complicità della contingenza pandemica, un orientamento più nettamente debtor-oriented [69].
La diversità di approccio rispetto al Codice risulta del resto assai nitida ove si consideri che l’art. 4, 5° comma, del Decreto attribuisce all’imprenditore il dovere di “gestire il patrimonio e l’impresa senza pregiudicare ingiustamente gli interessi dei creditori”, mentre il Codice tra i propri princìpi generali annovera il dovere del debitore di “assumere tempestivamente le iniziative” più opportune a fronteggiare la crisi, “anche al fine di non pregiudicare i diritti dei creditori” (art. 4). È evidente che la diversa locuzione – e così la presenza (nel Decreto) o l’assenza (nel Codice) dell’avverbio “ingiustamente” – non è affatto casuale, ma risponde all’esigenza, qui avvertita chiaramente come prioritaria, di dare il maggior spazio di manovra possibile all’operazione di salvataggio e risanamento aziendale.
Non si tratta peraltro di una scelta isolata: basti pensare alle altre divergenze riscontrabili fra i doveri che il Codice e il Decreto assegnano agli amministratori dell’impresa in crisi. Così, mentre ai sensi dell’art. 4 del Codice il debitore ha il dovere di “gestire il patrimonio o l’impresa […] nell’interesse prioritario dei creditori”, il Decreto (prima della sua conversione in legge) non riproponeva una simile disposizione, ma si limitava a stabilire che, in caso di “probabilità di insolvenza”, l’imprenditore “gestisc[a] l’impresa in modo da evitare pregiudizio alla sostenibilità economico-finanziaria dell’attività” (cfr. art. 9, 1° comma; evidenze aggiunte). La prospettiva, anche sul piano lessicale, era indubbiamente assai diversa.
Come noto, in sede di conversione si è deciso di operare, sul punto, un intervento che sembra andare in una direzione diversa, aggiungendo all’art. 9, 1° comma, del Decreto una disposizione che appare di tenore sostanzialmente analogo a quella accolta dal Codice, che per l’appunto sancisce per gli amministratori, di fronte allo stato di “insolvenza”, il dovere di gestire l’impresa nel “prevalente interesse dei creditori”. E tuttavia tale modifica – che come è stato finemente rilevato segna comunque una differenza lessicale con la norma codicistica [70] – è stata probabilmente introdotta allo scopo di evitare eccessive tensioni sul piano ricostruttivo rispetto ai princìpi sanciti dal Codice, ma rischia non di meno di destare qualche perplessità, perché introduce un elemento “dissonante” all’interno di un tessuto normativo che, anche dopo la conversione del Decreto, resta di segno opposto. A ben vedere, infatti, tale (nuova) previsione riguarda una fattispecie ben perimetrata, inerendo al (solo) caso in cui, nel corso della composizione negoziata e in pendenza delle trattative, risulti che l’impresa versi in condizione di insolvenza (ancorché in tesi reversibile). Il che dovrebbe portare a escludere che, al di fuori di tale ipotesi, l’interesse dei creditori possa tornare ad essere, in sé, unico e “prevalente”.
Tale impressione risulta avvalorata dal fatto che la legge di conversione ha lasciato invero indenni tutte le altre disposizioni di maggior dettaglio marcatamente firm-oriented (e che ora “stridono”, e non poco, con il “nuovo” art. 9, 1° comma). In tale direzione va infatti richiamata, innanzitutto, la previsione secondo la quale eventuali atti che possano “arrecare pregiudizio ai creditori, alle trattative o alle prospettive di risanamento” (cfr. art. 9, 2°, 3° e 4° comma) sono assoggettati alla moral suasion dell’esperto e, ove questa risulti inefficace, alla pubblicazione sul registro delle imprese. Non si tratta dunque di un divieto sic et simpliciter, ma di una sanzione anzitutto reputazionale, che in buona sostanza rimette alla discrezionalità dell’imprenditore l’opportunità di compiere o meno l’atto potenzialmente pregiudizievole per i creditori, lasciandolo comunque nel frattempo libero di operare sul mercato e di continuare a difendere l’impresa-organizzazione e la sua attività. Saranno i creditori, in caso, a sanzionarne la condotta ex post, facendo naufragare la Composizione laddove l’atto “pregiudizievole” non abbia prodotto gli effetti positivi sperati (almeno in tesi, anche a loro beneficio).
Ancor più indicativi, nel senso sopra divisato, mi sembrano essere gli artt. 6 e 7 del Decreto, che consentono l’adozione di “misure protettive del patrimonio” tali da impedire, nell’ordine: l’acquisizione di diritti di prelazione “se non concordati con l’imprenditore”; lo svolgimento di azioni esecutive cautelari “sul suo patrimonio o sui beni e sui diritti con i quali viene esercitata l’attività d’impresa”; la pronuncia della sentenza dichiarativa di fallimento o di accertamento dello stato di insolvenza; che i creditori possano “rifiutare l’adempimento dei contratti pendenti” ovvero “provocarne la risoluzione”, “anticiparne la scadenza” o “modificarli in danno del­l’imprenditore” istante, “per il solo fatto del mancato pagamento dei loro crediti anteriori”. Ne risulta un vero e proprio “scudo” a tutela della continuità aziendale, operante “dal giorno della pubblicazione” dell’istanza nel registro delle imprese (e, dunque, “a prima richiesta” del debitore), che non si limita alla cristallizzazione delle iniziative giudiziarie dei creditori, ma mira invece ad assicurare, anche da un punto di vista sostanziale, la prosecuzione dei contratti e, dunque, dell’attività d’im­presa in senso obiettivo.
La tutela della continuità aziendale oggettivamente considerata è al centro anche delle previsioni dell’art. 10, ove si contempla in particolare la possibilità per il giudice fallimentare di rideterminare il contenuto “dei contratti ad esecuzione continuata o periodica ovvero ad esecuzione differita” la cui prestazione sia divenuta “eccessivamente onerosa per effetto della pandemia”. Se l’esperto può soltanto “invitare le parti” alla rinegoziazione secondo buona fede, il tribunale può invece disporre la riconduzione delle prestazioni ad equità anche coattivamente, rideterminando dunque d’imperio le condizioni contrattuali, sia pur “per il periodo strettamente necessario e come misura indispensabile ad assicurare la continuità aziendale”, a fronte della “corresponsione di un indennizzo” (se dovuta).
La disamina normativa che precede restituisce, come chiave di lettura complessiva, una recessività almeno parziale e tendenziale delle posizioni dei creditori rispetto alla salvaguardia dell’impresa e della sua organizzazione, che assume qui centralità e priorità rispetto agli altri interessi coinvolti, tutte le volte che l’impresa appaia come obiettivamente “risanabile” [71]. I soli diritti che, almeno sulla carta, non possono subire compressioni sono quelli dei lavoratori i quali, oltre al ruolo attivo e di primo rilievo nelle attività di negoziazione (cfr. art. 4, 8° comma), non sono toccati ad es. dagli effetti dello “scudo” giudiziale sopra descritto (cfr. ad es. art. 6, 3° comma; 10 2° comma) [72].
Ci si può chiedere, anche a tal riguardo, se si tratti di un “cambio di cultura” meramente transitorio o se, viceversa, il citato approccio consacri un principio (quello del primato della continuità aziendale dell’impresa risanabile) che supera, sul punto, le esitazioni e le contraddizioni del Codice e, come tale, destinato a rimanere come un punto fermo, un’acquisizione del diritto “che verrà”.
A me pare che (nonostante le accennate incertezze emerse in sede di conversione) sia da preferire questa seconda opzione, se non altro perché il maggior favore che il Decreto mostra verso l’impresa in senso obiettivo (ove necessario anche a parziale detrimento degli interessi del ceto creditorio, ove ne sia accertata la risanabilità) sembra esprimere una precisa volontà di superare l’approccio più titubante adottato sul punto dal Codice, riallacciandosi invece all’impostazione che era stata fatta propria dalla prima Commissione Rordorf e che, indubbiamente, risulta(va) assai più coerente con la trama logica e valoriale della Direttiva.
Su questo aspetto la Composizione è latrice di priorità specifiche e almeno in parte diverse da quelle generali accolte nel Codice; e sarà allora interessante capire se tali princìpi potranno avere, e fino a che punto, una vis expansiva anche nel nuovo Codice riformato in recepimento delle Direttiva.
6 . (Segue): la prospettiva (anche) macro-economica (e la necessaria coerenza con i princìpi euro-unitari del diritto della concorrenza e degli aiuti di Stato)
Nella logica della Composizione ben potrebbe accadere che, per un periodo transitorio ed entro limiti ben definiti, stabiliti da un giudice, per salvaguardare l’integrità dell’organizzazione aziendale (e per tutelare dunque i valori, anche immateriali, in essa incorporati) gli interessi dei creditori possano essere collocati (specie in un contesto come quello attuale) su un piano anche parzialmente recessivo rispetto a quello della tutela dell’im­presa in sé e della sua continuità in senso oggettivo. E tuttavia, per (altrettanto robuste) ragioni di coerenza con l’ordinamento euro-unitario, ciò non può avvenire in modo incongruo, in virtù di semplicistiche e indebite “generalizzazioni”.
E qui sta un’ulteriore, importante riflessione, che si riaggancia anche alle due precedenti. L’accentuarsi dei profili di conservazione dell’impresa in crisi porta infatti a rendere più evidente la tensione con i princìpi del diritto della concorrenza, che costituiscono uno dei pilastri dell’ordinamento unionale [73], acuendo in tal modo la problematicità intrinseca di tale relazione che, a mio avviso, può essere stemperata e risolta soltanto intervenendo “a monte”, vale a dire garantendo l’accesso a queste forme di protezione soltanto a chi davvero le “meriti”, secondo i dettàmi della competition on the merits. In altri termini, e tornando a uno dei punti in precedenza toccati, soltanto alle imprese che siano davvero risanabili [74].
Tale considerazione (oltre a dare ulteriore riprova, se mai ve ne fosse bisogno, della circolarità dei temi trattai e del ruolo cruciale rivestito da tale paradigma normativo), consente un breve (ma oggi quanto mai doveroso) excursus su come il diritto della crisi e dell’in­solvenza, se correttamente interpretato e applicato alla luce delle regole concorrenziali, di derivazione unionale, possa contribuire a incentivare la crescita e la ripresa economica.
Che (anche) le regole concorsuali possano svolgere un ruolo importante in questo senso non dovrebbe essere ormai dubitabile. È infatti largamente condiviso, a livello internazionale (ed euro-unitario), che una moderna legislazione sull’insol­venza possa contribuire significativamente alla crescita e allo sviluppo economico di un Paese e dei suoi mercati, favorendo la selezione delle imprese migliori (attraverso la fuoriuscita dal mercato di quelle incapaci di competere) e assicurando l’allocazione ottimale delle risorse produttive che, celermente smobilizzate, possono essere reimpiegate in modo più proficuo in nuove e diverse iniziative imprenditoriali [75].
D’altra parte, ho già avuto modo di ricordare che una moderna ricostruzione del diritto dell’insolvenza deve spaziare al di là della sola definizione dei rapporti debitori all’interno dell’impresa in crisi (secondo la tradizionale visuale “microeconomica”), per abbracciare (in un senso anche “macroeconomico”) la trama complessiva delle relazioni che si dipanano intorno all’impresa in difficoltà [76]. Questa nuova prospettiva, che vede nella progressiva “apertura al mercato” delle discipline dell’insolvenza uno dei suoi passaggi più significativi e qualificanti, è del resto alla base di molte delle innovazioni apportate negli ultimi 15-20 anni alle nostre discipline concorsuali [77], è stata accolta nell’impianto concettuale che caratterizza il nuovo Codice [78] e diventa oggi ancor più evidente e nitida nella composizione negoziata del Decreto Pagni, la cui ratio di fondo per come detto sta, almeno in thesi, non già nell’approntare un sostegno urbi et orbi, ma nel tutelare esclusivamente l’impresa che sia ritenuta “meritevole” di accedere a tale strumento di soluzione negoziale della crisi, in quanto valutata anche da un esperto indipendente come “effettivamente risanabile”.
In questo approccio più moderno e di più ampio respiro alle leggi sull’insol­venza i risultati delle procedure di gestione delle crisi d’impresa vengono misurati non solo in termini di soddisfazione dei creditori (ciò che resta, evidentemente, prioritario, nella singola fattispecie considerata), ma anche (in una prospettiva d’insieme che trascende la singola vicenda di crisi e guarda al fenomeno in senso più ampio e globale) in termini di efficienza allocativa, secondo una visione che è, appunto, d’interesse anche generale [79].
La Direttiva impone oggi, sul piano normativo, questa chiave interpretativa. 
Essa è infatti uno strumento rivolto innanzitutto a garantire il corretto funzionamento del mercato interno e il pieno dispiegarsi delle libertà fondamentali garantite dal TFUE in tutti i Paesi dell’Unione, come chiarisce in esordio il Considerando n. 1, e trova coerentemente la sua base giuridica negli articoli 53 e 114 del trattato; essa afferma altresì, ripetutamente e in modo esplicito, che lo sforzo di armonizzazione delle legislazioni nazionali in materia di insolvenza, pur non ancora pienamente compiuto, intende garantire non solo i creditori, ma l’impresa in sé e tutti i diversi portatori di interesse (shareholders ma anche stakeholders) che intorno all’impresa gravitano, proteggendo i valori, anche immateriali, che all’impresa in funzionamento sono correlati; e che questo corrisponde anche a un preminente interesse generale, all’efficiente funzionamento del mercato e dei meccanismi allocativi e competitivi che ne costituiscono la base[80]. 
Una tale ricostruzione delle discipline concorsuali all’interno della teoria dell’impresa [81] risulta peraltro coerente con i più recenti approdi normativi e dottrinari e può anzi osservarsi come la situazione odierna metta sotto gli occhi di tutti l’imprescindibilità di un tale quadro logico [82]. A maggior ragione nei periodi di recessione, infatti, l’interesse della collettività non si esaurisce nella sistemazione dei rapporti di dare e avere all’interno della singola impresa in crisi o insolvente, ma richiede anche l’individuazione di una risposta adeguata di tipo sistemico, in modo da temperare, per quanto possibile, le ricadute negative che una condizione di insolvenza generalizzata può determinare per il tessuto economico e sociale del Paese nel suo complesso. 
In quest’ottica, la composizione negoziata introdotta dal Decreto Pagni rappresenta una tappa (forse intermedia) di un percorso evolutivo già in atto, che conferma anche l’accresciuto rilievo che il diritto della crisi d’impresa assume a livello anche macro-economico, a maggior ragione in un contesto (come quello attuale) di crisi diffusa, quale volàno atto a favorire (e accelerare) lo sviluppo e il rilancio di un’economia in affanno.
7 . (Segue): buona fede, correttezza e solidarietà
Prima di concludere, vorrei riprendere il discorso che avevo iniziato a svolgere con riferimento alla possibile rinegoziazione dei contratti ex art. 10 Decreto, essendo questo un tema che merita di essere analizzato anche sotto altra angolatura.
Che tale attività di riconduzione ad equità delle prestazioni contrattuali in funzione della salvaguardia della continuità aziendale debba svolgersi sotto l’egida del principio di “buona fede” costituisce, a mio avviso, la prova del fatto che il Decreto rappresenti anche un’occasione, particolarmente importante in questi delicati frangenti storici, per il riconoscimento della solidarietà sociale quale valore costituzionale imprescindibile [83] e la riaffermazione della rilevanza del principio di correttezza e buona fede a livello non solo interpretativo, ma anche applicativo (artt. 1175, 1366, 1375, c.c.).
A tale riguardo, sarebbe forse riduttivo limitarsi a ricordare come sia il Decreto che il Codice facciano un analogo riferimento alla buona fede e alla “correttezza” come asse portante dei “doveri delle parti”, su entrambi i fronti (cfr. art. 4, 4° comma, Decreto e art. 4, 1° comma, del Codice [84]). Mi sembra però che la previsione dell’art. 10 del Decreto contribuisca anche a chiarire la vis expansiva dei precetti generali enucleati in chiave statica e astratta dall’art. 4 (del Codice e del Decreto), attribuendo loro concretezza e vitalità.
In questo senso va ricordato che l’attitudine della “buona fede” quale strumento per riequilibrare il sinallagma contrattuale non è certo una novità introdotta dall’art. 10 del Decreto [85]. Al contrario, il richiamo alla buona fede e alla correttezza in senso oggettivo sembra piuttosto rappresentare la conferma, a livello normativo, di un ragionamento interpretativo già svolto a più riprese dalla giurisprudenza. Più in particolare, sembra riecheggiare il pregevole sforzo ricostruttivo svolto (poco dopo il dilagare del contagio) dall’Ufficio del Massimario e del Ruolo della Corte di Cassazione, che ha poi trovato ampia eco applicativa anche nella giurisprudenza di merito. 
E infatti, muovendo proprio dal paradigma della business rescue e della continuità dell’impresa, in una prima relazione la Corte notava che “nel contesto dei contratti commerciali, che sono ancillari all’esercizio dell’impresa e ne supportano la continuità”, “[l]’emergenza non si tampona demolendo il contratto. Più che la liberazione del debitore-imprenditore dall’obbligazione, cruciali appaiono l’attenua­zione o il ridimensionamento di questa”. Ma de iure condito la parte fragile non ha diritto di ottenere l’equa rettifica delle condizioni contrattuali, né può pretendere che l’altro contraente accetti l’adempimento a condizioni diverse da quelle concordate” [86].
Un tale rilievo sembra aprire il passo verso la successiva affermazione, posta a chiusura di una seconda relazione della Corte, di poco successiva [87], in cui, pur partendo dal presupposto che “la tendenza espansiva del sindacato giudiziale sul regolamento contrattuale può dirsi […] in continua evoluzione”, si evidenziava l’esi­genza “di qualche indice normativo più specifico, soprattutto, in tema di tutela invocabile dalla parte lesa”, al fine di “sedare i timori della dottrina e fornire al giudice criteri più certi cui conformare la sua attività di controllo”.
Le due relazioni partono da presupposti diversi: la prima si volge espressamente al “diritto dell’emergenza”, mentre la seconda ha una portata più ampia, che travalica tale contesto; entrambe però sembrano originare da un medesimo precipitato logico, esito di un percorso interpretativo avviato, ma ancora da concludere e definire, anche sul piano squisitamente normativo.
Tutto ciò induce allora anche a chiedersi se le previsioni di cui all’art. 10 del Decreto, proprio in quanto costituiscono corollario concettuale e applicativo dei princìpi generali di buona fede e correttezza, espressione di un canone, anche costituzionale, di solidarietà sociale, non siano destinate a permanere, in qualche modo, anche dopo la pandemia.
E mi pare assai interessante, al riguardo, il tentativo svolto autorevolmente per accreditare questo risultato anche attraverso un diverso percorso logico-argomentativo, che valorizza la composizione negoziata quale momento e strumento per la costituzione di una “comunità” di interessi intorno alla vicenda di crisi, richiamando i doveri di solidarietà che la Costituzione impone all’interno della comunità sociale; doveri che potrebbero allora giocare un ruolo rilevante anche nella più piccola “comunità” che la crisi dell’impresa inevitabilmente crea e costituisce, in termini anche di relazioni e rapporti giuridici[88]. In questo senso la composizione, proprio per la sua spiccata “negozialità”, mediata in prima battuta dall’esperto (e ove necessario, in seconda battuta, dall’intervento protettivo o riequilibrativo dei rapporti affidato al giudice), consentirebbe di pervenire più agevolmente ad una soluzione di risanamento e salvataggio dell’impresa, in grado di distribuire gli oneri e i sacrifici a ciò necessari, in modo bilanciato, su tutte le parti in causa. 
A mio sommesso avviso, una tale proposta interpretativa sembrerebbe, a ben vedere, avvalorata oggi anche dalla Direttiva, che in modo assai chiaro, e a più riprese, si apre alla considerazione degli interessi “altri”, di rilievo sociale e generale, ossia di quell’ampia “comunità” di soggetti, che pur con diversa relazione e intensità, sono (tutti) incisi dalla vicenda di crisi dell’impresa; sicché credo che i tempi siano maturi per un’innovazione coraggiosa ed equilibrata in questa direzione anche nel Codice.
8 . Conclusioni
Confido che le considerazioni che precedono possano essere utili a dimostrare come il Decreto Pagni, pur gemmando dal diritto “dell’emergenza”, rappresenti in realtà il primo caposaldo della tanto attesa opera di ripartenza e ricostruzione economica e sociale, che è necessariamente anche di carattere anche normativo; e che la composizione negoziata segni, in questo senso, una tappa di fondamentale importanza per la costruzione del diritto della crisi armonizzato alle esigenze unionali.
Se, come credo, la composizione negoziata non sarà soltanto uno dei tanti altri strumenti transitori ideati dal legislatore emergenziale al fine di ridare ossigeno al tessuto economico nazionale, è allora il caso di osservare che essa incarna – ed esprime, sul piano normativo – scelte “valoriali” proprie e peculiari (e in parte diverse da quelle codicistiche), che risultano già pienamente armonizzate a quelle richieste dalla Direttiva. 
Tali princìpi e scelte valoriali potrebbero allora anticipare almeno alcune delle linee evolutive dell’impianto concettuale cui anche il Codice della crisi dovrà necessariamente conformarsi, in ossequio ai princìpi e alle previsioni della Direttiva.
Sarà allora da verificare se i princìpi propri della composizione negoziata risulteranno coordinati e si innesteranno armonicamente nella trama valoriale dei princìpi generali del Codice riformato; a fortiori se (come sembrerebbe mentre si scrive) questa diventasse – con qualche adattamento, ma senza particolari stravolgimenti – parte integrante e sostanziale del nuovo Codice, per come modificato e integrato in recepimento della Direttiva.

Note:

[1] 
Per una disamina di dettaglio sull’articolato cfr. il corposo contributo di L. Panzani, Il D.L. “Pagni” ovvero la lezione (positiva) del covid, in Dir. crisi, 25 agosto 2021. Fra i commenti di sistema si segnalano in particolare, senza pretesa di completezza, quelli di S. Ambrosini, La nuova composizione negoziata della crisi: caratteri e presupposti, in Ristr. Az., 23 agosto 2021; Id., La “miniriforma” del 2021: rinvio (parziale del CCI, composizione negoziata e concordato semplificato, in Riv. dir. fall., 2021, p. 901 ss.; Id., Il (doppio) rinvio del CCI: quando si scrive “differimento” e si legge “ripensamento”, in Ristr. Az., 22 settembre 2021; M. Fabiani, La proposta della Commissione Pagni all’esame del Governo: valori, obiettivi, strumenti, in Dir. crisi, 2 agosto 2021; A. Farolfi, Le novità del D.L. 118/2021: considerazioni sparse “a prima lettura” in Dir. crisi, 6 settembre 2021; G. Fauceglia, Qualche riflessione, “in solitudine”, sulla composizione negoziata per la soluzione della crisi d’impresa, in Ristr. Az., 12 dicembre 2021; R. Guidotti, La composizione negoziata e la direttiva Insolvency: prime note, in Dir. crisi, 2 febbraio 2022; A. Jorio, Alcune riflessioni sulle misure urgenti: un forte vento di maestrale soffia sulla riforma!, in Dir. crisi, 1 ottobre 2021; S. Leuzzi, Una rapida lettura dello schema di D.L. recante misure urgenti in materia di crisi d’impresa e risanamento aziendale, in Dir. crisi, 5 agosto 2021; Id, Allerta e composizione negoziata nel sistema concorsuale ridisegnato dal D.L. n. 118 del 2021, in Dir. crisi, 28 settembre 2021; S. Pacchi, Le misure urgenti in materia di crisi d’impresa e di risanamento aziendale (ovvero: i cambi di cultura sono sempre difficili), in Ristr. Az., 9 agosto 2021; Id, L’allerta tra la reticenza dell’imprenditore e l’opportunismo del creditore. Dal codice della crisi alla composizione negoziata, in Ristr. az., 14 marzo 2022; L. Panzani, La composizione negoziata alla luce della Direttiva Insolvency, in Ristr. Az., 1 febbraio 2022; M. Perrino, Disciplina italiana dell’allerta e Direttiva Insolvency: un’agenda per il legislatore, in Dir. crisi, 31 agosto 2021; R. Ranalli, Dall’allerta alla composizione negoziata. Flessibilità, semplificazione e trasparenza del nuovo strumento, in Dir. crisi, 24 febbraio 2022; A. Rossi, I presupposti della CNC, tra debiti dell’imprenditore e risanamento dell’impresa, in Dir. crisi, 30 novembre 2021; F. Santangeli, Il D.L. 118/2021. Spunti per la conversione, in Dir. crisi, 21 settembre 2021. Questi Autori (chi più, chi meno e con diverse sfumature) hanno salutato con favore le misure varate dal Decreto; di segno contrario, invece, D. Galletti, è arrivato il venticello della controriforma? Così è, se vi pare, in Fallimentarista, 27 luglio 2021; Id., Breve storia di una controriforma “annunciata”, in Fallimentarista, 1 settembre 2021; e F. Lamanna, Nuove misure sulla crisi d’impresa del d.l. 118/2021: Penelope disfa il codice della crisi recitando il “de profundis” per il sistema dell’allerta, in Fallimentarista, 25 agosto 2021, che viceversa le considerano un “tradimento” delle ambizioni del Codice. Fra i contributi dedicati al primo approfondimento di profili specifici si segnalano N. Abriani - G. Scognamiglio, Crisi dei gruppi e composizione negoziata, in Dir. crisi, 23 dicembre 2021; S. bonfatti, Profili della composizione negoziata della crisi d’impresa. Natura giuridica, presupposti e valutazioni comparative, in Dir. crisi, 3 febbraio 2022; Id, Profili della composizione negoziata della crisi d’impresa – Gestione dell’impresa;Rinegoziazione dei contratti e cessione dell’azienda; Composizione negoziata della crisi” di gruppo”, Esito della procedura: il “contratto biennale” e la Convenzione di moratoria”, in Dir. crisi, 22 febbraio 2022; Id, Profili della composizione negoziata della crisi d’impresa - Esito della procedura: il “contratto biennale” e la Convenzione di moratoria”, in Dir. crisi, 1 marzo 2022; M. Ciabattoni, Decreto legge 24 agosto 2021 n. 118: le condizioni di accesso alla composizione negoziata della crisi e il ruolo dell’organo di controllo, in Il Caso, 5 ottobre 2021; A. Didone, Appunti su misure protettive e cautelari nel d.l. 118/2021, in Ristr. az., 17 novembre 2021; F. Di Marzio, Crisi, contratti e ristrutturazione, in Dir. crisi, 19 novembre 2021; R. Guidotti, La crisi d’impresa nell’era Draghi: la composizione negoziata e il concordato semplificato, in Ristr. Az., 8 settembre 2021; G. Fichera, Sul nuovo concordato semplificato: ovvero tutto il potere ai giudici, in Dir. crisi, 11 novembre 2021; A. Jorio, Composizione negoziata e pubblico ministero, in Dir. crisi, 22 dicembre 2021; S. Leuzzi, Analisi differenziale fra concordati: concordato semplificato vs ordinario, in Dir. crisi, 9 novembre 2021; A. Mancini, Le “imprese sotto soglia” nel D.L. 118/2021: interazioni con il sovraindebitamento”, in Il Caso, 1 settembre 2021; L. Panzani, La composizione negoziata della crisi: il ruolo del giudice, in Dir. crisi, 4 febbraio 2022; P. Riva, Ruolo e funzioni dell’esperto “facilitatore”, in Ristr. Az., 30 settembre 2021; V. Zanichelli, Gli esiti possibili della composizione negoziata, in Dir. crisi, 26 ottobre 2021. Una menzione a parte merita, per il ruolo avuto dagli Autori nella redazione materiale del Decreto, l’analisi di I. Pagni - M. Fabiani, La transizione dal codice della crisi alla composizione negoziata (e viceversa), in Dir. crisi, 2 novembre 2021.
[2] 
Fra i tanti che hanno ragionato intorno a tale dimensione, con varietà di sfumature v., per tutti, N. Abriani-G.C. Caselli-A. Celotto- F. Di Marzio-S. Masini-G. Tremonti, Il diritto e l’eccezione. Stress economico e rispetto delle norme in tempi di emergenza, Roma, 2020 (e ivi, in particolare, il contributo di N. Abriani, Il diritto delle imprese tra emergenza e rilancio nella sostenibilità); M. Cossu, Il diritto e l’incertezza. La legislazione d’impresa al tempo della pandemia, in Riv. dir. fall., 2020, p. 1221 ss.; G. Fauceglia, La legislazione in tempo di pandemia e la metamorfosi del diritto della crisi, in Giur. comm., 2021, I, p. 431 ss.; S. Pacchi-S. Ambrosini (a cura di), Crisi d’impresa ed emergenza sanitaria, Bologna, 2020; S. Pacchi, L’impatto del virus Corona-19 sul diritto della crisi, in S. Pacchi-A. Pisaneschi, (a cura di), Finanziamenti e diritto della crisi nell’emergenza, Torino, 2020, p. 137 ss.; L. Stanghellini, La legislazione d’emergenza in materia di crisi d’impresa, in Riv. soc., 2-3/2020, p. 353 ss., nonché l’opera collettanea Dalla crisi all’emergenza: strumenti e proposte anti-Covid al servizio della continuità d’impresa, Mantova, 2020 (con Introduzione a cura di M. Fabiani).
[3] 
Queste osservazioni sono state espresse e meglio argomentate in La “composizione negoziata” nella prospettiva del recepimento della direttiva “Insolvency”. Prime riflessioni, in Ristr. Az., 17 ottobre 2021. Analoga impressione poteva ritrovarsi mi pare, almeno tra le righe, anche in I. Pagni - M. Fabiani, La transizione dal codice della crisi alla composizione negoziata (e viceversa), in Dir. crisi, cit. e in L. Panzani, La composizione negoziata alla luce della Direttiva Insolvency, cit. e più esplicitamente, invece (benché in forma ottativa), in M. Fabiani, Il valore della solidarietà nell’approccio e nella gestione delle crisi d’impresa, in Fall., n. 1/2022, p. 5 ss.. 
[4] 
Cfr. S. Pacchi, Le misure urgenti in materia di crisi d’impresa e di risanamento aziendale (ovvero: i cambi di cultura sono sempre difficili), cit., p. 1.
[5] 
Sulla ripresa economica registrata nel 2021 cfr., ad es., Istat, Le prospettive per l’economia italiana nel 2021-2022, 4/6/2021; International Monetary Fund, World Economic Outlook, Update July 2021; Commissione Europea, Summer 2021 Economic Forecast: Reopening fuels recovery, 7 luglio 2021. E tuttavia, come a tutti noto, le tristi vicende della guerra in Ucraina (e di guerra invero a tutti gli effetti si tratta) hanno nuovamente mutato lo scenario, modificando in pejus tutte le previsioni di ripresa legate alla progressiva attenuazione del pericolo pandemico.
[6] 
Per maggiori informazioni al riguardo si rinvia a quanto illustrato in Insolvenza e mercato. Itinerari per la modernizzazione delle discipline sulla crisi d’impresa, Napoli, 2018 (in partic. p. 236 ss.). 
[7] 
Per un’analisi dell’impianto concettuale su cui si fonda la Direttiva n. 2019/1023 si rinvia, tra i tanti, a A. Nigro, La proposta di direttiva comunitaria in materia di disciplina della crisi delle imprese, in Riv. dir. comm., 2017, II, p. 201 ss.; L. Stanghellini, La proposta di Direttiva UE in materia di insolvenza, in Fallimento, n. 8-9/2017, p. 875 ss.; L. Stanghellini-R. Mokal-C.G. Paulus-I. Tirado, Best Practices in European Restructuring Contractualised Distress Resolution in the Shadow of the Law, Milano, 2018; P. Vella, La prima direttiva europea su ristrutturazione e insolvenza, in Foro it., 2019, V, c. 423 ss. e Id., I quadri di ristrutturazione preventiva nella direttiva UE 2019/1023 e nel diritto nazionale, in Fallimento, 2020, p. 1033 ss. Sul recepimento della direttiva in altri Paesi europei cfr., da ultimo, C.G. Paulus – R. Van Galen, L’attuazione della direttiva Insolvency nell’esperienza di Paesi Bassi e Germania, in Dir. crisi, 14 febbraio 2022. 
[8] 
Il tema era stato al centro delle riflessioni della più attenta dottrina fin dalle prime settimane successive al dilagare del contagio. Cfr. per tutti N. Abriani-G. Palomba, Strumenti e procedure di allerta: una sfida culturale (con una postilla sul Codice della crisi dopo la pandemia da Coronavirus), in Diritto ed economia delle crisi aziendali, Rimini, 2020, p. 33 ss..
[9] 
La Relazione dichiara infatti che l’esigenza di tutela delle imprese non è attualmente perseguibile né attraverso lo strumentario del Codice della crisi e dell’insolvenza, data “la natura fortemente innovativa e la complessità dei meccanismi previsti dal Codice della crisi e dell’insolvenza” (che pur vanta “istituti per l’emersione precoce della crisi […] e strumenti di soluzione negoziata”), né attraverso la (a più riprese novellata) legge fallimentare, “pensata e strutturata in relazione ad una situazione economica e industriale del tutto diversa dall’attuale” e sostanzialmente priva di “strumenti che incentivano l’emersione anticipata della crisi”.
[10] 
Su questi argomenti, anche per non ripetere cose già dette, sia consentito il rinvio a Il (necessario) ripensamento delle procedure concorsuali dopo il “lockdown”: dal concetto di “insolvenza” a quello di “risanabilità”?, in Riv. dir. fall., 2020, p. 965 ss. Questi temi sono stati autorevolmente ripresi e sviluppati ad es. da M. Fabiani-I. Pagni-R. Ranalli-L. Stanghellini, Come prepararsi all’urto delle crisi aziendali, in La Voce, 15 febbraio 2021.
[11] 
In questi termini v. anche il secondo Considerato del decreto della Ministra della Giustizia del 22 aprile 2021, istitutivo della “Commissione Pagni”. Sullo stretto legame fra la Direttiva Insolvency, la nuova Composizione negoziata e l’ulteriore rinvio dell’entrata in vigore del Codice si segnalano le (autorevoli) riflessioni di I. Pagni-M. Fabiani, La transizione dal codice della crisi alla composizione negoziata (e viceversa), cit., pp. 3-4, i quali riferiscono che la prima esigenza avvertita dalla Commissione è stata quella di disporre il rinvio dell’entrata in vigore del Codice, anche per “capire se l’evoluzione che nel frattempo si era avuta anche nel contesto europeo (non dimentichiamo che i lavori della Commissione Rordorf erano iniziati nel 2015) richiedesse interventi più o meno profondi sull’ordito normativo. La scelta venuta immediatamente a valle di quella del rinvio è stata, allora, indirizzata alla ricerca di uno strumento compensativo che fornisse intanto all’imprenditore un percorso, guidato e protetto, sostitutivo non dell’allerta ma della composizione assistita del codice della crisi”. Peraltro, gli stessi Autori precisano poi che la composizione negoziata è “un istituto in linea con la Direttiva Insolvency, ma non è lo strumento col quale la Commissione ha voluto dare attuazione alla Direttiva, come pure qualcuno ha immaginato” (cfr. ivi, in partic. p. 4).
[12] 
Così, ancora, il decreto della Ministra Cartabia del 22 aprile 2021.
[13] 
Ieri, impedire la “desertificazione del tessuto industriale” (sono le parole di S. Ambrosini, La “falsa partenza” del Codice della crisi, le novità del decreto liquidità e il tema dell’insolvenza incolpevole, in Il Caso, 21 aprile 2020, p. 8); oggi, favorire un’ordinata e duratura ripresa economica.
[14] 
Intendendosi per tale quella condizione di illiquidità dilagante e trasversale provocata da uno shock esogeno che investe simultaneamente più settori e mercati.
[15] 
In argomento, anche per una ricostruzione delle posizioni espresse in dottrina, v. S. Pacchi-S. Ambrosini (a cura di), Crisi d’impresa ed emergenza sanitaria, cit., nonché il volume collettaneo Dalla crisi all’emergenza: strumenti e proposte anti-Covid al servizio della continuità d’impresa, cit. Sia consentito anche un rinvio al mio Il rischio di “insolvenza diffusa”. Spunti di riflessione per la “fase 2” (e una proposta operativa), in Il Caso, 4 maggio 2020.
[16] 
La Relazione è chiara in tal senso, specificando che “Il Capo I del presente schema interviene nella attuale situazione di generalizzata crisi economica causata dalla pandemia da SARS-CoV-2 per fornire alle imprese in difficoltà nuovi strumenti per prevenire l’insorgenza di situazioni di crisi o per affrontare e risolvere tutte quelle situazioni di squilibrio economico-patrimoniale che, pur rivelando l’esistenza di una crisi o di uno stato di insolvenza, appaiono reversibili”.
[17] 
Su tale concetto cfr. in particolare G. Brancadoro, Società di capitali e crisi sistemiche, Torino, 2019.
[18] 
Questa è, del resto, la ratio del diverso trattamento riservato alla regolazione delle crisi degli intermediari bancari e finanziari (per maggiori dettagli sul punto sia consentito il rinvio a Interesse pubblico, concorrenza e concorsualità nella disciplina delle crisi bancarie, in Riv. dir. comm., 2021, II, p. 119 ss.); sulla necessità di adottare una disciplina normativa, anche concorsuale, capace di contrastare efficacemente le crisi “sistemiche” v. anche G. Brancadoro, Società di capitali e crisi sistemiche, cit., passim (e in partic. p. 85 ss.).
[19] 
V. sul punto, ad es., L. Panzani, Il D.L. “Pagni” ovvero la lezione (positiva) del covid, cit., e I. Pagni-M. Fabiani, La transizione dal codice della crisi alla composizione negoziata (e viceversa), cit.
[20] 
Come è stato autorevolmente osservato, si tratta di uno dei “punti nodali del passaggio, tuttora in corso, dalla legge fallimentare al codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza”, riformato e integrato alla luce della Direttiva (così A. Maffei Alberti, Prefazione al volume collettaneo Le soluzioni negoziate della crisi d’impresa, a cura di S. Ambrosini, Torino, 2021, p. XV; si vedano sul punto, per maggiori riferimenti, i saggi ivi raccolti e, in particolare, quelli di S. Ambrosini, Concordato preventivo: interessi protetti, soddisfacimento dei creditori e continuità aziendale tra vecchia e nuova disciplina, p. 1 ss. e S. Pacchi, Il piano di risanamento tra disciplina in vigore, prossimo Codice e presente pandemico, p. 295 ss.). Per altro verso, e con più specifico riferimento a quei profili definiti di “neo-dirigismo” all’interno del Codice della crisi, di segno contrario rispetto a quanto proposto dalla Commissione Rordorf (in particolare quanto al concordato preventivo), si vedano anche S. Ambrosini, Criterio di prevalenza, fattibilità economica, ipertutela dei privilegiati, silenzio-diniego: quattro “tabù” da sfatare nel concordato preventivo che verrà, in Ristr. Az., 7 marzo 2022; A. Jorio, Qualche ulteriore considerazione sul d.l. 118/2021, e ora sulla legge 21 ottobre 2021, n. 147, in Ristr. Az., 1 dicembre 2021; R. Rordorf, Il tormentato iter della riforma del diritto concorsuale, in Questione giustizia, n. 3/2021 e, in una luce ancor più ampia, I. Pagni, Crisi d’impresa e crisi del contratto al tempo dell’emergenza sanitaria, tra autonomia negoziale e intervento del giudice, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2021, p. 349 ss..
[21] 
Così S. Pacchi, L’allerta tra la reticenza dell’imprenditore e l’opportunismo del creditore. Dal codice della crisi alla composizione negoziata, cit., p. 45.
[22] 
Lo afferma, assai chiaramente, ad es. S. Leuzzi, Allerta e composizione negoziata nel sistema concorsuale ridisegnato dal D.L. n. 118 del 2021, cit. p. 2 ss..
[23] 
Cfr., in luogo di altri, S. De Matteis, L’emersione anticipata della crisi d’impresa, Milano, 2017 che, sulla base delle fonti europee, afferma anche – a mio avviso condivisibilmente – che la vicenda di crisi di un’impresa non è fatto a rilievo esclusivamente privatistico, giacché il disfacimento e la disgregazione di un’organizzazione produttiva non è fatto socialmente asettico, sia per la comunità degli interessi che intorno all’impresa gravita, che per il mercato e l’economia in generale; e che pertanto le procedure di regolazione della crisi d’impresa nelle fonti euro-unitarie sono connotate anche da funzioni “pubblicistiche”, di protezione, cioè, anche di questi interessi di rilievo generale (v. in partic. p. 56 ss.). 
[24] 
Per una ricostruzione aggiornata cfr., in luogo di altri, S. Ambrosini, Diritto dell’impresa in crisi. Crisi e insolvenza, early warning e assetti adeguati, soluzioni negoziate e responsabilità degli amministratori, Pisa, 2022.
[25] 
Il riferimento è, in primis, all’art. 2086, 2° comma, c.c., sul quale si tornerà a più riprese infra in ragione dei suoi (plurimi) addentellati con gli argomenti che ci si accinge a trattare. Fra i numerosi contributi in argomento si rinvia, fin da subito, a N. Abriani-A. Rossi, Nuova disciplina della crisi d’impresa e modificazioni del codice civile: prime letture, in Società, 4/2019, p. 393 ss. (che correttamente rilevano come “il dovere di reagire tempestivamente ad una situazione di crisi” sia, in realtà, “già immanent[e] al sistema”); S. Ambrosini, L’adeguatezza degli assetti organizzativi, amministrativi e contabili e il rapporto con le misure di allerta nel quadro normativo riformato, in Il Caso, 15 ottobre 2019; V. Calandra Buonaura, Amministratori e gestione dell’impresa nel Codice della crisi, in Giur. comm., 1/2020, p. 5 ss.; S. Fortunato, Codice della crisi e Codice civile: impresa, assetti organizzativi e responsabilità, in Riv. soc., 5/2019, p. 952 ss.; M. Libertini, Principio di adeguatezza organizzativa e disciplina dell’orga­nizzazione delle società a controllo pubblico, in Giur. comm., 2021, I, p. 5 ss.; P. Montalenti, Gestione dell’impresa, assetti organizzativi e procedure di allerta, in AA.VV., La Nuova disciplina delle procedure concorsuale. In ricordo di Michele Sandulli, Torino, 2019; M. Onza, Gli “adeguati assetti” organizzativi: tra impresa, azienda e società (appunti per uno studio), in Ristr. Az., 11 ottobre 2021; E. Ricciardiello, Sustainability and going concern, in Ristr. Az., 13 ottobre 2021; M.S. Spolidoro, Note critiche sulla ‘gestione di impresa’ nel nuovo art. 2086 c.c. (con una postilla sul ruolo dei soci), in Riv. soc., 2/2019, p. 253 ss.
[26] 
Così L. Panzani, Il D.L. “Pagni” ovvero la lezione (positiva) del covid, cit., p. 10.
[27] 
Lo riconosce, mi pare, anche S. Pacchi, L’allerta tra la reticenza dell’imprenditore e l’opportunismo del creditore. Dal codice della crisi alla composizione negoziata, cit., p. 47.
[28] 
Su tutti cfr. S. Ambrosini, Il (doppio) rinvio del CCI: quando si scrive “differimento” e si legge “ripensamento”, cit.; S. Pacchi, Le misure urgenti in materia di crisi d’impresa e di risanamento aziendale (ovvero: i cambi di cultura sono sempre difficili), cit.; L. Panzani, Il D.L. “Pagni” ovvero la lezione (positiva) del covid, cit., in partic. pp. 1-3, cui adde ora I. Pagni-M. Fabiani, La transizione dal codice della crisi alla composizione negoziata (e viceversa), cit., in partic. p. 6 ss.
[29] 
Come si accennava, la definizione del concetto di “probabilità di insolvenza” è rimessa al legislatore nazionale; sull’opportunità di tradurre tale concetto in termini di mera “possibilità di insolvenza”, al fine di favorire l’emersione precoce (o precocissima) della crisi v. ad es. P. Montalenti, Il Codice della Crisi d’impresa e dell’insolvenza: assetti adeguati, rilevazione della crisi, procedure di allerta, nel quadro generale della riforma, in Giur. comm., 2020, I, p. 842 ss. e (con diversa sfumatura e accento posto sulla centralità della continuità aziendale) S. Fortunato, Insolvenza, crisi e continuità aziendale nella riforma delle procedure concorsuali: ovvero la commedia degli equivoci, in Riv. dir. fall., 2021, p. 3 ss.. Sul rapporto fra Decreto, allerta codicistica e previsioni della Direttiva v. anche M. Perrino, Disciplina italiana dell’allerta e Direttiva Insolvency: un’agenda per il legislatore, cit., in partic. pp. 1-5.
[30] 
Evidenziate ad es. da G. Fauceglia, La legislazione in tempo di pandemia e la metamorfosi del diritto della crisi, cit., anche con riferimento alle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 147/2020 alla definizione di crisi di cui all’art. 2, 1° comma, lett. a), del Codice.
[31] 
Cfr. sul punto E.R. Desana, Le procedure di allerta (e cenni al loro probabile tramonto), in S. Ambrosini (a cura di), Le crisi d’impresa e del consumatore dopo il d.l. 118/2021. Liber amicorum per Alberto Jorio, Bologna, 2021, p. 45 ss., secondo la quale il Decreto Pagni sancirebbe anche il definitivo superamento delle previsioni del Codice in materia di composizione assistita della crisi.
[32] 
Così L. Stanghellini, La proposta di Direttiva UE in materia di insolvenza, cit., p. 875: “lo scopo della direttiva è, evidentemente, quello di aumentare l’autoconsapevolezza del debitore, facendo leva sugli strumenti c.d. di allerta interna e di assistenza al debitore. Essa non ha invece lo scopo di forzare la mano al debitore rivelando la sua crisi anche a terzi, come è invece l’impostazione del DDL AS 2681”. In argomento cfr. più recentemente L. Panzani, Il preventive restructuring framework nella Direttiva 2019/1023 del 20 giugno 2019 ed il codice della crisi. Assonanze e dissonanze, in Il Caso, 14 ottobre 2019; in linea, mi pare, anche A. Jorio, Alcune riflessioni sulle misure urgenti: un forte vento di maestrale soffia sulla riforma!, cit. (in partic. p. 5 ss.).
[33] 
V. ora, nello stesso senso, autorevolmente, I. Pagni-M. Fabiani, La transizione dal codice della crisi alla composizione negoziata (e viceversa), cit., p. 18 ss. e N. Abriani, Concordato preventivo e ristrutturazione dell’impresa dopo il D.L. n. 118/2021: Que reste-t-il?, in Dir. crisi, 16 febbraio 2022 (ma uno spunto, in termini più generali, sulla centralità di tale concetto nel nuovo diritto della crisi e dell’insolvenza è anche in A. Maffei Alberti, Prefazione, cit., p. XV).
[34] 
Il termine è usato qui in senso volutamente atecnico; per la tesi che la composizione negoziata non sia, infatti, in senso proprio, una procedura concorsuale v. S. Ambrosini, La nuova composizione negoziata della crisi: caratteri e presupposti, cit., in partic. p. 11 ss. e ora, quasi a mo’ di “interpretazione autentica”, I. Pagni-M. Fabiani, La transizione dal codice della crisi alla composizione negoziata (e viceversa), cit., p. 9.
[35] 
Oltre ai lavori citati nelle note precedenti, sia permesso il rinvio sul punto a Disciplina delle crisi e diritto della concorrenza, in Riv. dir. comm., 2019, I, p. 299 ss.; (ma v. ora anche E. Ricciardiello, Sustainability and going concern, cit., in partic. p. 9 ss.).
[36] 
In argomento si vedano, tra i tanti, M. Pellegrini, Piani di risanamento e misure di early intervention, in V. Troiano-G. M. Uda (a cura di), La gestione delle crisi bancarie, Milano, 2018, p. 203 ss. e, più di recente, S. Bonfatti, La disciplina delle situazioni di “crisi” degli intermediari finanziari, Milano, 2021.
[37] 
Su questo tema (su cui v. anche infra nel testo) cfr. ora, per tutti, M. Libertini, Crisi d’impresa e diritto della concorrenza, in Merc., conc., reg., 1/2021, p. 9 ss. (cui adde, da ultimo, il mio Insolvency, Competition, and the Theory of the Firm, in European Business Law Review 32, 4/2021, p. 743 ss.).
[38] 
Sul punto, per più ampi tratti e per la giustificazione in termini giuridici del ragionamento (che qui per brevità si omette), si rinvia a Le procedure concorsuali dopo il “lockdown”: dal concetto di “insolvenza” a quello di “risanabilità”, in Crisi d’impresa ed emergenza sanitaria, cit., p. 595 ss., e, per altro verso (vale a dire, nell’ottica delle ricapitalizzazioni pubbliche emergenziali ex art. 27 Decreto Rilancio), in Il “nuovo” azionariato di Stato. Lineamenti delle ricapitalizzazioni emergenziali, cit.
[39] 
Per ulteriori riferimenti sul punto, in particolare nell’ordinamento nordamericano e in quello europeo, mi permetto di rinviare a Insolvenza e mercato. Itinerari per la modernizzazione delle discipline sulla crisi d’impresa, cit., (ma vedi anche infra, testo e note del par. 6). 
[40] 
Sull’importanza del ruolo attribuito agli organi di controllo ai fini dell’emersione precoce della crisi v., tra gli altri, C. Bauco, Il d.l. n. 118/2021. Misure urgenti in materia di crisi di impresa e di risanamento aziendale. Il ruolo dell’organo di controllo, in Dir. crisi, 9 marzo 2022; S. Pacchi, L’allerta tra la reticenza dell’imprenditore e l’opportunismo del creditore. Dal codice della crisi alla composizione negoziata, cit., p. 48 ss. e, prim’ancora, N. Abriani – N. Cavalluzzo, Il collegio sindacale deve segnalare condizioni di squilibrio, in IlSole24Ore, 6 agosto 2021, p. 29. La legge 23 dicembre 2021, n. 233 (e lo schema di decreto legislativo in circolazione) inseriscono anche l’impulso di alcuni “creditori qualificati”, che dovrebbero contribuire – quale “allerta esterna” – ad innescare la risposta degli organi societari verso l’apertura della composizione, ma senza gli esiti stabiliti dal Codice (sul punto, per maggiori dettagli, si rinvia allo studio di S. Pacchi, L’allerta tra la reticenza dell’imprenditore e l’opportunismo del creditore. Dal codice della crisi alla composizione negoziata, cit., in partic. p. 53 ss., che evidenzia, anche quanto a tale “allerta esterna”, la rilevanza degli organi interni di controllo). 
[41] 
Mi pare che la soluzione adottata nel Decreto riesca anche a superare le perplessità “procedimentali” espresse da G. Fauceglia, La legislazione in tempo di pandemia e la metamorfosi del diritto della crisi, cit., al quale (appunto, prima del Decreto) non sembrava possibile “pervenire ad un giudizio di “risanabilità” dell’impresa, che possa svilupparsi esclusivamente nell’ottica del procedimento giudiziario connesso all’accertamento dello stato di insolvenza, in assenza di una domanda dell’impresa finalizzata all’accesso delle procedure negoziali di risoluzione della crisi”.
[42] 
Sono le parole utilizzate da A. Maffei Alberti, Prefazione, cit., p. XV.
[43] 
Cfr. ad es. considerando 87, ai sensi del quale “gli Stati membri dovrebbero inoltre provvedere affinché i professionisti nel campo della ristrutturazione, dell’insolvenza e dell’esdebitazione, nominati dall’autorità giudiziaria o amministrativa («professionisti»), siano adeguatamente formati; siano nominati in modo trasparente tenendo debitamente conto della necessità di garantire l’efficacia delle procedure; siano sottoposti a vigilanza nell’esercizio dei loro compiti; e svolgano i loro compiti con integrità. È importate che i professionisti si conformino agli standard per tali loro funzioni, come ad esempio provvedere alla assicurazione per responsabilità professionale. I professionisti potrebbero acquisire un livello adeguato di formazione, qualifiche e competenze anche durante l’esercizio della loro professione. Gli Stati membri non dovrebbero essere tenuti a fornire la necessaria formazione, che potrebbe invece essere impartita, ad esempio, da associazioni professionali o altri organismi. I professionisti delle procedure di insolvenza ai sensi del regolamento (UE) 2015/848 dovrebbero essere inclusi nell’ambito di applicazione della presente direttiva.”.
[44] 
È ampiamente condivisa l’opinione secondo la quale “l’esperto è la chiave di volta del funzionamento della composizione negoziata”, per cui “il successo o l’insuccesso del nuovo strumento pass[a]no attraverso la figura dell’esperto”: così I. Pagni-M. Fabiani, La transizione dal codice della crisi alla composizione negoziata (e viceversa), cit., p. 32.
[45] 
Le disposizioni attuative sono state adottate con decreto dirigenziale del 28 settembre 2021.
[46] 
A tal riguardo si consideri, a maggior ragione, la “dichiarazione avente valore di autocertificazione” di cui all’art. 7, 2° comma, lett. e), attestante, “sulla base di criteri di ragionevolezza e proporzionalità, che l’impresa può essere risanata”. Non si vuol dire che l’autodiagnosi fornita dall’imprenditore non sia necessaria (essendo questa l’unica strada, quantomeno in sede di istanza, per assolvere all’esigenza di avviare celermente la composizione); quel che si intende evidenziare è che l’autodiagnosi non è affatto sufficiente, in quanto le prospettive di risanabilità devono essere vagliate sulla base di tutte le informazioni che, nel caso concreto, è possibile reperire, anche aliunde (in primis i dati in possesso dei creditori). Sull’importanza di una corretta trasparenza informativa, anche endosocietaria, in particolare di fronte all’approssimarsi di una situazione di crisi si veda, con specifico riferimento alla composizione e al ruolo dell’esperto, S. Leuzzi, Allerta e composizione negoziata nel sistema concorsuale ridisegnato dal D.L. n. 118 del 2021, cit. e, in termini più generali, in luogo di altri, A. Paciello – G. Guizzi (a cura di), Crisi dell’impresa e ruolo dell’informazione, Milano, 2016 (e ivi, in particolare, si vedano i saggi di A. Nigro, Crisi dell’impresa e ruolo dell’informazione, p. 3 ss. e di N. Abriani, Corporate governance e doveri di informazione nella crisi dell’impresa, p. 253 ss.). 
[47] 
Ho sviluppato questi concetti in particolare in Insolvency, Competition, Economic Growth (and Recovery), in Federalismi, n. 16/2020, p. 249 ss. (cui per brevità si fa rinvio); sul nesso tra selezione delle imprese meritevoli di salvataggio, diritto della concorrenza e tutela dell’efficienza dei mercati v. anche, autorevolmente, M. Libertini, Crisi d’impresa e diritto della concorrenza, cit., p. 9 ss. (nonché testo e note del par. 6). 
[48] 
Per maggiori approfondimenti, anche argomentativi, si rinvia sul punto a Insolvenza e mercato, cit., p. 278 ss. e a Disciplina delle crisi e diritto della concorrenza, cit., (in partic. p. 372 ss.);
[49] 
Cfr. M. Fabiani, Imprese in crisi e complessità degli interessi tutelabili, in Dir. crisi, 27 agosto 2021; v. pure G. Scognamiglio, Le trasformazioni del diritto fallimentare, in F. Amatori-M. D’Alberti (a cura di), L’impresa italiana. Il contesto, Roma, 2020, p. 565 ss. (in partic. 572-573); F. Di Marzio, Fallimento. Storia di un’idea, Milano, 2018 (v. in partic. p. 32). Sull’oggettivizzazione dell’impresa nel diritto commerciale in senso più generale v. invece, da ultimo, M. Libertini, Principio di adeguatezza organizzativa e disciplina dell’organizzazione delle società a controllo pubblico, cit., p. 6 ss. e Id, La nuova disciplina delle società, in F. Amatori-M. D’Alberti (a cura di), L’impresa italiana. Il contesto, cit., in partic. p. 232, che richiama la teoria dell’impresa societaria come “nexus of contracts”, ossia come “una rete di rapporti contrattuali, che interessano non solo gli shareholders fra loro (in quanto investitori portatori di interessi differenziati), ma anche i rapporti fra amministratori e azionisti e, più in generale, i rapporti con i diversi stakeholders implicati, con parte delle loro risorse, nell’attività dell’impresa: dipendenti, fornitori, clienti, enti territoriali interessati e così via” (in argomento si veda anche, pur con diverse sfumature, U. Tombari, “Potere” e “interessi” nella grande impresa azionaria, Milano 2019, in partic. p. 48 ss. e la bibliografia, soprattutto nordamericana, ivi indicata). 
[50] 
Cfr. S. Pacchi, La ristrutturazione dell’impresa come strumento per la continuità nella Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio 2019/1023, in Riv. dir. fall., 2019, p. 1259 ss.: “la Direttiva […] pone sul tappeto i nodi di una “moderna” concezione della crisi d’impresa che sta spostando l’asse di costruzione della disciplina dal rapporto debitore-creditori a quello impresa in crisi-parti interessate, con ciò da una parte ampliando l’orizzonte entro cui collocare la vicenda “crisi” e dall’altra ricomponendo la scala di priorità. Il tema è stato più recentemente approfondito dalla stessa Autrice in Par condicio e relative priority rule. Molto da tempo è mutato nella disciplina della crisi d’impresa, in Ristr. Az., 6 gennaio 2022.
[51] 
Sull’impresa intesa in senso obiettivo (come attività organizzata per la produzione e lo scambio di bene e servizi) e dunque sul rilievo centrale che assume il momento organizzativo, anche quale “atto di gestione”, è d’obbligo il richiamo al novellato art. 2086, 2° comma, c.c. e in particolare agli Autori che, esaminando tale disposizione nel più ampio contesto della riforma del diritto della crisi d’impresa, hanno evidenziato come tale disposizione individui “il proprium della funzione gestoria in un nucleo organizzativo essenziale dell’attività imprenditoriale” e il necessario ed immanente trade off, anche sul piano squisitamente economico, fra la predisposizione di “assetti organizzativi interniadeguati (alla natura e alla dimensione dell’impresa) e le “operazioni di gestione “esterna”” (così N. Abriani-A. Rossi, Nuova disciplina della crisi d’impresa e modificazioni del codice civile: prime letture, cit., p. 393 ss.). Non si intende in questa sede entrare nel dibattito emerso sulle incertezze e imprecisioni logico-sistematiche del nuovo art. 2086, 2° comma, in relazione all’assetto e alla pertinenza dei poteri di gestione dell’impresa organizzata in forma societaria nei diversi modelli normativi e tipologici previsti dal Codice (si rinvia sul punto in particolare ai contributi citati supra, alla nota 25). 
[52] 
In questo senso, e con espresso riferimento alla nuova composizione negoziata, v. anche I. Pagni-M. Fabiani, La transizione dal codice della crisi alla composizione negoziata (e viceversa), cit., p. 31, secondo i quali è “l’impresa – proprio quella che ha chiesto ‘aiuto’ (e non l’impresa in generale come modello) – al centro del percorso”, nonché A. Rossi, I presupposti della CNC, tra debiti dell’impren­ditore e risanamento dell’impresa, cit., p. 19, il quale (adoperando una locuzione sulla quale si tornerà infra nel testo) osserva al riguardo che la composizione negoziata della crisi si iscrive “in un contesto firm oriented, ancor più che debtor oriented”. In piena assonanza anche S. Leuzzi, Profili evolutivi del valore della continuità aziendale nelle procedure concorsuali (in corso di pubblicazione e di cui ho potuto leggere il manoscritto grazie alla cortesia dell’Autore, che ringrazio).
[53] 
Cfr. ancora I. Pagni-M. Fabiani, La transizione dal codice della crisi alla composizione negoziata (e viceversa), cit., p. 5, ove si rileva che “il paradigma della conservazione dell’impresa come valore da tutelare si è accompagnato alla sottolineatura della necessità di tenere sempre in conto l’interesse dei creditori” (concetto peraltro ribadito poco oltre, a p. 9).
[54] 
Non è possibile argomentare e giustificare qui compiutamente questa affermazione (peraltro largamente condivisa); per qualche indicazione nel senso affermato nel testo si vedano, ad es., F. Di Marzio – F. Macario, Amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato d’insolvenza, in Trattato delle procedure concorsuali (diretta da Alberto Jorio e Bruno Sassani), Milano, 2017; S. Ambrosini, L’amministrazione straordinaria, in Crisi d’impresa e procedure concorsuali (trattato diretto da Oreste Cagnasso e Luciano Panzani), Torino, 2016; L. Rovelli, L’amministrazione straordinaria delle grandi imprese insolventi – Introduzione, in Il fallimento e le altre procedure concorsuali (trattato diretto da Luciano Panzani), Torino, 2014; in una prospettiva storica, da ultimo, G. Scognamiglio, Le trasformazioni del diritto fallimentare, cit. (in partic. p. 570 ss.), che richiama sul punto B. Libonati, Crisi dell’imprenditore e riorganizzazione dell’impresa, in Riv. dir. comm., 1981, I, p. 231 ss.. 
[55] 
La catena del valore, nella cd. new economy, si sposta infatti, notoriamente, da elementi materiali a elementi e asset per lo più immateriali: cfr., sul punto, K. Kelly, New Rules for a New Economy: 10 Radical Strategies for a Connected World, New York, 1998, che per primo esprime questo concetto, utilizzando anche, in questo senso, la locuzione “new economy”. In Italia il concetto è ripreso ad es. da C. De Benedetti, New economy, in AA.VV., Il Libro dell’Anno 2000, Roma, 2001; v. anche V. Cioli, Modelli di business e creazione di valore nella new economy, Milano-Roma, 2005; A. Panno, Intangible assets. Profili economici e aspetti valutativi, Torino, 2012; E. Rullani, La nuova economia dell’imma­teriale, in Economia dei servizi, 2006, p. 41 ss. Tra i giuristi, e proprio con riferimento al rilievo del concetto nelle discipline sull’insolvenza, v. ad es. C.G. Paulus, A Vision of the European Insolvency Law, in Norton Journal of Bankruptcy Law and Practice 17, n. 5/2008 (in partic. p. 613 ss.).
[56] 
Per più ampi riferimenti (e per brevità) sia consentito il rinvio al mio Insolvenza e mercato. Itinerari per la modernizzazione delle discipline sulla crisi d’impresa, cit., p. 45 ss. In questa direzione è agevole richiamare anche la Direttiva, ad es., il considerando 16, ove si prevede che “la rimozione degli ostacoli alla ristrutturazione preventiva efficace dei debitori sani in difficoltà finanziarie contribuisce a ridurre al minimo le perdite di posti di lavoro e le perdite per i creditori nella catena di approvvigionamento, preserva il know-how e le competenze; di conseguenza giova all’economia in generale” (e si noti, ancora una volta, il riferimento finale).
[57] 
Cfr. ad es., oltre a quanto già richiamato supra nel testo, il considerando 10: “Tutte le operazioni di ristrutturazione […] dovrebbero basarsi su un dialogo con i portatori di interessi. Tale dialogo dovrebbe riguardare la scelta delle misure previste in relazione agli obiettivi dell’operazione di ristrutturazione, come pure sulle opzioni alternative, e dovrebbero garantire l’adeguata partecipazione dei rappresentanti dei lavoratori come previsto dal diritto dell’Unione e nazionale”. Per un ulteriore spunto de iure condendo sull’eventuale partecipazione dei lavoratori alla crisi d’impresa, secondo le indicazioni della Direttiva, cfr. S. Ambrosini, Il (doppio) rinvio del CCI: quando si scrive “differimento” e si legge “ripensamento”, cit., p. 8 ss.
[58] 
Si veda al riguardo quanto acutamente rilevato a proposito del nuovo art. 2086, 2° comma, c.c. da S. Leuzzi (in appendice all’articolo di M. Fabiani, Imprese in crisi e complessità degli interessi tutelabili, cit.): “la rilevanza degli interessi ‘altri’ è ormai calata nel sistema. L’art. 2086 c.c., ora rubricato ‘Gestione dell’impresa’ funzionalizza l’obbligo di istituire gli adeguati assetti, non solo alla natura e alle dimensioni dell’impresa come finora previsto, ma alla rilevazione tempestiva della crisi nell’ottica del salvataggio della continuità aziendale. Significativi due aspetti: che la norma si collochi fuori dal CCII, con una saldatura evidente tra diritto commerciale e diritto della crisi d’impresa; che la norma fissi un novero di obblighi che riguarda l’imprenditore in quanto tale, non l’imprenditore in quanto debitore. La responsabilità del capo dell’impresa è, in tal guisa, proiettata nei riguardi di tutti i soggetti interessati a vario titolo alla conservazione dell’attività economica. L’assetto organizzativo è della società, ma ha per oggetto l’impresa e fissare doveri generali dell’imprenditore verso quest’ultima significa onerarlo di condotte protettive dell’intera gamma degli interessi coinvolti da essa, non solo del suo o di quello dei creditori. Del resto, se nel diritto civile la fenomenologia economica si presta ad essere disciplinata secondo i moduli dell’obbligazione, del contratto e dell’adempimento garantito dal patrimonio, nel teatro della crisi e dell’insolvenza il baricentro fisiologicamente si sposta e si espande. Riduttivo pensare l’impresa alla stregua di microcosmo occupato per competenza esclusiva da debitori e creditori. La crisi si distende sul mercato e le figure in parola ne sono una voce importante, non certo l’unica. Peregrino ipotizzare che tutti i creditori si determinino nelle scelte ignorando la propria specifica posizione nella piattaforma della crisi: essi (in primis lavoratori o fornitori) partecipano alla decisione sull’impresa per crediti maturati nel passato, ma scelgono con lo sguardo lanciato al futuro. L’art. 2086 è il viatico che consente di predicare come acquisita un’esigenza: quella dell’equa, contestuale tutela di due valori: creditori e continuità dell’impresa”.
[59] 
Cfr. G. D’Attorre, La responsabilità sociale dell’impresa insolvente, in Riv. dir. civ., 1/2021, p. 60 ss.; Id., Sostenibilità e responsabilità sociale nella crisi d’impresa, in Dir. crisi, 13 aprile 2021. L’Autore ben mette in rilievo come la situazione di crisi dell’impresa, quale fase del suo ciclo vitale, non dovrebbe alterare “il quadro di valori” cui la stessa deve confermarsi quando si trova in bonis; cfr. anche S. Pacchi, La ristrutturazione dell’impresa come strumento per la continuità nella Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio 2019/1023, cit., secondo la quale “la Direttiva, sensibile alla dimensione sociale dell’impresa, pur non abbandonando l’obiettivo che tradizionalmente ha plasmato le nostre leggi concorsuali – la tutela dei creditori – non lo pone come condizione assoluta per la ristrutturazione”. Più di recente si veda ancora S. Pacchi, Par condicio e relative priority rule. Molto da tempo è mutato nella disciplina della crisi d’impresa, cit. (ove, significativamente, l’Autrice conclude osservando che “in una disciplina della crisi d’impresa investita negli ultimi ven­t’anni da significativi cambiamenti che ne hanno mutato l’impostazione e che hanno progressivamente eroso il principio della par condicio creditorum, tenendo conto dell’esigenza non differibile di soluzioni sostenibili in senso economico e sociale, il principio della [relative priority rule] non solo non appare più dissonante ma, anzi, si presenta come fattore utile per raggiungere l’obiettivo della sostenibilità”), nonché la riflessione svolta da M. Fabiani, Imprese in crisi e complessità degli interessi tutelabili, cit..
[60] 
Si deve tentare di risanare solo ciò che sia effettivamente recuperabile, rinunciando a tentativi velleitari che alla fine danneggiano i creditori e non portano alcun beneficio sotto il profilo dell’interesse generale (così Disciplina delle crisi e diritto della concorrenza, cit.; ma vedi già, assai chiaramente, anche L. Stanghellini, Le crisi di impresa fra diritto ed economia. Le procedure di insolvenza, Bologna, 2007, in partic.p. 49 e, prim’ancora, B. Libonati, La crisi dell’impresa, in AA.VV., L’impresa, Milano, 1985, in partic. pp. 221-222).
[61] 
Si veda ad es. quanto dichiarato nel Considerando 3: “Nei quadri di ristrutturazione i diritti di tutte le parti coinvolte, compresi i lavoratori, dovrebbero essere tutelati in modo equilibrato. Nel contempo, le imprese non sane che non hanno prospettive di sopravvivenza dovrebbero essere liquidate il più presto possibile. Se un debitore che versa in difficoltà finanziarie non è sano o non può tornare a esserlo in tempi rapidi, gli sforzi di ristrutturazione potrebbero comportare un’accelerazione e un accumulo delle perdite a danno dei creditori, dei lavoratori e di altri portatori di interessi, come anche dell’economia nel suo complesso” (sia consentito, a conforto di quanto qui sostenuto, evidenziare il riferimento finale “anche all’economia nel suo complesso”, che peraltro ricorre, negli stessi termini, anche alla fine del Considerando n. 2). Per una più ampia discussione e argomentazione del tema si rinvia ancora a M. Libertini, Crisi d’impresa e diritto della concorrenza, cit. (e al mio Insolvenza e mercato, cit., passim). 
[62] 
Per un’analisi delle implicazioni economiche negative derivanti dalle cd. barriere all’uscita (delle imprese zombie dai mercati) si veda ad es. il documento OCSE, Barriers to Exit - Background Note, del 3-4 dicembre 2019 (e, per l’Italia, il corrispondente documento Barriers to Exit - Note by Italy, del 4 dicembre 2019).
[63] 
Per una disamina del concetto e del suo progressivo riconoscimento a livello internazionale v. ad es. A. Flessner, La conservazione delle imprese attraverso il diritto fallimentare. Uno sguardo di diritto comparato, in Riv. dir. fall., 2009, I, p. 1 ss.; C. Bridge, Insolvency – A second chance? Why Modern Insolvency Laws Seek to Promote Business Rescue, in Law in Transition, 2013, p. 28 ss.; in senso tuttavia critico cfr. ad es. T.L.M. Verdoes-A.M. Verweij, The (Implicit) Dogmas of Business Rescue Culture, in International Insolvency Review, 2018, p. 398 ss., i quali rimarcano le rilevanti incognite che il salvataggio di un’impresa in crisi inevitabilmente presuppone, ricordando altresì che alla base stessa del capitalismo c’è l’idea di un processo che, nella competizione, determina vincitori e vinti, sicché solo alcune imprese meritano di sopravvivere, e non certo indefinitamente; su questa linea v. anche A. Pezzoli-A. Tonazzi, La sfida della normalità. Concorrenza e intervento pubblico nel post-Covid. È possibile andare oltre l’intreccio tra monopolio e assistenzialismo?, in An. giur. econ., 2/2020, p. 387 ss., i quali osservano che consentire alle imprese zombie di permanere indefinitamente sul mercato ha effetti nocivi per un sistema economico, riducendo la propensione all’investimento e all’innovazione anche per le imprese sane.
[64] 
Per un’efficace (e condivisibile) sintesi v. ad es. A. Maffei Alberti, Crisi dell’impresa e continuazione dell’attività, in Ristr. Az., 29 gennaio 2022 e G. Scognamiglio, Le trasformazioni del diritto fallimentare, in L’impresa italiana. Il contesto, cit., p. 565 ss.. Per una riflessione d’insieme sulla centralità, nel diritto fallimentare riformato, della salvaguardia della continuità aziendale si rinvia anche agli studi raccolti nel volume collettaneo P. Montalenti – M. Notari (a cura di), Crisi d’impresa. Prevenzione e gestione dei rischi: nuovo codice e nuova cultura, Milano 2021. 
[65] 
Il punto è più ampiamente trattato in Disciplina delle crisi e diritto della concorrenza, cit., p. 299 ss., cui per brevità si rinvia; in linea mi pare, anche Ambrosini, La “falsa partenza” del Codice della crisi, le novità del decreto liquidità e il tema dell’insolvenza incolpevole, cit., p. 8. Sulle accennate contraddizioni rinvenibili nel Codice cfr. A. Nigro-D. Vattermoli, Diritto della crisi delle imprese. Le procedure concorsuali, V ed., Bologna, 2021, p. 57 ss.; A. Nigro, I principi generali della nuova riforma “organica” delle procedure concorsuali, in Dir. banca e merc. finanz., 1/2020, p. 11 ss.; v. anche G. D’Attorre, I principi generali nel diritto della crisi d’impresa, in Nuova giur. civ. comm., 2019, p. 1084 ss.
[66] 
Tale profilo era stato già colto, anche prima della novella dell’art. 2086 c.c., da M. Libertini, La nuova disciplina delle società, in F. Amatori-M. D’Alberti (a cura di), L’impresa italiana. Il contesto, cit., in partic. p. 242, come uno dei princìpi cardine del diritto societario riformato (“il principio di continuità dell’impresa, gestita in forma societaria, emerge poi come principio fondamentale, destinato probabilmente a futuri, importanti sviluppi sistematici”) e diviene ora ancor più evidente nel nuovo testo dell’art. 2086 c.c.. Improntando i doveri incombenti sulla governance societaria alla salvaguardia della continuità aziendale (in sé, e dunque anche prima e indipendentemente dalla vicenda di crisi) e all’early warning, l’art. 2086 c.c. novellato salda la prospettiva del diritto dell’impresa in senso sostanziale (in particolare quando condotta in forma societaria) con quella propria del diritto dell’insolvenza, con ciò avvalorando ulteriormente tanto la progressiva oggettivizzazione di entrambi i plessi, quanto l’aumento di rilevanza dei cd. interessi “altri”. Il tema (che è stato ben colto anche da E. Ricciardiello, Sustainability and going concern, cit., p. 9 ss.), appare tanto più rilevante in ragione del portato sistemico dell’art. 2086, 2° comma, c.c. (sul quale cfr. nuovamente N. Abriani-A. Rossi, Nuova disciplina della crisi d’impresa e modificazioni del codice civile: prime letture, ove si nota come tale disposizione riguardi, in realtà, “ogni realtà imprenditoriale collettiva”).
[67] 
Cfr. ancora, ad es., il Considerando 3: “Nei quadri di ristrutturazione i diritti di tutte le parti coinvolte, compresi i lavoratori, dovrebbero essere tutelati in modo equilibrato” (concetto già presente anche nel Considerando 2); ma vedi ancor più chiaramente il Considerando16, ai sensi del quale “La rimozione degli ostacoli alla ristrutturazione preventiva efficace dei debitori sani in difficoltà finanziarie contribuisce a ridurre al minimo le perdite di posti di lavoro e le perdite per i creditori nella catena di approvvigionamento, preserva il know-how e le competenze; di conseguenza giova all’economia in generale”. 
[68] 
Lo afferma con grande nettezza anche S. Leuzzi, Profili evolutivi del valore della continuità aziendale nelle procedure concorsuali, cit., secondo il quale nella composizione negoziata la salvaguardia della continuità aziendale diventa non più “valore-mezzo” (di tutela degli interessi del ceto creditorio), ma “valore-fine”, ossia valore tutelato in sé. Occorre tuttavia segnalare che in occasione della conversione in legge sono state introdotte alcune modifiche al testo governativo che appaiono, almeno in parte, distoniche rispetto al resto dell’ar­ticolato (sul punto v. infra, testo e note).
[69] 
Così, in modo molto chiaro, S. Ambrosini, Il (doppio) rinvio del CCI: quando si scrive “differimento” e si legge “ripensamento”, cit.; sul punto si veda anche A. Jorio, Alcune riflessioni sulle misure urgenti: un forte vento di maestrale soffia sulla riforma!, cit.
[70] 
Il punto è stato colto lucidamente da S. Ambrosini, Doveri degli amministratori e azioni di responsabilità alla luce del Codice della Crisi e della “miniriforma” del 2021, in Dir. banc., 11 novembre 2021 (destinato agli Studi in onore di Paolo Montalenti nonché, con alcune variazioni, al Trattato delle società, a cura di V. Donativi), il quale evidenzia come l’aggettivo “prevalente”, qui adottato, non corrisponda a quello usato nel Codice (che definisce invece l’interesse dei creditori come “prioritario”), sottolineando allora che, anche sul piano lessicale e grammaticale, “prioritario” qualifica un interesse che “deve avere la precedenza su tutto; che deve essere svolto e realizzato prima di ogni altra cosa”, laddove per “prevalente” si intende “ciò che ha maggiore diffusione, importanza o consistenza” (così G. Devoto-G.C. Oli, Vocabolario della lingua italiana, Firenze, 2007). Se ne ricava una “minor pregnanza del concetto di prevalenza rispetto a quello di priorità, di tal che l’interesse dei creditori, anziché essere perseguito prima di ogni altro, deve semplicemente risultare preminente rispetto agli altri, pur perseguibili in contestualità”.
[71] 
Così, mi pare, anche M. Spiotta, (Imprenditore) Inadimplenti (ma ancora viable) est adimplendum?, in Dir. crisi, 12 novembre 2021, p. 14 e S. Leuzzi, Profili evolutivi del valore della continuità aziendale nelle procedure concorsuali, cit..
[72] 
Tornano in mente, come un monito che ha precorso i tempi, le parole del discorso di insediamento del Presidente Draghi: “Il governo dovrà proteggere i lavoratori, tutti i lavoratori, ma sarebbe un errore proteggere indifferentemente tutte le attività economiche”. 
[73] 
Per l’inquadramento del diritto della concorrenza tra i capisaldi del diritto dell’Unione europea cfr. ad es. M. Libertini, Diritto della concorrenza dell’Unione Europea, Milano, 2014, in partic. p. 57 ss.; G. Tesauro, Diritto dell’Unione Europea, Padova, 2012, in partic. pp. 161 ss. e 619 ss.
[74] 
Per una più compiuta illustrazione e argomentazione di tale affermazione sia consentito il rinvio a Insolvenza e mercato. Itinerari per la modernizzazione delle discipline sulla crisi d’impresa, cit. e Insolvency, Competition, and the Theory of the Firm, cit., p. 743 ss.; ma v. anche M. Libertini, Crisi d’impresa e diritto della concorrenza, cit.
[75] 
In questa prospettiva il tema è stato più diffusamente affrontato in particolare in Insolvency, Competition, Economic Growth (and Recovery), cit., ove più ampi riferimenti, anche alle fonti internazionali; in senso conforme v. ora, autorevolmente, anche M. Libertini, Crisi d’impresa e diritto della concorrenza, cit. (con i riferimenti bibliografici, anche internazionali, ivi indicati) e S. Leuzzi, Profili evolutivi del valore della continuità aziendale nelle procedure concorsuali, cit..
[76] 
Cfr. ad es., autorevolmente, G.B. Portale, Dalla “pietra del vituperio” al “bail-in, in Riv. dir. comm., 2017, I, p. 21 ss. o J. Pulgar Ezquerra, Holdout” degli azionisti, ristrutturazione di impresa e dovere di fedeltà del socio, in Dir. fall., 1/2018, p. 13 ss.; v. anche F. Di Marzio, Fallimento. Storia di un’idea, cit., passim e M. Libertini, Crisi d’impresa e diritto della concorrenza, cit. L’evidenza del fenomeno è massima nella disciplina della crisi delle imprese grandi e grandissime, così come nella regolazione delle crisi bancarie.
[77] 
V. ancora G. Scognamiglio, Le trasformazioni del diritto fallimentare, in L’impresa italiana. Il contesto, cit., p. 565 ss.
[78] 
Si rinvia sul punto a quanto più ampiamente argomentato in Insolvenza e mercato. Itinerari per la modernizzazione delle discipline sulla crisi d’impresa, cit.
[79] 
Si richiama sul punto quanto già sopra evidenziato in relazione al Considerando n. 3 della Direttiva. È altresì evidente, in questo senso, che l’introduzione di strumenti “concorrenziali e competitivi” all’in­terno delle procedure di gestione della crisi d’impresa risponde non solo all’interesse dei creditori a massimizzare i ricavi conseguibili dalla liquidazione dell’attivo aziendale, ma anche a un interesse, di carattere più generale, volto a realizzare, proprio in ragione e in occasione della crisi, la più ampia contendibilità delle imprese soggette a procedura concorsuale e dei loro asset produttivi, per garantirne, in tal modo, (la possibilità di) un’allocazione alternativa (e più) efficiente (che in prima approssimazione si realizza quando le risorse sono impiegate lì dove possono garantire il ritorno più proficuo, così da massimizzare la capacità complessiva di produzione di beni e servizi e da assicurare il funzionamento ottimale di un sistema economico). Sul punto v. ancora il mio Insolvenza e mercato. Itinerari per la modernizzazione delle discipline sulla crisi d’impresa, cit., passim e, soprattutto, M. Libertini, Crisi d’impresa e diritto della concorrenza, cit. Di un “mercato del controllo delle imprese in stato di difficoltà o addirittura di dissesto” parla anche G. Cabras, L’impresa al tempo della crisi, davanti alla Legge, Padova, 2018 (in particolare nel cap. VIII).
[80] 
Per una più ampia illustrazione del concetto si rinvia, ancora, a Insolvenza e mercato. Itinerari per la modernizzazione delle discipline sulla crisi d’impresa, cit., passim e, soprattutto, a M. Libertini, Crisi d’impresa e diritto della concorrenza, cit.
[81] 
Per brevità si rinvia a quanto più diffusamente argomentato in Insolvency, Competition, and the Theory of the Firm, cit., p. 743 ss.
[82] 
In argomento, con la consueta lucidità, cfr. M. Fabiani, Introduzione, cit., nonché Prove di riflessioni sistematiche per le crisi da emergenza COVID-19, in Fall., 2020, p. 589 ss: “pur nella emergenza, non si può fare a meno di avere una visione di sistema e, soprattutto, una visione prospettica e periferica: bisogna riattivare […] i presìdi che consentano da un lato di offrire ossigeno alle imprese, ma dall’altro lato riconvertano le imprese non salvabili ad un mercato delle crisi che non immobilizzi ricchezze”. Si vedano anche N. Abriani, Concordato preventivo e ristrutturazione dell’impresa dopo il D.L. n. 118/2021: Que reste-t-il?, cit.; D. Galletti, Il diritto della crisi sospeso e la legislazione concorsuale in tempo di guerra, in www.ilFallimentarista.it; e M. Libertini, Crisi d’impresa e diritto della concorrenza, cit..
[83] 
Il tema è stato colto fin da subito ad es. da B. Caravita, L’Italia ai tempi del coronavirus: rileggendo la Costituzione italiana, in Federalismi, 6/2020, p. IV ss.; con specifico riferimento al rilievo dei princìpi della “partecipazione e della solidarietà” nella composizione negoziata cfr. ancora I. Pagni-M. Fabiani, La transizione dal codice della crisi alla composizione negoziata (e viceversa), cit., p. 24 ss. e 30 ss., nonché F. Di Marzio, Crisi, contratti e ristrutturazione, cit., passim nonché, da ultimo R. Rordorf, Interferenze tra diritto della crisi e dell’insolvenza e diritto dei contratti, in Dir. crisi, 28 gennaio 2022.
[84] 
Il Decreto richiama anche gli altri princìpi che il Codice annovera, a mo’ di corollario (“in particolare”), allo stesso articolo 4, quali la trasparenza (art. 4, 2° comma, lett. a), Codice; art. 4, 5° comma, del Decreto), la tempestività (art. 4, 2° comma, lett. b), Codice; art. 4, 7° comma, Decreto), la lealtà (art. 4, 3° comma, Codice; art. 4, 7° comma, Decreto) e la riservatezza (art. 4, 3° comma, Codice; artt. 4, 2° comma, e 7 Decreto).
[85] 
Opportuno segnalare che in occasione della conversione in legge si è deciso di valorizzare ulteriormente il ruolo della correttezza e della buona fede nell’ambito del tentativo di Composizione, richiamando espressamente tali paradigmi anche all’art. 18, 1° comma, quali pre-requisiti per l’accesso al cd. “concordato semplificato”.
[86] 
Cfr. Corte Suprema di Cassazione, Ufficio del Massimario e del Ruolo, Novità normative sostanziali del diritto “emergenzialeanti-Covid 19 in ambito contrattuale e concorsuale (Rel. n. 56, 8 luglio 2020). La relazione si conclude suggerendo un’applicazione estensiva dell’art. 2932 c.c. Il Redattore della Nota è Salvatore Leuzzi, autore anche di Sopravvenienze perturbative e rinegoziazione dei contratti d’impresa, in Dir. crisi, 4 giugno 2021.
[87] 
Cfr. Corte Suprema di Cassazione, Ufficio del Massimario e del Ruolo, “Buona fede come fonte di integrazione dello statuto negoziale: Il ruolo del giudice nel governo del contratto” (Rel. n. 116, 10 settembre 2021).
[88] 
Il riferimento è a M. Fabiani, Il valore della solidarietà nell’approccio e nella gestione delle crisi d’impresa, cit., che condivisibilmente aggiunge (nelle conclusioni): “tutti dobbiamo maturare la consapevolezza che risolvere (…) la crisi di una impresa è un modo per accrescere le risorse del nostro Paese e questa consapevolezza, da sola, esprime un principio di solidarietà; se non ci sono valori da salvare, una scelta solidale è quella di evitare distruzione di ricchezza, mentre se un valore è ancora presente, una scelta solidale è dare fiato alla prosecuzione dell’attività d’impresa, non già per una sterile e fittizia solidarietà occupazionale, ma per favorire una creazione di ricchezza in grado di spalmarsi su più attori”

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  • - a soggetti che hanno necessità di accedere ai dati per finalità ausiliare al rapporto che intercorre tra l’interessato e la Società, nei limiti strettamente necessari per svolgere i compiti ausiliari.

Diritti dell’interessato - Ai sensi degli artt. 15 e ss GDPR, l’interessato potrà esercitare i seguenti diritti:

  • 1. accesso: conferma o meno che sia in corso un trattamento dei dati personali dell’interessato e diritto di accesso agli stessi; non è possibile rispondere a richieste manifestamente infondate, eccessive o ripetitive;
  • 2. rettifica: correggere/ottenere la correzione dei dati personali se errati o obsoleti e di completarli, se incompleti;
  • 3. cancellazione/oblio: ottenere, in alcuni casi, la cancellazione dei dati personali forniti; questo non è un diritto assoluto, in quanto le Società potrebbero avere motivi legittimi o legali per conservarli;
  • 4. limitazione: i dati saranno archiviati, ma non potranno essere né trattati, né elaborati ulteriormente, nei casi previsti dalla normativa;
  • 5. portabilità: spostare, copiare o trasferire i dati dai database delle Società a terzi. Questo vale solo per i dati forniti dall’interessato per l’esecuzione di un contratto o per i quali è stato fornito consenso e espresso e il trattamento viene eseguito con mezzi automatizzati;
  • 6. opposizione al marketing diretto;
  • 7. revoca del consenso in qualsiasi momento, qualora il trattamento si basi sul consenso.

Ai sensi dell’art. 2-undicies del D.Lgs. 196/2003 l’esercizio dei diritti dell’interessato può essere ritardato, limitato o escluso, con comunicazione motivata e resa senza ritardo, a meno che la comunicazione possa compromettere la finalità della limitazione, per il tempo e nei limiti in cui ciò costituisca una misura necessaria e proporzionata, tenuto conto dei diritti fondamentali e dei legittimi interessi dell’interessato, al fine di salvaguardare gli interessi di cui al comma 1, lettere a) (interessi tutelati in materia di riciclaggio), e) (allo svolgimento delle investigazioni difensive o all’esercizio di un diritto in sede giudiziaria)ed f) (alla riservatezza dell’identità del dipendente che segnala illeciti di cui sia venuto a conoscenza in ragione del proprio ufficio). In tali casi, i diritti dell’interessato possono essere esercitati anche tramite il Garante con le modalità di cui all’articolo 160 dello stesso Decreto. In tale ipotesi, il Garante informerà l’interessato di aver eseguito tutte le verifiche necessarie o di aver svolto un riesame nonché della facoltà dell’interessato di proporre ricorso giurisdizionale.

Per esercitare tali diritti potrà rivolgersi alla nostra Struttura "Titolare del trattamento dei dati personali" all'indirizzo ssdirittodellacrisi@gmail.com oppure inviando una missiva a Società per lo studio del diritto della crisi via Principe Amedeo, 27, 46100 - Mantova (MN). Il Titolare Le risponderà entro 30 giorni dalla ricezione della Sua richiesta formale.

Dati di contatto - Società per lo studio del diritto della crisi con sede in via Principe Amedeo, 27, 46100 - Mantova (MN); email: ssdirittodellacrisi@gmail.com.

Responsabile della protezione dei dati - Il Responsabile della protezione dei dati non è stato nominato perché non ricorrono i presupposti di cui all’art 37 del Regolamento (UE) 2016/679.

Il TITOLARE

del trattamento dei dati personali

Società per lo studio del diritto della crisi

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