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Saggio

Due puntelli interpretativi a sostegno dell’unitarietà nelle fasi di impugnazione*

Luigi Nannipieri, Giudice della Corte d’Appello di Firenze

21 Settembre 2023

*Il saggio è stato sottoposto in forma anonima alla valutazione di un referee.
Lo scritto, dopo aver evidenziato che la ragion d’essere del procedimento unitario introdotto dal CCII è quella della alternatività tra domande in concorso tra loro per la regolamentazione della medesima situazione, propone due soluzioni interpretative a sostegno dell’unitarietà anche nelle fasi di impugnazione: definizione contestuale delle domande concorrenti con un unico provvedimento; esclusione di domande proposte in via autonoma, al di fuori del procedimento pendente, salvo che non siano tempestivamente riunibili nei termini ex art. 40 CCII.
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1 . L’alternatività come fondamento del procedimento unitario. I pilastri del primo grado e la ricerca di “puntelli” per i gradi successivi
Può apparire un ossimoro, ma l’esigenza principale a fondamento del procedimento unitario introdotto dal CCII è quella della alternatività: nel mondo reale esiste una situazione, necessariamente specifica ed unica, di crisi-insolvenza o sovraindebitamento; nel mondo del diritto sono previste varie possibili domande, provenienti da soggetti diversi, tendenti tutte a regolare o comporre quella stessa situazione, ma con strumenti e discipline sostanziali differenti[1]. 
E’ ovvio che il rapporto tra tali domande non possa che essere quello della alternatività ed incompatibilità e la disciplina processuale deve quindi consentire il loro “concorso”, inteso non solo come cumulo ma anche come selezione, nel medesimo procedimento, per sciogliere l’alternativa al suo interno, ovvero giungere, secondo un percorso ordinato e ragionevole, ad individuare, tra quelle richieste, la regolamentazione o composizione maggiormente idonea per la specifica situazione, secondo criteri preferenziali indicati dall’ordinamento.
Forse è vero che l’espressione “procedimento unitario” è ingannevole e la descrizione più aderente alla realtà è quella della relazione illustrativa al CCII: “una sorta di contenitore processuale”, all’interno del quale le domande alternative-concorrenti sono inserite, si incrociano, ma seguono, in larga misura, sequenze procedimentali proprie, distinte[2]. In ogni caso l’importante è che l’esigenza di fondo in precedenza delineata sia soddisfatta: tutte le richieste relative a quella data situazione di crisi-insolvenza/sovraindebitamento per poter essere esaminate devono obbligatoriamente confluire all’interno del contenitore, dal quale alla fine può uscire, secondo schemi procedimentali se non comuni almeno coordinati, una sola richiesta validata giudizialmente, in base a criteri di priorità legale.[3].
La struttura delineata dal CCII appare, sotto tale profilo, piuttosto solida in primo grado, grazie a due pilastri fondamentali: 1) i termini per la proposizione delle domande alternative[4], previsti dall’art. 40, commi nono e decimo; 2) il principio di trattazione unitaria con priorità condizionata dell’art. 7.  Tali disposizioni chiariscono bene: entro quali barriere procedimentali possono essere proposte le domande alternative; la loro trattazione necessariamente congiunta o comunque coordinata; quale domanda, nel rispetto di certe condizioni, deve essere esaminata in via prioritaria e, in presenza dei presupposti, accolta.
Per i piani-gradi superiori l’edificio della unitarietà certamente si giova dei pilastri posti in primo grado, ma forse sono utili alcuni “puntelli” interpretativi di rinforzo. 
2 . Un primo puntello: il provvedimento unico
Un primo, modesto ma utile, puntello artigianale di rinforzo può individuarsi nella definizione, per quanto possibile, contestuale e con un unico provvedimento delle domande alternative-concorrenti.
L’art. 162 della legge fallimentare, nel testo risultante dalla riforma del 2017 prevedeva un “decreto non soggetto a reclamo” per la dichiarazione di inammissibilità del concordato, con la specificazione che i “motivi attinenti all’ammissibilità della proposta” potevano farsi valere nell’ambito del reclamo nei confronti della eventuale sentenza di fallimento. I provvedimenti erano due (decreto e sentenza), in ipotesi anche a distanza, ma comunque il mezzo di impugnazione era unico, posto che il decreto non era neppure ricorribile in cassazione[5].
Il CCII ha ripreso le previsioni della legge fallimentare circa una possibile definizione mediante decreto del concordato preventivo inammissibile con arresto procedimentale anteriore al giudizio di omologa, ma ha contemporaneamente introdotto la facoltà di proposizione di un autonomo reclamo contro tale provvedimento, ex art. 47, commi quarto e quinto.
Nel caso in cui sia pendente anche una richiesta di liquidazione giudiziale la definizione separata e differita delle due domande alternative-concorrenti rischierebbe, in tale mutato quadro, di determinare possibili sovrapposizioni e inutile dispendio di energie processuali; il debitore, in via cautelativa, anche per evitare il maturare di decadenze correlate alla autonoma impugnabilità e decorrenza dei termini, sarebbe portato a proporre prima reclamo ex art. 47 quinto comma contro il decreto e poi reclamo ex art. 51 nei confronti della autonoma, successiva sentenza.  
Mi pare quindi ragionevole che il tribunale adotti la forma del decreto solo quando sia stata proposta unicamente domanda  di concordato; se è invece pendente anche una richiesta di liquidazione giudiziale è buona norma che il tribunale provveda con sentenza alla definizione contestuale delle due domande alternative (dispositivo: “1) dichiara inammissibile la proposta di concordato ; 2) dichiara aperta la liquidazione giudiziale”), soggetta unicamente al reclamo ex art. 51, salvo che vi ostino ragioni particolari, ad esempio, eccezionalmente, occorre ulteriore istruttoria in ordine alla sussistenza dei presupposti ex art.  121 CCII[6].
In tal senso devono interpretarsi, nel nuovo contesto, l’ultimo periodo del quarto comma dell’art. 47 e i primi due commi dell’art. 49, che prescrivono la pronunzia di sentenza di apertura della liquidazione giudiziale, in caso di domanda alternativa del debitore inammissibile ex artt. 44, 47, 106. Anche la sentenza resa a conclusione del procedimento di omologa in caso di pendenza di domanda di liquidazione dovrebbe essere comunque unica ex art. 48, commi quinto e sesto.
Se, come si è cercato di evidenziare,  l’esigenza di sottofondo è quella della necessaria alternatività, il provvedimento conclusivo deve essere, per quanto possibile, unico, con definizione sincrona delle domande tra loro in concorso, in tal modo l’unitarietà sarà garantita anche nella fasi di impugnazione; non a caso il CCII ha attribuito alla corte di appello, in ipotesi, il compito, sempre con provvedimento contestuale, di “ribaltare” l’alternativa erroneamente sciolta dal tribunale, revocando una procedura e contestualmente sostituendola con l’altra[7].
La regola del provvedimento unico non può ovviamente ritenersi imposta a pena di nullità, posto che al giudice, secondo principi generali, è consentito comunque emettere una pronunzia parziale, ma deve essere comunque ritenuta quella maggiormente corretta, aderente alla struttura e funzione del procedimento unitario, da adottare salvo ragioni eccezionali ostative.
3 . Un secondo puntello: le domande alternative non possono procedere in modo autonomo e parallelo
Abbiamo già ricordato il “pilastro” dell’art. 40, commi 9 e 10, che regola in modo chiaro i tempi di ammissibilità delle eventuali domande alternative-concorrenti: se è pendente domanda di liquidazione, quella alternativa del debitore deve essere proposta entro la prima udienza; se è pendente una domanda di regolazione “pattizia”, quella alternativa di liquidazione giudiziale può essere proposta “fino alla remissione della causa al collegio per la decisione”.
Ma cosa succede dopo che è esaurito il giudizio di primo grado? Quelle domande che non sono state eventualmente proposte in pendenza del giudizio di primo grado possono essere autonomamente proposte successivamente, in particolare quando la domanda alternativa risulta respinta, ma con provvedimento ancora non definitivo, in parallelo quindi con l’impugnazione eventualmente pendente?
Concretamente: a) può proporsi domanda di concordato quando la domanda di liquidazione giudiziale è stata rigettata dal tribunale ed è pendente reclamo dinanzi alla corte di appello ex art. 50 CCII?; b) può proporsi domanda di concordato quando la corte di appello ha revocato la sentenza di liquidazione ed è pendente ricorso per cassazione ?; c) si può chiedere e dichiarare la liquidazione giudiziale in pendenza del ricorso per cassazione contro la sentenza della corte di appello di revoca dell’omologa, come era stato ritenuto possibile dalle Sezioni Unite con riferimento alla previgente legge fallimentare [8] ?
Forse conviene analizzare partitamente i diversi casi prospettati, per vedere se è possibile desumerne un principio unitario.
La risposta negativa ai quesiti precedenti sub a) e b) può ricavarsi dalla previsione dell’art. 40 comma 10, che, per come testualmente formulato, è già stato osservato[9], può estendere il suo campo di applicazione anche oltre il primo grado: dopo aver previsto che in pendenza di una richiesta di liquidazione giudiziale la domanda alternativa di regolazione del debitore deve essere proposta “a pena di decadenza entro la prima udienza”, è infatti specificato : “successivamente alla prima udienza la domanda non può essere proposta autonomamente sino alla conclusione del procedimento per la apertura della liquidazione giudiziale”; tale “conclusione” non può giuridicamente ritenersi raggiunta sino a quando, ad esempio, la corte di appello non abbia respinto, con provvedimento non ricorribile in cassazione, il reclamo avverso il decreto di rigetto ovvero sino a quando la corte di cassazione abbia confermato la sentenza di revoca della liquidazione giudiziale. Con riferimento al caso sub b) deve ulteriormente osservarsi che il CCII ha disciplinato espressamente gli effetti della sentenza di revoca della liquidazione prevedendo che il debitore riacquisti l’amministrazione dei beni, ma sotto la vigilanza del curatore e con obblighi informativi periodici. A prescindere dalla qualificazione da dare a tale singolare disciplina, omologare un concordato con un curatore della liquidazione giudiziale in carica sarebbe alquanto singolare. Può solo aggiungersi che esigenze di tutela interinale nel caso sub a) (pendenza del reclamo avverso il diniego di liquidazione giudiziale) possono comunque essere soddisfatte attraverso l’espressa attribuzione alla Corte di appello della possibilità di adottare misure protettive e cautelari (vedi art. 55, comma 5).
Apparentemente più complesso da risolvere è il caso sub c) (domanda di liquidazione giudiziale proposta in primo grado in pendenza di ricorso per cassazione avverso la sentenza di revoca dell’omologazione)[10]. 
In primo luogo è opportuno osservare che il CCII ha introdotto la possibilità, prima non prevista, di una dichiarazione di apertura della liquidazione giudiziale pronunziata dalla corte di appello proprio in occasione della sentenza di revoca dell’omologazione, “su domanda di uno dei soggetti legittimati” ex art. 53, comma 5. In molti casi, quindi, la domanda di liquidazione giudiziale sarà proposta già dinanzi alla Corte di appello[11] e la sentenza, per riprendere il primo “puntello interpretativo”, sarà di contestuale definizione delle due domande alternative (“1) revoca l’omologazione del concordato; 2) dichiara aperta la liquidazione giudiziale”). 
Se la domanda liquidazione giudiziale non è stata proposta dinanzi alla corte di appello, tenderei ad escludere la possibilità di una proposizione separata ed autonoma dinanzi al tribunale in primo grado, in pendenza del ricorso per cassazione avverso la sentenza di sola revoca dell’omologazione. 
Indipendentemente dalla opinabile questione della decorrenza degli effetti di tale pronunzia di revoca [12],  nel CCII, a differenza di quello che avveniva con la legge fallimentare, vi è una disciplina espressa in ordine ai tempi di proposizione della domanda di liquidazione in pendenza di domanda alternativa del debitore; secondo il principio generale dell’art. 7, comma 1, poi tutte le domande sopravvenute devono poter essere trattate nel procedimento dichiaratamente “unitario”, mediante riunione a quelle già pendenti. La domanda in primo grado non riunibile nel procedimento pendente in fase di impugnazione sarebbe in contrasto con tale assetto normativo ed è quindi improponibile.
Riassumendo: la domanda di regolazione alternativa del debitore in pendenza di domanda di liquidazione può essere proposta entro la prima udienza; successivamente non può più essere proposta “sino alla conclusione del procedimento per la apertura della liquidazione giudiziale”, con pronunzia definitiva ;  la domanda di liquidazione giudiziale  in pendenza di domanda di regolazione alternativa del debitore può invece essere proposta: a) in primo grado sino alla “remissione in decisione”; b) direttamente dinanzi alla corte di appello, nell’ambito reclamo contro l’omologazione; deve invece escludersi che possa essere proposta in via autonoma e  separata al di fuori del procedimento pendente e senza possibilità di riunione, ad esempio dinanzi al tribunale in pendenza di ricorso per cassazione avverso la sentenza della corte di appello di revoca dell’omologazione.
Tale soluzione complessiva appare coerente con i principi generali della unitarietà del procedimento-contenitore di domande tra loro alternative-concorrenti, da definire per quanto possibile in modo contestuale; in tale ambito la proposizione in via autonoma può essere consentita solo nei limitati casi previsti dagli artt. 7 e 40 CCII, ovvero entro i medesimi termini nei quali è ammessa la proposizione nel procedimento avviato, consentendo una tempestiva ed equivalente riunione.
Una volta che il “treno” del procedimento unitario è partito, l’unica, eccezionale, “salita a bordo” consentita è quella dell’art. 53, comma 5, CCII, ma non possono farsi partire altri convogli autonomi su binari paralleli.
4 . L’unitarietà e la scossa sismica della liquidazione controllata a richiesta del creditore
Il CCII ha introdotto la possibilità di una domanda di liquidazione controllata da parte del creditore. Si tratta di una novità tendenzialmente dirompente, perché apre alla possibilità, in precedenza non contemplata, di domande alternative in via principale in relazione alle soglie dimensionali o comunque alla qualifica del debitore (impresa agricola, consumatore) e ad una ulteriore, legalmente subordinata, alternativa tra domande all’interno della regolazione della crisi ed insolvenza ovvero della composizione del sovraindebitamento.
L’esempio più semplice potrebbe essere quello del creditore che formula una domanda liquidazione giudiziale e di liquidazione controllata nell’ipotesi di mancato raggiungimento delle soglie, con debitore che si costituisce, si oppone alla liquidazione giudiziale ed in alternativa alla liquidazione controllata deposita proposta di concordato minore [13].
La liquidazione controllata ad istanza del debitore può determinare la sovrapposizione tra piani che in precedenza erano distinti, costituisce in generale una “scossa sismica” di una certa magnitudo, i cui effetti devono ancora essere ben compresi. Non mi pare, comunque, che la scossa sia tale da scalfire le fondamenta del procedimento unitario, posto che, in ogni caso, la relazione tra domande (principale, subordinata, alternativa) resta, comunque, quella della alternatività-incompatibilità. In sostanza, pur potendo presentarsi un “doppio incrocio”, le “regole di precedenza” sono chiare: scioglimento preliminare della alternativa circa il superamento o meno delle soglie, con conseguente rigetto delle domande non corrispondenti alle dimensioni dell’impresa; nell’ambito delle residue domande applicazione dei criteri di priorità ex art. 7 CCII ovvero ex art. 271[14]; peraltro l’art. 65, comma 2, richiama in generale per le procedure da sovraindebitamento, nei limiti della compatibilità, le medesime regole procedimentali degli strumenti di regolazione delle crisi e dell’insolvenza. 
I criteri orientativi da seguire sono dunque i soliti: trattazione di tutte le richieste relative alla medesima situazione all’interno dell’unico “contenitore” procedimentale; provvedimento finale sincrono di definizione, con accoglimento di una sola tra le regolamentazioni o composizioni richieste, in base a criteri di selezione legale.
5 . Conclusioni
La ragion d’essere del procedimento unitario è quella di consentire la trattazione coordinata di domande alternative, in concorso tra loro per la scelta della regolamentazione maggiormente idonea, tra quelle richieste, di una specifica situazione di crisi-insolvenza o sovraindebitamento. La definizione contestuale delle domande, con scioglimento, ove possibile, dell’alternativa tramite un solo provvedimento finale e l’esclusione della possibilità di proposizione domande alternative in via autonoma, al di fuori del procedimento pendente o comunque allo stesso non tempestivamente riunibili, consentono di rafforzare l’unitarietà anche nelle fasi di impugnazione.

Note:

[1] 
Vedi Pagni, L'alternativa tra la liquidazione giudiziale e gli strumenti di regolazione della crisi, in Il Fall., 2022, 10, 1195 che parla di “regole processuali dell'alternativa”; Montanari, Il concorso delle procedure da sovraindebitamento nel sistema del Codice della crisi, in Dirittodellacrisi.it, 2021 che, con riferimento al sovraindebitamento parla di un “incrocio tra le contrapposte istanze di regolazione della suddetta crisi in via liquidatoria, da un lato, e negoziale o, comunque, non liquidatoria dall’altro [..] disponibilità di tali alternativi strumenti da parte di soggetti differenti e animati da differenti interessi”, ricorda poi il “principio di alternatività”, anche se riferito non tanto alle domande, quanto “alle procedure d’insolvenza di stampo tradizionale, per cui la pendenza di una data procedura concorsuale è incompatibile con la pendenza di altra procedura che interessi il medesimo soggetto nel medesimo momento storico”.
[2] 
Vedi D’Alonzo, De Santis, Il cd. procedimento unitario per l’accesso agli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza in Dirittodellacrisi.it, 2022: “il procedimento, però, non è realmente unitario, atteso che [..] il primo grado del giudizio – dopo l’introduzione della domanda nel contenitore unitario – è caratterizzato dalla diversificazione dei percorsi processuali, a seconda che si intenda accedere alla regolazione pattizia o a quella liquidatoria; Rana, Le regole del procedimento unitario della crisi d'impresa dopo il D.Lgs. n. 83/2022, in Il Fall. 2023, 2, 153: “sistema misto che contiene regole uniformi, cui però si affiancano regole specifiche di trattazione di ciascun percorso [..] il procedimento che inizia per primo accoglie di regola (dall'origine o per riunione) anche le domanda successive, omogenee o eterogenee che siano”.
[3] 
Rana, op. cit., osserva: “si noti che l’ordine giuridico di trattazione delle domande contrapposte di regolazione della crisi/insolvenza è rigidamente prestabilito e risponde a scelte di natura pubblicistica non derogabili dalle parti: ne consegue che ogni forma di ‘subordinazione’ articolata dalla parte ma non in linea con questo schema potrebbe rendere di per sé inammissibile la domanda stessa”.
[4] 
Ritengo preferibile utilizzare l’espressione “domande alternative” o anche quella di “domande contrapposte” contenuta nella relazione illustrativa al CCII, perché più specifiche rispetto a quella, generica,  di “riconvenzionale”, nel cui ambito rientrano pure domande relative a situazioni e fattispecie estranee a quelle già introdotte dall’attore-ricorrente e che quindi possono in ipotesi essere accolte anche congiuntamente a quest’ultime, eventualità che il “procedimento unitario” mira proprio ad escludere.  Le domande alternative non potranno in alcun caso essere accolte entrambe; in ipotesi (invero assai poco frequenti nella pratica delle procedure concorsuali) potrebbero essere entrambe rigettate. Vedi ancora Rana, op. cit.: la “domanda concorrente successiva” “si avvicina alla domanda riconvenzionale classica”, ma “nella specie dell'incompatibilità con la principale”.
[5] 
Cass. Sez. Un., 28 dicembre 2016, n. 27073.
[6] 
Vedi, chiaramente, Pagni, in Gli effetti della revoca della liquidazione giudiziale, dell'omologazione del concordato e degli accordi, in Il Fall. 2020, 10, 1272: “non si ha dunque un "procedimento unico", ma una somma di giudizi distinti; è invece unico il provvedimento conclusivo che decide le più cause riunite sempre con la forma della sentenza, e che - ancora una volta sulla falsariga di quanto indicato dalla giurisprudenza della Cassazione - viene impugnato col reclamo previsto dall'art. 51 CCII. Si ha così una sicura unitarietà in fase di impugnazione, con un giudizio disciplinato in modo identico qualunque sia la decisione da impugnare (diversa dal caso di diniego della dichiarazione di insolvenza), ricalcato sul modello dell'attuale reclamo avverso la sentenza dichiarativa di fallimento”.
[7] 
Simmetricamente alla revoca della omologazione con contestuale dichiarazione della liquidazione giudiziale, espressamente prevista dall’art. 50, comma 5, CCII, deve infatti ritenersi che la corte di appello possa, in sede di reclamo, pronunziare sentenza di revoca della liquidazione e contestuale omologazione. Vedi in tal senso De Santis, Il sistema dei rimedi nel cosiddetto procedimento "unitario", in Il Fall., 2023, 3, 310: “nulla la norma dice circa l'ipotesi in cui la sentenza di apertura della liquidazione giudiziale, revocata dalla Corte d'Appello, fosse stata emessa all'atto del diniego di omologazione dello strumento pattizio. È qui da ritenersi che la Corte d'Appello possa contestualmente dichiarare l'omologa negata dal tribunale”.
[8] 
Vedi Cass., Sez. Un.,  15 maggio 2015, n. 9935: “la dichiarazione di fallimento, non sussistendo un rapporto di pregiudizialità tecnico-giuridica tra le procedure, non è esclusa durante le eventuali fasi di impugnazione dell'esito negativo del concordato preventivo” ; Cass, Sez. Un., 10 aprile 2017 n. 9146, aveva poi chiarito che “la sopravvenuta dichiarazione del fallimento comporta l’inammissibilità delle impugnazioni autonomamente proponibili contro il diniego di omologazione del concordato preventivo e, comunque, l'improcedibilità del separato giudizio di omologazione in corso, perché l’eventuale giudizio di reclamo ex art. 18 L. fall. assorbe l’intera controversia relativa alla crisi dell’impresa, mentre il giudicato sul fallimento preclude in ogni caso il concordato”.
[9] 
Vedi ancora Rana, op. cit.: “a me pare si voglia dire, sulla base di una ragionevole interpretazione letterale e sistematica, che, una volta superato il termine della prima udienza in primo grado, occorre attendere che vi sia una decisione reiettiva, ma irrevocabile, della domanda liquidatoria e solo allora si possa proporre, finalmente, la domanda di ristrutturazione”; se fosse consentito di anticipare la possibilità per il debitore di proporre una domanda di regolazione alternativa al rigetto solo in primo grado della domanda di liquidazione “si verificherebbe una perniciosa interferenza tra impugnazione del rigetto della domanda liquidatoria e decisione sulla domanda di regolazione preventiva”.
[10] 
Per la trattazione di tale ipotesi vedi Montanari, La consecuzione delle procedure concorsuali nel sistema del Codice della crisi: la prospettiva processuale, in Dirittodellacrisi.it, 2022, che conclude, diversamente da quanto proposto di seguito nel presente scritto, ritenendo possibile, in pendenza di ricorso per cassazione contro la sentenza di revoca dell’omologazione, la dichiarazione di liquidazione in primo grado da parte del tribunale, salva la sospensione ex art. 295 c.p.c. del giudizio di reclamo contro tale sentenza, in attesa della definizione del giudizio ancora pendente sull’omologa. 
[11] 
Secondo De Santis, op. cit., la disposizione deve “essere restrittivamente interpretata, nel senso che le domande di apertura della liquidazione giudiziale, sulle quali la corte d'appello può pronunziarsi successivamente alla revoca dell'omologazione, siano soltanto quelle che già appartenevano al fascicolo del procedimento unitario di primo grado (in toto trasferitesi, per effetto dell'impugnazione ex art. 52 CCII, alla corte d'appello) e la cui delibazione era stata correttamente posposta dal tribunale alla definizione delle domande di soluzione concordata della crisi. Diversamente [..] si determinerebbe la strana situazione che il processo in questione resti erraticamente soggetto al doppio grado di giurisdizione, ovvero ad un unico grado di merito, non in relazione ad un'oggettiva diversità di presupposti, bensì secundum eventum, ossia all'esito di un percorso giudiziale che non ha come fine l'apertura della liquidazione giudiziale”. Anche Montanari, op. ult. cit., ritiene “necessario che la relativa domanda già appartenesse al fascicolo di primo grado, vale a dire che già ne fosse investito il giudice dell’omologa”. A mio avviso invece la disposizione consente di formulare domanda di liquidazione anche direttamente in sede di reclamo. In difetto di una espressa limitazione, considerato che il doppio grado di merito non è coperto da garanzia costituzionale, che vi è un obbiettivo interesse pubblico alla tempestiva apertura della liquidazione giudiziale, che i presupposti ex 121 CCII in tale contesto sono assai facilmente verificabili e spesso pacifici, è da ritenere sufficiente anche una domanda formulata per la prima volta in sede di reclamo, purché tempestiva, ovvero con il ricorso o entro il termine di decadenza per la costituzione, dieci giorni prima dell’udienza, salvo che si tratti di domanda dello stesso debitore che, in applicazione del principio ricavabile dall’art. 40 comma 10, non è soggetta a termini di decadenza. Del resto se fosse necessaria una domanda da proporre con il reclamo principale od anche tramite “reclamo incidentale”, o se si ritenesse la domanda di primo grado comunque esaminabile dalla corte anche se non riproposta in forza di un effetto devolutivo, la disposizione non avrebbe ragion d’essere. In ogni caso dovrebbe essere consentito anche ad una parte che non ha formulato domanda di liquidazione in primo grado di insistere in una richiesta formulata da altri e non riproposta in sede di reclamo, secondo il principio di cui all’art. 43, comma 1, CCII in tema di rinuncia alla domanda.
[12] 
A sostegno dell’immediata efficacia della sentenza di revoca dell’omologazione vedi DE Santis, op. cit.,  Montanari, op. ult. cit., Pagni, op. cit In realtà, a mio avviso, la revoca dell’omologazione è, al pari della revoca della liquidazione, una sentenza che ha un effetto costitutivo (soppressivo) su di una procedura che è in essere e pendente dalla pubblicazione della sentenza di primo grado ex art. 48, comma 5, ed ex art. 49, comma 4, CCII (disposizioni che, in deroga ai principi generali, attribuiscono efficacia immediata alle pronunzie che aprono le procedure). Tale effetto costitutivo-soppressivo, in assenza di disposizioni specifiche, secondo principi generali, non può che decorrere dal passaggio in giudicato; la stessa disciplina innovativa dell’art. 53 CCII, quale deroga parziale, non fa che confermare tale assetto necessariamente simmetrico per le pronunzie di revoca, con un curatore della liquidazione che cesserà di essere in carica, appunto, solo al passaggio in giudicato della sentenza. Quindi: salvo il caso in cui si abbia una contestuale apertura della liquidazione giudiziale, la revoca dell’omologazione ha effetto solo dal passaggio in giudicato, in coerenza anche con l’indirizzo del CCII che tende a limitare “l’altalena” delle procedure, nella specie costituita da una cessazione temporanea della procedura, seguita poi da una eventuale “riattivazione” della stessa a seconda dell’esito del ricorso in cassazione e definitivo del giudizio.
[13] 
Vedi Rana, op cit., che formula anche altre ipotesi: “una riconvenzionale di liquidazione giudiziale contrapposta a quella di liquidazione controllata proposta non tanto dal debitore quanto da un creditore intervenuto” ed elenca poi le “domande riconvenzionali esperibili nel procedimento di liquidazione controllata: quella di esdebitazione ex art. 268 CCII e quella di concordato minore, ristrutturazione del debito del consumatore e ADR dell'imprenditore agricolo”.
[14] 
Sull’art. 271 CCII vedi diffusamente Montanari, Il concorso delle procedure da sovraindebitamento nel sistema del Codice della crisi, op. cit.
[13] 
Vedi Rana, op cit., che formula anche altre ipotesi: “una riconvenzionale di liquidazione giudiziale contrapposta a quella di liquidazione controllata proposta non tanto dal debitore quanto da un creditore intervenuto” ed elenca poi le “domande riconvenzionali esperibili nel procedimento di liquidazione controllata: quella di esdebitazione ex art. 268 CCII e quella di concordato minore, ristrutturazione del debito del consumatore e ADR dell'imprenditore agricolo”.
[14] 
Sull’art. 271 CCII vedi diffusamente Montanari, Il concorso delle procedure da sovraindebitamento nel sistema del Codice della crisi, op. cit.

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I sistemi informatici e le procedure software preposte al funzionamento di questo sito web acquisiscono, nel corso del loro normale esercizio, alcuni dati personali la cui trasmissione è implicita nell'uso dei protocolli di comunicazione di Internet. In questa categoria di dati rientrano gli indirizzi IP, gli indirizzi in notazione URI (Uniform Resource Identifier) delle risorse richieste, l'orario della richiesta, il metodo utilizzato nel sottoporre la richiesta al server, la dimensione del file ottenuto in risposta, il codice numerico indicante lo stato della risposta data dal server (buon fine, errore, ecc.) ed altri parametri relativi al sistema operativo dell'utente.

Tempi di conservazione dei Suoi dati - I dati personali raccolti durante la navigazione saranno conservati per il tempo necessario a svolgere le attività precisate e non oltre 24 mesi.

Modalità del trattamento - Ai sensi e per gli effetti degli artt. 12 e ss. del GDPR, i dati personali degli interessati saranno registrati, trattati e conservati presso gli archivi elettronici delle Società, adottando misure tecniche e organizzative volte alla tutela dei dati stessi. Il trattamento dei dati personali degli interessati può consistere in qualunque operazione o complesso di operazioni tra quelle indicate all' art. 4, comma 1, punto 2 del GDPR.

Comunicazione e diffusione - I dati personali dell’interessato potranno essere comunicati, intendendosi con tale termine il darne conoscenza ad uno o più soggetti determinati, dalla Società a terzi per dare attuazione a tutti i necessari adempimenti di legge. In particolare i dati personali dell’interessato potranno essere comunicati a Enti o Uffici Pubblici o autorità di controllo in funzione degli obblighi di legge.

I dati personali dell’interessato potranno essere comunicati nei seguenti termini:

  • - a soggetti che possono accedere ai dati in forza di disposizione di legge, di regolamento o di normativa comunitaria, nei limiti previsti da tali norme;
  • - a soggetti che hanno necessità di accedere ai dati per finalità ausiliare al rapporto che intercorre tra l’interessato e la Società, nei limiti strettamente necessari per svolgere i compiti ausiliari.

Diritti dell’interessato - Ai sensi degli artt. 15 e ss GDPR, l’interessato potrà esercitare i seguenti diritti:

  • 1. accesso: conferma o meno che sia in corso un trattamento dei dati personali dell’interessato e diritto di accesso agli stessi; non è possibile rispondere a richieste manifestamente infondate, eccessive o ripetitive;
  • 2. rettifica: correggere/ottenere la correzione dei dati personali se errati o obsoleti e di completarli, se incompleti;
  • 3. cancellazione/oblio: ottenere, in alcuni casi, la cancellazione dei dati personali forniti; questo non è un diritto assoluto, in quanto le Società potrebbero avere motivi legittimi o legali per conservarli;
  • 4. limitazione: i dati saranno archiviati, ma non potranno essere né trattati, né elaborati ulteriormente, nei casi previsti dalla normativa;
  • 5. portabilità: spostare, copiare o trasferire i dati dai database delle Società a terzi. Questo vale solo per i dati forniti dall’interessato per l’esecuzione di un contratto o per i quali è stato fornito consenso e espresso e il trattamento viene eseguito con mezzi automatizzati;
  • 6. opposizione al marketing diretto;
  • 7. revoca del consenso in qualsiasi momento, qualora il trattamento si basi sul consenso.

Ai sensi dell’art. 2-undicies del D.Lgs. 196/2003 l’esercizio dei diritti dell’interessato può essere ritardato, limitato o escluso, con comunicazione motivata e resa senza ritardo, a meno che la comunicazione possa compromettere la finalità della limitazione, per il tempo e nei limiti in cui ciò costituisca una misura necessaria e proporzionata, tenuto conto dei diritti fondamentali e dei legittimi interessi dell’interessato, al fine di salvaguardare gli interessi di cui al comma 1, lettere a) (interessi tutelati in materia di riciclaggio), e) (allo svolgimento delle investigazioni difensive o all’esercizio di un diritto in sede giudiziaria)ed f) (alla riservatezza dell’identità del dipendente che segnala illeciti di cui sia venuto a conoscenza in ragione del proprio ufficio). In tali casi, i diritti dell’interessato possono essere esercitati anche tramite il Garante con le modalità di cui all’articolo 160 dello stesso Decreto. In tale ipotesi, il Garante informerà l’interessato di aver eseguito tutte le verifiche necessarie o di aver svolto un riesame nonché della facoltà dell’interessato di proporre ricorso giurisdizionale.

Per esercitare tali diritti potrà rivolgersi alla nostra Struttura "Titolare del trattamento dei dati personali" all'indirizzo ssdirittodellacrisi@gmail.com oppure inviando una missiva a Società per lo studio del diritto della crisi via Principe Amedeo, 27, 46100 - Mantova (MN). Il Titolare Le risponderà entro 30 giorni dalla ricezione della Sua richiesta formale.

Dati di contatto - Società per lo studio del diritto della crisi con sede in via Principe Amedeo, 27, 46100 - Mantova (MN); email: ssdirittodellacrisi@gmail.com.

Responsabile della protezione dei dati - Il Responsabile della protezione dei dati non è stato nominato perché non ricorrono i presupposti di cui all’art 37 del Regolamento (UE) 2016/679.

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