Il trattamento dei crediti tributari nel concordato preventivo è disciplinato dall’art. 88 CCII, che ha in gran parte recepito il vecchio art. 182 ter L. fall., come ridisegnato dagli interventi riformatori sopra ricordati (specificamente dal D.L. n. 125/20 e dal D.L. n. 118/21)[14].
Il comma 1 della norma ripropone la possibilità, per il debitore che deposita piano di concordato preventivo, di proporre (esclusivamente con richiesta fatta ai sensi dell’art. 88 CCII, come specificato a seguito della modifica introdotta al testo originario dal D.Lgs. n. 147/2020) il pagamento parziale o anche dilazionato: a) dei tributi e dei relativi accessori amministrati dalle agenzie fiscali; b) dei contributi amministrati dagli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza, assistenza e assicurazione per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti e dei relativi accessori.
La condizione di ammissibilità è la stessa già prevista dal precedente art. 182 ter L. fall., e cioè che “il piano ne preveda la soddisfazione in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale, sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni e ai diritti sui quali sussiste la causa di prelazione, indicato nella relazione di un professionista indipendente”.
L’attestazione del professionista indipendente (analoga a quella già prevista dall’art. 160, comma 2, L. fall.), “ha ad oggetto anche la convenienza del trattamento proposto rispetto alla liquidazione giudiziale”, come espressamente stabilito dal comma 2 dell’art. 88 CCII La norma è stata integrata, nel testo finale che ha recepito le modifiche introdotte dal D.Lgs. n. 83/22 (di attuazione, nel nostro ordinamento, della direttiva UE 2019/1023, c.d. Insolvency), con la previsione che “nel concordato in continuità aziendale” il professionista indipendente deve attestare anche “la sussistenza di un trattamento non deteriore”. Su questo punto si tornerà a breve.
La norma ripropone poi, negli ultimi due periodi del comma 1, i limiti già indicati nell’art. 182 ter L. fall. relativamente ai crediti tributari e contributivi assistiti da privilegio (per i quali è previsto che la percentuale di soddisfacimento, i tempi di pagamento e le eventuali garanzie non possano essere inferiori o meno vantaggiosi rispetto a quelli offerti ai creditori che hanno un grado di privilegio inferiore o a quelli che hanno una posizione giuridica e interessi economici omogenei a quelli delle agenzie e degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie) e ai crediti chirografari (per i quali è previsto che il trattamento non possa essere differenziato rispetto a quello degli altri creditori chirografari e, in caso di suddivisione in classi, di quelli per i quali è previsto il trattamento più favorevole).
Il procedimento amministrativo conseguente al deposito di un piano contenente la proposta di pagamento parziale o dilazionato dei crediti tributari e di quelli contributivi relativi a forme obbligatorie di previdenza, assistenza e assicurazione è disciplinato dall’art. 88, comma 3, CCII, che ricalca in modo quasi fedele il vecchio comma 2 dell’art. 182 ter L. fall. In particolare, la norma prevede che copia della proposta e della relativa documentazione, contestualmente al deposito presso il tribunale, deve essere inoltrata all’agente della riscossione e “agli altri uffici competenti” (evidentemente, per quanto concerne l’esistenza di crediti contributivi), da individuarsi in base all’ultimo domicilio fiscale del debitore, unitamente a copia delle dichiarazione fiscali per le quali non sia ancora pervenuto l’esito dei controlli automatici e delle relative dichiarazioni integrative fino alla data di presentazione delle domanda. Nel termine di trenta giorni dal deposito l’agente della riscossione deve trasmettere al debitore una certificazione attestante l’entità del debito iscritto a ruolo scaduto o sospeso, nonché tutti gli uffici devono procedere alla liquidazione dei tributi risultanti dalle dichiarazioni e alla notifica dei relativi avvisi di irregolarità, “unitamente ad una certificazione attestante l’entità del debito derivante da atti di accertamento, ancorché non definitivi, per la parte non iscritta a ruolo, nonché dai ruoli vistati, ma non ancora consegnati all’agente della riscossione”. Tale documentazione va trasmessa anche al Commissario Giudiziale, se già nominato, per gli adempimenti di cui agli artt. 105 comma 1 e 106 CCII, e cioè in vista della predisposizione della relazione iniziale (analoga a quella prevista per il curatore del fallimento dall’art. 33 L. fall.) e perla segnalazione di eventuali fatti idonei a giustificare la revoca dell’ammissione al concordato.
Il quarto e quinto comma dell’art.88 CCII disciplinano le modalità di esercizio del diritto di voto da parte dei creditori fiscali. In particolare stabilendo che relativamente al credito tributario chirografario complessivo il voto sulla proposta concordataria è espresso dall’ufficio, previo parere conforme della competente direzione regionale (comma 4) e che l’agente della riscossione ha diritto di voto unicamente con riferimento agli oneri di riscossione di cui all’art. 17 D.Lgs. n. 112/1999.
Di particolare rilievo sono le modifiche introdotte all’art. 88 CCII nella versione finale adottata con il D.Lgs. n. 83/2022 ed entrata in vigore il 15 luglio 2022.
Il comma 2 bis recepisce nel CCII l’istituto del cram down già introdotto nella Legge Fallimentare dall’art. 3, comma 1 bis, D.L. n. 125/2020 (e successivamente modificato dall’art. 20, comma 1, D.L. n. 118/2021).
La norma prevede che il tribunale proceda comunque all’omologa del concordato, anche senza l’adesione dell’amministrazione finanziaria e degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie in presenza dei seguenti presupposti: a) quando l’adesione di detti enti è determinante ai fini del raggiungimento delle percentuali di cui all’art. 109, comma 1, CCII; b) se sulla base della relazione del professionista indipendente, la proposta di soddisfacimento dell’amministrazione finanziaria o degli enti previdenziali e assistenziali “è conveniente e non deteriore rispetto all’alternativa liquidatoria”.
Rispetto alla precedente formulazione della norma, il D.Lgs. n. 83/22 (che ha recepito nel nostro ordinamento la Direttiva UE c.d. Insolvency n 2019/1023) ha aggiunto alla norma la previsione, recepita nella versione finale del Codice della crisi entrata in vigore il 15 luglio 2022, della non deteriorità del trattamento rispetto all’alternativa liquidatoria (requisito invece non richiesto per l’operatività del cram down negli accordi di ristrutturazione del debito). La norma va letta in coordinamento con il comma 2, anch’esso modificato dal D.Lgs. n. 83/22, che, con riferimento all’attestazione del professionista, specifica che la stessa deve attestare la convenienza del trattamento proposto rispetto alla liquidazione giudiziale e “nel concordato in continuità aziendale, la sussistenza di un trattamento non deteriore”.
Ci si chiede dunque se l’accertamento della non deteriorità del trattamento vada compiuto unicamente con riguardo al concordato in continuità (ovvero esteso al concordato liquidatorio) e se, per contro, nel concordato in continuità serva l’ulteriore accertamento del requisito della convenienza del trattamento. I due concetti, infatti (convenienza e non deteriorità), per quanto similari, non sono perfettamente coincidenti[15]: il trattamento non deteriore richiede che al creditore dissenziente sia offerto un trattamento in termini satisfattivi almeno pari a quello che riceverebbe in caso di liquidazione giudiziale, mentre il trattamento conveniente presuppone che al creditore sia offerto un trattamento migliore a quello che riceverebbe dalla liquidazione giudiziale.
L’interpretazione più coerente, alla luce dell’impianto normativo del Codice della crisi (e, in particolare, dalla struttura tipica del concordato liquidatorio, ammissibile nel nuovo regime solo se ontologicamente più conveniente, come si desume dall’art. 84, comma 4, che prevede il necessario apporto di finanza esterna “che incrementi di almeno il 10 per cento l’attivo disponibile al momento della presentazione della domanda…”) è quella per cui nel concordato liquidatorio l’attestatore deve accertare unicamente la convenienza del trattamento dei crediti tributari rispetto alla liquidazione (requisito di ammissibilità stessa del concordato), cosicché il Tribunale potrà operare il cram down fiscale se la proposta di soddisfacimento di tali crediti è conveniente rispetto all’ipotesi liquidatoria; al contrario, nel concordato in continuità, la cui convenienza è presunta dal legislatore atteso che garantisce, rispetto al concordato liquidatorio, la prosecuzione dell’attività dell’impresa, l’attestazione deve limitarsi all’accertamento che il trattamento dei crediti tributari non è deteriore rispetto alla liquidazione, sicché il Tribunale potrà operare il cram down sulla base di detto accertamento, a prescindere dall’eventuale minore convenienza della proposta[16]. L’accertamento della non deteriorità nel concordato in continuità trova la sua giustificazione nella necessità di verificare che i flussi economici e finanziari non abbiano invero prodotto un rendimento negativo, che pregiudicherebbe il soddisfacimento dei creditori.
I confini tra convenienza e non deteriorità appaiono peraltro labili e destinati ad essere riempiti dall’elaborazione giurisprudenziale applicativa delle nuove regole (non è infatti agevole individuare un trattamento meno conveniente che non sia al contempo deteriore rispetto all’alternativa della liquidazione giudiziale).
L’altra modifica significativa apportata dal D.Lgs. n. 83/22 all’art. 88 CCII è rinvenibile nel comma 1, che prevede con le modalità sopra descritte la possibilità di prevedere il pagamento parziale o dilazionato dei crediti tributari e contributivi, e al quale è applicata una clausola di salvaguardia relativamente al concordato in continuità aziendale, costituita dal richiamo espresso all’art. 112, comma 2, CCII (“Fermo restando quanto previsto, per il concordato in continuità aziendale, dall’articolo 112 comma 2…”).
La norma richiamata prevede, in caso di concordato in continuità aziendale, un’ipotesi di cram dovn allargata a tutti i creditori, in presenza di determinati presupposti che devono ricorrere congiuntamente. In particolare è stabilito che in presenza di una o più classi dissenzienti il tribunale, su richiesta del debitore o con il suo consenso in caso di proposte concorrenti, proceda comunque all’omologa del concordato in presenza delle seguenti condizioni.
La prima (art. 112, comma 2, lett. a), CCII) è che il valore di liquidazione sia distribuito nel rispetto delle cause legittime di prelazione (senza, quindi, che si debba procedere ad alcuna degradazione).
La seconda condizione (art. 112, comma 2, lett. b), CCII) è che il valore eccedente quello di liquidazione sia distribuito “in modo tale che i creditori dissenzienti ricevano complessivamente un trattamento almeno pari a quello delle classi dello stesso grado e più favorevole rispetto a quello delle classi di grado inferiore, fermo restando quanto previsto dall’art. 84, comma 7”[17].
La terza condizione è che nessun creditore riceva più dell’importo del proprio credito (art. 112, comma 2, lett. c), CCII ).
Infine, il cram down è ammesso se la proposta è approvata dalla maggioranza delle classi, “purché almeno una sia formata da creditori titolari di diritti di prelazione, oppure, in mancanza, … da almeno una classe di creditori che sarebbero almeno parzialmente soddisfatti rispettando la graduazione delle cause legittime di prelazione anche sul valore eccedente quello di liquidazione” (art. 112, comma 2, lett. d), CCII).
Si tratta di una serie i presupposti che, se soddisfatti congiuntamente, consentono al tribunale di omologare il concordato in continuità aziendale anche in caso di dissenso manifestato da parte di una o più classi, in deroga al principio maggioritario disciplinato dal primo comma dell’art. 112 CCII.
Ci si chiede, pertanto, se la clausola inserita nel comma 1 dell’art. 88 CCII comporti l’esclusione dell’applicazione della disciplina del cram down fiscale prevista dalla norma al concordato in continuità (in ragione del cram down allargato previsto dall’art. 112, comma 2) ovvero se tale previsione semplicemente valga a specificare che la previsione del cram down fiscale previsto dal comma 2 bis dell’art. 88 CCII non esclude, ma si aggiunge, alle ipotesi di cram down generali disciplinate dall’art. 112 CCII.
La seconda soluzione è indubbiamente quella corretta.
Depongono, in tal senso, un argomento sistematico e due di natura prettamente normativa.
Sotto il profilo sistematico, appare contrario alla ratio che informa l’intera disciplina contenuta nel Codice della crisi e dell’insolvenza l’esclusione del cram down fiscale proprio nel giudizio di omologazione del concordato in continità che costituisce, a tutti gli effetti, la forma tipica di concordato indicata nel Codice, stante la eccezionalità delle ipotesi di concordato liquidatorio. L’inapplicabilità del cram down fiscale al concordato in continuità, in altre parole, finirebbe con lo svuotare di rilevanza l’istituto, che risulterebbe applicabile unicamente alle residue e marginali ipotesi di concordato liquidatorio.
Sotto il profilo normativo, invece, vi sono due rilievi testuali che depongono inequivocabilmente nel senso dell’applicabilità del cram down fiscale anche alle ipotesi del concordato in continuità.
Il primo è rinvenibile all’interno dello stesso art. 88 CCII La norma prevede, infatti, come detto, che l’attestatore valuti, nel concordato in continuità, la non deteriorità del trattamento riservato al creditore fiscale (previdenziale, assistenziale) rispetto all’alternativa liquidatoria. Si è già avuto modo di argomentare come tale valutazione di non deteriorità sia riservato unicamente alle ipotesi di concordato in continuità. Il comma 2 bis, nel prevedere l’istituto del cram down, espressamente prevede che operi quando il tribunale giudica che il trattamento riservato al creditore pubblico è “conveniente o non deteriore” rispetto all’alternativa della liquidazione giudiziale. Se, quindi, la norma rimette al Tribunale anche la valutazione di non deteriorità, che come detto è tipica ed esclusiva del concordato in continuità, risulta evidente che tale valutazione potrà essere operata dal Tribunale solo in sede di cram down fiscale in un concordato in continuità. L’argomento appare davvero assorbente rispetto ad ogni ulteriore dubbio.
In ogni caso, a voler diversamente intendere, e cioè escludendo l’applicabilità al concordato in continuità aziendale del comma 2 bis dell’art. 88 CCII applicandosi allo stesso unicamente il cram down previsto dall’art. 112 CCII, si arriverebbe, di nuovo, al paradosso di paralizzare l’operatività del cram down fiscale proprio nell’ipotesi di concordato privilegiata dal legislatore: infatti, essendo necessaria, come si è visto, l’approvazione da parte della maggioranza delle classi (art. 112, comma 2, lett. c), CCII), se tale maggioranza venisse meno per il diniego determinante della classe dei creditori pubblici (Erario e Previdenza), il concordato non sarebbe omologabile non operando il cram down fiscale. L’art. 112, comma 2, lett. c), è pertanto un ulteriore dato normativo che depone univocamente nel senso di ritenere applicabile al concordato in continuità anche l’istituto del cram down previsto dal comma 2 bis dell’art. 88 CCII.
Così correttamente interpretato l’incipit dell’art. 88 CCII come introdotto dal D.Lgs n. 83/22, deve concludersi che, mentre nel concordato liquidatorio il pagamento dei crediti fiscali (previdenziali e assistenziali può essere ridotto o differito secondo le regole generali previste dall’art. 88 CCII (carattere determinante della mancanza di adesione da parte dell’Agenzia delle Entrate; convenienza del trattamento proposto rispetto all’alternativa liquidatoria), nel concordato in continuità aziendale occorre distinguere: qualora il dissenso dell’ Erario (o degli altri creditori previdenziali) non risulti determinante ai fini del mancato voto favorevole di tutte le classi, il tribunale omologherà comunque la proposta applicando i criteri dettati dall’art. 112 CCII. Laddove invece tale dissenso sia determinante ai fini del raggiungimento della maggioranza del voto favorevole di tutte le classi, il Tribunale dovrà dapprima procedere al cram down fiscale previsto dall’art. 88, comma 2 bis, CCII (per il raggiungimento delle maggioranze necessarie) e successivamente all’omologazione forzosa del concordato in applicazione delle regole dettate dall’art. 112 CCII.