Se quanto descritto rappresenta il sostrato dell’ordinamento della crisi, la composizione negoziata ne costituisce il precipitato lato sensu procedimentale; l’elevazione della buona fede e correttezza a canone comportamentale ne è, invece, il corollario sostanziale[19].
La normazione per principi segna la novità più rilevante della disciplina della crisi d’impresa, ambito in cui l’elaborazione dei criteri regolatori è stata usualmente affidata al guizzo dell’interprete. Con il Codice della crisi, il legislatore individua espressamente i valori-guida, offrendo un indirizzo ermeneutico per le discipline di dettaglio: una struttura binaria di valori – continuità e tutela del credito – è chiamata a governare il rapporto tra gli interessi molteplici[20].
Pertanto, trova terreno fruttifero l’innesto della clausola generale di buona fede, intrinsecamente diretta alla sintesi tra interessi contrapposti e idonea a funzionare da criterio di raccordo nell’applicazione concreta delle norme[21].
Fisiologico, peraltro, che la buona fede non si esaurisca nell’applicazione settoriale di uno schema generale, ma richieda una ricostruzione autonoma, coerente con i principi propri della materia concorsuale[22]. L’introduzione della clausola generale impone una rilettura assiologica dell’impianto normativo, dacché, per scelta di politica legislativa, si è assistito a un mutamento di archetipo: dalla tutela rigida e monetaria del credito si è passati alla salvaguardia di un esito negoziale capace di conciliare le pretese creditorie con la continuità dell’impresa, se ancora sostenibile[23].
Il contesto della crisi è permeato dal criterio del no worst test, secondo cui il creditore non può opporsi a soluzioni che gli garantiscano un trattamento non inferiore rispetto allo scenario liquidatorio. In questa prospettiva, egli è chiamato – e talvolta vincolato – a considerare proposte che, pur non pienamente aderenti alle sue rivendicazioni, si collocano entro un range di equilibrio ritenuto soddisfacente.
La buona fede si rivela strumento operativo per l’attuazione di finalità che oltrepassano il plesso degli interessi contrattuali originari. L’architettura negoziale primigenia scricchiola dinanzi all’irrompere della crisi, che porta con sé una ridefinizione delle priorità. Sporgono interessi eterogenei, gravitanti attorno alla tenuta dell’impresa e alla sua funzione economico-sociale.
Il deterioramento delle condizioni economico-finanziarie non ricade solo su un piano individuale, veicola esigenze di salvaguardia comune, imponendole con forza crescente. La posizione creditoria singolare, magari di modesta entità, tende a perdere rilievo sistemico, condannata com’è a un ruolo secondario rispetto alla necessità di preservare assetti più ampi. D’altra parte, in presenza di instabilità o dissesto, anche l’attività societaria si riorganizza attorno a obiettivi che travalicano l’interesse dei soci. L’orizzonte operativo si ingrandisce, e l’interesse tipico delineato dall’art. 2247 c.c. viene progressivamente soppiantato da esigenze di continuità, stabilità e tutela di valori ulteriori.
Il diritto della crisi scava in profondità nella struttura del diritto delle obbligazioni e dei contratti, introducendo precetti nuovi anche nei rapporti negoziali formalmente perfezionati, ove sopraggiunga la condizione di crisi.
Ci troviamo di fronte a contratti ancora da eseguire, rimasti inadempiuti, la cui rilettura viene affidata a una dialettica cooperativa, con un intento evidente: favorire una convergenza tra le parti, inclinando il comportamento del ceto creditorio verso pratiche solidaristiche, funzionali alla ristrutturazione dell’impresa e alla prevenzione di condotte predatorie.
La trama normativa è densa.
L’art. 4, comma 1, CCII impone, sin dalle fasi prodromiche alla regolazione della crisi, che tutte le parti coinvolte — debitore, creditori e soggetti interessati — si conformino al principio di buona fede e correttezza.
Il comma 4 traduce tale principio in un dovere di collaborazione, richiamando i commi 5 e 6 dell’art. 16 CCII, che ne precisano il contenuto operativo, estendendolo anche al rispetto della riservatezza.
Il novero degli obblighi di buona fede e correttezza si fa più stringente per i creditori professionali di natura finanziaria: questi ultimi, ai sensi dell’articolo 16, comma 5, siano banche, intermediari finanziari o anche servicer, sono tenuti a partecipare alle trattative in modo attivo e informato. La scelta risponde all’esigenza di responsabilizzare soggetti che hanno un livello di organizzazione professionale orientata tanto alla valutazione del merito creditizio quanto all’attività di recupero, che costituisce una fase del loro ciclo economico.
Il comma 6 estende il dovere di collaborazione a tutte le parti coinvolte, articolandolo lungo tre direttrici: sollecitudine, riservatezza e riscontro tempestivo e motivato alle proposte ricevute.
La prima impone una reazione pronta alle sollecitazioni negoziali; la seconda richiede discrezione nella gestione delle informazioni e delle iniziative, evitando ricadute distorsive sul mercato; la terza esige risposte motivate e tempestive, a conferma di una dinamica intersoggettiva fondata su trasparenza, responsabilità e volontà effettiva di soluzione.
Il criterio comportamentale adottato dal legislatore si ricollega agli artt. 1175 e 1375 c.c., evocando un collaudato impianto normativo fondato su buona fede e correttezza.
Queste ultime, lungi dall’atteggiarsi in un mero riferimento etico, prendono forma di canone operativo, che vincola tutti i soggetti coinvolti — nell’orizzonte camerale o giudiziale — a collaborare lealmente.
Il relativo dovere, privo di specificazione soggettiva, si estende a tutte le fasi delle trattative e dell’esecuzione della procedura, coinvolgendo indistintamente debitori, creditori e soggetti interessati.
Nel contesto della crisi d’impresa, i creditori tendono ad agire in modo isolato e difensivo, ignorando che l’approccio individualistico spesso conduce a esiti peggiori rispetto a una soluzione condivisa. La mancanza di coordinamento, la sfiducia reciproca e l’asimmetria informativa ostacolano la cooperazione, con il rischio di dispersione del valore. La posizione dei creditori rispetto allo squilibrio dell’impresa richiama il c.d. dilemma del prigioniero, elaborato da Flood e Dresher e formalizzato da Tucker nell’ambito della teoria dei giochi: in assenza di fiducia e coordinamento, soggetti razionali adottano strategie difensive che li penalizzano. Come i prigionieri che, interrogati separatamente, scelgono di confessare per timore che l’altro lo faccia, pur sapendo che il silenzio reciproco garantirebbe una pena più lieve, così nel contesto concorsuale l’azione isolata dei creditori finisce per compromettere il valore complessivo. La buona fede, al contrario, favorisce la cooperazione e la ricerca di soluzioni più efficienti e consente di superare l’impasse, imponendo trasparenza, responsabilità e apertura al dialogo, sospingendo le parti verso scelte collettive più efficienti[24].
Gli obblighi di buona fede si applicano già nella fase delle trattative, sempre che queste ultime siano state almeno formalmente avviate nell’ambito di un percorso di composizione negoziata. Solo l’inizio di una trattativa strutturata – sia in sede di composizione negoziata, sia nell’ambito di una procedura concorsuale – determina, d’altronde, tra i creditori una relazione che rende le rispettive posizioni interdipendenti, in quanto la soddisfazione delle pretese di ciascuno può dipendere dalle scelte e dal contegno degli altri. In questo contesto, i soggetti coinvolti assumono il ruolo di “parti” della trattativa, e ciò giustifica l’esigenza di comportamenti improntati a correttezza e collaborazione.
Da quel momento, si impone l’obbligo di tenere una condotta cooperativa, che richiede di considerare, nel perseguimento del proprio interesse, anche gli interessi degli altri partecipanti alla negoziazione, secondo i criteri definiti dal quadro normativo. La leale collaborazione è, del resto, un dovere reciproco, che si proietta sul debitore, i creditori e i terzi interessati.
Nel perimetro della crisi, i creditori cessano di essere meri “pretendenti di pagamento” per essere chiamati a esercitare i propri diritti in modo cooperativo, evitando condotte distruttive o strumentali. La buona fede non si limita a vietare l’abuso, ma impone una collaborazione ragionevole. Il rifiuto pregiudiziale di un piano oggettivamente vantaggioso per la massa può tradursi in un uso distorto del diritto di credito.
La buona fede integra la disciplina concorsuale, imponendo comportamenti solidali e offrendo al giudice strumenti di riequilibrio rispetto a posizioni ostruzionistiche. Non è solo principio di stile, ma criterio operativo che vincola debitore e creditori a una condotta trasparente e affacciata sull’interesse collettivo.
Nel diritto della crisi, gli obblighi di informazione e protezione assumono rilievo rafforzato. Il debitore deve garantire trasparenza, tutelare la garanzia patrimoniale e attivarsi lealmente per favorire una soluzione condivisa. I creditori, a loro volta, devono formulare correttamente le proprie pretese, evitare abusi e contribuire al buon esito della procedura.
L’art. 4 CCII segna un passaggio culturale netto: dal conflitto frontale si passa a una cooperazione regolata, nell’interesse della collettività dei creditori e dell’economia.
Tuttavia, il coordinamento spontaneo stenta a realizzarsi, ostacolato da asimmetrie informative e costi di accesso ai dati. La dichiarazione di crisi recide il rapporto fiduciario formale: la trattativa diventa strumento di rigenerazione.
Il riferimento alle trattative richiama l’art. 1337 c.c., tradizionalmente interpretato in chiave negativa: non come guida, ma come limite alle scorrettezze. Il diritto vivente, in sintesi, non dice come negoziare, ma come non farlo.
Nel contesto della regolazione della crisi — sia nella composizione negoziata che negli strumenti concorsuali ex art. 2, comma 1, lett. m-bis — il quadro cambia: le relazioni sono complesse e strutturate, e il comportamento delle parti deve essere ricostruito in positivo. Non basta evitare scorrettezze: è richiesto un atteggiamento attivo, collaborativo e trasparente[25].