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Saggio

I doveri delle parti*

Luciano Panzani, già Presidente della Corte d’Appello di Roma

14 Settembre 2022

*Il saggio è stato sottoposto in forma anonima alla valutazione di un referee.
*Lo scritto è destinato, con eventuali variazioni, allo Speciale di Diritto della crisi, di prossima pubblicazione, dal titolo “Studi sull’avvio del Codice della crisi” a cura di Laura De Simone, Massimo Fabiani e Salvo Leuzzi.
L’Autore indaga i corollari dogmatici e applicativi dei nuovi doveri delle parti nel contesto operativo del neonato Codice, cogliendo le implicazioni profonde del travaso nella nuova disciplina concorsuale delle clausole generali della correttezza e della buona fede. 
Riproduzione riservata
1 . Codice della crisi e doveri delle parti
Uno dei tratti maggiormente innovativi del nuovo codice, già presente nella versione approvata con il D.Lgs. n. 14/2019, è la previsione, tra i principi generali, di una norma che regola gli obblighi delle parti, debitore e creditori, nelle procedure e soprattutto durante le trattative. L’art. 4 prevede un generale obbligo per debitori e creditori di comportarsi secondo buona fede e correttezza nella composizione negoziata, nelle trattative e nei procedimenti per l’accesso agli strumenti di composizione della crisi e dell’insolvenza. Tale obbligo, comune a debitore e creditori, era stato ripreso dall’art. 4 del D.L. n. 118/21, in attesa dell’entrata in vigore del codice, in relazione al nuovo istituto della composizione negoziata della crisi.
Anche gli artt. 182 septies e 182 octies, introdotti dal D.L. nel testo della legge fallimentare sulla falsariga di quanto previsto nella prima versione del codice[1], hanno previsto per gli accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa e per la convenzione di moratoria l’obbligo di informare i creditori appartenenti alla categoria dell’avvio delle trattative e di metterli in condizione di parteciparvi in buona fede. Tali obblighi sono stati mantenuti nel corrispondente testo degli artt. 61 e 72 della versione definitiva del codice. 
Va poi sottolineato che la buona fede è espressamente considerata dal legislatore nell’art. 69, relativamente alla procedura di ristrutturazione dei debiti del consumatore perché questi non può accedere alla procedura quando abbia determinato la situazione di sovraindebitamento con colpa grave, malafede o frode. E più in generale il debitore in caso di sovraindebitamento non può beneficiare dell’esdebitazione quando abbia determinato la situazione di sovraindebitamento con malafede, colpa grave o frode. Inoltre il creditore che abbia colpevolmente determinato la situazione di sovraindebitamento o il suo aggravamento subisce sanzioni di carattere processuale sia nel caso della procedura di ristrutturazione dei debiti del consumatore (art. 69, comma 2) sia nel caso del concordato minore (art. 80, comma 4). 
Con il testo definitivo del codice, approvato con il D.Lgs. n. 83/2022, il legislatore ha confermato la previsione di carattere generale contenuta nell’art. 4, mantenendo peraltro un’ulteriore articolazione di tale disciplina nell’art. 16 con riferimento specifico alla composizione negoziata.
E’ osservazione comune della dottrina, in occasione dei commenti dell’art. 4 del D.L. n. 118/21 e della prima versione del codice, che il legislatore ha in questo modo esteso alla materia della negoziazione delle parti in sede concorsuale e pre concorsuale un principio generale, affermato dal codice civile, con riferimento alla disciplina del contratto sia relativamente alle trattative (art. 1337 c.c.) che alla interpretazione (art. 1366 c.c. ) e all’esecuzione del contratto (art. 1375 c.c.)[2]. E va ricordato che l’art. 1175 c.c. stabilisce nella disciplina generale delle obbligazioni che debitore e creditore debbono comportarsi secondo le regole della correttezza. 
Di qui la conclusione che il principio affermato dall’art. 4 del nuovo codice sia in qualche misura ridondante perché non sarebbe altro che la ripetizione, in qualche misura enfatica, di una regola già chiaramente espressa nel codice civile, affermata per quanto concerne l’obbligo di correttezza, già con espresso riferimento al rapporto tra debitore e creditore. La critica è tuttavia ingenerosa perché l’affermazione dell’obbligo di buona fede e correttezza non era mai stata espressamente collegata alla materia concorsuale in uno strumento legislativo, perché le procedure concorsuali hanno, almeno quando intervenga un provvedimento di omologazione del giudice, una componente negoziale ed una componente autoritativa che non le rende pienamente sovrapponibili ad un accordo negoziale, perché infine l’art. 4 in commento riferisce l’obbligo di correttezza e buona fede a debitore e creditori, cogliendo la dimensione collettiva delle procedure e della negoziazione, dimensione che sfugge totalmente alla formulazione dell’art. 1175 c.c. che riguarda il rapporto debitore-creditore all’interno dell’obbligazione.
Va peraltro aggiunto che già la giurisprudenza, in particolare la Suprema Corte, aveva fatto ricorso con consolidata giurisprudenza ai parametri della buona fede e della correttezza con riguardo al controverso istituto dell’abuso del diritto[3], osservando che la domanda di concordato preventivo presentata dal debitore non per regolare la crisi dell'impresa attraverso un accordo con i suoi creditori, ma con il palese scopo di differire la dichiarazione di fallimento, era inammissibile in quanto integrava gli estremi di un abuso del processo, che ricorre quando, con violazione dei canoni generali di correttezza e buona fede e dei principi di lealtà processuale e del giusto processo, si utilizzano strumenti processuali per perseguire finalità eccedenti o deviate rispetto a quelle per le quali l'ordinamento li ha predisposti[4]. Va sottolineato che questa giurisprudenza ha rappresentato l’estensione dei principi già elaborati dalla Cassazione con riferimento in generale, anche al di fuori della materia concorsuale, all’istituto dell’abuso del processo[5], che ricorre quando, con violazione dei canoni generali di buona fede e correttezza e dei principi di lealtà processuale e del giusto processo, si utilizzino strumenti processuali per perseguire finalità eccedenti o deviate rispetto a quelle per le quali l'ordinamento li ha predisposti. La Cassazione aveva infatti già osservato che il canone generale di buona fede e correttezza deve ritenersi ormai costituzionalizzato perché esso si pone in sinergia con il dovere inderogabile di solidarietà di cui all’art. 2 Cost. “che a quella clausola negoziale attribuisce ad un tempo forza normativa e ricchezza di contenuti, inglobanti anche obblighi di protezione della persona e delle cose della controparte, funzionalizzando così il rapporto obbligatorio alla tutela dell’interesse del partner negoziale”[6]. 
Va sottolineato che la buona fede è stata anche considerata dal legislatore come elemento che può servire da guida per integrare la fattispecie contrattuale nei contratti ad esecuzione continuata o periodica quando la prestazione sia divenuta eccessivamente onerosa per effetto della pandemia secondo la disciplina dettata dall’art. 10, comma 2, D.L. n. 118/21, con la previsione del potere del giudice di rideterminare equamente il contenuto del contratto, per il periodo strettamente necessario e come misura indispensabile per assicurare la continuità aziendale[7]. Tale disciplina è stata ridimensionata nel disposto del comma 5 dell’art. 17 del codice. Nel corso delle trattative l'esperto può, infatti, invitare le parti a rideterminare, secondo buona fede, il contenuto dei contratti ad esecuzione continuata o periodica ovvero ad esecuzione differita se la prestazione è divenuta eccessivamente onerosa o se è alterato l’equilibrio del rapporto in ragione di circostanze sopravvenute. Le parti sono tenute a collaborare tra loro per rideterminare il contenuto del contratto o adeguare le prestazioni alle mutate condizioni, ma non è più previsto il potere del giudice di integrare e/o modificare la disciplina contrattuale.
2 . Buona fede e correttezza
L’obbligo di buona fede e correttezza sancito nel primo comma dell’art. 4 è un obbligo di carattere generale, alla pari di quello stabilito a carico dei creditori da quarto comma della norma, perché esso si riferisce, come indica chiaramente la norma in commento, non soltanto alla composizione negoziata, ma anche alle trattative ed ai procedimenti per l’accesso agli strumenti di composizione della crisi e dell’insolvenza. Nella definizione di tali strumenti data dall’art. 2, lettera m) bis del codice, rientrano “le misure, gli accordi e le procedure volti al risanamento dell’impresa attraverso la modifica della composizione, dello stato o della struttura delle sue attività e passività o del capitale, oppure volti alla liquidazione del patrimonio o delle attività”, che possono essere preceduti, ma non necessariamente, dal ricorso alla composizione negoziata. Si tratta di una formula amplissima, idonea a ricomprendere non soltanto le procedure di ristrutturazione e liquidatorie, ma le trattative che le precedono ed i sub procedimenti, come quelli relativi alla concessione e conferma delle misure protettive e cautelari. Non vi è ragione, a fronte del fatto che nella definizione rientrano anche procedimenti non giurisdizionali, come quelli relativi al piano attestato, per escludere dalla previsione legislativa le trattative stragiudiziali. Qualche perplessità potrebbe riguardare il comportamento del debitore in occasione dell’accesso alla procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, posto che, com’è noto, tale procedura è stata espunta dal codice della crisi. 
Quanto al contenuto dell’obbligo è evidente che il legislatore ha fatto riferimento all’elaborazione dottrinale e giurisprudenziale dei concetti che abbiamo in precedenza sommariamente riassunto, anche se poi i doveri del debitore e dei creditori sono esplicitati in alcuni precisi obblighi, sanciti rispettivamente nel comma 2 della norma per il debitore e nel comma 4 per i creditori. In dottrina si è avvertito che i doveri di correttezza e buona fede come tutte le clausole generali implicano inevitabilmente un considerevole margine di elasticità interpretativa ed applicativa. Ciò porta necessariamente con sé un ampliamento dell’area di discrezionalità di chi è chiamato a verificarne in concreto il rispetto[8].
Se dunque l’obbligo di buona fede e correttezza, non può che essere inquadrato in principi di carattere generale, quali quelli che si ricavano dalla sua riferibilità al dovere di solidarietà sancito dall’art. 2 Cost.[9], occorre considerare nella propria condotta gli interessi della o delle controparti nella misura in cui essi non confliggono con la propria posizione soggettiva e nei limiti in cui essa è tutelata dall’ordinamento. Non si tratta di addivenire necessariamente ad un accordo, ma di informare la propria condotta a regole che rendano il confronto dei contrapposti interessi il più equo e produttivo possibile. Tornano alla mente le parole delle Sezioni Unite prima citate che sottolineano come il principio di correttezza e buona fede ingloba obblighi di protezione della persona e delle cose della controparte, funzionalizzando così il rapporto obbligatorio alla tutela dell’interesse del partner negoziale[10].
Va aggiunto che l’applicazione della regola di buona fede e correttezza nel processo, cioè nell’ambito dei procedimenti richiamati dalla prima parte dell’art. 4, implica una prospettiva leggermente diversa rispetto all’ottica contrattuale in cui essa ha trovato normalmente applicazione. Se infatti il contratto comporta pur sempre, al di là dei contrapposti interessi delle parti, la realizzazione dello scopo condiviso dai contraenti, il processo è caratterizzato da posizioni reciprocamente ostili, sì che qui dal principio di buona fede discende soprattutto il dovere di un comportamento leale[11].
Gli obblighi specifici dettati dai commi 2 e 4 dell’art. 4 precisano il contenuto di questi doveri di protezione, almeno con riferimento alle ipotesi più frequentemente correnti. 
3 . I doveri del debitore: obbligo di informazione
Il secondo comma dell’art. 4 fotografa i doveri del debitore distinguendoli in tre diverse categorie che attengono rispettivamente agli obblighi di informazione dei creditori sulle condizioni dell’impresa, alla tempestiva individuazione delle soluzioni idonee a risolvere la crisi o l’insolvenza ed al rapido avviamento della procedura prescelta, alla gestione del patrimonio e dell’impresa nell’interesse prioritario dei creditori.
Il debitore infatti secondo il secondo comma dell’art. 4 ha il dovere di:
a) illustrare la propria situazione in modo completo, veritiero e trasparente, fornendo tutte le informazioni necessarie e appropriate rispetto alle trattative avviate, anche nella composizione negoziata, e allo strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza prescelto;
b) assumere tempestivamente le iniziative idonee alla individuazione delle soluzioni per il superamento delle condizioni di cui all’articolo 12, comma 1, durante la composizione negoziata, e alla rapida definizione dello strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza prescelto, anche al fine di non pregiudicare i diritti dei creditori;
c) gestire il patrimonio o l’impresa durante i procedimenti nell’interesse prioritario dei creditori. Resta fermo quanto previsto dagli articoli 16, comma 4, e 21.
Per quanto concerne l’obbligo di informazione ad esso corrisponde il simmetrico dovere di riservatezza dei creditori sulle informazioni che sono state loro fornite.
L’obbligo in parola è stato spesso considerato una manifestazione specifica dell’obbligo di buona fede, tanto che gli obblighi di avviso e protezione in alcuni contratti sono tipizzati (cfr. ad esempio gli artt. 1710, comma 2; 1759; 1770, comma 2; 1898; 1913 c.c.) e più in generale sono considerati doveri di protezione dell’altro contraente[12].
Il debitore ha un obbligo di trasparenza nel fornire le informazioni sulle condizioni dell’impresa. La norma in commento indica che le informazioni debbono essere complete, veritiere e trasparenti. La veridicità dell’informazione deve ovviamente esser valutata tenendo conto del suo contenuto. I fatti debbono essere riferiti nella loro consistenza, ma non potrà rimproverarsi al debitore di aver fornito dati di bilancio secondo i parametri di valutazione ritenuti adeguati, purché sia data notizia anche dei criteri valutativi adottati, che in linea di massima dovranno corrispondere a quelli ordinariamente previsti per la redazione del bilancio tutte le volte che non vi sia specifica ragione per discostarsene. In tale ipotesi occorrerà spiegare quali diversi parametri sono stati utilizzati.
L’indicazione delle scelte fatte nell’ordinare e valutare i dati integra gli estremi della trasparenza dell’informazione fornita.
Un requisito dell’informazione offerta, almeno per quanto concerne le informazioni contabili, è certamente costituito dalla chiarezza[13], non potendosi ritenere completa la comunicazione di dati che non rispondano a tale ultimo requisito, come ben si ricava dal disposto dell’art. 2423 c.c. in tema di bilancio, norma che precisa che se le informazioni richieste da specifiche disposizioni di legge non sono sufficienti a dare una rappresentazione veritiera e corretta, si devono fornire le informazioni complementari atte allo scopo. Il principio, formulato con riguardo all’informazione dovuta per legge ai soci ed ai creditori, può trovare applicazione anche in questo caso, anche se, come si è detto, i parametri di riferimento non sono necessariamente quelli bilancistici.
L’obbligo informativo non è assoluto. Esso riguarda le informazioni necessarie ed appropriate rispetto alle trattative avviate. Il relativo giudizio è legato all’andamento ed al contenuto delle trattative ed è impossibile fornire indicazioni che prescindano dal caso concreto. Non si tratta peraltro delle sole informazioni necessarie, ma anche di quelle che il legislatore definisce come appropriate, vale a dire che integrano il nucleo indispensabile delle informazioni secondo una valutazione di carattere funzionale. Per meglio considerare i limiti del contenuto delle informazioni che sono richieste al debitore, in questo ed in altri casi, occorre considerare che si tratta sempre di articolazioni specifiche del dovere di buona fede e correttezza. Dovranno pertanto essere offerte ai creditori tutte quelle informazioni che consentono loro di avere una visione sufficientemente completa delle condizioni in cui versa l’impresa senza tacere quei dati che potrebbero portare ad una valutazione negativa delle proposte fatte.
Va del resto considerato che alcuni creditori, in particolare i creditori finanziari e le banche, sono già in possesso di molte informazioni che il debitore può aver fornito in precedenza o che risultano dall’accesso alle banche dati, sia la centrale rischi della Banca d’Italia sia banche dati private. La regola di buona fede ed il principio di parità di trattamento dei creditori non dovrebbe consentire al debitore di celare ai creditori meno organizzati, più deboli, informazioni che sono già in possesso degli altri creditori. Del resto un’indicazione in questo senso si ricava dalla disciplina degli accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa e della convenzione di moratoria (artt. 61 e 62 del codice). Sia pur con riferimento alla sola categoria di creditori interessati dai due istituti il legislatore pone l’obbligo (artt. citati, comma 2, lett. a) che “tutti i creditori appartenenti alla categoria siano stati informati dell’avvio delle trattative, siano stati messi in condizione di parteciparvi in buona fede e abbiano ricevuto complete e aggiornate informazioni sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria del debitore nonché sull'accordo e sui suoi effetti.
La valutazione delle informazioni offerte e quindi della loro necessità ed appropriatezza va fatta, dice il legislatore, con riguardo alla composizione negoziata ed allo strumento di composizione della crisi e dell’insolvenza prescelto. In realtà pare dubbio che si possa distinguere il contenuto dell’informazione a seconda dello strumento di composizione della crisi o dell’insolvenza, perché la situazione patrimoniale, economica e finanziaria dell’impresa costituisce la base per qualunque trattativa ed è comunque posta a fondamento del piano, sia esso un piano di ristrutturazione o a contenuto liquidatorio. Va poi considerato, con specifico riferimento alle trattative stragiudiziali ed alla composizione negoziata, che il debitore durante lo svolgimento delle negoziazioni può non essere ancora consapevole del punto di arrivo, se esso sia rappresentato da una procedura conservativa o liquidatoria. E’ quindi complesso immaginare che alcune informazioni possano essere taciute.
Possiamo prendere in considerazione i requisiti del piano che deve accompagnare lo strumento rappresentato dall’accordo in esecuzione del piano attestato di risanamento secondo l’art. 56, richiamati anche per il contenuto del piano negli accordi di ristrutturazione dall’art. 57. È richiesto al debitore di indicare:
a) la situazione economico-patrimoniale e finanziaria dell’impresa; b) le principali cause della crisi; c) le strategie d’intervento e i tempi necessari per assicurare il riequilibrio della situazione finanziaria; d) i creditori e l’ammontare dei crediti dei quali si propone la rinegoziazione e lo stato delle eventuali trattative, nonché l’elenco dei creditori estranei, con l’indicazione delle risorse destinate all’integrale soddisfacimento dei loro crediti alla data di scadenza; e) gli apporti di finanza nuova.
Le circostanze che si riferiscono a tutti questi profili dovranno certamente essere prese in considerazione nell’ambito dell’informazione rivolta ai creditori. E va aggiunto che l’art. 87 con riferimento al concordato preventivo, liquidatorio ed in continuità, pone dei requisiti di contenuto del piano ancora più rigorosi. 
Si potrebbe obiettare che le informazioni relative al contenuto del piano non sono necessariamente tutte note al debitore nel momento in cui egli pone in essere le trattative, tant’è vero che ai sensi dell’art. 44 può essere presentata la domanda con riserva di presentazione del piano, della proposta e degli accordi con riferimento al concordato preventivo, agli accordi di ristrutturazione e più in generale a tutti gli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza. 
In realtà l’art. 44, comma 1, lett. c) prevede che il tribunale nel concedere il termine per la presentazione della proposta, del piano o degli accordi deve disporre gli obblighi informativi periodici a carico del debitore. Tali obblighi hanno ad oggetto anche la gestione finanziaria dell'impresa e l'attività compiuta ai fini della predisposizione della proposta e del piano. Essi comprendono anche l’obbligo del debitore di depositare una relazione periodica sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria.
È dunque evidente che le informazioni che debbono essere fornite anche prima della redazione del piano sono di ampia rilevanza ed investono i profili gestionali e patrimoniali dell’impresa.
Va poi considerato che le informazioni di cui il debitore deve essere in possesso derivano in parte dall’obbligo di istituzione di assetti adeguati previsto sia dall’art. 2086 c.c. che dall’art. 3 del codice ai fini della tempestiva rilevazione della crisi. Ai sensi dell’art. 3, comma 3, del codice gli assetti e le parallele misure che deve adottare l’imprenditore individuale debbono consentire di rilevare squilibri di carattere patrimoniale o economico finanziario ( lett. a) norma citata), verificare la sostenibilità dei debiti e le prospettive di continuità per i dodici mesi successivi (lett. b), mettere il debitore in grado di essere in possesso delle informazioni necessarie per utilizzare la lista di controllo particolareggiata ed effettuare il test di ingresso per la verifica della ragionevole sostenibilità del tentativo di risanamento previsto dall’art. 13, comma 2, del codice per l’accesso alla composizione negoziata (lett. c). 
E’ sufficiente scorrere le informazioni che, secondo il decreto dirigenziale 28 settembre 2021 del Ministero della Giustizia previsto dall’art. 13, comma 2, del codice, l’imprenditore deve fornire per redigere la lista di controllo insieme all’esperto o per accedere al test pratico per rendersi conto che esse riguardano ogni profilo dell’attività dell’impresa. Per quanto concerne il test pratico, è sufficiente osservare che esso tende a verificare se l’impresa è prospetticamente in equilibrio economico e cioè presenta, a decorrere almeno dal secondo anno, flussi annui superiori a zero e destinati a replicarsi nel tempo. Il grado di difficoltà del risanamento è determinato dal risultato del rapporto tra il debito che deve essere ristrutturato e l’ammontare annuo dei flussi al servizio del debito. Dal risultato del test pratico è possibile ricavare elementi indicativi della possibilità di iniziative di risanamento in continuità diretta ovvero della necessità di addivenire a soluzioni in discontinuità e continuità indiretta. A loro volta le risposte alle domande relative alla lista di controllo consentono di ricavare indicazioni operative per la redazione di un piano di risanamento affidabile.
Come si è accennato, l’art. 16, quarto comma, del codice prevede che durante la composizione negoziata il debitore abbia il dovere di rappresentare la propria situazione all’esperto, ai creditori e agli altri soggetti interessati che partecipano alle trattative in modo completo e trasparente. L’obbligo generale affermato dall’art. 4, comma 2, lett. a) è pertanto ribadito dall’art. 16. La norma non aggiunge nulla alla previsione generale dell’art. 4 ed è il portato del recepimento nell’ambito del titolo II del codice della disciplina della composizione negoziata originariamente contenuta nel D.L. n. 118/21. Da essa si ricava però che gli obblighi di informazione a carico del debitore riguardano non soltanto i creditori, ma anche l’esperto (ovviamente soltanto nel caso della composizione negoziata) e i soggetti diversi dai creditori che alla composizione negoziata partecipano. Si tratta da un lato delle società e degli altri soggetti che fanno parte del gruppo di imprese nel caso di composizione negoziata di gruppo, anche se in linea di massima è ragionevole ritenere che tali soggetti siano già in possesso di ogni informazione utile almeno quando l’unità gestionale del gruppo non sia venuta meno, ed ancora dei terzi che possono partecipare alle trattative quali potenziali acquirenti dell’azienda nelle ipotesi di continuità indiretta. Per quanto l’art. 4 non faccia riferimento per gli obblighi informativi ai terzi diversi dai creditori, è da ritenere che il richiamo dell’art. 16 a questi soggetti possa valere anche nel caso delle situazioni disciplinate dall’art. 4. Non vi sono infatti motivi per un’interpretazione più restrittiva perché l’esigenza di informare i potenziali acquirenti che partecipano alle trattative o le altre imprese del gruppo sussiste anche al di fuori della composizione negoziata.
Come si è detto, l’informazione che ai sensi dell’art. 4 e dell’art. 16 il debitore deve fornire ai creditori e agli altri soggetti interessati deve essere tendenzialmente completa, oltre che veritiera e trasparente.
Vi sono però situazioni in cui il debitore può legittimamente evitare di informare i creditori su talune circostanze. Si tratta delle notizie riservate legate al ciclo produttivo e alle attività commerciali, quando si tratti di segreti industriali, di know how non assistito da brevetto ed informazioni analoghe, la cui diffusione può danneggiare l’impresa. Non vi sono di regola ragioni per cui questo tipo di informazioni debba essere oggetto di comunicazione ai creditori, se non in termini molto generici, ad esempio per avvalorare la valutazione di un ramo d’azienda. Il principio di buona fede e correttezza, di cui l’obbligo di informazione è una conseguenza diretta, non richiede che queste informazioni vengano condivise con i creditori, perché i dettagli tecnici non sono indispensabili per valutare la capacità produttiva e la forza di penetrazione commerciale dell’impresa.
Del resto lo stesso legislatore con riferimento alla regolazione delle proposte concorrenti indica nell’art. 92 che il commissario giudiziale nel concordato preventivo fornisce ai creditori che ne fanno richiesta, valutata la congruità della stessa e previa assunzione di opportuni obblighi di riservatezza, le informazioni utili per la presentazione di proposte concorrenti, sulla base delle scritture contabili e fiscali obbligatorie del debitore, nonché ogni altra informazione rilevante in suo possesso.
La proposta concorrente ai sensi dell’art. 90 può essere presentata dai creditori che rappresentano almeno il 10% dei crediti risultanti dalla situazione patrimoniale presentata dal debitore e dai soci che rappresentino almeno il 10% del capitale (art. 120 bis, comma 5).
Le informazioni utili per la presentazione della proposta concorrente possono comprendere informazioni riservate del tipo che abbiamo descritto. Il commissario giudiziale dovrà valutare la congruità della richiesta rispetto alla proposta che i creditori possono presentare, evitando manovre strumentali dirette ad acquisire illegittimamente informazioni non finalizzate alla presentazione della proposta stessa. L’art. 120 bis rinvia per quanto concerne i soci all’art. 90, ma non è chiaro se anch’essi possono richiedere informazioni al commissario giudiziale alla pari dei creditori. E’ da ritenere di sì perché diversamente si creerebbe con riferimento al medesimo istituto, la proposta concorrente, una disparità di trattamento ingiustificata perché almeno nelle società di capitali i soci possono non avere alcun accesso ad informazioni riservate.
Va sottolineato, più in generale, che l’obbligo di riservatezza sulle informazioni trasmesse dal debitore in sede di trattative è sancito dall’art. 4, comma quarto, nei confronti dei creditori. Costoro infatti debbono rispettare l’obbligo di riservatezza sulla situazione del debitore, sulle iniziative da questi assunte e sulle informazioni acquisite. La norma, di carattere generale, non riguarda soltanto le informazioni c.d. classificate o riservate, ma tutto ciò che viene comunicato dal debitore ai creditori in via confidenziale. Può avere queste caratteristiche il fatto stesso che vi sia stato accesso ad una trattativa o alla composizione negoziata o che siano stati compiuti atti preliminari all’avvio di una trattativa. La diffusione di questo tipo di informazioni può infatti ledere l’accesso al credito del debitore ovvero la disponibilità dei fornitori a continuare le forniture o può provocare l’avvio di azioni recuperatorie da parte di taluno dei creditori. E’ quindi fondamentale che l’obbligo di riservatezza venga rispettato, almeno fino a quando l’avvio della trattativa non sia divenuto di pubblico dominio.
4 . Obbligo di tempestività
Il secondo obbligo posto a carico del debitore dall’art. 4, comma 2, lett. b) del codice può essere definito come l’obbligo di tempestività. La norma gli impone infatti di assumere tempestivamente le iniziative idonee alla individuazione delle soluzioni per il superamento delle condizioni di cui all’articolo 12, comma 1, durante la composizione negoziata, e alla rapida definizione dello strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza prescelto, anche al fine di non pregiudicare i diritti dei creditori
L’obbligo di tempestività sancito dalla norma è strumentale ad un più generale dovere di rilevare senza ritardi la situazione di crisi e di attivarsi immediatamente per porvi rimedio, dovere sancito dagli artt. 2086 c.c. e 3 del codice. Tale principio, affermato dalla Direttiva UE n. 1023/2019 sui quadri di ristrutturazione preventiva, oltre che dall’Uncitral nella Legislative Guide e della Banca Mondiale nei suoi Principi, è stato ben indicato dalla Relazione governativa alla prima versione del codice[14].
Il rinvio all’art. 12 è alle finalità della composizione negoziata che deve mirare a superare le condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario che rendono probabile la crisi o l'insolvenza dell’impresa, a condizione che il risanamento sia ragionevolmente perseguibile. Occorre ricordare che ai sensi dell’art. 17, comma 5, l’esperto quando non ravvisa concrete prospettive di risanamento ne dà notizia all’imprenditore e al segretario della camera di commercio che procede all’archiviazione dell’istanza. Il comma 7 della medesima norma precisa che l’incarico dell’esperto si considera concluso quando decorsi 180 giorni dall’accettazione della nomina, non è stata individuata una soluzione adeguata a porre rimedio alle condizioni di squilibrio patrimoniale o economico finanziario di cui all’art. 12. 
L’art. 4, comma 2, lett. b) si inserisce in questa prospettiva facendo obbligo di assumere tempestivamente le iniziative idonee all’individuazione delle soluzioni per uscire dalla situazione di crisi o di insolvenza, verosimilmente attraverso uno degli sbocchi della composizione negoziata previsti dall’art. 23, che regola la conclusione delle trattative.
Quando non sia questione di composizione negoziata ovvero a seguito della composizione negoziata vi sia stato l’accesso ad uno degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza, e dunque alle procedure conservative e liquidatorie previste dal codice, secondo l’ampia definizione che, come abbiamo visto, ne dà l’art. 2, comma 1, lett. m) bis, ugualmente il debitore deve adoperarsi perché la procedura si svolga in tempi rapidi. 
La celerità in ogni caso ha lo scopo di evitare rallentamenti che non possono che pregiudicare le possibilità di risanamento. Il legislatore però precisa che l’esigenza di celerità è anche diretta al fine di non pregiudicare i diritti dei creditori. Sotto questo profilo il collegamento tra la regola in esame ed il principio di buona fede è particolarmente evidente perché ancora una volta si rientra nell’ambito dei doveri di protezione dell’altro contraente che sono una declinazione tipica del principio generale[15]. 
Tale preoccupazione non riguarda tanto il pericolo di dispersione del patrimonio, quanto piuttosto il rischio che le capacità di prosecuzione dell’impresa in continuità rimangano compromesse da trattative estenuanti e che la garanzia patrimoniale dei creditori si riduca per effetto dell’aggravamento del passivo. E’ infatti nozione di comune esperienza che in caso di continuazione dell’attività si accumulano ulteriori perdite di gestione, i cui costi sono sopportati dai creditori, ed aumenta l’ammontare del debito in prededuzione.
Anche con riferimento a questo dovere di celerità del debitore, i corrispondenti obblighi che l’art. 4, comma 4, pone a carico dei creditori rappresentano in qualche misura l’altra faccia della stessa medaglia. Il dovere di collaborare lealmente con il debitore, con l’esperto e con gli organi nominati dall’Autorità giudiziaria e amministrativa, risponde infatti anche all’esigenza di consentire un rapido svolgimento dei procedimenti.
In senso ancora più specifico e con riferimento alla sola composizione negoziata l’art. 16, comma 6, fa obbligo a tutte le parti di collaborare lealmente ed in modo sollecito con l’imprenditore e con l’esperto e di dar riscontro alle proposte e alle richieste che ricevono durante le trattative con risposta tempestiva e motivata. Quest’ultimo obbligo è fondamentale perché si registra sovente il silenzio o una lentezza inammissibile nel rispondere alle proposte del debitore, lentezza o inerzia che impediscono alla trattativa di procedere in modo adeguato. Si aggiunge anzi per le banche e gli intermediari finanziari l’obbligo di partecipare alle trattative in modo attivo e informato (art. 16, comma 5) in ragione della loro posizione assolutamente fondamentale per consentire un adeguato sviluppo delle trattative.
Va sottolineato che questi specifici obblighi individuati dal legislatore a carico dei creditori con riferimento alla composizione negoziata hanno in realtà una valenza generale. Poiché essi non paiono essere null’altro che una più dettagliata articolazione dell’obbligo di buona fede e correttezza sancito in via generale per tutti gli strumenti di composizione della crisi e dell’insolvenza dall’art. 4, pare lecita un’interpretazione estensiva che li ritenga applicabili anche alle trattative che si dispiegano al di fuori della composizione negoziata.
5 . L’interesse prioritario dei creditori
Il terzo obbligo previsto dall’art. 4, comma 2, a carico del debitore prevede che questi debba gestire il patrimonio o l’impresa durante i procedimenti nell’interesse prioritario dei creditori. Anche in questo caso la norma richiama disposizioni specifiche relative alla composizione negoziata. L’art. 16, quarto comma, prevede infatti che l’imprenditore debba gestire il patrimonio e l’impresa senza pregiudicare ingiustamente gli interessi dei creditori. L’art. 21, sotto la rubrica “gestione dell’impresa in pendenza di trattative” aggiunge che l'imprenditore in stato di crisi gestisce l'impresa in modo da evitare pregiudizio alla sostenibilità economico-finanziaria dell'attività. Quando, nel corso della composizione negoziata, risulta che l'imprenditore è insolvente ma esistono concrete prospettive di risanamento, lo stesso gestisce l'impresa nel prevalente interesse dei creditori.
Sia la norma generale contenuta nell’art. 4 che le specifiche disposizioni relative alla composizione negoziata riguardano la gestione dell’impresa, gestione che può essere finalizzata alla prosecuzione dell’attività in una prospettiva di continuità aziendale ovvero avere un obiettivo più limitato, essendo diretta a conservare il valore dell’avviamento in vista di una futura cessione o affitto d’azienda o anche di un eventuale esercizio provvisorio in sede di liquidazione giudiziale. Le finalità possono cambiare ed avere quindi caratteristiche molto diverse. Quel che non muta è la finalità generale: sia che l’imprenditore si trovi in stato di crisi o invece di insolvenza, egli deve gestire patrimonio ed impresa nell’interesse prioritario dei creditori. 
Il precetto discende direttamente dal fatto che l’imprenditore in difficoltà deve avere a mente che egli risponde delle proprie obbligazioni ai sensi dell’art. 2740 c.c. con tutti i propri beni, presenti e futuri. Per altro verso la giurisprudenza della Corte EDU ha affermato che l’art. 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione tutela il diritto di credito quale “bene” che deve essere tutelato da ogni illegittima ingerenza, ad esempio nei casi di riduzione o sospensione della prestazione, tutte le volte che il credito goda di una sufficiente base giuridica nel diritto interno idonea a fondare il legittimo affidamento del creditore[16].
Ne deriva che il debitore nella gestione dell’impresa non può ledere indebitamente gli interessi dei creditori. Se è vero che nell’esercizio dell’impresa è insito il rischio e quindi il possibile pregiudizio per i creditori in caso di esito negativo dell’attività, quando si verifichi una situazione di crisi o di insolvenza l’imprenditore deve avere particolare attenzione alla tutela dell’interesse dei soggetti che, in caso di esito infausto, vedono messa a rischio la garanzia patrimoniale rappresentata dal suo patrimonio. 
Di qui l’indicazione che l’attività del debitore deve essere orientata a tutela dell’interesse prioritario dei creditori. Il legislatore precisa anche che tale obbligo deve essere adempiuto durante i procedimenti che sono evidentemente quelli menzionati nella prima parte dell’art. 4 e cioè i procedimenti per l’accesso agli strumenti di composizione della crisi e dell’insolvenza, distinti dalle trattative cui fa del pari riferimento la prima parte dell’art. 4, che non sono richiamate con riguardo agli obblighi di gestione in parola. Non si tratta dunque di tutte le misure, accordi e procedure volti al risanamento o alla liquidazione secondo la definizione degli strumenti di composizione della crisi o dell’insolvenza, ma soltanto dei procedimenti, che sono quelli regolati dagli artt. 40 e ss. del codice nell’ambito del c.d. procedimento unitario.
Si tratta quindi del procedimento per l’accesso alla liquidazione giudiziale, regolato dall’art. 41, del procedimento regolato dall’art. 44 per l’accesso con riserva di deposito del piano e della proposta ai vari strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza, del procedimento regolato dall’art. 40 che si applica al concordato preventivo, alla domanda di omologazione degli accordi di ristrutturazione, al piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione. E’ da ritenere che anche la domanda di omologazione del concordato liquidatorio semplificato regolato dall’art. 25 sexies rientri nella previsione posto che la norma ora citata richiama, sia pur soltanto per il deposito dei documenti, l’art. 39. In senso contrario si potrebbe osservare che nel concordato liquidatorio semplificato non vi è fase di ammissione, ma soltanto il giudizio di omologazione. Per contro tuttavia l’art. 25 sexies prevede pur sempre una delibazione del tribunale e dalla data della pubblicazione del ricorso sul registro delle imprese si producono gli effetti ordinariamente connessi alla presentazione della domanda di concordato preventivo.
Dal confronto della disciplina degli obblighi a carico del debitore nel caso della composizione negoziata e secondo i principi generali dettati dall’art. 4 che si riferiscono all’accesso agli strumenti di composizione della crisi e dell’insolvenza risultano, come si è già accennato, rilevanti differenze. L’art. 16 fa obbligo all’imprenditore che accede alla composizione negoziata di gestire il patrimonio e l’impresa senza pregiudicare ingiustamente gli interessi dei creditori. Tale obbligo è ripreso dall’art. 21 che individua tali obblighi prevedendo che in caso di crisi egli debba gestire in modo da evitare pregiudizio alla sostenibilità economico-finanziaria dell’attività e che in caso di insolvenza, purché reversibile, debba invece seguire il prevalente interesse dei creditori.
L’art. 4 dello schema di d.gls. non distingue tra stato di crisi e stato di insolvenza, disponendo che comunque nei procedimenti di accesso agli strumenti di composizione della crisi e dell’insolvenza il debitore debba gestire il patrimonio e l’impresa nell’interesse prioritario dei creditori, anche quando vi sia soltanto uno stato di crisi. La differenza di linguaggio non è certo casuale e dipende ragionevolmente dal fatto che nel caso regolato dall’art. 4 si apre una procedura che ha caratteri di concorsualità anche se ampiamente differenziati e comporta in misura maggiore o minore un controllo sull’attività dell’imprenditore, se non uno spossessamento attenuato.
Tuttavia l’interesse prioritario dei creditori va valutato con riferimento alle caratteristiche specifiche di ogni procedura. Di ciò dovrà tenersi conto in futuro, prendendo soprattutto in considerazione il fatto che nelle procedure di ristrutturazione l’esistenza di una maggior alea è in re ipsa rispetto alle procedure liquidatorie in senso stretto. A tale proposito viene in considerazione la nuova disciplina del concordato preventivo in continuità, dove per quanto concerne l’omologazione l’art. 112, comma 1, lett. f), prevede che il tribunale debba verificare che il piano non sia privo di ragionevoli prospettive di impedire o superare l’insolvenza. Tale norma deriva direttamente dall’art. 8, par. 1, lett. h) della Direttiva n. 1023/2019 che stabilisce che il piano debba essere accompagnato nelle procedure di ristrutturazione da una dichiarazione, che gli Stati membri possono chiedere sia convalidata da un esperto esterno o da un professionista nel campo della ristrutturazione, in ordine al fatto che il piano stesso ha prospettive ragionevoli di impedire l'insolvenza del debitore e di garantire la sostenibilità economica dell'impresa.
Il legislatore ha preso atto che, soprattutto nelle attuali situazioni di crisi diffusa legate alla pandemia ed agli altri eventi drammatici di questi mesi, la previsione sulla quale viene costruito il piano non può essere formulata che in termini di ragionevolezza e non di certezza o quasi certezza. Ciò amplia il rischio che la prosecuzione dell’attività possa determinare ulteriori perdite e ampliare la sfera dei crediti prededucibili. Tale maggior rischio non può però esser visto come lesivo dell’interesse dei creditori, almeno fin quando non venga leso il diritto di percepire dal concordato non meno di quanto spetterebbe loro in caso di liquidazione, secondo la previsione dell’art. 84, comma 1, del codice.
Torniamo ora alle regole previste dagli artt. 16 e 21 del codice nel solo ambito della composizione negoziata. L’art. 16, come già ricordato, dispone che l’imprenditore deve gestire il patrimonio e l'impresa senza pregiudicare ingiustamente gli interessi dei creditori. Anziché far riferimento al prioritario interesse dei creditori qui si prevede che i loro interessi non debbano essere lesi ingiustamente. La diversità di linguaggio non è casuale.
Come si è ricordato, nel caso dei procedimenti di accesso agli strumenti di composizione della crisi o dell’insolvenza, vi è già l’avvio di una procedura concorsuale, sì che si giustifica la tutela prevalente dei creditori a tutela della loro garanzia patrimoniale. Nel caso invece della composizione negoziata dove l’imprenditore è in bonis e dove ancora non è avviata una procedura, non si sono realizzate forme di spossessamento sia pur parziale, l’imprenditore mantiene la pienezza dei poteri di gestione con l’unica avvertenza che egli non deve pregiudicare gli interessi dei creditori tutte le volte in cui tale pregiudizio sia ingiusto, e dunque quando compia atti gestori che superano la normale alea dell’attività d’impresa o quando trascuri gli altri doveri che l’art. 4 pone a suo carico, in particolare i principi di buona fede, di comunicazione ai creditori delle informazioni relative alla situazione dell’impresa, di rapido svolgimento delle trattative. Si tratta di regole che abbiamo in precedenza esaminato.
In linea di massima, tuttavia, l’imprenditore ha la piena disponibilità dell’attività gestionale e non è tenuto a svolgerla con particolari limitazioni.
Tuttavia l’art. 16 non può essere adeguatamente compreso, se non viene letto congiuntamente all’art. 21. Da questa norma si ricava, infatti, che durante la composizione negoziata l’imprenditore incontra vincoli di scopo della gestione dell’impresa che non vigono altrimenti. L’art. 21, primo comma, ultima parte, fa infatti obbligo all’imprenditore di gestire l’impresa in modo da non recare pregiudizio alla sostenibilità economico-finanziaria dell’attività, se si trova in stato di crisi, e nel prevalente interesse dei creditori se sussiste lo stato di insolvenza, ma vi sono concrete prospettive di risanamento. Tale principio era già stato affermato dal primo comma dell’art. 9 del D.L. n. 118, aggiunto dalla legge di conversione.
Proprio perché conserva i poteri di amministrazione ordinaria e straordinaria, per i quali ultimi l’eventuale dissenso dell’esperto ha soltanto effetti di moral suasion connessi alle conseguenze dell’iscrizione nel registro delle imprese, l’imprenditore ha la piena responsabilità della gestione dove i vincoli cui essa deve venir finalizzata nella duplice ipotesi della crisi e dell’insolvenza comporta che la regola della business judgment rule non possa trovare completa applicazione.
Questo tema, dei limiti della discrezionalità dell’imprenditore nella gestione della crisi, merita un breve approfondimento.
Si è discusso molto in dottrina sulla natura e sui limiti dell’obbligazione prevista dall’art. 2086 c.c., tanto per quanto riguarda l’istituzione degli assetti adeguati quanto per quel che concerne la reazione alla situazione di crisi o di insolvenza, se essa comporti o meno l’applicazione della business judgment rule. Parte della dottrina lo ha escluso, parte si è invece espressa positivamente[17]. Con riguardo ai doveri previsti dall’art. 2086, merita di essere sottolineato il rilievo, espresso però con riferimento alla prima versione del codice della crisi contenuta nel D.Lgs. n. 14/2019 e quindi alla rilevanza degli indicatori di crisi oggi soppressi, che, malgrado la sua portata precettiva, la norma non faccia riferimento a regole vere e proprie, ma a standard di natura aziendalistica che lasciano margini di discrezionalità nella loro applicazione[18].
E’ innegabile che le regole che gli amministratori, anche della capogruppo, sono chiamati ad applicare corrispondono principalmente ad un dovere di diligenza, che implica un certo margine di apprezzamento discrezionale nella valutazione delle situazioni che si possono verificare. Di conseguenza ci pare innegabile che in queste ipotesi gli amministratori siano tenuti appunto ad un dovere di diligenza il cui esercizio può essere sindacato soltanto nel quomodo dell’adempimento, vale a dire se vi sia stato un processo decisionale diligente e razionale. Vi è spazio, di conseguenza, per l’applicazione della BJR. 
Questo non è però, in gran parte, il contenuto delle regole dettate dall’art. 2086, soprattutto per quanto concerne la predisposizione di assetti adeguati alla tempestiva rilevazione della crisi. In queste ipotesi, infatti, il legislatore non si limita a chiedere il rispetto dell’obbligo di diligenza, ma impone dei doveri che si avvicinano ad una vera e propria obbligazione di risultato[19], vi sono cioè obblighi specifici che debbono consentire, ad esempio, di valutare l’idoneità dei flussi di cassa a far fronte alle obbligazioni future nei dodici mesi successivi. 
Venendo alla reazione al prospettarsi della crisi ed al ricorso agli strumenti previsti dall’ordinamento per il ripristino della continuità aziendale, qui certamente il margine di discrezionalità è decisamente maggiore. Si pensi alle scelte relative alla decisione di negoziare con i creditori in sede extragiudiziale o di ricorrere ad una delle procedure di composizione della crisi e dell’insolvenza, di avvalersi di consulenze esterne, di aderire a soluzioni transattive, di invocare moratorie ecc. Direi che la regola della BJR trova qui il suo terreno di elezione e ciò, evidentemente, anche nel caso in cui si tratti della condotta degli amministratori della capogruppo con riferimento ad una crisi che riguardi alcune componenti soltanto del gruppo ovvero l’intera organizzazione. Il rispetto dei principi di corretta gestione societaria ed imprenditoriale comporta però che la discrezionalità abbia dei limiti, alla luce dei principi di diligenza e professionalità.
E’ su questo terreno che vengono in esame i principi dettati dagli artt. 16 e 21, con riferimento, va ricordato, alla sola composizione negoziata, che regolano i limiti della discrezionalità dell’imprenditore in termini sufficientemente nitidi. Il pregiudizio per i creditori che segue alle scelte gestorie può esservi, ma non può determinare un danno ingiusto. E per altro verso i limiti delle scelte gestorie sono indicati con chiarezza: non recare pregiudizio alla sostenibilità economico finanziaria dell’attività e gestire nel prevalente interesse dei creditori in caso di insolvenza, purché vi siano concrete prospettive di risanamento.
La piena responsabilità dell’imprenditore per la gestione in pendenza della composizione negoziata si ricava anche a contrario dall’art. 24, comma 3, che precisa che anche per gli atti di straordinaria amministrazione, i pagamenti, e più in generale per tutti gli atti gestori revocabili e per quelli soggetti ad autorizzazione resta ferma la responsabilità dell’imprenditore. 
Se la disciplina è dunque chiara in caso di composizione negoziata ed anche, in virtù della norma di cui all’art. 4, comma 2, lett. c) nell’avvio dei procedimenti di accesso alle procedure in continuità e liquidatorie, non abbiamo, al di là dei principi affermati a livello internazionale[20]e del già ricordato disposto dell’art. 4, comma 2, una norma che al di fuori della composizione negoziata esprima l’obbligo dell’imprenditore in stato di crisi o di insolvenza e che si trovi in bonis, di gestire l’impresa nell’interesse dei creditori, con il vincolo di non aggravarlo desistendo quindi quando non vi siano concrete prospettive di risanamento. 
Formalmente il legislatore ha dettato le nuove regole contenute nell’art. 21 soltanto per la composizione negoziata ed esse non trovano applicazione quando lo strumento compensativo si chiude. Apparentemente quindi l’imprenditore con la chiusura del procedimento di composizione negoziata ricupera degli spazi di discrezionalità nella gestione dell’impresa. Non più sottoposto al controllo dell’esperto, egli non incontra neanche i limiti indicati dall’art. 21 che si applica soltanto nell’ambito della composizione negoziata, mentre il dovere di agire nell’interesse prioritario dei creditori riguarda soltanto i procedimenti di accesso agli strumenti di composizione della crisi e dell’insolvenza.
La differenza nella posizione dell’imprenditore in pendenza e al di fuori dello strumento compensativo è però più apparente che reale. Nel caso in cui si tratti di società e si sia verificata la perdita del capitale sociale oltre ai limiti del terzo, la gestione potrà essere soltanto prudenziale, anche se più non sussiste il divieto di nuove operazioni, perché, fatte salve le speciali deroghe dettate in via temporanea per la pandemia, la deroga alla regola capitalizza o liquida è possibile soltanto in pendenza della composizione negoziata. L’art. 2486 c.c. vincola gli amministratori a conservare l’integrità ed il valore del patrimonio sociale . Più in generale gli artt. 2394 e 2476 c.c. impongono agli amministratori, come regola generale di condotta, la conservazione del patrimonio sociale nell’interesse dei creditori. 
Il principio affermato dall’art. 2086 comporta che l’imprenditore ha il dovere di adoperarsi per il ripristino della continuità aziendale e si è detto che la continuità aziendale in tanto può essere ripristinata in modo duraturo in quanto sia assicurato l’equilibrio economico-finanziario, come richiede l’art. 21 quando vi sia lo stato di crisi. Se vi è insolvenza, per quanto in astratto non si possa escludere che ad essa si possa porre rimedio anche con soluzioni negoziali non disciplinate dalla legge, è improbabile che vi sia spazio per la prosecuzione dell’attività d’impresa al di fuori delle garanzie offerte da una procedura. L’esercizio dell’impresa in tali condizioni determina ragionevolmente l’accumulo di ulteriori perdite che comportano l’aggravamento del dissesto e che non si giustificano al di fuori di una seria ipotesi di ristrutturazione o di una adeguata prospettiva di alienazione dell’azienda.
L’art. 2086 stabilisce che per ottemperare agli obblighi di attivarsi senza indugio per il superamento della crisi ed il ripristino della continuità aziendale l’imprenditore collettivo deve adottare uno degli strumenti previsti dall’ordinamento. Si pone pertanto la questione di individuare quali siano tali strumenti. 
E’ evidente che tra essi rientrano le procedure di regolazione della crisi e dell’insolvenza, oggi nel linguaggio del codice rientranti nella definizione di strumenti[21]. Per esse rileva l’obbligo sancito dall’art. 4 che prevede che nei procedimenti di accesso a tali procedure debba essere tutelato in via prioritaria l’interesse dei creditori. 
Tuttavia vi possono essere anche altre soluzioni. Sempre con riferimento alla composizione negoziata occorre ricordare che l’art. 23 prevede che essa si possa chiudere, nel caso in cui debitore e creditori abbiano raggiunto un accordo, con una delle soluzioni previste dal primo comma della norma[22]. Si tratta del contratto con i creditori previsto dalla lettera a), della convenzione di moratoria di cui alla lettera b) e dell’accordo sottoscritto dall’imprenditore, dai creditori e dall’esperto che produce gli effetti del piano attestato senza necessità però dell’attestazione prevista dall’art. 56 del codice. L’art. 23, comma 2, prevede anche altre soluzioni, prima tra tutte gli accordi di ristrutturazione, ma anche il piano attestato, il concordato liquidatorio semplificato introdotto dal D.L. n. 118/21 insieme alla composizione negoziata e gli strumenti di composizione della crisi e dell’insolvenza. Qui però interessano soprattutto le soluzioni previste dal primo comma, perché hanno carattere negoziale e si aggiungono agli strumenti ora detti. 
Il codice della crisi mette a disposizione anche la composizione negoziata, che in sé non è una procedura, ma che può concludersi nelle forme previste dalla norma ora citata. 
Il riferimento dell’art. 2086 agli strumenti previsti dall’ordinamento offre dunque all’imprenditore un ampio range di soluzioni con cui porre rimedio alla crisi e ripristinare o consolidare la continuità aziendale. Va sottolineato che nella scelta tra le varie soluzioni possibili gli amministratori della società o impresa collettiva, anche nel caso di holding, come del resto l’imprenditore singolo, godono di un’ampia discrezionalità. Si tratta infatti di scelte tecniche che dipendono dalla situazione concreta sulla quale occorre intervenire. Non si può neppure escludere che essi possano far ricorso a trattative stragiudiziali, senza accedere a nessuna delle procedure cui si è fatto riferimento, ovvero anche che la situazione di crisi venga risolta con apporti di capitale esterno. Il limite è evidentemente rappresentato dal dovere di mantenere o ripristinare la continuità aziendale, così come previsto dall’art. 2086 c.c., e di non dar luogo a profili di responsabilità connessi alla perdita del capitale sociale.
Come si è detto, in sede di composizione negoziata una volta iniziate le trattative, l’imprenditore ha la piena disponibilità della gestione dell’impresa. Egli tuttavia deve rispettare il vincolo generale previsto dall’art. 12, comma 1, del codice che sia ragionevolmente perseguibile il risanamento e che, ai sensi dell’art. art. 23, comma 1 non vi sia pregiudizio alla sostenibilità economico-finanziaria dell’attività. A tale proposito il punto 7.5 del Protocollo contenuto nel decreto dirigenziale 28 settembre 2021, emanato ai sensi dell’art. 3 D.L. n. 118 e confermato dall’art. 13 del codice, rileva che “dinanzi ad uno stato di crisi, è opportuno che l’esperto ricordi all’imprenditore che deve gestire l’impresa per evitare pregiudizio alla sostenibilità economico-finanziaria dell’attività”. A tale proposito si aggiunge: “non vi è di norma pregiudizio per la sostenibilità economico-finanziaria quando nel corso della composizione negoziata ci si attende un margine operativo lordo positivo, al netto delle componenti straordinarie, o quando, in presenza di margine operativo lordo negativo, esso sia compensato dai vantaggi per i creditori, derivanti, secondo una ragionevole valutazione prognostica, dalla continuità aziendale (ad esempio, attraverso un miglior realizzo del magazzino o dei crediti, il completamento dei lavori in corso, il maggior valore del compendio aziendale rispetto alla liquidazione atomistica dei beni che lo compongono)”. Infine “con le trattative in corso e ancora sussistendo concrete prospettive di risanamento, la gestione, in caso di insolvenza, dovrà avvenire nel prevalente interesse dei creditori”.
La norma regolamentare illustra meglio il già ricordato vincolo alla gestione dell’impresa ed alla prosecuzione dell’attività espresso dall’art. 21, primo comma, del codice. Come si è visto, la norma afferma che l’imprenditore in stato di crisi gestisce l’impresa in modo da evitare pregiudizio alla sostenibilità economico-finanziaria dell’attività. Quando nel corso della composizione negoziata risulta che l’imprenditore è insolvente, ma esistono concrete prospettive di risanamento, lo stesso gestisce l’impresa nel prevalente interesse dei creditori.
In caso di insolvenza la composizione negoziata può proseguire soltanto quando sia questione di insolvenza reversibile ed esistano quindi concrete prospettive di risanamento. In caso di crisi deve essere garantita la sostenibilità economico-finanziaria dell’attività con la conseguenza che la gestione caratteristica sia attiva o generi perdite che non sono di pregiudizio per i creditori perché salvaguardano la continuità aziendale e quindi il maggior valore dell’azienda rispetto all’ipotesi liquidatoria. 
Questi precetti a nostro avviso hanno una valenza di sistema. Non si vede infatti perché doveri che valgono per un imprenditore impegnato a risolvere la crisi o l’insolvenza con una trattativa con i creditori, sotto il controllo dell’esperto, non dovrebbero valere al di fuori di tale ipotesi. Sembra ragionevole ritenere che il legislatore abbia qui codificato una regola di carattere generale che deve valere per tutti i casi in cui l’imprenditore non è in procedura, liquidatoria o conservativa che sia, ma sussiste una situazione di crisi o di insolvenza.
6 . Doveri dei creditori (rinvio)
Restano da esaminare i doveri dei creditori, definiti dall’art. 4, comma 5. Di essi si è già in gran parte discorso trattando dei doveri del debitore perché in diversi casi i doveri del debitore trovano esatta corrispondenza in simmetrici obblighi dei creditori. La norma afferma che i creditori hanno il dovere di collaborare lealmente con il debitore, con l’esperto nella composizione negoziata e con gli organi nominati dall’autorità giudiziaria e amministrativa e di rispettare l’obbligo di riservatezza sulla situazione del debitore, sulle iniziative da questi assunte e sulle informazioni acquisite. Si aggiunge poi, con riguardo alla composizione negoziata, quanto previsto dall’articolo 16, commi 5 e 6.
La collaborazione leale con il debitore, con l’esperto nella composizione negoziata e con gli organi nominati dal giudice o dalla P.A. nelle procedure di composizione della crisi e dell’insolvenza non è che un aspetto dell’obbligo di buona fede. Essa si traduce in una piena comunicazione tra le parti, cui corrisponde il già visto dovere di rispondere alle proposte e richieste della controparte.
Anche dell’obbligo di riservatezza si è ampiamente detto e non è qui il caso di approfondire ulteriormente il tema.
Come già si è detto, l’art. 16, ultimo comma, ribadisce con riferimento alla composizione negoziata i doveri del debitore relativi all’obbligo di collaborazione e all’obbligo di riservatezza. La norma infatti precisa che i creditori debbono collaborare lealmente e in modo sollecito con l'imprenditore e con l'esperto e rispettare l'obbligo di riservatezza sulla situazione dell'imprenditore, sulle iniziative da questi assunte o programmate e sulle informazioni acquisite nel corso delle trattative. E già si è visto che le parti debbono anche dare riscontro alle proposte e alle richieste che ricevono durante le trattative con risposta tempestiva e motivata.
Il precetto è articolato in modo più specifico per quanto concerne le banche, gli intermediari finanziari, i loro mandatari ed i cessionari dei loro crediti. A tutti questi soggetti il comma 5 dell’art. 16 impone di partecipare alle trattative in modo attivo ed informato. Anche in questo caso la regola deriva da un comportamento riscontrato nel sistema bancario per cui la disattenzione e la lentezza che deriva da un’organizzazione che talvolta è eccessivamente burocratica, costituisce un ostacolo al raggiungimento di un accordo su un piano di ristrutturazione. Il legislatore ha fatto specifico riferimento all’ipotesi di cessione dei crediti bancari perché anche qui è accaduto, a seguito della cessione ai servicer degli NPL e degli UTP, che il debitore ceduto non sia stato in grado di trovare un interlocutore valido, in condizioni di riscontrare le sue proposte.
Si è inoltre chiarito, in armonia con il divieto previsto dalla Direttiva delle c.d. clausole ipso facto, che l’accesso alla composizione negoziata della crisi non costituisce di per sé causa di revoca degli affidamenti bancari concessi all’imprenditore, ferma restando naturalmente la liceità della revoca per ragioni relative all’andamento del conto. Poiché il testo originario della norma, qual era contenuta nell’art. 4 del D.L. n. 118/21, non era sufficientemente chiaro sulla portata del divieto di revoca, il comma 5 dell’art. 16 precisa ora che:
a) L'accesso alla composizione negoziata della crisi non costituisce di per sé causa di sospensione e di revoca degli affidamenti bancari concessi all'imprenditore.
b) In ogni caso la sospensione o la revoca degli affidamenti possono essere disposte se richiesto dalla disciplina di vigilanza prudenziale, con comunicazione che dà conto delle ragioni della decisione assunta.
In altri termini la revoca rimane lecita se collegata a fatti obiettivi connessi con l’andamento del conto, il rispetto dei limiti dell’affidamento, ecc. quando tale condotta sia imposta dal rispetto dei principi di sana e prudente gestione che debbono essere seguiti dalla banca.
Come abbiamo già sottolineato in altra occasione[23], i principi affermati dal legislatore non varranno ad impedire comportamenti formalmente corretti, con cui la banca comunichi la mancanza di interesse alla trattativa. La loro violazione comporterà però la possibilità che, in caso di fallimento, la curatela possa agire nei confronti del creditore con l’azione di danni ove sia in grado di provare che il silenzio o il ritardo nella risposta ha causato quantomeno un aggravamento del dissesto. Per altro verso il dovere di rispondere alle proposte del debitore determinerà necessariamente una diversa organizzazione interna di alcuni creditori bancari e v’è da sperare che, una volta presa in considerazione la posizione del debitore, non vi siano più ragioni per perseverare in pratiche attendiste, prive di reale utilità anche per il creditore.
7 . La consultazione sindacale preventiva
La Direttiva Insolvency tutela in modo particolare i lavoratori nell’ambito delle trattative e dello svolgimento delle procedure concorsuali. Una delle conseguenze è l’inserimento nell’art. 4 del codice della crisi di un comma 5 che prevede una speciale procedura di consultazione sindacale da parte delle imprese che occupino complessivamente più di 15 dipendenti. A dire il vero l’art. 13 della Direttiva, attraverso il richiamo della precedente Direttiva n. 2002/14/CE, prevedeva l’obbligo soltanto al di sopra dei 50 occupati, ma il nostro legislatore ha preferito estenderlo a tutti i casi in cui si superino i 15 dipendenti, per omogeneità con la maggior parte della nostra disciplina lavoristica che a tale limite fa appunto riferimento, anche se in questo modo si continua ad incentivare il nanismo delle nostre imprese, com’è stato spesso denunciato.
Il principio figurava già nell’art. 4, comma 8, del D.L. n. 118/21, ma riguardava soltanto la composizione negoziata, mentre ora ha un ambito di applicazione molto più vasto. Esso ha anche carattere residuale: si applica soltanto quando non siano già previste diverse procedure di informazione e consultazione ai sensi dell’art. 2, comma 1, lett. g D.Lgs. n. 25/2007. 
L’informativa riguarda i “soggetti sindacali” secondo l’ampia e nota nozione che ne dà l’art. 47, comma 1, legge 428/90 in tema di trasferimento d’azienda e quindi r.s.a., r.s.u. e sindacati che hanno stipulato il contratto di categoria applicato nell’impresa[24].
Essa riguarda le rilevanti determinazioni assunte nel corso delle trattative della composizione negoziata e nella predisposizione di un piano nell’ambito di uno degli strumenti di composizione della crisi e dell’insolvenza. Fuori dai tecnicismi l’ampia latitudine di questa nozione secondo la definizione contenuta nell’art. 2, lett. m bis del codice, riguarda sia le procedure di ristrutturazione che la liquidazione giudiziale.
Occorre che queste rilevanti determinazioni incidano su una pluralità di rapporti di lavoro anche solo per quanto riguarda l’organizzazione del lavoro e le modalità delle prestazioni. Poiché le consultazioni sindacali in caso di licenziamenti collettivi per riduzione di personale sono già altrimenti regolate, questa nuova consultazione riguarderà determinazioni di minor impatto, ad esempio i turni di lavoro o l’orario.
I sindacati possono chiedere un incontro entro tre giorni dall’informativa. La consultazione deve aver inizio entro cinque giorni dalla richiesta sindacale e s’intende esaurita dopo dieci giorni, salvo diverso accordo tra i partecipanti. Vi è un vincolo di riservatezza sulle informazioni definite confidenziali da parte del datore di lavoro. Alla consultazione partecipa anche l’esperto chiamato a dirigere la composizione negoziata, ma con funzioni più di testimone che di gestore, tanto che si precisa che si deve redigere un verbale sottoscritto soltanto dall’imprenditore e dall’esperto perché di tale impegno si tenga conto ai fini del compenso, che è comunque determinato per questa parte in misura ridotta, vale a dire 100 euro per ogni ora di presenza, come prevede l’art. 16, comma 5, del codice. I lavoratori e le rappresentanze sindacali non sono considerate nel numero delle parti nella composizione negoziale che determinano lo scaglione di riferimento per il calcolo del compenso 
L’obbligo di informativa presuppone che siano assunte rilevanti determinazioni: non basta quindi che un certo tema sia discusso in sede di trattativa o inserito in una bozza di piano, se ancora una decisione non è stata presa. 

Note:

[1] 
Il primo riferimento alla buona fede riguarda la disciplina della convenzione di moratoria secondo il testo dell’art. 182 septies come aggiunto alla legge fallimentare dall’art. 9 D.L. n. 83/2015 convertito con modificazioni in legge n. 132/2015.
[2] 
Sul tema si vedano le incisive osservazioni di R.Rordorf, Interferenze tra diritto della crisi e dell’insolvenza e diritto dei contratti, in www.dirittodellacrisi, 28 gennaio 2022 che sottolinea come la disciplina dell’art. 4 del codice sia una conferma che i principi di buona fede e correttezza hanno “una portata non certo limitata al solo terreno civilistico-contrattuale, e che quindi se ne dovesse tener conto anche in altri campi pur in assenza di un esplicito richiamo ed in particolare nell’ambito del diritto concorsuale”. Cfr. anche R. Rordorf, I doveri dei soggetti coinvolti nella regolazione della crisi, in Il Fall., 2021, 589 e ss. Si vedano sul tema G. D’Attorre, I principi generali nel diritto della crisi d’impresa, in Nuova giur.civ. e comm., 2019, 1090; S. Ambrosini, I principi generali, in AA.VV., Commento al codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, nella collana I Quaderni di In executivis a cura di D’Arrigo, De Simone, Di Marzio, Leuzzi, 2019, 29, pubblicato anche in www.ilcaso.it, 27 gennaio 2020.
[3] 
Sul quale da ultimo, in termini ricostruttivi come clausola generale R. Brogi, Clausole generali e diritto concorsuale, in Il Fall., 2022, 866 e ss. 
[4] 
Cass., Sez .Un. 15 maggio 2015, n. 9935, in Foro.it, 2015, I, 2323 con nota di M. Fabiani, Di un'ordinata decisione della cassazione sui rapporti fra concordato preventivo e procedimento per dichiarazione di fallimento con l'ambiguo addendo dell'abuso del diritto; di F. De Santis, Principio di prevenzione ed abuso della domanda di concordato: molte conferme e qualche novità dalle sezioni unite della corte di cassazione e di I. Pagni, I rapporti tra concordato e fallimento in pendenza dell’istruttoria fallimentare dopo le sezioni unite del maggio 2015, in Fallimento, 2015, 900. Cass. 7 marzo 2017, n. 5677; Cass. 11 ottobre 2018, n. 25210; Cass. ( ord.) 26 novembre 2018, n. 30539; Cass. ( ord.) 31 marzo 2021, n. 8982. 
In dottrina ex multis, R. Santagata, Concordato preventivo “meramente dilatorio” e nuovo “codice della crisi e dell’insolvenza”: verso il tramonto dell’abuso del diritto (o del processo)?, in Dir.fall., 2019, 333; S. Pacchi, L’abuso del diritto nel concordato preventivo, in Giust.Civ., 2015,789; G. D’Attorre, L’abuso del concordato preventivo, in Giur.comm., 2013, II, 1059.
[5] 
Cass. S.U. 15 novembre 2007, n. 23726, in Giur.It., 2008,929 con nota di A. Ronco; Cass. 2 ottobre 2013, n. 22502; Cass. 22 gennaio 2014, n. 1271.
[6] 
Cass., Sez .Un. 15 novembre 2007, n. 23726, cit. in ipotesi di indebito frazionamento della domanda giudiziale relativa ad un unico credito in più azioni relative a singole parti del credito stesso, ritenuta espressione anche di abuso del processo. Il principio dell’infrazionabilità del credito in sede di domanda giudiziale è stato successivamente rivisto dalla giurisprudenza. Cfr. Cass., Sez .Un. 16 febbraio 2017, n. 4090, in Giur.It., 2017, 1089 con nota di M. Barafani.  In generale sul tema con riferimento alla clausola penale ed al disposto dell’art. 1385 c.c. si vedano Cass. 24 settembre 1999, n. 10511, in Giur.It., 2000, 1154 con nota di G. Gioia; Cass., Sez .Un. 13 settembre 2005, n. 18128, ivi, 2006, 2279 con nota di G. Gandolfi; Cass., Sez .U.. 18 settembre 2009, n. 20106, ivi, 2010, 809, con nota di F. Salerno. 
[7] 
Il dibattito sul tema è risalente in dottrina, non soltanto a livello nazionale, essendo sorto ben prima che i tragici eventi della pandemia lo rendessero particolarmente drammatico ed attuale. In proposito, sia pur nella sintesi imposta dalle finalità di questo scritto, vanno segnalati i forti contrasti che hanno caratterizzato la dottrina italiana sul punto. A coloro che ritengono che sia configurabile un obbligo legale di rinegoziare il contratto di durata in presenza del mutamento di circostanze esterne che alterino l’equilibrio tra le prestazioni ed indicano la buona fede come parametro in base al quale verificare l’esigenza dell’adeguamento, giungendo ad un’interpretazione evolutiva della regola contenuta nell’art. 1467 c.c., anche in nome di un principio di efficienza economica (F. Macario, Regole e prassi della rinegoziazione al tempo della crisi, in Giust.civile, 2014, 825; Roppo, Il contratto, Milano, 2011, 1046; V.M. Cesaro, Clausole di rinegoziazione e conservazione dell’equilibrio contrattuale, Napoli, 2000, 165 e ss.) si è replicato che il fatto che il contratto sia o possa essere divenuto incompleto perché non contiene una previsione delle sopravvenienze, significa semplicemente che il rischio grava sul soggetto così individuato per la semplice ragione che ha stipulato quel contratto e che il rischio non è stato traslato sulla controparte: Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale, III, Milano, 1959, 689. Si è affermata l’estraneità al nostro ordinamento di poteri di intervento del giudice nel caso del mutamento delle circostanze nella fase esecutiva del contratto: Rescigno, L’adeguamento del contratto nel diritto italiano, in AA.VV, Inadempimento, adattamento, arbitrato. Patologie dei contratti e rimedi, Milano, 1992, 304. Si è negata la ragionevolezza del richiamo alle esigenze di efficienza economica perché sarebbe proprio l’economia a chiedere al diritto quale debba essere la regola da applicare al conflitto tra soggetti: N. Irti, L’ordine giuridico del mercato, Bari, 2004, 11 e ss. ( e Id., Diritto e mercato, in AA.VV., Confini attuali dell'autonomia privata, a cura di Belvedere-Granelli, Padova, 2001, 161 e ss.). 
[8] 
R.Rordorf, Interferenze tra diritto della crisi e dell’insolvenza e diritto dei contratti, cit.
[9] 
Si vedano i rilievi di M.Fabiani, Il valore della solidarietà nell’approccio e nella gestione delle crisi d’impresa, in Il Fall., 2022, 8, che sottolinea come il valore della buona fede è stato acquisito nei contesti dei procedimenti c.d. negoziali di regolazione delle crisi, quando è venuto alla luce lo strumento del contratto quale arma da imbracciare per affrontare alcune situazioni di crisi (corsivo nostro). Cfr. anche F. Macario, Il contratto e “gli strumenti negoziali stragiudiziali “ nel codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, in Contratti, 2019, 369; V. Roppo, Profili strutturali e funzionali dei contratti di “salvataggio” ( o di ristrutturazione dei debiti d’impresa), in Riv.dir.privato, 2007, 277; F. Di Marzio, Il diritto negoziale della crisi d’impresa, Milano, 2011, 57 e ss. 
[10] 
Cfr. Cass., Sez .Un. 15 novembre 2007, n. 23726, cit.
[11] 
R.Rordorf, I doveri dei soggetti coinvolti nella regolazione della crisi, cit., 595. 
[12] 
Si veda in proposito R. Brogi, Clausole generali e diritto concorsuale, cit., 885: C.M. Bianca, Diritto civile, III, Il contratto, Milano, 2019, 454
[13] 
Così R. Rordorf, I doveri dei soggetti coinvolti nella regolazione della crisi, cit., 597. 
[14] 
“Le possibilità di salvaguardare i valori di un’impresa in difficoltà sono direttamente proporzionali alla tempestività dell’intervento risanatore, mentre il ritardo nel percepire i segnali di una crisi fa sì che, nella maggior parte dei casi, questa degeneri in vera e propria insolvenza sino a divenire irreversibile”. Tale ritardo discende da una serie di risaputi fattori: “sottodimensionamento, capitalismo familiare, personalismo autoreferenziale dell’imprenditore, debolezza degli assetti di corporate governance, carenze nei sistemi operativi, assenza di monitoraggio e pianificazione, anche a breve termine” osserva sempre la Relazione. Sul tema si veda ex multis S. Ambrosini, Diritto dell’impresa in crisi, Pisa, 2022, 33 e ss. 
[15] 
C.M. Bianca, Diritto civile, III, Il contratto, cit., 456.
[16] 
Cfr. CEDU, 15 aprile 2014, causa Steffanetti c. Italia; CEDU, 3 settembre 2012, causa M.C. e altri c. Italia.
[17] 
Sull’applicabilità della regola della regola della business judgment rule alla disciplina degli assetti organizzativi si vedano in senso negativo, tra gli altri: C. Amatucci, Adeguatezza degli assetti, responsabilità degli amministratori e Business Judgment rule, in Giur. comm., 2016, I, 667 s.; P. Montalenti, Gestione dell’impresa, assetti organizzativi e procedure di allerta nella riforma Rordorf, in Nuovo dir. società, 2018, 950 ss.; Id., La gestione dell’impresa di fronte alla crisi fra diritto societario e diritto concorsuale, in Riv. dir. soc., 2011, 828; M. Mozzarelli, Appunti in tema di rischio organizzativo e procedimentalizzazione dell’attività imprenditoriale, in Amministrazione e controllo nel diritto della società. Liber amicorum Antonio Piras, Torino, 2010, 740; M. Spiotta Continuità aziendale e doveri degli organi sociali, Milano, 2017, 179 ss.; Id, La responsabilità, in Diritto del governo delle imprese diretto da M. Irrera, Torino, 2016, 310.
A favore dell’applicabilità della BJR, anche se in modo non omogeneo si vedano: L. Benedetti, L’applicabilità della business judgment rule alle decisioni organizzative degli amministratori, in Riv. soc., 2019, 413 ss.; V. Calandra Buonaura, L’amministrazione della società per azioni nel sistema tradizionale, Torino, 2019, 300 ss.; N. Abriani -A. Rossi, Nuova disciplina della crisi d’impresa e modificazioni del codice civile: prima lettura, in Società, 2019, 396; V. De Sensi, Adeguati assetti organizzativi e continuità aziendale: profili di responsabilità gestoria, in Riv. soc., 2017, 357 ss.; A. Luciano, La gestione della s.p.a. nella crisi preconcorsuale, Milano, 2016, 156 ss.; M. Rabitti, Responsabilità da deficit organizzativo, in Assetti adeguati e modelli organizzativi diretto da M. Irrera, Bologna, 2016, 958 ss.; A. Vicari, I doveri degli organi sociali e dei revisori in situazioni di crisi d’impresa, in Giur. comm., 2013, I, 139; I. Kutufà, Adeguatezza degli assetti e responsabilità gestoria, in Amministrazione e controllo nel diritto delle società. Liber Amicorum Antonio Piras, Torino, 2010, 725 ss.; V. De Sensi, Adeguati assetti e business judgement rule, in www.dirittodellacrisi.it, 16 aprile 2021.
In giurisprudenza da ultimo in senso affermativo Trib. Roma, 8 aprile 2020, in Società, 2020, 1339, con nota di A. Bartalena, Assetti organizzativi e business judgment rule.
[18] 
In questo senso con ampia motivazione E. Barcellona, Business judgment rule e interesse sociale nella “crisi”, Milano, 2020, 57 e ss. In senso contrario da ultimo Si veda in proposito M. Irrera, Adeguatezza degli assetti organizzativi tra correttezza e business judgment rule, in Crisi d’impresa, prevenzione e gestione dei rischi, M. Irrera, Adeguatezza degli assetti organizzativi tra correttezza e business judgment rule: nuovo codice e nuova cultura, Atti del convegno di Courmayeur, 20-21 settembre 2019, Milano, 2019, 81 e ss.
[19] 
Afferma invece che si tratta in queste ipotesi e nella disciplina organizzativa diretta ad evitare la commissione di reati di vere e proprie obbligazioni di risultato V. Calandra Bonaura, Amministratori e gestione dell’impresa nel codice della crisi, in Giur. comm., 2020, 12.
[20] 
Le Raccomandazioni 255-256 della Legislative Guide – Part IV - Directors’ obligations in the period approaching insolvency dell’Uncitral (2013), relativa alle obbligazioni degli amministratori in prossimità della situazione di insolvenza, suggerisce tra l’altro di “modifying management practices to take account of the interests of creditors and other stakeholders; protecting the assets of the company so as to maximize value and avoid loss of key assets”. Il principio B 2.1 dei World bank, Principles for Effective Insolvency and Creditor/Debtor Regimes, ed. 2021, stabilisce che: “The law should require that when they know or ought reasonably to know that insolvency of the enterprise is imminent or unavoidable, directors should have due regard to the interests of creditors and other stakeholders, and should take reasonable steps either to avoid insolvency, or where insolvency is unavoidable, to minimize its extent”.
Il Considerando 2 della Direttiva 1023/2019 sui quadri di ristrutturazione preventiva prevede tra l’altro che “Tali quadri dovrebbero impedire la perdita di posti di lavoro nonché la perdita di conoscenze e competenze e massimizzare il valore totale per i creditori, rispetto a quanto avrebbero ricevuto in caso di liquidazione degli attivi della società o nel caso del migliore scenario alternativo possibile in mancanza di un piano, così come per i proprietari e per l'economia nel suo complesso.
[21] 
Va ricordato che nel linguaggio del codice gli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza non sono soltanto le procedure, ma, secondo la definizione di cui all’art. 2, lettera m bis, del codice le misure, gli accordi e le procedure volti al risanamento dell’impresa attraverso la modifica della composizione, dello stato o della struttura delle sue attività e passività o del capitale, oppure volti alla liquidazione del patrimonio o delle attività che, a richiesta del debitore, possono essere preceduti dalla composizione negoziata della crisi. Se le misure sono provvedimenti od effetti di procedimenti in atto e le procedure sono quelle regolate in rito dagli artt. 37 e ss. e per i profili sostanziali dal titolo IV del codice, con l’espressione accordi il legislatore sembra aver fatto riferimento anche ai risultati della negoziazione, e quindi sicuramente alle soluzioni previste dall’art. 23, comma 1, ma verosimilmente anche ad accordi stragiudiziali.
[22] 
Sul tema rinviamo a L. Panzani, Gli esiti possibili delle trattative e gli effetti in caso di insuccesso, in Il Fall., 2021, 1594.
[23] 
L. Panzani, Il D.L. “Pagni” ovvero la lezione (positiva) del covid, in www.dirittodellacrisi.it, 25 agosto 2021.
[24] 
Vale a dire le rappresentanze sindacali unitarie, ovvero le rappresentanze sindacali aziendali costituite a norma dell'articolo 19 della legge 20 maggio 1970, n. 300, ovvero i sindacati di categoria che hanno stipulato il contratto collettivo applicato nelle imprese interessate alla procedura; in mancanza delle predette rappresentanze aziendali, i sindacati di categoria comparativamente più rappresentativi).

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