Il riconoscimento della competitività quale principio nei trasferimenti di valore e, allo stesso tempo, la relativizzazione dello stesso, privato di ogni carattere di assolutezza, ma visto quale regola tecnica, consente di affrontare su basi più salde un duplice compito.
Per un verso, si deve verificare se, ed entro quali limiti, la competitività possa svolgere una funzione integrativa nelle fattispecie in cui non è espressamente prevista o richiamata, valutando se il mancato richiamo rappresenti una lacuna, da colmare attraverso l’analogia juris, mediante il principio generale di competitività, o sia invece una scelta consapevole e volontaria del legislatore, che impedisce l’operare integrativo del principio generale.
Per altro verso, vanno esaminati possibili ipotesi ulteriori di deroghe all’operare della competitività anche in relazione a fattispecie nelle quali la stessa è espressamente prevista, laddove le deroghe siano, per ipotesi, ritenute funzionali alla tutela di interessi che potrebbero essere pregiudicati dall’operare del principio.
Con riferimento al primo profilo, e per testare in qualche modo l’utilità ermeneutica della funzione integrativa del principio di competitività, l’indagine può svolgersi con riferimento a tre fattispecie nelle quali manca del tutto o in parte un richiamo alla competitività nella disciplina della liquidazione dei beni.
Il primo esempio è rappresentato dagli accordi di ristrutturazione dei debiti. Anche se gli accordi di ristrutturazione dei debiti sono certamente strumenti di regolazione della crisi e, secondo l’opinione prevalente, quantomeno in giurisprudenza, anche procedure concorsuali, non è previsto la competitività con riferimento alle vendite che avvengono nell’ambito nel procedimento per l’omologazione o in esecuzione del piano sottostante agli accordi. A mio avviso, il mancato richiamo alla competitività non rappresenta una lacuna, ma una precisa e consapevole scelta legislativa. Questo non tanto perché negli accordi di ristrutturazione dei debiti il debitore non è soggetto a forme di spossessamento[17], considerato che la disciplina della vendita autorizzata dell’azienda in composizione negoziata, così, come quella delle vendite effettuate dal debitore nella fase esecutiva della ristrutturazione dei debiti del consumatore e del concordato minore (artt. 71, comma 1, CCII e 81, comma 1, CCII)[18], dimostrano che vi può essere competitività senza spossessamento. La ragione principale dell’esclusione è diversa. La vendita, per beneficiare dell’effetto protettivo, deve essere prevista nel piano, con una duplice conseguenza: i creditori aderenti accettano individualmente le previsioni del piano e, quindi, anche il ricavato stimato della vendita, mentre per i creditori estranei è previsto il pagamento integrale, così da essere indifferenti al ricavato maggiore o minore delle vendite. In altri termini, nelle vendite negli accordi di ristrutturazione dei debiti non si pone un problema di agency, in quanto, anche se la vendita avviene per un ricavato inferiore rispetto a quello massimo conseguibile, il pregiudizio è subito dallo stesso debitore e dai creditori aderenti, che hanno accettato quel ricavato.
Più complesso è giustificare l’assenza della competitività negli accordi di ristrutturazione dei debiti ad efficacia estesa, ma anche qui, a ben vedere, il mancato richiamo alla competitività non costituisce una lacuna. Vero è che i creditori non aderenti cui vengono estesi gli effetti sono tutelati nei soli limiti dell’assenza di pregiudizio rispetto all’alternativa della liquidazione giudiziale, così che potrebbero ben avere un interesse a massimizzare il ricavato della vendita. Tuttavia, proprio perché la vendita deve essere prevista nel piano ed il piano deve dimostrare l’assenza di pregiudizio, tendenzialmente il piano dovrebbe prevedere un ricavato non inferiore a quello che sarebbe stato conseguito nella liquidazione giudiziale attraverso le procedure competitive, così che la competitività viene a svolgere comunque una funzione, non quale regola direttamente applicabile alle vendite negli accordi di ristrutturazione dei debiti ad efficacia estesa, ma quale termine di comparazione del ricavato minimo delle vendite stesse.
Un secondo esempio è rappresentato dal piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione, nel quale la competitività è richiamata, in via diretta o indiretta, dall’art. 64 bis, comma 9 e comma 9 bis, CCII con riferimento alle offerte concorrenti ed alla vendita dell’azienda, ma dove è esclusa espressamente l’applicazione dell’art. 114 bis CCII, che impone al liquidatore nel concordato in continuità di compiere le attività di liquidazione nel rispetto dei principi di pubblicità e trasparenza[19]. Qui la soluzione si impone con nettezza, potendosi serenamente ritenere che il mancato richiamo alle procedure competitive agli atti di liquidazione del patrimonio diversi da quelli aventi ad oggetto la cessione dell’azienda costituisce chiaramente una lacuna, mancando ogni ragione per cui la competitività dovrebbe essere assicurata quando si cede un’azienda e non anche quando si cedono altri beni. Nessun dubbio, quindi, sulla possibilità di applicare in via analogica nel PRO il principio delle procedure competitive anche quando non è espressamente previsto.
La competitività non è richiamata nemmeno nella liquidazione coatta amministrativa.
Anche qui, pur se la competitività non è espressamente prevista, non sembrano ci siano ragioni che giustifichino questa mancata previsione[20], considerando che sono presenti in essa i tipici problemi di agency che la competitività mira ad evitare. Resta fermo, però, che l’interesse pubblico alla base della procedura potrebbe giustificare, con una certa ampiezza, deroghe alla competitività[21].
Questo ci porta a volgere lo sguardo al secondo riflesso della corretta qualificazione della competitività quale regola tecnica, rappresentato dalla possibilità di individuare ulteriori ipotesi di deroga al suo operare, anche oltre ed al di fuori di quelle espressamente previste. Alcune di queste deroghe, ulteriori rispetto a quelle “tipizzate” per via legale, ma acquisite in via interpretativa, sono già state esaminate in precedenza (trasferimenti in sede transattiva; concordati con assuntore) e questo rende legittimo interrogarsi sulla possibilità che anche in altre occasioni, pur in presenza di un richiamo al principio di competitività, possa derogarsi allo stesso nei trasferimenti di valore, laddove si accerti che lo stesso interesse dei creditori o anche interessi-altri aventi rilievo pari o sovraordinato rispetto a quello dei creditori possano ricevere migliore e più efficacia tutela disattivando le regole competitive. Se la competitività non è un principio assoluto o inderogabile, resta aperta la strada ad una sua deroga e la valutazione va compiuta in concreto con riguardo alle singole situazioni, ma sempre sulla base di un criterio guida, che deve orientare in modo rigoroso il percorso argomentativo e le soluzioni proposte. Criterio guida rappresentato dalla tendenziale applicazione del principio di competitività, in quanto regola che si presume funzionale alla migliore tutela dell’interesse dei creditori e dell’efficienza riallocativa, e dalla conseguente residualità, se non proprio eccezionalità, delle deroghe, che possono essere riconosciute in modo prudente, solo all’esito di una rigorosa (e molto difficile) dimostrazione dell’irriducibile incompatibilità delle regole competitive con gli stessi interessi che le stesse sono dirette a tutelare[22].