Come si è già anticipato, il tribunale, valutata la ritualità della proposta, acquisiti la relazione finale di cui al comma 1 e il parere dell'esperto, nomina un ausiliario ai sensi dell'articolo 68 c.p.c., assegnando allo stesso un termine per il deposito del parere e col medesimo decreto “ordina che la proposta, unitamente al parere dell'ausiliario e alla relazione finale e al parere dell'esperto, venga comunicata a cura del debitore ai creditori risultanti dall'elenco depositato ai sensi dell'articolo 5, comma 3, lettera c)” a mezzo Pec “e fissa l’udienza per l’omologazione”, con una formula abbastanza imprecisa in quanto sembrerebbe che la fissazione dell’udienza per l’omologa non sia oggetto della comunicazione ai creditori; è chiaro, invece, che anche (e principalmente) la data fissata per l’udienza di omologazione debba essere comunicata ai creditori, dal momento che questi, possono proporre opposizione costituendosi nel termine perentorio di dieci giorni prima dell'udienza fissata; operazione che richiede la conoscenza della data dell’udienza che evidentemente va comunicata unitamente agli altri elementi espressamente sottolineati dalla norma.
Probabilmente sarebbe stato meglio scrivere “Con il medesimo decreto il tribunale fissa la data dell'udienza per l'omologazione e ordina che questo, unitamente alla proposta del debitore, al parere dell'ausiliario, alla relazione finale dell'esperto e al parere dello stesso, venga comunicato, a cura del debitore, che deve indicare dove possono essere reperiti i dati per la valutazione della proposta, ai creditori risultanti dall'elenco depositato ai sensi dell'articolo 5, comma 3, lettera c), ove possibile a mezzo posta elettronica certificata, entro il termine di giorni tot, dalla comunicazione del presente decreto al debitore stesso; raggiungendo, in tal modo, anche l’effetto di far conoscere al debitore il provvedimento e, principalmente, di porre a lui un termine per la comunicazione del provvedimento ai creditori, diventato indispensabile per la tutela dei diritti dei creditori a seguito di una delle modifiche apportate in sede i conversione al quarto comma dell’art. 18,.
Invero, secondo la previsione originaria del decreto legge, “tra il giorno della comunicazione del provvedimento e quello dell'udienza di omologazione devono decorrere non meno di trenta giorni, per cui, dovendo l’opposizione essere proposta mediante costituzione in giudizio almeno dieci giorni prima dell’udienza, i creditori avevano a disposizione venti giorni per esaminare la proposta e la documentazione e proporre opposizione all’omologazione[30]; in questo sistema, l’eventuale ritardo del debitore nel provvedere alla comunicazione del provvedimento che fissava l’udienza non pregiudicava i creditori, dato che per essi il termine dei venti giorni a disposizione per costituirsi decorreva pur sempre dalla data del ricevimento della comunicazione.
La legge di conversione, avendo assegnato, nel comma 3 dell’art. 18, all’ausiliario un termine per il deposito del parere da comunicare ai creditori, ha poi stabilito, nel comma quarto, che “tra la scadenza del termine concesso all'ausiliario ai sensi del comma 3 e l'udienza di omologazione devono decorrere non meno di trenta giorni”. In tal modo, il tempo dato ai creditori per proporre opposizione inizia a decorrere, non più dalla comunicazione della fissazione dell’udienza, bensì dalla scadenza del termine dato all’ausiliario per redigere il suo parere, ovviamente precedente alla comunicazione, posto che con questa deve essere trasmesso il parere depositato dall’ausiliario. Inoltre, qualora il debitore – al quale è affidata la comunicazione ai creditori, sebbene non sia previsto che sia messo a conoscenza del tempo concesso all’ausiliario- non sia sollecito nell’adempiere al suo compito informativo verso i creditori, viene ulteriormente accorciato il tempo a disposizione dei creditori per l’opposizione, la cui proposizione è rimasta perentoriamente fissata nei dieci giorni prima dell’udienza di omologazione; non si può dire che sia una soluzione molto garantista se si considera che una tale compressione avviene proprio nel momento in cui la mancanza del voto dovrebbe facilitare l’esercizio del diritto dei creditori di esprimere la loro motivata opinione.
Il provvedimento di cui al quarto comma dell’art. 18, benchè contenga la fissazione dell’udienza di omologazione, non è soggetto a pubblicazione in quanto non è ripetuto il primo comma dell’art. 180 nella parte in cui dispone che l’analogo provvedimento del giudice delegato va “pubblicato a norma dell'articolo 17” e non è impugnabile ex art. 26 l.fall. perché manca il richiamo di tale norma e, correttamente, non sono previste altre forme di reclamo posto che comunque il tribunale deve valutare in sede di omologazione, contestualmente fissata, la regolarità della procedura, tra cui rientra anche la rituale fissazione dell’udienza e il rispetto dell’intervallo di tempo di cui al quarto comma dell’art. 18.
Costituendo il giudizio di omologazione una fase necessaria del procedimento di concordato cui si perviene attraverso la fissazione della relativa udienza da parte del tribunale, questo provvedimento va indubbiamente iscritto a ruolo; nel silenzio su chi debba provvedere a tale incombente, è opportuno rifarsi ai traguardi raggiunti nell’interpretazione dell’art. 180 l. fall., secondo cui è il debitore in quanto parte formale e sostanziale e, quindi, necessaria a dovervi provvedere, pena l'improcedibilità del giudizio, equivalendo l’omessa iscrizione a rinuncia implicita, con conseguente nullità del decreto di omologa eventualmente emesso[31].
“Il tribunale assunti i mezzi istruttori richiesti dalle parti o disposti d'ufficio, omologa il concordato quando, verificata la regolarità del contraddittorio e del procedimento, nonché il rispetto dell'ordine delle cause di prelazione e la fattibilità del piano di liquidazione, rileva che la proposta non arreca pregiudizio ai creditori rispetto all'alternativa della liquidazione fallimentare e comunque assicura un'utilità a ciascun creditore”, dispone il quinto comma dell’art. 18.
Da questa definizione emergono immediatamente alcune rilevanti differenze rispetto alla disciplina dell’omologazione del concordato ordinario.
a-Non essendo prevista una votazione, non vi sono dissenzienti per cui l’opposizione può essere proposta da qualsiasi creditore. E tanto, a mio parere, esclude anche la possibilità del cram down di cui alla prima parte del quarto comma dell’art. 180, sia per il mancato richiamo di tale norma, sia perché possono richiederlo “un creditore appartenente ad una classe dissenziente ovvero, nell’ipotesi di mancata formazione delle classi, i creditori dissenzienti che rappresentano il venti per cento dei crediti ammessi al voto”, che contestano la convenienza della proposta[32], sia, infine, perchè il tribunale, come si evince dalla disposizione richiamata, deve comunque valutare, per omologare il concordato, che ii creditori possano risultare soddisfatti dal concordato in misura non inferiore rispetto alle alternative concretamente praticabili
A maggior ragione è da escludere il cram down fiscale e previdenziale di cui alla seconda parte del quarto comma dell’art. 184 l. fall.[33], perché, oltre al fatto che i creditori non sono chiamati ad esprimersi e proprio il silenzio o voto negativo costituisce motivo dell’intervento sostitutivo del giudice, non è richiamato l’art. 182-ter, che poggia necessariamente sulla relazione di un professionista circa la recuperabilità in ambito liquidatorio, non richiesta nel concordato semplificato[34]; del resto, la già accennata flessibilità, inserita in una struttura volutamente elementare, che consente, rispettato l’ordine della graduazione delle cause di prelazione, di offrire ai creditori qualsiasi soddisfazione, salvo a valutarne la convenienza e l’utilità per i creditori, opera anche nei confronti dell’Agenzia delle entrare e degli enti previdenziali, la posizione dei quali è equiparata a quella degli altri creditori privilegiati e chirografari per i rispettivi crediti;
b-Non è ripetuto nell’art. 18 il modello contenuto nell’art. 180 l. fall., che disciplina differentemente il procedimento, pur sempre camerale, a seconda che vengano o meno proposte opposizioni all'omologazione, per cui le indagini sopra indicate il tribunale deve svolgerle che siano o non proposte opposizione; ovviamente in caso di opposizioni, assumendo il procedimento carattere contenzioso, ricorrerà la necessità di svolgere l’attività istruttoria richiesta dalle parti, per cui l’approfondimento delle questioni da trattare sarà sicuramente maggiore dovendo il tribunale dare una risposta ai rilievi mossi dagli opponenti.
Questa diversa organizzazione si riflette anche sull’aspetto istruttorio in quanto la nuova norma riprende la formula del comma quarto dell’art. 180 l. fall., secondo la quale, in caso di opposizioni, il tribunale assume i mezzi istruttori richiesti dalle parti o disposti di ufficio, estendendola a tutti i procedimenti di omologazione, che siano o non presentate opposizioni, di modo che nel concordato semplificato il tribunale può sicuramente disporre mezzi istruttori d’ufficio, anche in mancanza di opposizioni, superando i dubbi circa l’estensione dei poteri istruttori d’ufficio nel caso non siano proposte opposizioni che nascono dalla laconica formulazione del terzo comma dell’art. 180.
c-L’art. 18, a differenza di quanto previsto dall’art. 180 l. fall. che non predetermina l’oggetto del giudizio di omologa del concordato preventivo (ed egualmente dall’art. 129 l. fall. per l’omologa del concordato fallimentare), definisce l’oggetto di tale giudizio individuandolo nelle materie di cui si dirà. e, in tal modo, circoscrive anche l’oggetto delle opposizioni, che non possono riguardare argomenti estranei a quanto individuato dal comma quinto dell’art. 18. Da un lato, quindi, il tribunale recupera quei poteri di cui godeva anteriormente alla riforma iniziata nel 2005, quando svolgeva un ruolo penetrante nell'ambito della procedura che si estendeva fino a poter valutare la convenienza del concordato rispetto alla liquidazione fallimentare, ma, dall’altro, viene delimitata l’area dell’indagine alle materie prefissate, che, per la verità, assorbono quasi l’intero campo delle valutazioni rilevanti per l’omologa.
Tuttavia la definizione legislativa dell’astratto thema decidendum esclude la possibilità di esaminare questioni che in esso non rientrano, quale, ad esempio, il controllo nel merito della valutazione dell’esperto sulla meritevolezza del debitore, qualora si ritenga, come ipotizzato trattando di questa questione, che il tribunale, pur in presenza di un giudizio negativo sulla correttezza e buona fede del debitore nella fase negoziale, debba comunque nominare l’ausiliario e fissare l’udienza per l’omologazione. Nel momento in cui il nuovo legislatore crea un sistema che, scostandosi dai modelli esistenti, definisce legislativamente l’oggetto del giudizio di omologazione, l’introduzione della valutazione dell’esperto sulla correttezza e buona fede del debitore nella fase negoziale avrebbe dovuta essere bilanciata dalla integrazione del contenuto del comma quinto dell’art. 18, che delinea l’oggetto del giudizio di omologazione del concordato semplificato, in modo da estenderlo anche alla verifica del nuovo requisito.
Orbene, seguendo i dati forniti dal quinto comma dell’art. 18, il primo compito del tribunale è controllare la regolarità dello svolgimento della procedura, che, invero, è un’attività connaturata all’omologa, che evidentemente non può essere dichiarata ove la procedura non si sia svolta regolarmente o non sia rispettato il principio della graduazione delle cause di prelazione; nel caso del concordato semplificato, la mancanza del voto e delle maggioranze elimina gran parte del contenzioso sulla regolarità dello svolgimento del concordato e la semplificazione estrema del rito rende più semplice e agevole anche questo controllo.
Egualmente non rappresenta una novità la verifica che la proposta assicuri un'utilità a ciascun creditore, di cui si è già parlato, posto che già oggi la lett. e) del secondo comma dell’art. 161 l. fall., prevede che “in ogni caso, la proposta deve indicare l’utilità specificamente individuata ed economicamente valutabile che il proponente si obbliga ad assicurare a ciascun creditore”; disposizione che individua uno dei presupposti per la stessa ammissione del concordato (cfr. art. 162 l. fall.), ancor più stringente di quello indicato dal nuovo d.l., che non richiede che l’utilità sia “specificamente individuata ed economicamente valutabile”, il che lascia un maggior margine all’interprete[35].
Sulla valutazione della fattibilità sono ben note le soluzioni interpretative della legge fallimentare, che ammettono la verifica della fattibilità giuridica ma escludono quella economica, salvo che il piano non risulti a prima vista non realizzabile; ma questa situazione è destinata a mutare con l’entrata in vigore del nuovo codice che ha reintrodotto la verifica della fattibilità del piano concordataria, sia al momento dell’ammissibilità (art. 47, co. 1, CCII) sia al momento dell’omologa (art. 48, co. 3, CCII), sicchè, se è vero che la nuova norma crea una frattura con l’attale legge fallimentare, in realtà anticipa in parte un caposaldo del futuro concordato.
Per la verità il comma quinto dell’art. 18 richiede una verifica della fattibilità del piano di liquidazione, senza alcuna aggettivazione, a differenza delle citate norme del CCII che parlano di fattibilità economica, ma non può mettersi in dubbio che anche la nuova norma faccia riferimento a questo tipo di fattibilità perché quella giuridica, che oggi svolge il giudice nel concordato preventivo, rientra implicitamente nella sfera dei poteri omologatori del tribunale, come accade infatti oggi nel concordato preventivo; pertanto l’aver previsto esplicitamente che il tribunale omologa il concordato verificata la fattibilità del piano è chiaro indice della volontà di introdurre un controllo sulla fattibilità economica.
Il tribunale deve infine appurare che “la proposta non arreca pregiudizio ai creditori rispetto all'alternativa della liquidazione fallimentare”, dizione che introduce un giudizio sulla convenienza, anche se la semplice mancanza di un "pregiudizio" per i creditori è concetto più ristretto di quello della convenienza. La ricerca della convenienza richiede, infatti, il riscontro in positivo di un vantaggio per i creditori rispetto allo scenario alternativo del fallimento, nel mentre per la mancanza di pregiudizio è sufficiente l’accertamento dell’assenza di un danno rispetto all’alternativa della liquidazione fallimentare e, quindi, che i creditori ricevano un trattamento economico almeno pari a quello che loro ricaverebbero dalle altre soluzioni alternative; di conseguenza, pur non trovando applicazione l’ult. comma dell’art. 160 l. fall., la soglia minima di soddisfazione è costituita da quella presuntivamente ricavabile dalla liquidazione fallimentare.
Questa indagine sulla convenienza, o meglio sulla mancanza di pregiudizio per i creditori, non si sostanzia in una valutazione bilanciata tra il pregiudizio delle ragioni dei creditori e la prosecuzione dell’attività d’impresa, e tanto meno può incentrarsi sul mantenimento dei livelli occupazionali (esigenza presente nell’art. 84 CCII), giacchè, come detto fin dall’inizio di questo scritto, il concordato semplificato è qualificato e strutturato dalla legge come un concordato esclusivamente liquidatorio, al quale è estranea ogni valorizzazione della continuità, rilevando la cessione unitaria dell’azienda esclusivamente quale strumento per la migliore recovery dei creditori, come appunto in ogni concordato liquidatorio. Di conseguenza la valutazione di convenienza deve incentrarsi solo ed esclusivamente sul raffronto tra il presumibile ricavo realizzabile nel concordato in attuazione del piano di liquidazione (sia che questo preveda la vendita del complesso aziendale che analitica dei singoli beni), con quella omologa eventualmente realizzabile nel fallimento, oltre a tener contro delle altre eventuali entrate (ad es. da revocatoria) o risparmi (ad es. per minori spese) che l’una o l’altra procedura possono consentire.
Peraltro, le possibilità revocatorie teoricamente realizzabili nell’eventuale alternativo fallimento vanno valutate tenendo conto della mancata riproduzione nel nuovo concordato di una norma che faccia decorrere il periodo sospetto ai fini delle revocatorie fallimentari dalla data di pubblicazione della richiesta di nomina dell’espertoo che, a somiglianza dell’art. 69-bis l. fall., faccia retroagire gli effetti del fallimento alla data di pubblicazione della domanda di concordato. Di conseguenza, iniziando tale periodosospetto a decorrere dal momento della dichiarazione di fallimento, salta la possibilità di revocare ai sensi del secondo comma dell’art. 67 l. fall. sicuramente gli atti e i pagamenti antecedenti alla nomina dell’esperto, ma anche gran parte degli atti e pagamento in contrasto con gli interessi dei creditori compiuti nel corso della composizione negoziata, se si pone mente al fatto che il percorso negoziale può avere la durata massima di centottanta giorni, prorogabili di altri centottanta giorni, cui vanno aggiunti i sessanta giorni dalla comunicazione della chiusura della prima fase per chiedere l’omologa del concordato semplificato nonché il tempo di durata di quest’ultimo prima di pervenire all’omologazione e alla eventuale dichiarazione di fallimento.
Orbene, se nella prospettiva liquidatoria in cui si muove il concordato semplificato, la convenienza poggia, come detto, su valutazioni esclusivamente economiche, non si vede perché debba essere il tribunale a verificare la convenienza per i creditori della soluzione concordataria rispetto al fallimento o a giudicare le utilità che possono questi ricevere e non i creditori stessi, lasciando loro il diritto di esprimersi con il voto; voto che, come già detto, eliminata l’adunanza dei creditori, come previsto dal CCII, potrebbe raccogliersi a mezzo Pec in tempi brevi, conciliabili con la velocità che si è intesa imprimere alla procedura e che giustifica l’abolizione della votazione.
Il Tribunale decide sull’omologa con decreto motivato immediatamente esecutivo[36], così come dispone il quinto comma dell’art. 180 l. fall.. Tale decreto (a differenza di quello che fissa l’udienza) va pubblicato a norma dell'art. 17 l. fall. e va comunicato dalla cancelleria a tutte le parti del giudizio di omologa- debitore, ausiliario e creditori costituiti - e non, come nel concordato ordinario, solo ai primi due, lasciando poi al commissario il compito di darne notizia ai creditori.
I destinatari della comunicazione nei successivi trenta giorni, possono proporre reclamo alla corte di appello ai sensi dell’art. 183 l.fall..
Mancando il richiamo del terzo comma dell’art. 180, che esclude la reclamabilità nel caso di decreto di omologazione in assenza di opposizioni, il reclamo in esame è possibile sia che il decreto abbia negato l'omologazione (in presenza o in assenza di opposizioni), sia che l’abbia concessa, anche in tal caso in presenza o in assenza di opposizioni e non come nel l’ordinario concordato solo in presenza di opposizioni; ovviamente, l’impugnazione di un provvedimento di omologa in mancanza di opposizioni è ipotesi poco probabile, ma pur sempre possibile, per es. ad opera del debitore qualora il tribunale abbia modificato inopinatamente una clausola del piano o non abbia accolto il nominativo del liquidatore indicato, ecc....
Il mancato richiamo del settimo comma dell’art. 180 l. fall. non esclude, invece, che il tribunale qualora non omologhi il concordato possa contestualmente pronunciare il fallimento con sentenza, sia perchè il ricorso iniziale è comunicato al P.M., che può quindi formulare domanda di fallimento in vista della definizione negativa dell’omologa, sia perché, non essendo vietata in quel momento (ossia dopo il rigetto dell’omologa) la pronuncia di insolvenza, nulla impedisce che questa possa essere emessa contestualmente al decreto di rigetto dell’omologa, ricorrendone ovviamente i presupposti.
In questo caso il reclamo avverso la sentenza coinvolge anche il rigetto dell’omologa, nel mentre si corre il rischio di conflitto di giudicati (che il secondo comma dell’art. 183 tende ad evitare) nel caso di non contestuale dichiarazione del fallimento, che intervenga invece in un momento successivo, perché qui il debitore, che ha già impugnato il decreto di rigetto dell’omologa, può reclamare la sentenza di fallimento; rischio evitato nel concordato ordinario proprio con la non impugnabilità del decreto di rigetto dell’omologa, non accompagnato da pronuncia di fallimento, quanto meno in caso di assenza di opposizioni e ovviabile, nella specie in esame, con la riunione dei procedimenti ove possibile o con la sospensione di quello avente ad oggetto il reclamo avverso la sentenza di fallimento, essendo pregiudiziale l’accertamento della non omologabilità del concordato.
Mancando la categoria dei creditori dissenzienti in assenza di una votazione, legittimati all’impugnazione sono coloro i quali abbiano rivestito la qualità di parte per essersi costituiti nel giudizio di omologa e qui abbiano assunto una posizione risultata soccombente. In conformità degli approdi della giurisprudenza con riferimento al commissario[37], è da ritenere che anche l’ausiliario, parte formale del procedimento, che deve partecipare al giudizio come legittimato passivo, non sia legittimato al reclamo, poiché non è portatore di specifici interessi da far valere, in sede giurisdizionale, in nome proprio o in veste di sostituto processuale.
A sua volta la Corte d’appello, che procede al riesame dell'intero processo deduttivo che ha portato alla pronuncia negativa (o positiva) sull’omologa, decide con decreto ricorribile in cassazione nei successivi trenta giorni dalla data della comunicazione. Quest’ultima è una giusta precisazione, che sopperisce al silenzio dell’art. 183 l. fall., che la giurisprudenza aveva superato ammettendo il ricorso straordinario in cassazione ai sensi dell’art. 111, co. 7 Cost.; l’attuale previsione apre la strada all’ordinario ricorso in cassazione averso la decisione della Corte d’appello.
L’ult. comma dell’art. 18 dispone che al concordato semplificato “Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui agli articoli 173,184,185,186 e 236 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, sostituita la figura del commissario giudiziale con quella dell'ausiliario”; il che significa che l’omologazione del concordato semplificato produce gli stessi effetti del concordato liquidatorio ordinario.
Degli artt. 173 e 185 si è già accennato, degli altri merita attenzione l’art. 184, che costituisce un cardine fondamentale del concordato in quanto vincola i creditori anteriori alla pubblicazione nel registro delle imprese della domanda dì concordato preventivo, compresi quelli dissenzienti, al rispetto degli effetti esdebidatori derivanti dall’omologazione; nella fattispecie in esame, la precisazione della vincolatività per i dissenzienti è superflua perché, mancando una votazione e la possibilità di esprimere un dissenso se non in sede di opposizione, il richiamo di tale norma ha lo scopo di sancire l’obbligatorietà della proposta omologata per tutti i creditori concorsuali.
Infine, benchè non richiamato l’art. 181 l. fall., con l’omologa la procedura di concordato preventivo si chiude, non sussistendo più ragione di continuare, e inizia la fase della liquidazione.
Il richiamo dell’art. 186 rende applicabile alla fattispecie in esame la risoluzione negli stessi termini in cui questa è consentita nell’ordinario concordato, e attraverso questo l’annullamento. Qualora la semplificazione introdotta si traduca in una indicazione generica che non contenga l’esposizione dei tempi di adempimento, il ricorso a tale istituto, che nell’art. 186 è soggetto al termine di decadenza di cui al terzo comma, diventa esercitabile senza limiti, posto che, secondo il consolidato indirizzo della S. Corte, nel caso in cui non sia stata fissata, nel concordato, la data di scadenza dell'ultimo adempimento, il termine annuale di cui all’art. 186 “decorre dall'esaurimento delle operazioni di liquidazione, che si compiono non soltanto con la vendita dei beni dell'imprenditore, nonché con la predisposizione e comunicazione del piano di riparto, ma anche con gli effettivi pagamenti, compresi quelli conseguenti ad eventuali sopravvenienze attive”[38]; sempre che, naturalmente, vi siano disposti a sobbarcarsi all’onere anche economico di un procedimento per la risoluzione.
Il richiamo dell’art. 236 l. fall. nella sua interezza fa sì che lo strumento del concordato semplificato sia inserito tra le procedure cui la norma di carattere penalistico fa riferimento e che lì dove nell’art. 236 si prevede che nel caso di concordato preventivo si applicano le disposizione di cui ai successivi quattro numeri bisogna intendere che dette disposizioni sono applicabili anche nel caso di concordato semplificato, salvo verifica di compatibilità per ciascuna, che mi sembra sussistere, sostituendo ovviamente l’ausiliario al commissario giudiziale. Non vi è dubbio che, come è stato immediatamente sottolineato[39], l’estensione al concordato semplificato delle fattispecie di bancarotta fraudolenta diventa problematico in quanto le stesse non sono espressamente richiamate in via diretta e il doppio rinvio non sembra una tecnica idonea a perseguire tutte le possibili condotte depauperatorie che si dovessero riscontrare in una fase di mera crisi aziendale; tuttavia il dato del tutto pacifico della natura concorsuale del nuovo istituto e del richiamo dell’art. 236, seppur espressione di una tecnica non perfetta, non dovrebbe escludere l’applicazione alla nuova figura di tutte le ipotesi di reato contemplate o richiamate dalla norma penalistica.