Il secondo profilo della risposta alla proliferazione degli NPL riguarda i problemi che il trasferimento di questi crediti ai servicer crea dal punto di vista del soggetto passivo del rapporto, vale a dire del debitore, che è di regola un imprenditore in situazione di crisi o di insolvenza. Quando sia questione di insolvenza irreversibile non vi è molto da aggiungere a quanto si è già osservato. La risposta all’insolvenza non può che essere la rapida liquidazione dell’impresa in dissesto e quindi ciò che serve è soprattutto un serio miglioramento dei tempi dell’esecuzione civile, sia nel caso dell’esecuzione individuale che di quella collettiva, tempi che, com’è purtroppo noto, sono superiori a quelli medi dei Paesi dell’Unione Europea.
Da questo punto di vista la legge delega per la riforma del processo civile[16] ha previsto molti strumenti che migliorano la disciplina esistente. Altri progressi è lecito aspettarsi dall’adozione generalizzata del processo telematico e della gara telematica che ha ampliato la platea di potenziali offerenti a tutto il territorio nazionale. Si tratta di interventi che non sono mirati a risolvere il problema dei crediti deteriorati, ma che incrementando l’efficienza del sistema giudiziario civile possono comunque contribuire a ridurre i tempi di soddisfacimento dei creditori, siano essi i creditori originari ovvero i servicer.
Un profilo completamente diverso è affrontato dalle norme che regolano il nuovo istituto della composizione negoziata della crisi, introdotto dal d.l. 24 agosto 2021, n. 118, convertito in legge 147/21[17]. Non è questa la sede per illustrare le caratteristiche del nuovo istituto, riservato alle imprese in crisi o in stato di insolvenza reversibile, per addivenire ad un tentativo di composizione fondato sulla trattativa con i creditori diretta da un terzo facilitatore, l’esperto, nominato dalla Camera di Commercio territorialmente competente, tentativo agevolato da misure fiscali e dalla possibilità di beneficiare della sospensione delle azioni esecutive oltre che dal riconoscimento della prededuzione per i finanziamenti erogati, dalla possibilità di cedere l’azienda a terzi senza accollo al cessionario dei debiti pregressi e di rinegoziare i contratti in corso in caso di alterazione del sinallagma imputabile alla crisi pandemica, purché indispensabile per ripristinare la continuità aziendale.
I commi da 4 a 7 dell’art. 4 del d.l. n. 118/2021 riprendono i doveri delle parti già indicati dal codice della crisi negli artt. 3 e ss. che fanno parte dei principi generali del codice, una delle parti più innovative di quel testo di legge. Qui, come in altre disposizioni, risulta evidente l’intenzione del legislatore di anticipare, pur nel quadro normativo ancora rappresentato dalla legge fallimentare, alcune delle novità del nuovo codice. Viene stabilito che durante le trattative le parti si comportano secondo buona fede e correttezza. Tale obbligo grava sia sull’imprenditore che sulle altre parti che partecipano alla trattativa, siano esse creditori o altri soggetti.
Si è osservato da parte di diversi commentatori che il dovere di buona fede era già stabilito in via generale dagli artt. 1175 e 1137 del codice civile, che lo prevede anche nella fase delle trattative precontrattuali[18]. Non vi sarebbe stata dunque necessità di affermare expressis verbis che tale obbligo dovesse essere rispettato anche nel corso della negoziazione con i creditori. Il rilievo è certamente condivisibile, ma va sottolineato che sino ad oggi nessuno aveva invocato tale dovere a questo proposito, sì che l’intervento del legislatore è stato opportuno.
Oltre al generale obbligo di buona fede l’imprenditore ha il dovere di rappresentare la propria situazione all’esperto, ai creditori e agli altri soggetti interessati in modo completo e trasparente. Tale dovere riguarda in modo particolare gli atti di straordinaria amministrazione che non siano coerenti con l’obiettivo del risanamento che vengano posti in essere in pendenza della composizione negoziata, per i quali l’imprenditore ha obblighi specifici di informazione dell’esperto che può opporsi al loro compimento, anche se la sua opposizione non ha effetti impeditivi, pur non essendo priva di conseguenze.
L’obbligo di correttezza e buona fede comporta per i creditori e le altre parti il dovere di collaborare lealmente e in modo sollecito con l’imprenditore e con l’esperto e di rispettare l’obbligo di riservatezza sulla situazione dell’imprenditore, sulle iniziative da questi assunte o programmate e sulle informazioni acquisite nel corso delle trattative. Il dovere di collaborazione non si traduce nella necessità di prestare consenso alle iniziative dell’imprenditore, ma di non ostacolare le trattative con un comportamento ostruzionistico o rifiutando il contraddittorio sulle proposte del debitore. Si spiega pertanto il precetto contenuto nell’ultima parte dell’art. 4, settimo comma, che impone alle parti, tutte e dunque anche allo stesso imprenditore, di dare “riscontro alle proposte e alle richieste durante le trattative con risposta tempestiva e motivata”.
La regola, che non è espressamente contenuta nel codice della crisi, trae origine dal rilievo, particolarmente frequente nel caso dei crediti bancari deteriorati, ma comune ad altre situazioni, che sovente le trattative si arenano perché le proposte del debitore non trovano risposta o ricevono scarsa attenzione da parte dei creditori o di altri soggetti interessati. Questa è anche una delle ragioni, insieme al fatto che normalmente gli imprenditori in Italia ricorrono ad affidamenti da una pluralità di banche, per cui nel nostro Paese le trattative per la composizione della crisi durano mediamente più che nel resto dell’Unione Europea.
Il precetto è articolato in modo più specifico per quanto concerne le banche, gli intermediari finanziari, i loro mandatari ed i cessionari dei loro crediti.
A tutti questi soggetti il sesto comma dell’art. 4 impone di partecipare alle trattative in modo attivo ed informato.
Anche in questo caso la regola deriva da un comportamento riscontrato nel sistema bancario, comune sia alle banche originariamente titolari dei crediti che a parte dei servicer che ne sono cessionari o mandatari, in cui la disattenzione e la lentezza che deriva da un’organizzazione che talvolta è eccessivamente burocratica, costituisce un ostacolo al raggiungimento di un accordo su un piano di ristrutturazione. Il legislatore ha fatto specifico riferimento all’ipotesi di cessione dei crediti bancari perché anche qui è accaduto, a seguito della cessione ai servicer degli NPL e degli UTP, che il debitore ceduto non sia stato in grado di trovare un interlocutore valido, in condizioni di riscontrare le sue proposte.
Si è inoltre chiarito, in armonia con il divieto previsto dalla Direttiva UE 1013/2019 delle c.d. clausole ipso facto, che l’ accesso alla composizione negoziata della crisi non costituisce di per sé causa di revoca degli affidamenti bancari concessi all’imprenditore, ferma restando naturalmente la liceità della revoca per ragioni relative all’andamento del conto.
I principi affermati dal legislatore non varranno ad impedire comportamenti formalmente corretti, con cui la banca o il servicer comunichi la mancanza di interesse alla trattativa. La loro violazione comporterà però la possibilità che, in caso di fallimento, la curatela possa agire nei confronti del creditore con l’azione di danni ove sia in grado di provare che il silenzio o il ritardo nella risposta ha causato quantomeno un aggravamento del dissesto. Per altro verso il dovere di rispondere alle proposte del debitore determinerà necessariamente una diversa organizzazione interna di alcuni creditori bancari e v’è da sperare che, una volta presa in considerazione la posizione del debitore, non vi siano più ragioni per perseverare in pratiche attendiste, prive di reale utilità anche per il creditore.
Le norme che abbiamo ora considerato sono relative alla sola composizione negoziata della crisi. Al di fuori di questo strumento di conciliazione non vi sono al momento norme che consentano di affermare che l’obbligo di partecipare alle trattative e di dare risposta alle proposte del debitore abbia carattere generale e valga pertanto sia quando il debitore non si avvale degli strumenti di soluzione della crisi d’impresa previsti dall’ordinamento sia quando egli faccia ricorso direttamente ad una delle procedure di ristrutturazione o liquidatorie disciplinate oggi dalla legge fallimentare e prossimamente dal nuovo codice.
Va tuttavia considerato che nella disciplina della composizione negoziata l’art. 4 detta regole che sono sostanzialmente declinazione del generale dovere di comportamento secondo buona fede e correttezza previsto dall’art. 4, terzo comma, del decreto legge. E a sua volta tale principio non è proprio soltanto della disciplina della composizione negoziata perché, come si è accennato, esso è previsto anche dall’art. 4 del codice della crisi, che lo ricomprende tra i principi generali, comuni a tutte le procedure disciplinate dal codice. Esso riguarda le procedure di regolazione della crisi e dell’insolvenza regolate dal codice e le trattative che le precedono e comprende per i creditori il dovere di collaborare lealmente con il debitore, il che comporta, a nostro avviso, anche il dovere di rispondere alle proposte da questi formulate, anche se tale ultimo obbligo non è espressamente formulato.
È dunque possibile ritenere che con la prossima entrata in vigore del codice della crisi i doveri di collaborazione e risposta dei creditori alle proposte formulate dal debitore possano considerarsi generali, con le conseguenze che sin qui se ne sono tratte.
Giova sottolineare che l’esistenza di un obbligo giuridico di rispondere alle proposte del debitore va visto con favore non tanto per i profili di responsabilità che dalla sua violazione possono derivare, quanto piuttosto per la possibilità che ne può derivare che da tale obbligo discenda una diversa organizzazione delle banche e dei servicer che porti ad agevolare lo svolgimento delle trattative, a ridurne i tempi ed a consentire di giungere a risultati positivi in un numero di casi molto maggiore. Occorrerà però a tal fine che concorrano altre circostanze, fondamentali perché un esito positivo possa esservi, delle quali la più importante è il tempestivo accesso alla composizione negoziata o ad una procedura di regolazione della crisi. In difetto in prossimità dell’insolvenza irreversibile sarà certamente più complesso raggiungere risultati migliori.
Lo scritto è destinato agli Scritti in onore di Paolo Montalenti, in corso di pubblicazione.