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La dinamica dei crediti problematici in Italia*

Marcello Messori, Ordinario di Economia al Dipartimento di Scienze Politiche della Luiss e Direttore della Luiss School of European Political Economy

14 Marzo 2022

*Scritto destinato all’Opera collettanea, a cura di Fondazione Nazionale Dottori Commercialisti e della rivista Diritto della Crisi, dal titolo “Ce lo chiede l’Europa”. Dal recupero dell’impresa in difficoltà agli scenari post-pandemia: 15 anni di riforme. Atti del XXVIII Convegno di Alba del 20 novembre 2021, organizzato da Associazione Albese Studi di Diritto commerciale.
L’Autore indaga il fenomeno dei non performing loans nel sistema-Paese, indagandone l’attualità, le prospettive, le persistenti criticità, i possibili strumenti.
Riproduzione riservata
1 . Introduzione
Questo scritto ha un duplice obiettivo. Innanzitutto, esso mira a ripercorrere per sommi capi il rapido processo di liquidazione delle attività problematiche (Non-Performing Exposure: NPE), che si erano accumulate a ritmi esponenziali nei bilanci del settore bancario italiano fin dalla seconda metà del 2011 e che avevano toccato un picco nella seconda metà del 2015. Tale processo, ormai ben noto, ha soprattutto riguardato i crediti problematici (Non-Performing Loan: NPL) che sono la componente preponderante delle NPE italiane[1]; soprattutto, esso ha fatto registrare una correlazione inattesa con altre dinamiche bancarie. Pur avendo dovuto misurarsi con valutazioni medie di mercato inferiori a quelle incorporate nelle riserve accantonate e nelle rettifiche di valore, la radicale liquidazione dei NPL si è infatti accompagnata a un rafforzamento dei requisiti patrimoniali e a un aumento della redditività delle banche italiane. Risulta, perciò, interessante indagare la portata e le possibili cause di correlazioni tutt’altro che scontate. Questo secondo obiettivo del presente scritto spinge ad approfondire l’allocazione dei rischi e la distribuzione delle perdite connesse alla dismissione dei NPL nel settore bancario italiano.
In quanto segue, l’analisi si concentra su quattro aspetti affrontati in altrettanti paragrafi. Nel par. 2, si ricordano le principali tappe della liquidazione bancaria dei NPL avvenuta in Italia fra il 2016 e lo scoppio della pandemia[2]. Per non appesantire l’esposizione, si fa solo un breve cenno alle evidenze empiriche già note; si insiste invece sulle modalità di tale liquidazione, prevalentemente incentrata su cessioni di NPL all’esterno dei gruppi bancari o delle banche italiane che ne sono all’origine (le banche originanti). Ciò porta a esaminare i rapporti fra le banche originanti e gli acquirenti di questi stessi NPL, quasi sempre riconducibili ai servicer (par. 3). L’articolata varietà di tali rapporti solleva due problemi rilevanti, definiti nei par. 4 e 5: come già ricordato, la non scontata corrispondenza temporale fra la rapida dismissione dei NPL e l’evoluzione dei bilanci bancari italiani; gli impatti che le modalità di liquidazione di NPL possono produrre su mutuatari problematici ma con potenzialità di recupero, qui ricondotti alle imprese non finanziarie ad alto rischio di insolvenza. Nelle Conclusioni si traggono alcune implicazioni di politica economica con specifico riferimento all’ultimo problema; e si insiste sulla difficoltà di fornire soluzioni adeguate rispetto ai problemi enunciati.
L’ultima considerazione va presa alla lettera. Essa pone in luce che l’apporto del presente scritto alla discussione sui NPL in Italia è limitato alla formulazione di alcune domande un po’ trascurate dal dibattito. Per risposte esaurienti si dovranno attendere approfondimenti empirici, che oggi non sono disponibili, e ulteriori riflessioni analitiche che entrino nel merito della recente letteratura sul tema, qui esaminata in modo sommario e implicito[3].
2 . L’accumulazione e la liquidazione dei NPL in Italia
Nei due decenni che hanno preceduto la crisi finanziaria internazionale (2007 - ‘09) e le connesse crisi dell’area dell’euro (2010 - ‘13), il tasso europeo di crescita dei prestiti bancari è stato – in media – maggiore rispetto al tasso di crescita del PIL. Forse anche a causa della tendenziale stagnazione dell’economia nazionale fra il 1995 e il 1999 e fra il 2001 e il 2005, in Italia questo divario è risultato particolarmente accentuato. Anche se l’evidenza empirica disponibile al riguardo lascia spazio a interpretazioni contrastanti, qui si sostiene che l’eccessivo ammontare dei prestiti concessi dalle banche alle imprese italiane abbia portato a un’allocazione inefficiente dei finanziamenti. Insieme alla doppia e particolarmente severa recessione subita dall’economia italiana fra la fine del 2007 e la seconda metà del 2009 e fra la seconda metà del 2011 e i primi mesi del 2014, tali distorsioni allocative spiegano il forte aumento nell’incidenza dei NPL sul totale dei crediti erogati dal settore bancario italiano fra il 2010 e il 2015[4]. Ciò trova, del resto, conferma nella dinamica esponenziale di varie tipologie di default emerse nei bilanci bancari italiani dalla seconda metà del 2011.
Fatto è che, in quegli anni, in Italia il peso dei NPL (al lordo degli accantonamenti e delle rettifiche di valore: NPL lordi) sul totale dei crediti bancari erogati ha registrato incrementi davvero consistenti. Il picco di questa incidenza è stato raggiunto fra la fine del 2014 e la fine del 2015, anche se le varie componenti dei NPL (ossia: sofferenze, inadempienze probabili (UTP) e finanziamenti scaduti e sconfinanti) hanno seguito traiettorie specifiche e in alcuni casi – soprattutto, quello delle sofferenze – ritardate. L’aggravio medio, prodotto dai NPL sui coefficienti patrimoniali e sulla redditività del settore bancario italiano, è stato un fattore fondamentale della crisi sistemica del settore. Tale crisi è stata preannunciata dai cattivi risultati ottenuti dai nostri principali gruppi bancari nel Comprehensive Assessment, condotto dalla Banca Centrale Europea (BCE) in cooperazione con l’Autorità Bancaria Europea (EBA) nel corso del 2014, ed è deflagrata con il fallimento di quattro banche regionali o locali (novembre 2015) e con l’irreversibile processo di crisi del Monte dei Paschi di Siena (MPS) e dei due principali gruppi bancari veneti (primi mesi del 2016). 
Smentendo le previsioni più pessimistiche anche alimentate dalla persistenza di queste crisi[5], specie dalla primavera del 2016 il settore bancario italiano è stato in grado di attuare un sorprendente e radicale processo di liquidazione dei NPL lordi. Se nel 2014-’15 l’incidenza dei NPL lordi sul totale dei prestiti bancari italiani sfiorava il 18% a fronte di un’incidenza media nell’Unione europea (UE) poco al di sopra del 6%, nei primi mesi del 2020 in Italia tale rapporto era sceso al di sotto del 6% mentre si attestava intorno al 3% nella UE. Pertanto, nell’arco di poco più di quattro anni, il settore bancario italiano è stato in grado di ridurre di circa 2/3 il proprio fardello di NPL lordi a fronte di un dimezzamento nella media della UE.
Questo straordinario processo di convergenza verso i valori medi europei sollecita approfondimenti. Al riguardo, va innanzitutto sottolineato che il settore bancario italiano è stato in grado di ottenere un risultato così positivo grazie al massiccio ricorso a operazioni di dismissione dei NPL. Ciò significa che, in media, le banche italiane non hanno soltanto proceduto a correzioni dei propri bilanci mediante razionalizzazioni degli attivi (deleveraging) o rafforzamenti dei passivi ma hanno soprattutto ceduto un ammontare consistente dei loro NPL mediante rapporti di mercato o, comunque, mediante rapporti con acquirenti esterni. Ne deriva che, per comprendere quali siano state le determinanti e le conseguenze della liquidazione di successo dei NPL italiani, diventa essenziale dare conto della variegata tipologia dei loro processi di dismissione. 
3 . Il ruolo dei servicer
Le indicazioni, contenute alla fine del precedente paragrafo, mettono a nudo una prima debolezza dell’analisi qui proposta: non si dispone di un’evidenza empirica sistematica riguardo all’insieme delle modalità di liquidazione dei NPL in Italia e, tantomeno, riguardo al peso quantitativo di ognuna delle principali tipologie di dismissione. Tale lacuna è aggravata dalla mancanza di criteri univoci per ordinare e classificare l’eterogenea casistica delle cessioni di NPL in tipologie uniformi. Al riguardo, molti sono gli indicatori a cui si potrebbe ricorrere: la dimensione delle diverse operazioni, le caratteristiche della banca originante e degli acquirenti, la loro collocazione geografica e di mercato, e così via. In prima approssimazione, si è optato per l’utilizzo di due diversi criteri ordinatori che sono riconducibili a due variabili fra loro strettamente connesse: (a) l’impegno residuale (di tipo proprietario o contrattuale), che la banca originante mantiene rispetto ai NPL trasferiti ai servicer o ad altre entità; (b) le modalità del rapporto che la banca originante può intrattenere con l’impresa mutuataria insolvente o ad alta probabilità di insolvenza anche dopo la dismissione dei relativi NPL. I criteri (a) e (b) definiscono una tassonomia articolata in quattro possibili tipologie di operazioni. 
Una prima tipologia porta alla segregazione dei NPL da liquidare in un’entità, definibile come ‘banca cattiva’, che rimane sotto il controllo proprietario della banca originante. Questa forma di dismissione non è assimilabile a una cessione di mercato. Inoltre, essa non alleggerisce l’ammontare dei NPL iscritti nel bilancio consolidato del gruppo bancario in esame, anche se ‘libera’ l’attivo di bilancio della banca originante appartenente al gruppo. Inoltre, sebbene le operazioni infra-gruppo debbano essere realizzate a condizioni conformi alle transazioni di mercato, tale banca originante acquisisce maggiore flessibilità rispetto a due fattori: la fissazione dei prezzi, a cui può cedere le componenti dei suoi NPL da liquidare alla ‘banca cattiva’; i termini del (parziale o totale) trasferimento alla ‘banca cattiva’ del rapporto con le imprese mutuatarie. Inoltre, una volta approvata dal regolatore europeo, un’operazione del genere permette di allungare i tempi di liquidazione dei NPL nella ‘banca cattiva’ tenendo conto delle opportunità di mercato e non solo dei vincoli imposti dalla normativa.
Una seconda tipologia comporta la cessione dei NPL da liquidare a un servicer esterno, in cui la banca originante detiene una quota proprietaria rilevante o significativa ma non di controllo. Questa nuova modalità di dismissione si differenzia dalla precedente per una ragione fondamentale: essa consente di escludere i NPL, oggetto della transazione, dal bilancio bancario consolidato del gruppo. Anche in tale caso, sarebbe però improprio assimilare la dismissione a una cessione di mercato. Sebbene il detentore delle quote proprietarie di controllo del servicer sia tutelato dalle regole e possa imporre i propri interessi nella fissazione dei prezzi e delle altre modalità di cessione dei NPL, la selezione dell’acquirente non risponde a criteri concorrenziali; inoltre, la banca originante continua a godere di margini di flessibilità analoghi, anche se più limitati, rispetto al caso precedente.
Una terza tipologia comporta la cessione dei NPL da liquidare a un servicer esterno, selezionato dalla banca originante mediante valutazioni di mercato e non in base a legami proprietari che, qualora permangano, sono di entità così trascurabile da non inficiare la scelta. Ciò che caratterizza questa tipologia è la varietà delle possibili forme contrattuali, con cui si definisce il rapporto fra la banca originante e il servicer. Si tratta infatti di contratti ad hoc che non sono riconducibili a transazioni di mercato (a differenza delle cartolarizzazioni: vedi la successiva tipologia), ma che sono il frutto di complesse negoziazioni bilaterali fra i due soggetti coinvolti. In tal senso, la tipologia in esame può prevedere un coinvolgimento residuale della banca originante nei confronti delle imprese mutuatarie sulla base di specifiche clausole contrattuali.
La quarta tipologia comporta la cessione dei NPL da liquidare a servicer esterni selezionati dalla banca originante sulla base dei prezzi determinati nel mercato delle cartolarizzazioni o fissati in altri contratti multilaterali aperti. Anche in questi casi la banca originante può rimanere coinvolta, in via residuale e indiretta, con le imprese mutuatarie in quanto le cartolarizzazioni o altre forme contrattuali aperte tendono a prevedere che la banca cedente i NPL sottoscriva, per un efficace allineamento degli interessi fra contraenti, tranche junior delle obbligazioni derivate emesse dagli acquirenti. 
Tale tassonomia delle dismissioni dei NPL, definita sulla base di due criteri arbitrari, è articolata ma parziale. Essa potrebbe essere ulteriormente arricchita, specie se si aggiungessero altri criteri o se si riconoscesse la possibilità di combinare tipologie diverse (tipicamente, la seconda e la terza). Sebbene i riscontri empirici disponibili suggeriscano che sarebbe utile procedere in questo senso, qui si è deciso di non arricchire le quattro tipologie descritte. Infatti, per progredire nell’analisi delle modalità di dismissione dei NPL, sarebbe necessario entrare nel merito di ognuna delle tipologie individuate; la mancanza di evidenza empirica sistematica impedisce, però, di ottenere risultati robusti già rispetto alle quattro tipologie descritte. 
4 . I problemi aperti
Date le considerazioni svolte alla fine del precedente paragrafo, si utilizzano i pochi indicatori qualitativi a disposizione per offrire qualche dettaglio rispetto alla tassonomia sopra definita. Al riguardo, va subito notato che la prima tipologia ha perso di importanza nel corso del tempo specie a causa di una regolamentazione europea sempre più severa. Tale elemento è rilevante alla luce di una caratteristica comune alle altre tre tipologie e, soprattutto, alla quarta: in Italia, specie all’inizio del processo di dismissione, i prezzi medi di cessione dei NPL sono stati inferiori ai valori medi di quegli stessi NPL iscritti nei bilanci bancari al netto degli accantonamenti e delle rettifiche di valore. 
È superfluo sottolineare la rozzezza di questa comparazione: la composizione dei NPL è molto variegata e, dunque, il prezzo medio nasconde una forte varianza sia dei prezzi di mercato che dei prezzi contabili[6]. Per giunta, non è stato possibile reperire indicatori quantitativi sistematici rispetto ai prezzi di mercato, cosicché la precedente comparazione sui valori medi è il frutto di riscontri qualitativi e parziali più che di calcoli accurati. Nonostante tutto ciò, tale comparazione fornisce una prima informazione cruciale: specie per avviare la rapida dismissione dei NPL descritta nel par. 2, il settore bancario italiano ha dovuto fronteggiare consistenti perdite di bilancio nel breve termine[7]. 
Vi sono prove indirette della rilevanza di questo problema. Basti qui il riferimento alle due più significative. Innanzitutto, fin dall’inizio del 2016, il governo italiano sollecitò la Commissione europea per essere autorizzato all’emissione di garanzie pubbliche a sostegno delle cartolarizzazioni o di altre forme di cessione di mercato dei NPL; e, sebbene tali garanzie addossassero un costo di mercato ai beneficiari (ossia ai potenziali acquirenti dei NPL) in modo da escludere impropri aiuti di stato, il loro obiettivo era quello di innalzare i prezzi di domanda dei NPL nel mercato nazionale. Dopo una lunga trattativa, il governo italiano ottenne il beneplacito europeo a offrire garanzie (le cosiddette Gacs) sulle sole tranche senior (ossia, le meno rischiose) delle obbligazioni derivate emesse dai servicer. In secondo luogo, nell’aprile del 2016, venne varata un’operazione di sistema per la costituzione di un fondo (il Fondo Atlante), la cui finalità era anche quella di acquistare i NPL offerti da banche italiane a prezzi maggiori rispetto a quelli di mercato. Come nel caso del successivo fondo costituito nell’agosto 2016 (il cosiddetto Atlante 2), le risorse furono fornite dalla quasi totalità dei gruppi bancari o delle banche operanti nel mercato italiano, dai loro proprietari istituzionali e da altri intermediari finanziari. 
Le Gacs, che sono tuttora in vigore, hanno avuto un impatto superiore alle attese nel sostenere (e nel distorcere) le cessioni di NPL nel mercato italiano anche se non ne hanno cambiato le tendenze di fondo (cfr. par. 5). L’esperienza di Atlante, che è stata invece fallimentare, si è concentrata sulla ricapitalizzazione e sugli acquisti di NPL delle banche venete poi uscite dal mercato. Pur se non sistematiche, queste evidenze e indizi suggeriscono che gli interventi ad hoc non appaiono di portata tale da compensare le perdite di breve termine, subite dal settore bancario italiano per avviare e realizzare la rapida dismissione dei NPL. Tutto ciò legittima due aspettative riguardo agli anni 2016-2019: posto che non siano intervenute altre variabili e che sia lecito trascurare – nel breve termine – le retroazioni positive della dismissione dei NPL sulla rischiosità e gestibilità dei bilanci bancari (cfr. n. 7), nello stesso periodo il settore bancario dovrebbe aver subito cadute in termini di capitalizzazione e/o di redditività; le conseguenti difficoltà bancarie dovrebbero aver avuto un impatto negativo anche sui mutuatari insolventi.
L’evidenza empirica (al riguardo, sistematica) mostra che almeno la prima aspettativa è infondata. In un dibattito dedicato al settore bancario italiano nell’analogo Convegno di Alba del 2020, Maurizio Sella presentò due grafici che tolgono qualsiasi dubbio al riguardo[8]. Il primo mostra che, proprio fra il 2016 e il 2019, il settore bancario italiano ha rafforzato i suoi requisiti patrimoniali aumentando l’indicatore CET1 di più di 2,5 punti percentuali (dallo 11,5% nel 2016 a oltre il 14% all’inizio del 2020). Il secondo pone in luce che, mentre nel biennio 2014-2016, il settore bancario italiano era il solo fra quelli dei grandi paesi della UE ad accusare una profittabilità negativa (ROE pari al -3,8%), nel triennio successivo (2017-2019) questo stesso settore ha realizzato un ROE positivo (6,9%) che è stato superiore alla media della UE.
5 . Possibili risposte
Come spiegare una correlazione niente affatto scontata? Non disponendo di riscontri empirici esaustivi, si possono abbozzare quattro ipotesi di spiegazione non necessariamente alternative. 
Vi sono due ipotesi molto ottimistiche. La prima è che il quadro macroeconomico e macro-finanziario degli anni 2016-’19 sia stato così positivo da determinare miglioramenti esogeni nei bilanci bancari e diffuse ricapitalizzazioni bancarie di mercato in grado di assorbire in via immediata le perdite da dismissione dei NPL, che pure si sono verificate. La seconda ipotesi è che, a livello aggregato, tali perdite abbiano solo riguardato la fase iniziale del processo di dismissione. Nel 2016, il mercato italiano delle cartolarizzazioni e – più in generale – quello per la cessione dei NPL erano ancora dominati da pochi servicer internazionali di grandi dimensioni e con posizioni monopsonistiche. Combinandosi con la fragilità e le inefficienze dal lato dell’offerta (cfr. sopra, n. 6), questa struttura di mercato portava a distorte compressioni dei prezzi con impatti negativi sui bilanci bancari. A partire dal 2017, la stessa accelerazione nella dismissione di NPL ha ispessito il relativo mercato, ha spinto le banche originanti a una selezione più omogenea ed efficace delle loro offerte e ha incentivato l’entrata di nuovi servicer. L’aumentata concorrenza dal lato della domanda e la maggiore selezione dal lato dell’offerta hanno innalzato i prezzi di mercato delle diverse tipologie di NPL. 
La portata della prima ipotesi è ridimensionata dai dati macroeconomici relativi all’area dell’euro e dal persistente divario negativo in Italia fra rendimenti bancari e costo del capitale[9]; la seconda, che pare invece basarsi su dati fattuali (per esempio, l’aumento nel numero dei servicer operanti nel mercato italiano), descrive un circolo virtuoso che – solitamente – impiega più tempo per dispiegare effetti così positivi. Pertanto, la seconda ipotesi va quantomeno integrata con una terza ipotesi meno ottimistica. L’entrata di nuovi servicer nel mercato italiano non ha solo rotto preesistenti posizioni monopsonistiche, ma ha anche instaurato nuove distorsioni con segno opposto. I nuovi acquirenti pubblici sono stati spinti a sottoscrivere contratti con banche originanti in grave difficoltà; e tali contratti sono sfociati in artificiose lievitazioni dei prezzi di cessione di specifici sottoinsiemi di NPL. Ciò ha spinto anche servicer privati ad accettare aumenti nei prezzi di altri NPL, nella convinzione che il relativo mercato italiano si stesse trasformando in un mercato con protezioni statali estese. 
Dati parziali indicano che, nel biennio 2019-2020, molti servicer operanti in Italia hanno realizzato profitti inferiori a quelli attesi e una parte di essi ha subito perdite. La conseguente elevata varianza nei rendimenti, conseguiti in questo comparto in Italia, avalla le implicazioni tratte dalla terza ipotesi. Vi è però una quarta ipotesi che offre un riscontro ancora più netto e che riguarda il ricorso alle Gacs. Come si è sopra accennato, tale garanzia pubblica ha avuto un successo molto maggiore di quanto prospettasse la sua applicazione vincolata alle sole tranche senior. Rispetto alle tranche più rischiose (mezzanine e junior), quelle senior hanno – di norma – una bassa incidenza sul totale delle obbligazioni derivate emesse dai servicer. Viceversa, in Italia, il mercato delle cartolarizzazioni e altri contratti aperti relativi ai NPL hanno fatto registrare di recenti aumenti abnormi nel peso delle tranche senior. Un’ipotesi plausibile è che questi aumenti siano stati un effetto distorto dello specifico ambito di applicazione delle Gacs.
Non vi è adeguata evidenza empirica per pesare la rilevanza delle ultime tre ipotesi avanzate. Tuttavia, ammesso che la funzione svolta dalla terza e dalla quarta ipotesi non sia stata marginale, ne deriva che il settore bancario italiano ha esternalizzato una parte consistente dei costi delle dismissioni dei NPL addossandoli ai servicer pubblici, ai garanti pubblici dei servicer privati sottoscrittori di Gacs e ai servicer privati (non garantiti) che hanno effettuato scommesse errate sull’evoluzione del mercato nazionale. In tale prospettiva, il rapido processo di dismissione dei NPL nel settore bancario italiano non sarebbe affatto senza costi per il resto del sistema economico e per la collettività. 
È importante sottolineare che, se i servicer privati non coperti da garanzie statali hanno subito perdite o hanno conseguito profitti molto inferiori alle loro attese, vi sono potenziali effetti negativi ancora nascosti per l’economia italiana. Questi servicer potrebbero, infatti, aver deciso la liquidazione delle loro posizioni così da uscire o da ridimensionare la presenza rispetto al mercato italiano; e, in caso di abbandoni massicci, verrebbe compromessa la possibilità di costruire un mercato delle ristrutturazioni di impresa alimentata dal fatto che, rispetto alle banche, i servicer (specie internazionali) sono più propensi a interagire con altri intermediari specializzati e con strumenti finanziari alternativi al credito bancario. Le principali vittime sarebbero le imprese mutuatarie insolventi e – in particolare – quelle in difficoltà ma con residue potenzialità di recupero. 
6 . Conclusioni
Le considerazioni, svolte alla fine del precedente paragrafo, indicano che un’accurata ricostruzione dei processi di dismissione bancaria dei NPL, avvenuti in Italia fra il 2016 e il 2019, non avrebbe solo la finalità accademica di reinterpretare il recente passato ma fornirebbe anche rilevanti indicazioni per il rafforzamento dei mercati finanziari e per le imminenti scelte di politica industriale e di politica economica. 
I prevalenti modelli di attività delle banche italiane escludono un interesse a specializzarsi nella ristrutturazione delle imprese ad alto rischio di insolvenza ma con residue potenzialità di recupero. Tali ristrutturazioni richiedono, infatti, competenze e decisioni informate che non riguardano solo il disegno per l’allungamento o la rinegoziazione dei contratti di debito ma che coinvolgono soprattutto le scelte relative alla composizione ottimale del capitale finanziario in funzione della riorganizzazione delle produzioni e della governance delle imprese coinvolte. Pertanto, il processo di ristrutturazione di ogni specifica impresa deve attivare una cooperazione fra molti attori economici: i gestori e i proprietari di questa stessa impresa, gli specialisti del suo comparto di attività, gli esperti aziendali e vari intermediari finanziari non-bancari. Per realizzarsi e riprodursi, una simile cooperazione deve contare su un’efficace tutela di tutti i diversi interessi in gioco e soddisfare criteri di trasparenza e di efficienza. Pertanto, essa va fondata su rapporti di mercato ben regolati che definiscano il perimetro delle alternative tecniche e delle scelte strategiche. 
Tale conclusione conferma quanto affermato nel paragrafo precedente: in Italia un’efficace gestione degli UTP, ossia dei prestiti che fanno capo a imprese ad alto rischio di insolvenza ma con potenzialità di ripresa, richiede la costruzione di un mercato delle ristrutturazioni. Questo specifico mercato, oltre a incentrarsi sulle azioni di un variegato insieme di agenti specializzati, presuppone un’articolazione dei mercati finanziari nazionali che vada al di là del credito bancario; esso deve infatti incorporare strumenti finanziari alternativi o complementari ai tradizionali prestiti bancari. Per giunta, il mercato delle ristrutturazioni è uno strumento essenziale per l’attuazione di efficaci politiche industriali che regolino la selezione delle imprese in difficoltà e salvaguardino la crescita economica. L’aspetto da approfondire è se i servicer, che – a differenza delle banche – non sono in diretta competizione con altri intermediari finanziari non-bancari, possano davvero svolgere un ruolo positivo e importante per la costruzione di un efficiente ed efficace mercato delle ristrutturazioni in Italia.
Qualora la risposta a tale interrogativo fosse – in linea di principio – affermativa, ne discenderebbero almeno due conseguenze. La prima è che servicer, propensi a fare un passo indietro in quanto colpiti da risultati inferiori alle aspettative, non sarebbero attori ideali per la costruzione di un mercato italiano delle ristrutturazioni. La seconda conseguenza è che le specifiche modalità di rapporto fra le banche originanti e i servicer avrebbero comunque un impatto importante riguardo alla gestione delle imprese in difficoltà. 
Queste due conseguenze, il cui esame richiede approfondimenti rispetto ai processi di dismissione dei NPL avvenuti negli anni passati, diventano importanti anche per la gestione dei nuovi flussi di NPL e di NPE, destinati a emergere nella fase post-pandemica dopo che il governo italiano porrà fine all’offerta di quelle garanzie e moratorie sui finanziamenti bancari introdotte nel 2020. La previsione è che il peso dei nuovi NPL sul totale dei prestiti bancari erogati sarà molto inferiore rispetto ai picchi del 2014 e 2015. Si tratterà comunque di una voce significativa dei bilanci bancari italiani, che condizionerà l’andamento dei mercati finanziari italiani e lo sviluppo macroeconomico del paese. Si renderanno, pertanto, opportuni interventi di politica economica con riguardo al comparto dei servicer e alle ristrutturazioni di impresa; e analisi in grado di fornire un quadro esaustivo delle esternalità (anche negative), prodotte dalla dismissione bancaria di NPL, si riveleranno cruciali per una più efficace calibrazione degli interventi di politica economica.
Le ultime notazioni permettono di tornare sull’oggetto del presente lavoro. La possibile utilità delle analisi svolte non risiede nei risultati raggiunti, che sono troppo parziali e ipotetici per fornire un robusto quadro di insieme. Essa consiste, invece, nell’aver mostrato perché sarebbe un errore accontentarsi delle ricostruzioni a oggi disponibili sui processi di dismissione bancaria dei NPL fra il 2016 e il 2019. Anche se si è trattato di un evento di successo, le sue svariate implicazioni sollecitano approfondimenti.

Appendice

Figura 1 - Rapporto CET1 settore bancario italiano (Fonte: Sella 2020)
Figura
Figura 2 - ROE dei settori bancari europei (Fonte: Sella 2020)
Figura

Note:

[1] 
Nonostante l’espansione dei corporate bond negli anni successivi alla crisi finanziaria internazionale, l’area dell’euro è tutt’oggi caratterizzata dalla forte incidenza dei crediti bancari nel finanziamento esterno delle imprese. Ciò vale soprattutto per l’Italia che, ancor più degli altri stati membri dell’area dell’euro, è schiacciata sulle piccole e piccolissime dimensioni di impresa.
[2] 
Nel prosieguo dell’analisi, si privilegeranno i dati precedenti il 2020, anno di inizio dello shock pandemico. Le dinamiche (positive) dei NPL e delle altre principali voci dei bilanci bancari italiani nel 2020 e 2021 sono, infatti, alterate dall’ingente ammontare di interventi pubblici nazionali (garanzie e moratorie sui prestiti) e dal temporaneo allentamento della regolamentazione europea.
[3] 
Ciò spiega perché lo scritto non sia corredato da riferimenti espliciti alle diverse posizioni, presenti nella discussione, e da una conseguente bibliografia.
[4] 
Non deve sorprendere il divario temporale fra l’allocazione inefficiente dei prestiti e l’accumulazione dei NPL. È infatti noto che la trasformazione di una parte dei crediti concessi in NPL si manifesta soprattutto verso la scadenza dei contratti di debito e viene registrata con ulteriori ritardi dipendenti dalle strategie bancarie di gestione e dalla regolamentazione vigente.
[5] 
Le due banche venete sono fallite a metà del 2017; e, dopo il salvataggio pubblico avviato alla fine del 2016 e sfociato nell’acquisizione della maggioranza assoluta del capitale da parte dello Stato italiano, MPS versa ancora oggi in gravi difficoltà. Nel frattempo, vi sono stati salvataggi pubblici – diretti o indiretti – in vari altri casi critici di banche medie o piccole che non hanno ancora trovato una soluzione definitiva (Carige, Popolare di Bari).
[6] 
Va peraltro sottolineato che, nel caso italiano, una delle cause degli iniziali bassi prezzi di mercato dei NPL è derivata dalla carente classificazione degli stessi NPL, detenuti dalle singole banche, in gruppi omogenei di rischio. Ciò ha fatto sì che i servicer abbiano dovuto sobbarcarsi costi di selezione di insiemi eterogeni di NPL che, nei mercati sviluppati delle cartolarizzazioni, sono internalizzati dalle banche originanti e si traducono in cessioni di sottoinsieme più omogenei di NPL. 
[7] 
Dato il limitato periodo temporale esaminato, il riferimento al breve termine può apparire scontato. Esso è qui utilizzato in un senso più specifico, ossia per sottolineare che si trascurano gli impatti positivi della cessione di NPL sulla gestione dei bilanci bancari (riduzione dei rischi, maggiore discrezionalità nelle scelte). È importante tenere presente la semplificazione introdotta specie rispetto all’analisi del par. 5.
[8] 
Cfr. il XXVII Convegno dell’Associazione Albese di Diritto Commerciale, dal titolo “Lockdown, banche, crisi e ristrutturazioni: un primo bilancio”. I due grafici sono riportati in Appendice. Dati analoghi sono forniti da Banca d’Italia e dalla BCE. Informazioni simili state anche offerte nelle relazioni di Silvia Giacomelli ai già citati Convegni di Alba del 2020 e del 2021.
[9] 
Basti ricordare che, fra il 2018 e il 2019, le economie di molti grandi paesi europei entrarono in una sostanziale fase di stagnazione tanto che l’Italia fu colpita da una nuova recessione. Nonostante ciò, potrebbero esservi molte altre variabili esogene intervenienti.

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