La seconda domanda è ancora più difficile (o, meglio, la domanda è semplice, ma la risposta è difficile). Limitiamo l’esame al caso più frequente in cui il trasferimento avvenga tramite una vendita: se il tribunale dispone, direttamente o all’esito di eventuali manifestazioni di interesse, che vi sia una procedura competitiva, quali saranno i parametri di selezione dell’acquirente?
La risposta sembrerebbe fin troppo agevole: l’unico parametro di selezione è il corrispettivo offerto.
Ma questa risposta non è, a mio avviso, quella corretta. E cerco subito di spiegare le ragioni di questa mia affermazione, perché mi rendo conto che potrebbe essere considerata una soluzione quasi “eversiva” dei consolidati principi che governano il diritto della crisi e dell’insolvenza.
I riferimenti normativi dai quali partire sono quelli già richiamati. Il primo comma dell’art. 10 d.l. 118/2021, come detto, pone sullo stesso piano la continuità aziendale e la migliore soddisfazione dei creditori, senza individuare l’interesse e l’obiettivo prevalente, rispetto al quale l’altro interesse deve cedere per il caso di conflitto. E la mancanza di una scala valoriale netta e di un chiaro indice gerarchico, a differenza per esempio di quanto previsto dall’art. 4 CCII, che contiene il riferimento al “prioritario interesse dei creditori”, oppure di quanto previsto dall’art. 9 d.l. 118, che parla di “prevalente interesse dei creditori”, non può essere considerato un dato neutro da un punto di vista ermeneutico, ma testimonia della legittimità di previsioni che limitino la massima soddisfazione dei creditori per tenere conto anche dell’interesse alla continuità aziendale. D’altra parte, il legislatore impone di valutare la funzionalità dell’atto alla “migliore soddisfazione dei creditori” e non alla “massima soddisfazione dei creditori” e questo conferma che l’interesse dei creditori va certamente tutelato, ma che esso non può essere considerato assoluto, dovendo contemperarsi anche con altri interessi rilevanti.
La soluzione trova ulteriore conferma testuale nella disposizione, anch’essa già richiamata, per cui il tribunale autorizza “dettando le misure ritenute opportune, tenuto conto delle istanze delle parti interessate al fine di tutelare gli interessi coinvolti”. Vi è, da un lato, l’esplicito riconoscimento della necessità, non solo di considerare, ma anche di tutelare i diversi interessi coinvolti, che non possono essere unicamente quelli dei creditori. Dall’altro lato, vi è l’emersione della proiezione che la tutela di questi interessi pone sulle concrete modalità di gestione della procedura competitiva. Interessi che assurgono, così, a criteri giuridicamente rilevanti che devono concorrere a guidare la valutazione del tribunale nella formulazione delle misure opportune.
Si assiste, in questo modo, al riconoscimento normativo espresso di quel principio di responsabilità sociale dell’impresa e di sostenibilità che probabilmente era già possibile enucleare in via interpretativa nel sistema concorsuale e che trova oggi emersione sul piano testuale nella composizione negoziata.
Il principio generale si concreta nel riconoscimento che l’interesse dei creditori deve contemperarsi con altri interessi di pari rilevanza costituzionale e che, di conseguenza, le concrete modalità di trasferimento dell’azienda, per quanto tendenzialmente modellate sul fine del miglior soddisfacimento dei creditori, non possono sempre prescindere da una considerazione di questi interessi. La concomitante presenza di plurimi interessi rilevanti impone, quindi, la ricerca di un punto di equilibrio che non risolve i conflitti nella meccanica affermazione dell’uno e nella negazione dell’altro, ma nella doverosa ponderazione, attuata secondo criteri di ragionevolezza e proporzionalità, secondo una tecnica interpretativa da tempo utilizzata dalla nostra Corte Costituzionale.
Il riconoscimento di questo principio è coerente con quanto previsto nell’art. 41 Cost., che, nel riconoscere che “l’iniziativa economica privata è libera” (comma 1), dispone che essa “non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”. Altre conferme si traggono dalla Direttiva (Ue) 2019/1023 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 2019 sulla ristrutturazione e sull’insolvenza. Nel considerando n. 2 si legge che i quadri di ristrutturazione “dovrebbero impedire la perdita di posti di lavoro nonché la perdita di conoscenze e competenze e massimizzare il valore totale per i creditori, rispetto a quanto avrebbero ricevuto in caso di liquidazione degli attivi della società o nel caso del migliore scenario alternativo possibile in mancanza di un piano, così come per i proprietari e per l'economia nel suo complesso”. In modo ancora più esplicito e con accenti che richiamano il giudizio di comparazione tra valori costituzionali di cui abbiamo parlato sopra, il considerando n. 3 prevede che “nei quadri di ristrutturazione i diritti di tutte le parti coinvolte, compresi i lavoratori, dovrebbero essere tutelati in modo equilibrato” ed il considerando n. 10 precisa che “tutte le operazioni di ristrutturazione, in particolare quelle di grandi dimensioni che generano un impatto significativo, dovrebbero basarsi su un dialogo con i portatori di interessi”. Anche l’articolato, e non solo i consideranda, reca traccia di questa rilevanza degli interessi degli stakeholders e questo anche in una delle “norme manifesto” della Direttiva. L’art. 4 prevede che “Gli Stati membri provvedono affinché, qualora sussista una probabilità di insolvenza, il debitore abbia accesso a un quadro di ristrutturazione preventiva che gli consenta la ristrutturazione, al fine di impedire l’insolvenza e di assicurare la loro sostenibilità economica, fatte salve altre soluzioni volte a evitare l'insolvenza, così da tutelare i posti di lavoro e preservare l'attività imprenditoriale”. Al di là dell’effettivo valore interpretativo dei consideranda e del concreto contenuto precettivo degli articoli, è evidente che essi si inseriscono coerentemente in una linea di tendenza che abbandona la considerazione esclusiva e totalizzante dell’interesse dei creditori nella crisi d’impresa, in favore di una più equilibrata considerazione della dialettica fra l’interesse dei creditori e la contestualizzazione dell’ambiente economico nel quale la crisi è sorta e nel quale va gestita la sua definizione.
Per garantire la coerenza dell’approdo raggiunto con i vincoli costituzionali ed eurounitari posti in relazione alle possibili limitazioni al soddisfacimento del diritto di credito, in quanto ricompreso nel concetto di proprietà (art. 42 Cost.; art. 1 del Primo Protocollo della Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo; art. 17 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea), è necessario però individuare il contenuto minimo garantito del diritto dei creditori che non può essere intaccato dal perseguimento di interessi-altri, anche in questa fase. Pur nella inevitabile variabilità in concreto delle possibili soluzioni che possono derivare dalla ponderazione di interessi diversi secondo il canone della ragionevolezza, è possibile tracciare una linea di riferimento. Se il trasferimento dell’azienda o di suoi rami deve essere funzionale (anche) al migliore soddisfacimento dei creditori, esso deve complessivamente offrire ai creditori una soddisfazione almeno pari a quella che si sarebbe avuta in mancanza della stessa, perché, nel caso contrario, il trasferimento non sarebbe nell’interesse, ma contro l’interesse dei creditori. Il contenuto minimo garantito del diritto dei creditori, che non può essere sacrificato dal perseguimento di interessi diversi, si misura con il livello del presumibile soddisfacimento che i creditori collettivamente avrebbero potuto conseguire in mancanza del trasferimento.
Delineato fondamento, contenuto e limiti di questo principio di contemperamento tra interessi con riferimento alle modalità operative per la vendita dell’azienda o di suoi rami nella composizione negoziata, se ne possono tratteggiare le implicazioni operative. Esso legittima, nella predisposizione dei criteri di selezione dell’acquirente, l’inserimento anche di parametri diversi rispetto al prezzo (es: impegno ad adeguare la produzione secondo standard più rispettosi dell’ambiente; impegno alla prosecuzione attività per un periodo minimo di tempo; impegno alla conservazione dei livelli occupazionali; impegno a mantenere la sede operativa nel territorio italiano per un dato periodo di tempo), che consentano di limitare l’effetto negativo della prosecuzione dell’attività d’impresa sul contesto ambientale e sociale o, addirittura, di apportare un contributo positivo rispetto agli stessi.
Per evitare che questi parametri ulteriori, o cd. “clausole sociali”, possano però mortificare l’interesse dei creditori, va ricercato un punto di equilibrio, che può essere rinvenuto nell’esigenza di assicurare il più ampio soddisfacimento dei creditori che sia consentito nel rispetto degli altri interessi e diritti rilevanti. Il che non significa trasformare l’interesse dei creditori in “tiranno” nei confronti delle altre posizioni giuridiche tutelate, ma avere consapevolezza che lo stesso può essere limitato solo nello stretto limite necessario per non arrecare un irragionevole pregiudizio agli altri interessi. Il sacrificio dell’interesse dei creditori deve servire ed essere indispensabile per la migliore realizzazione di un altro interesse rilevante, pena l’irragionevolezza della limitazione.
Gli eventuali parametri diversi dal prezzo devono, pertanto, essere funzionali al perseguimento di interessi di pari rango costituzionale, non pregiudicare la possibilità di effettiva comparazione tra le diverse offerte e non essere così gravosi da pregiudicare irragionevolmente il nucleo essenziale del diritto di credito, privando i creditori del contenuto minimo garantito.
Non sono ignote le difficoltà applicative derivanti dal possibile allargamento dei criteri di valutazione delle offerte nel caso di vendita di aziende o rami di azienda, con il conseguente rischio di incremento del contenzioso giudiziario, né tantomeno il rischio che, attribuendo al tribunale il compito di mediare nei conflitti tra l’interesse dei creditori e gli interessi-altri, si determini la sostanziale insindacabilità della sua scelta. Si tratta, però, di preoccupazioni che, per quanto legittime e fondate, non sembrano idonee a mettere in discussione i risultati raggiunti, in quanto, da un lato, vi sono altri esempi di procedure competitive svolte sulla base di criteri di aggiudicazione basati non solo sul prezzo (si pensi al criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa nei contratti pubblici, o al criterio di individuazione dell’affittuario d’azienda nel fallimento) e, dall’altro lato, la ponderazione, secondo valutazioni dinamiche e non predeterminate in astratto, tra interessi potenzialmente confliggenti è una caratteristica propria del giudizio di comparazione tra interessi costituzionalmente garantiti, da svolgersi secondo ragionevolezza.
Si tratta di un mutamento di paradigma consapevolmente attuato dal legislatore e che dovrà essere adeguatamente valorizzato da tutti gli attori del sistema del diritto della crisi e dell’insolvenza.