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Saggio

La distribuzione dell’attivo gravato da prelazioni speciali e le prededuzioni dei professionisti dopo il codice della crisi*

Paolo Bortoluzzi, Avvocato in Ancona
Antonella Gallotta, Dottoressa Commercialista in Ancona

17 Novembre 2022

*Il saggio è stato sottoposto in forma anonima alla valutazione di un referee.
Gli Autori affrontano il tema della soddisfazione dei crediti professionali prededucibili nella liquidazione giudiziale nei casi in cui l’attivo disponibile sia il ricavato della liquidazione di beni gravati da ipoteche, pegni o privilegi speciali, sviluppando la riflessione alla luce delle recenti novità giurisprudenziali e normative rappresentate dalla sentenza a Sezioni Unite n. 42093/2021 e dall'art. 6 CCII.
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1 . Premessa
Il tema oggetto della presente riflessione è quello delle regole per la soddisfazione dei creditori prededucibili nei casi in cui l’attivo da distribuire derivi dalla vendita di beni, immobili o mobili, gravati da diritti reali, vale a dire ipoteca, pegno o privilegio speciale. L’argomento ruota attorno all’interpretazione e applicazione degli artt. 221-223 CCII, che ripropongono – con qualche lieve ma significativa modifica - gli artt. 111-111 ter L. fall.
In particolare, nell’ambito di questa tematica, ci si chiede se sia possibile addebitare a tale tipologia di creditori privilegiati, i costi dei professionisti che hanno assistito il debitore nella procedura di concordato preventivo; procedura al cui esito negativo è seguita la liquidazione giudiziale.
Una problematica frequente nella gestione delle procedure maggiori, che fatica a trovare una stabile impostazione.
Su tale specifico aspetto, la giurisprudenza di merito – di legittimità non se ne rinviene - non sembra aver ancora offerto una univoca risposta e, per tale ragione, è opportuno promuovere uno sforzo verso la ricerca di un approdo interpretativo convincente.
Un’operazione che, a parere di chi scrive, sembra resa oggi più agevole alla luce di due sopraggiunti elementi di novità: da un lato, la decisione n. 42093/2021 delle Sezioni Unite della Suprema Corte che, come noto, ha individuato precisamente i termini per riconoscere la prededuzione al professionista che ha prestato l’attività di assistenza al debitore nella procedura di concordato preventivo, e, dall’altro, l’introduzione dell’art. 6 del CCII, inserito nelle “Disposizioni Generali” del corpo normativo, che per la prima volta dedica un trattamento specifico ai crediti professionali sorti nelle procedure minori.
2 . Le regole del riparto in presenza di crediti prededucibili
Va premesso che la descritta problematica non si presenta nei casi in cui l’attivo da distribuire scaturisca dalla liquidazione di beni, mobili o immobili, non gravati da pegno, ipoteca o privilegio speciale. E nemmeno nei casi in cui l’attivo provenga dalla realizzazione di risorse diverse da quelle derivanti dalla liquidazione di beni materiali, come nelle ipotesi, ad esempio, in cui vi sono riscossioni di crediti da soggetti terzi, legati da rapporti negoziali a suo tempo contratti dall’imprenditore, oppure ricavate all’esito di azioni risarcitorie intraprese dal curatore.
In tutti questi casi, in cui l’attivo risulta “libero” da prelazioni specifiche, la distribuzione delle somme dovrà seguire l’ordine indicato dall’art. 221 CCII (che ha sostituito l’art. 111 L. fall.) e, al riguardo, il curatore non dovrebbe incontrare particolari difficoltà. Per cui, le liquidità a sua disposizione verranno destinate al pagamento dei creditori prededucibili, privilegiati, chirografari e postergati - l’introduzione di questa categoria rappresenta una novità rispetto alla legge fallimentare – gradualmente utilizzando l’attivo a disposizione, per soddisfare, sino ad esaurire ciascuna categoria, i creditori ammessi al passivo. 
In simili casi, le prededuzioni trovano pertanto una soddisfazione primaria e indistinta su tutto l’attivo.
Inoltre, in questi casi il curatore non sarà chiamato ad individuare le tipologie delle prededuzioni facenti parte del passivo, a stabilire cioè se le stesse siano annoverabili fra le “spese” (art. 223, comma 3, CCII) o, invece, fra gli “altri debiti” (art. 222, comma 2, CCII) 201 contratti per la gestione dalla procedura. Un distinguo che si pone, come vedremo, solo in presenza di beni gravati.
Al più, ove l’attivo risulti insufficiente a soddisfarle, il curatore sarà chiamato a verificare la natura intrinseca delle prededuzioni – privilegiata o chirografaria - attenendosi al contenuto dei provvedimenti di ammissione al passivo. La norma che disciplina questo tipo di incapienza è l’art. 222, comma 4, CCII, che pone la regola, già presente nella legge fallimentare, secondo cui “Se l’attivo è insufficiente, la distribuzione deve avvenire secondo i criteri della graduazione e della proporzionalità, conformemente all’ordine assegnato dalla legge”; in tali casi, pertanto, si apre un concorso nell’ambito dei creditori prededucibili, ancorché essi non siano stricto sensu “concorsuali” non avendo sempre genesi anteriore alla dichiarazione di liquidazione giudiziale.
Le operazioni di riparto assumono invece maggior complessità nei casi – d’interesse per la presente indagine – in cui le risorse derivano dalla liquidazione di beni gravati da ipoteche, pegno o privilegio speciale.
Qui la regola da seguire è dettata – oggi più chiaramente che in passato – dal combinato disposto degli artt. 222, comma 2 e 223, comma 3, CCII, norme che hanno sostanzialmente riproposto, agli stessi commi, gli artt. 111 bis e 111 ter della legge fallimentare.
Le due disposizioni. in verità, sembrerebbero essere in contraddizione fra loro, ma si tratta, come da tempo chiarito da autorevole dottrina[1], di un contrasto solo apparente.
La prima disposizione (art. 222, comma 2, CCII, art. 111 bis, comma 2, L. fall.) detta la regola secondo cui le prededuzioni vanno soddisfatte con il ricavato della liquidazione dei beni facenti parte sia del patrimonio mobiliare che di quello immobiliare, con esclusione di quanto ricavato da quelli gravati da prelazioni speciali. Sembrerebbe, quindi, che tale tipologia di prelazioni non possa mai essere incisa dal pagamento dei crediti prededucibili.
La norma successiva (art. 223, comma 3, CCII, art. 111 ter, comma 3, L. fall.), stabilisce però che il curatore deve tenere dei conti speciali per ciascuno dei beni gravati dalla prelazione speciale, detraendo dall’attivo, ottenuto dalla loro liquidazione e maggiorato da eventuali altre voci (interessi attivi, frutti civili etc.), “le uscite di carattere specifico” e una “quota di quelle generali”.
Sennonché, le uscite – parola che è sinonimo di “spesa” – sono a tutti gli effetti anch’esse debiti prededucibili, trattandosi di costi inerenti la procedura maturati a vario titolo o ragione, e quindi non sarebbe a quel punto più vero che le prededuzioni non gravano per nulla su tale ricavato come invece farebbe intendere l’art. 222, comma 2, CCII.
Per cui, da un lato, si afferma che nessuna prededuzione potrebbe gravare sui beni oggetto di pegno, ipoteca o privilegio speciale (art. 222, comma 2, CCII), e, dall’altro, si stabilisce che le spese prededucibili, specifiche o generali, debbono essere soddisfatte attingendo proprio al valore ricavato dalla liquidazione di detti beni. 
Si tratta di una contraddizione – come si diceva – solo apparente. 
Infatti, come chiarito anche in una recente pronuncia di legittimità[2], la prima regola (art. 222, comma 2, CCII) non stabilisce che tutti i crediti prededucibili sono esclusi dal ricavato della vendita dei beni oggetto di pegno, ipoteca o privilegio speciale, ma semplicemente che sul ricavato di questi ultimi incidono soltanto quelli che hanno natura di spesa, speciale o generale. Letteralmente, l’art. 222, comma 2, CCII esclude le prededuzioni sulla “parte destinata ai creditori garantiti”, e ciò vuol dire che ad essi è riservato il ricavo al netto delle spese (rectius, prededuzioni) di riferimento.
Il coordinamento fra le disposizioni è oggi meglio chiarito rispetto alle norme contenute nella legge fallimentare, perché la prima disposizione ha inserito l'inequivocabile inciso, valorizzato anche dalla pronuncia appena ricordata, “salvo quanto previsto dall’art. 223”; salve cioè le spese prededucibili addebitabili in base ai conti speciali, per cui appare superato ogni possibile equivoco al riguardo.
Non solo le due norme indicano basi di calcolo diverse e non sovrapponibili su cui operare il conteggio del riparto, ma operano anche un distinguo nel mondo delle prededuzioni. Infatti, come da tempo segnalato in dottrina[3], vanno differenziati le “spese” dagli “altri debiti”; entrambe le tipologie appartengono al genus delle prededuzioni, ma hanno un’origine e una destinazione diverse.
La regola decisa dal legislatore sul trattamento dei crediti muniti di prelazione speciale, trova il suo fondamento nella circostanza oggettiva che questi creditori non traggono particolare vantaggio dall’esecuzione collettiva, atteso che la realizzazione della loro garanzia sarebbe comunque assicurata nell’esecuzione individuale; ciò giustifica il fatto che, le altre prededuzioni che in essa maturano e che attengono per lo più a costi di gestione, non possono essergli addebitate[4].
Tale premessa è sembrata indispensabile per approcciare il tema che ci siamo assegnati - la soddisfazione nella liquidazione giudiziale dei crediti professionali maturati nella precedente procedura di concordato preventivo - atteso che va preliminarmente stabilito se tali crediti, una volta ammessi al passivo, debbono essere inclusi nell’una o nell’altra categoria; la scelta incide non poco in termini di concreta soddisfazione degli stessi.
Prima ancora di articolare una risposta, occorre soffermarsi sui concetti di “uscite (spese) di carattere specifico” e di “uscite (spese) di carattere generale” nel senso voluto dall’art. 223, comma 3, CCII e come debbono svilupparsi i conti speciali di cui alla norma.
Questi concetti sono tipici della contabilità analitica, dove ai fini della costruzione di un efficiente sistema di controllo di gestione è necessario dividere i costi speciali, attribuibili in maniera oggettiva al singolo centro di costo o di prodotto, dai costi comuni, per i quali è necessario scegliere un criterio di riparto in base al quale procedere all’imputazione di una quota ai singoli centro di costo o di prodotto.
La costruzione dei conti speciali è pensata come una sorta di “mastro contabile”, dove nella colonna “dare” devono essere considerate le voci dell’attivo (ricavato della liquidazione del bene + interessi bancari attivi + frutti civili etc.[5]) e, nella colonna “avere”, le poste passive aventi carattere specifico e generale. 
Quanto alle spese specifiche, se ipotizziamo di aver liquidato un bene immobile ipotecato (ipotesi fra le più consuete), dovranno essere imputate (a titolo esemplificativo): le spese dello stimatore di quel bene, quelle dell’eventuale custodia, l’IMU, le spese legali sostenute per il rilascio, quelle pagate per l’intervento nell’esecuzione fondiaria, le riparazioni, i costi pubblicitari sostenuti per la procedura competitiva e così via.
Quanto alle spese generali, invece, sono quelle inerenti la procedura nella sua interezza e quindi (sempre a titolo esemplificativo): il compenso del curatore, i costi del programma per la gestione telematica, il compenso dell’ausiliario contabile et similia.
Mentre le prime (speciali) hanno un’imputazione integrale sul ricavato del bene gravato, le seconde (generali) incidono su di esso solo proporzionalmente. Il criterio proporzionale, ricavabile dal rapporto tra le masse attive mobiliare e immobiliare, è stato introdotto dal legislatore con la riforma 2006-2007, per risolvere una difficoltà che la giurisprudenza incontrava in simili casi. Infatti, in assenza di una precisa regola distributiva per tali tipologie di spesa, si ricorreva al criterio della “utilità”[6]; per cui, di volta in volta, si doveva indagare se una certa spesa si fosse rivelata effettivamente utile per il creditore titolare della prelazione speciale e, in difetto, non gli si poteva addebitare il relativo costo. Un’indagine non sempre agevole che aveva alimentato un costante contrasto – si pensi ai casi di esecuzione fondiaria, proseguibile a prescindere dalla procedura concorsuale in deroga al divieto dell’art. 51 L. fall., dove il creditore ipotecario contestava appunto l’esistenza di una utilità per la sua posizione - che il legislatore della riforma 2006-2007 ha deciso di dirimere prevedendo un’equa distribuzione del monte costi generali fra le due masse, mobiliare e immobiliare, sulla base di una proporzione basata sul rispettivo valore.
Le regole del riparto sopra sinteticamente ricordate, si ritiene valgano per tutte le procedure concorsuali, anche ove non espressamente richiamate[7]. Quindi anche nei casi del concordato preventivo liquidatorio (artt. 84 segg. del CCII), del concordato semplificato (art. 25 sexies CCII) e del sovraindebitamento[8].
Una tale conclusione è oggi confortata dall’art. 84, comma 5, CCII, il quale, nel disciplinare la regola dell’incapienza nel concordato preventivo, precisa che il valore del bene utilizzabile nel piano è quello di mercato “al netto delle spese di procedura inerenti al bene o diritto e della quota parte delle spese generali”. Si chiede quindi allo stimatore di ricavare il valore liquidatorio del bene (o dei beni) prefigurando un piano di riparto con incidenza delle prededuzioni, al pari di quanto previsto nella liquidazione giudiziale.
Aspetto finale, che non si può trascurare in una riflessione completa sull’argomento, è interrogarsi su cosa accade nelle ipotesi – non certo rare – in cui il ricavato immobiliare, gravato da ipoteca, rappresenta il prevalente, se non esclusivo, valore dell’attivo e se, nonostante ciò, sono state sostenute spese aventi natura mobiliare non computabili nel conto speciale di riferimento. Si pensi al caso di un’azione di recupero credito o di un’azione recuperatoria o risarcitoria rivelatesi infruttuose, i cui costi (legale, spese imposta di registro, etc.) vengono reclamati dagli aventi diritto e non vi è un attivo mobiliare a cui attingere.
Un problema che, in generale, si pone anche in tutti i casi in cui le spese contratte dal curatore o generatesi in conseguenza di sue iniziative, non possono essere assorbite nel comparto predisposto per la distribuzione dell’attivo disponibile.
In queste ipotesi sembra necessario distinguere due profili, uno “esterno” e l’altro “interno”.
Il primo riguarda i rapporti del curatore con i terzi, titolari dei crediti sorti in virtù degli incarichi affidati o per effetto di essi (spese di soccombenza, imposta di registro etc.). L’obbligazione sorta è civilisticamente valida, atteso che nessuna norma dell’ordinamento ne inficia l’efficacia. Ne consegue che ai titolari dei relativi crediti non può essere eccepita l’incapienza, in quanto non sussiste un “patrimonio destinato” o, se si preferisce, una “segregazione patrimoniale”, che legittimi una limitazione della responsabilità della massa verso i terzi. Le regole del riparto, e quelle ad esso preparatorie, hanno valenza esclusiva nell’ambito del concorso dei creditori.
I crediti dei terzi vanno quindi soddisfatti dal curatore con le liquidità a disposizione, ancorché, una volta ricostruiti i conti speciali, ne scaturisca una penalizzazione del creditore ipotecario (seguendo l’esempio fatto). 
Questa conseguenza si verificherà indipendentemente da una valutazione sulla diligenza o sulla negligenza impiegata dal curatore nell’esercizio delle sue funzioni, oggi rinvenibile nell’art. 136, comma 1, CCII. 
L’obbligazione sorge sia quando la stessa è stata assunta seguendo tutte le accortezze del caso, sia laddove l’iniziativa risulta essere stata promossa imprudentemente dalla curatela. Si pensi al caso di un’azione recuperatoria/risarcitoria verso soggetti ex ante privi di sufficiente garanzia patrimoniale[9]; in entrambi i casi sarà la massa a risponderne. 
Una tale conclusione appare confortata anche dal tenore dell’art. 210, comma 1, CCII (che ripropone l’art. 103 L. fall.), il quale prevede che, quando il curatore “perde il possesso della cosa dopo averla acquisita”, quindi la smarrisce dopo averla inventariata, il titolare del diritto, che a quel punto non può più rivendicarla in natura, ha diritto di ottenerne il controvalore in prededuzione. Ne discende, che anche nei casi di palese colpa del curatore sarà la massa a dover patrimonialmente far fronte all’obbligazione sorta.
La valutazione del comportamento del curatore assumerà rilevanza invece sotto il profilo “interno”, quando cioè lo stesso verrà sottoposto all’attenzione dei creditori e del tribunale. Il momento della disamina del rendiconto (art. 231 CCII) diverrà cruciale, atteso che in quella sede i creditori (l’ipotecario, nell’esempio fatto) potranno evidenziare al giudice delegato e al tribunale i motivi di censura dell’operato del curatore sino a sollecitarne la revoca ed il promuovimento di una successiva azione di responsabilità (art. 136, comma 3, CCII).
3 . La riconducibilità dei crediti professionali nella categoria delle “spese generali”
Una volta ricordate le regole che presiedono la predisposizione dei riparti, occorre interrogarsi, nell’ambito della descritta cornice, in quali termini possono trovare soddisfazione i crediti dei professionisti che hanno assistito il debitore nella procedura di concordato preventivo nei casi in cui il ricavato da distribuire nella liquidazione giudiziale sia il frutto della vendita di beni gravati da prelazioni speciali.
In un primo momento, la riflessione verrà sviluppata tenuti presente i crediti dei professionisti la cui assistenza o collaborazione risulta necessaria al debitore. Sono i casi del legale presentatore[10], dell’attestatore, dello stimatore dell’incapienza, con riserva di ampliare la disamina ad altre figure professionali che, seppure svolgono un ruolo di supporto al debitore, espletano un’attività meno indispensabile rispetto alla domanda di concordato.
La giurisprudenza di merito – di legittimità non se ne rinviene – quando si è occupata di tale aspetto ha fornito delle risposte fra loro divergenti e spesso poco convincenti. In taluni casi[11], si è esclusa la possibilità di imputare i costi professionali ai creditori muniti di privilegio speciale in quanto questi ultimi non potrebbero trarre alcuna utilità dall’attività dei primi – applicando in tal modo un criterio, quello dell’utilità, che come visto è stato da tempo sostituito da quello della proporzionalità – mentre, in altri casi[12], si è ammessa l’imputazione di tali costi nei conti speciali adducendo che la norma non distinguerebbe la loro insorgenza (art. 111 ter L. fall.), ante o post fallimento.
Per tentare di fornire una risposta al tema che ci siamo posti, occorre operare una preliminare scelta di campo, foriera di non poche implicazioni pratiche e decidere se, una volta ammesse al passivo, le prededuzioni de quibus siano considerabili altri debiti (art. 222, comma 2, CCII) oppure spese generali (art. 223, comma 3, CCII, escludendosi in radice, per le ipotesi in questione, la categoria della spese specifiche).
Non si rinviene nell’ordinamento concorsuale, e nemmeno in quello contabile, una definizione di spesa generale. La si può al più ottenere "in negativo”, considerando tale l’esborso sostenuto non nell’interesse di un singolo bene o di uno o più creditori appartenenti ad una specifica categoria. 
In ogni caso, restringendo il campo a quanto qui di interesse, non sembra potersi dubitare che vi rientrino quelle che attengono al funzionamento e all’esistenza stessa del procedimento concorsuale. Infatti, tali tipi di spese sono sicuramente approntate (o da approntare) per tutti i creditori, che proprio dallo svolgimento del processo traggono, ancorché in termini differenti, un vantaggio.
Una prima spinta per poter includere i costi professionali di cui si discute nel novero delle spese generali (e non in quello degli altri debiti) è offerto – a parere di chi scrive - dalla decisione della Corte di Cassazione Sez. Un. n. 42093/2021. Come noto, la Suprema Corte ha ricondotto i crediti professionali in questione nella categoria delle prededuzioni sorte “in funzione” di una procedura concorsuale, escludendo la ricorrenza di altre fattispecie prededuttive – quali i crediti sorti in occasione o in ragione di atti legalmente compiuti – che pure avevano trovato riconoscimento in alcuni precedenti di legittimità[13].
La funzionalità, però, viene dalla Suprema Corte oggi riconosciuta esistente nei soli casi in cui la procedura concordataria sia stata aperta dal tribunale con l’emissione del decreto di cui all’art. 163 L. fall. e, quindi, la domanda, alla cui predisposizione i professionisti hanno lavorato, sia stata dichiarata ammissibile sì da essere sottoposta al giudizio dei creditori. In simili casi, prosegue la Corte, le spese professionali concorrono all’instaurazione della procedura concorsuale e consentono la maturazione di quelle utilità – patrimoniali, aziendali e negoziali – su cui l’intera massa dei creditori può contare per la soddisfazione dei rispettivi crediti. Per cui, utilizzando le stesse parole della pronuncia, “ciò ne permette l’assimilazione ad una nozione di costo esterno sostenibile al pari di quelli prodotti dalle attività interne degli organi concorsuali, se e quando potranno operare”.
Si può allora ritenere che nel procedimento concordatario operino, distintamente ma in termini convergenti, sia professionisti ex latere debitoris che professionisti ex latere creditoris; entrambi, seppure con prospettive diverse, sono artefici della realizzazione di uno strumento idoneo alla soluzione della crisi di impresa. Tale strumento esprimerà un’offerta da sottoporre alla valutazione dei creditori, i quali proprio grazie a quelle prestazioni professionali potranno giovarsi di tale occasione.
Le descritte caratteristiche delineano una particolare figura professionale di assistenza (in senso lato) al debitore e sembrano consentire, oggi più di ieri, l’inquadramento del relativo costo (rectius, del relativo credito) nel novero delle spese generali ex art. 223, comma 2, CCII. Si tratta infatti di una spesa che attiene strettamente al processo, alla sua stessa esistenza, che concorre a realizzare uno strumento dalla legge ritenuto idoneo al superamento della crisi di impresa.
Il requisito dell’ammissione alla procedura non trasforma l’obbligazione del professionista in obbligazione di risultato, “perché questo non è eletto a criterio dell’adempimento”. La caratteristica della prestazione professionale delineata dalla Suprema Corte attiene invece alla causa del contratto, che si collega intimamente a quella del concordato. Per cui, come osservato in dottrina, si giunge “quasi a proporre, dal punto di vista dogmatico, la categoria dei contratti professionali prodromici all’ammissione ad una procedura concorsuale, i cui interessi da tutelare non sono solo quelli del mandante ma anche quelli dei creditori”[14].
Una seconda spinta nella medesima direzione sembra provenire dall’art. 6 del CCII. I crediti professionali trovano infatti nella nuova norma una precisa identità, da ricercarsi non più nell’ambito dell’ampia definizione di crediti “sorti in occasione e in funzione di una procedura concorsuale” di cui all’art. 111, comma 2, L. fall. Si è passati, come già rilevato[15], da una nozione atipica ad una tipica di funzionalità della prededuzione. 
Per cui, nel momento in cui il decreto di ammissione è stato emesso, la nuova norma riconosce alla prestazione del professionista la sua funzionalità - come già delineato dalla Suprema Corte - al processo di concordato, in quanto idonea al raggiungimento degli scopi tipici dello stesso; di qui, anche alla luce del nuovo dato normativo, la riconducibilità del relativo costo nell’alveo delle spese generali, con conseguente idoneità delle stesse ad incidere sul ricavato dei beni gravati da prelazioni speciali.
Appare allora coerente con il sistema la circostanza che, nei casi in cui la prestazione professionale viene eseguita in favore del debitore in crisi ma non nell’ambito di una procedura concorsuale, la prededuzione non viene riconosciuta. E’ quanto accade ai professionisti che abbiano svolto l’attività per il perfezionamento di un piano attestato di risanamento[16] (art. 56 CCII) o in occasione di un percorso di composizione negoziata della crisi[17], entrambi infatti esclusi dalle fattispecie di cui all’art. 6 CCII[18].
Se però i costi de quibus possono considerarsi generali nella procedura di concordato, non è scontato che possano essere considerati tali anche nella successiva procedura di liquidazione giudiziale. A questo risultato interpretativo si può giungere soltanto applicando a tali crediti il principio della consecutio, riconoscendo cioè che il processo concordatario che ha preceduto quello della liquidazione giudiziale ne faccia parte senza soluzione di continuità. In altre parole, solo il riconoscimento di tale fenomeno consente ad una spesa generale, maturata in seno alla procedura minore, di permanere anche al di fuori di essa senza venir meno con la chiusura della prima.
Il principio della consecutio è da tempo jus receptum nell’ordinamento concorsuale, ancor prima della stagione delle riforme degli anni 2006-2007, e viene descritto come “un fenomeno generalissimo consistente nel collegamento sequenziale fra procedure concorsuali di qualsiasi tipo volte a regolare una coincidente situazione di dissesto dell’impresa”[19]. Tale fenomeno ricorre ogniqualvolta vi è una evoluzione negativa della stessa insolvenza, a cui ciascuna procedura ha cercato senza successo di porre rimedio. 
Al riportato indirizzo va affiancato quello più restrittivo, espresso sempre dal giudice di legittimità, secondo cui – si è precisato - il principio dell’unitarietà fra procedure non può essere considerato come un criterio generale, “destinato a risolvere tutti i problemi di successione tra procedure”, ma volto solo a regolare i casi tassativi previsti dalla legge, fra i quali - oltre alla retrodatazione dei termini per le azioni di inefficacia previste dalla legge fallimentare (art. 69 bis L. fall.) - la prededucibilità dei crediti[20].
Ancor più di recente, proseguendo nel solco di questo orientamento restrittivo, la Suprema Corte ha precisato che il fenomeno della consecutio è unidirezionale, e quindi consente in certuni casi agli effetti del fallimento di retroagire alla data di pubblicazione della domanda di concordato, ma non anche bidirezionale, in quanto si deve negare una generale “estensione degli effetti del concordato al successivo fallimento”[21]. Affinché una norma dettata solo per il concordato, possa operare anche nel successivo fallimento, è necessaria “un’espressa previsione in tal senso o, quantomeno, che la disciplina di tale ultima procedura contenga identica o analoga norma”.
Solo in questi casi, la consecutio opera anche “in avanti” e non solo a ritroso.
Ebbene, un deciso segnale in questo senso proviene dall’art. 6, comma 2, CCII, nel quale viene precisato che “La prededucibilità permane anche nell’ambito delle successive procedure esecutive o concorsuali”; qui, a parere di chi scrive, la traslazione di crediti/costi professionali dall’una all’altra procedura sembra impressa in termini netti. La norma sembra aver dettato proprio una consecutio “in avanti” per le prededuzioni professionali, atteso che il comma 2 richiama il comma 1, che, fra le altre fattispecie, le contempla specificamente alle lett. c) e d)[22].
La nuova disposizione facilita allora la ricostruzione di un processo unico, nel quale tali tipologie di spesa, maturate nel primo procedimento, vanno considerate anche nel secondo in quanto facenti parte di un processo unitario[23].
Le riflessioni sin qui svolte si ritiene possano replicarsi, con minimi adattamenti, anche ai casi in cui le prestazioni professionali (sicuramente quella del legale presentatore e dell’attestatore) siano state rese per la predisposizione di un accordo di ristrutturazione (artt. 57 e segg. CCII); la sua natura di procedimento concorsuale non è oggi più in discussione[24], tenendo presente che in simili casi la funzionalità si ravviserà nei casi in cui sia stata ottenuta l’omologa dell’accordo (art. 6, comma 1, lett. d).
Per completare la riflessione occorre da ultimo accennare una risposta anche su altri aspetti, diversi ma contigui a quelli sin qui trattati.
In primo luogo, occorre chiedersi se, restando focalizzati sulla procedura di concordato, oltre ai crediti maturati dai professionisti sopra menzionati (legale presentatore, attestatore e stimatore dell’incapienza del patrimonio) ve ne siano altri a cui possa riconoscersi la stessa qualifica di spesa generale. Potrebbero essere utilizzate a tal fine le indicazioni contenute nella decisione a Sezioni Unite n. 42093 del 31.12.2021, secondo cui va sempre verificato, di volta in volta, se vi sia “un’inerenza necessaria, secondo un giudizio ex ante, alla conservazione e all’incremento dei valori aziendali dell’impresa”. Ed allora si potrà riconoscere tale qualità, sempre che ammissione vi sia stata, ai casi dell’advisor finanziario e dell’advisor industriale, che si sono occupati del piano di continuità aziendale e della tenuta finanziaria ed economica dello stesso. Poiché le fattispecie possono essere le più varie, non sarà facile distinguere, di volta in volta, i casi di prestazioni professionali necessarie da quelle eventualmente necessarie, riconoscendo alle prime e non alle seconde la qualifica di spesa generale; fermo restando che, una volta individuata la loro funzionalità nei termini detti, il trattamento sarà il medesimo[25].
Resta infine da domandarsi quale sia la graduazione fra le varie spese generali, nel concorso fra quelle maturate nella procedura di concordato e le altre maturate nella liquidazione giudiziale. A tale quesito sembra potersi rispondere che i compensi del commissario giudiziale e quelli del curatore, avendo la stessa natura di spesa di giustizia[26], andranno distribuiti proporzionalmente nello stesso grado. A seguire, poi, troveranno soddisfazione i crediti professionali in quanto prededucibili ai sensi dell’art. 2751 bis n. 2 c.c.
4 . Considerazioni conclusive
Come anticipato in premessa, le riflessioni esposte rappresentano uno sforzo teso alla ricerca di risposte il più possibili convincenti di fronte a problematiche che rappresentano un nodo frequente nella gestione delle procedure maggiori. Un tentativo che, alla luce delle recenti novità giurisprudenziali e normative di cui si è dato conto, oggi appare doveroso promuovere, dovendo chi opera nel settore aggiornare assiduamente i processi interpretativi delle norme.
Il tutto, nella consapevolezza che per la maggior parte delle questioni sollevate appare difficile attingere ai classici colori del “bianco“ e del “nero”, perché molte delle situazioni che si presentano nella quotidianità sono caratterizzate da intermedie colorature di grigio.

Note:

[1] 
I contributi che sono stati qui assunti a principale riferimento sono: G. Bozza, I criteri per la distribuzione delle prededuzioni e il ricavato dei beni messi a disposizione dei creditori dal debitore concordatario, in Il Fall. 2015 pagg. 700 e ss., e più di recente, dello stesso autore, Frutti civili nel ricavato dalla liquidazione di immobile ipotecato tra creditori in prededuzione e ipotecari, in Il Fall. 2022, pagg. 253 e ss.; F. Pani, Prededuzioni e riparto: il rebus dei criteri di distribuzione in presenza di garanzie reali, in Ristrutturazioneaziendali.it del 17.2.2022, G. Limitone in La legge fallimentare, Commentario teorico-pratico a cura di Massimo Ferro, Padova, 2014, pagg. 1566 e ss., S. De Matteis in Codice Commentato del Fallimento diretto da Giovanni Lo Cascio, Milano, 2017, pagg. 1554 e ss.
[2] 
Cass., 10 giugno 2022, n. 18882. 
[3] 
G. Bozza, I criteri per la distribuzione delle prededuzioni e il ricavato dei beni messi a disposizione dei creditori dal debitore concordatario, op. cit, pagg. 708.
[4] 
G. Bozza, Frutti civili nel ricavato dalla liquidazione di immobile ipotecato tra creditori in prededuzione e ipotecari, op. cit., pagg. 257.
[5] 
Secondo Trib. Messina, 12 aprile 2021, in Dirittodellacrisi.it, nei conti speciali non sarebbero da includere i frutti civili dell’immobile ipotecato; “In occasione del riparto di frutti derivanti da immobile oggetto di ipoteca devono essere soddisfatti prima i crediti prededucibili rispetto a quelli ipotecari in ossequio al dettato dell’art. 111 L. fall. in quanto l’art. 111 bis, che introduce un’eccezione a detta norma, attribuisce la preferenza ai crediti ipotecari solo sul ricavato dalla liquidazione dell’immobile e in questa non sono da ricomprendersi i frutti scaturenti dal bene”.
[6] 
Sul criterio dell’utilità, si vedano Cass., 20 giugno 1994, n. 5913, Cass, 20 agosto 1997, n. 7756, Cass., 2 febbraio 2006, n. 2329. In una pronuncia successiva, compare quale criterio subordinato anche quello della proporzionalità, Cass., 12 maggio 2010, n. 11500: “In sede di piano di riparto, la determinazione della quota (del compenso del curatore e) delle spese generali della procedura imputabile al creditore ipotecario deve essere fatta sulla base del criterio dell'utilità delle stesse per il creditore garantito (nella specie, la Corte ha statuito che anche il creditore ipotecario deve sopportare, in parte, l'onere di quelle particolari spese fatte nel suo interesse dal curatore fallimentare. Più precisamente, quelle relative all'amministrazione e liquidazione del bene oggetto di garanzia speciale e un'aliquota delle spese generali della procedura da calcolarsi, in relazione alle circostanze concrete, in misura corrispondente all'utilità - anche solo potenziale, cioè sperata, ma non concretamente realizzata - del creditore garantito)”.
[7] 
G. Bozza, I criteri per la distribuzione delle prededuzioni e il ricavato dei beni messi a disposizione dei creditori dal debitore concordatario, op. cit, pagg. 703, F. Pani, Prededuzioni e riparto: il rebus dei criteri di distribuzione in presenza di garanzie reali, op. cit, pag. 16, il quale a proposito del concordato preventivo evidenzia: “Acquisito tale dato, non può non accorgersi come l’applicabilità del combinato disposto tra le due norme generi problemi significativi, prima ancora che in sede di riparto, in sede di ammissibilità del concordato, ponendosi un serio tema di fattibilità giuridica della proposta”.
[8] 
Trib. Milano, 11 aprile 2022, in Ilcaso.it: "Nel silenzio della l.3/2012, va osservato che la liquidazione del patrimonio mutua lo stesso impianto del fallimento, trattandosi di una procedura fondata sullo spossessamento del debitore il cui patrimonio è liquidato da un apposito organo per soddisfare tutti i creditori ammessi al passivo; si tratta in sostanza di un “piccolo fallimento”, su base esclusivamente volontaria. Deve, pertanto, ritenersi condivisibile l’orientamento di merito già espresso da alcuni Tribunali (cfr. Tribunale di Como 18.12.2019), che ha concluso per l’operatività, alla liquidazione del patrimonio, del disposto dell’art. 111 ter L. fall, in forza del quale anche il creditore ipotecario deve sopportare le spese prededucibili sia se specificatamente riferite al bene su cui cade il privilegio che, in quota, quelle c.d. generali”. In senso conforme, oltre al citato Trib. di Como 18 dicembre 2019 reperibili su Ilcaso.it, anche Trib. di Pordenone 25 novembre 2019 in Unijuris.it e Tribunale di Bari, 3 giugno 2021, sempre in Ilcaso.it. In dottrina, A. Mancini Sovraindebitamento: ancora sul conflitto tra prededucibili e ipotecari nella liquidazione del patrimonio in Ilcaso.it, 2 maggio 2022.
[9] 
Merita ricordare che l’art. 213, comma 3, CCII raccomanda al curatore particolare ponderazione e prudenza nell’assunzione di iniziative, richiedendo che il Programma di liquidazione predisposto da tale organo, dopo aver previsto la suddivisione in sezioni ed evidenziato i criteri e le modalità della liquidazione dei beni e della riscossione dei crediti, rechi anche “l’indicazione dei costi e dei presumibili tempi di realizzo. Nel programma sono, inoltre, indicati le azioni giudiziali di qualunque natura e il subentro nelle lite pendenti, con i costi per il primo grado di giudizio”.
[10] 
L’art. 9, comma 2, CCII recita: “Salvi i casi in cui non sia previsto altrimenti, nelle procedure disciplinate dal presente codice, il patrocinio del difensore è obbligatorio”. Per cui, a differenza di quanto contemplato nella legge fallimentare (che in forza dell’art. 161, comma 1, L. fall. prevede che la domanda venga introdotta con ricorso “sottoscritto dal debitore”), per la presentazione della domanda di concordato (così come per quella di omologa degli accordi di ristrutturazione) l’assistenza del difensore è oggi indefettibile, non essendo prevista alcuna eccezione al riguardo.
[11] 
Trib. Lecco, 9 luglio 2022, in Dirittodellacrisi.it: “Dal ricavato della liquidazione dei beni sottoposti a pegno e ipoteca devono essere detratte sia le spese prededucibili specificamente sostenute per la loro conservazione, amministrazione e liquidazione, sia un’aliquota delle spese generali. Presupposto dell’imputazione delle spese generali sostenute dal fallimento è che tali spese siano sostenute nell’interesse collettivo dei creditori e non siano invece sostenute nell’interesse particolare di una categoria di creditori. Prevalgono quindi sul credito ipotecario quelle spese prededucibili (ad es. campione fallimentare, canoni per la fruizione dei software gestionali del fallimento, spese di funzionamento della posta elettronica, ecc.) che attengono al complessivo funzionamento della procedura concorsuale, mentre non possono ritenersi “spese generali” i compensi dei professionisti che hanno assistito la società (poi fallita) nella presentazione di una domanda di concordato preventivo o il compenso del legale che abbia assistito la procedura fallimentare in un’azione avente ad oggetto il recupero di un credito del fallimento (o le spese di lite liquidate all’esito dello stesso giudizio per l’ipotesi di soccombenza della procedura), atteso che da quelle attività il creditore ipotecario non può trarre alcuna utilità” e Trib. Bergamo, 31 marzo 2021, sempre in Dirittodellacrisi.it: “Nel concordato preventivo (ma il principio è operante anche nel fallimento) gravano sul creditore ipotecario soltanto le spese strettamente inerenti ai beni oggetto di ipoteca, rimanendo pertanto escluse le spese dalle quali il creditore stesso non abbia tratto, direttamente o indirettamente, utilità (nella specie, il Tribunale ha escluso che potessero essere imputate alla massa immobiliare oggetto di ipoteca le spese indicate nella proposta e nel piano, come riferibili alla stima degli immobili oggetto di ipoteca, in quanto non funzionali alla vendita forzosa degli stessi immobili)”.
[12] 
Trib. Trapani, 27 dicembre 2019, in Ilcaso.it: “Nella predisposizione del piano di riparto, vanno considerate come prededuzioni generali, da imputarsi dunque in via proporzionale anche al creditore ipotecario, i crediti dei professionisti che hanno seguito la società in fase di concordato preventivo, poi naufragato, non potendosi ricondurre la loro attività in via specifica all'interesse di taluno soltanto dei creditori ammessi al passivo” e Trib. Ancona, 9 febbraio 2022, in Dirittodellacrisi.it: “Il Curatore, nella predisposizione del progetto di riparto fallimentare, deve prevedere che dalla somma ricavata dalla liquidazione di beni gravati da ipoteca e destinata al pagamento del creditore ipotecario vengano dedotte, in proporzione, anche le spese generali di procedura, tra le quali rientrano i crediti prededucibili dei professionisti”.
[13] 
Sulla necessità di indagare l’utilità concreta delle prestazioni, si veda Cass. 13 giugno 2016, n. 12119: “Ai fini della prededuzione, accanto all'adeguatezza funzionale della prestazione alle necessità risanatorie dell'impresa, occorre il soddisfacimento dei creditori nei limiti consentiti dalle circostanze, in quanto le relative prestazioni siano state nel concreto utili per i medesimi, avendo consentito una sia pur contenuta realizzazione dei crediti; la prededuzione può, pertanto, essere riconosciuta solo nella misura che tenga conto dell'utilità concretamente derivata ai creditori dalla continuazione dell'attività aziendale, conseguente dapprima all'amministrazione controllata e quindi al concordato preventivo (Cass. n. 8534/2013). Detta utilità deve dunque essere riscontrata ex post, ossia con una valutazione che non si fermi alla astratta prospettazione di un beneficio per i medesimi, ma lo accerti in concreto.” Sull’identificazione invece della prestazione del professionista quale atto legalmente compiuto, secondo altro orientamento giurisprudenziale della Suprema Corte, si veda Cass., 10 ottobre 2019, n. 25471 che, quanto al credito dell’attestatore, ha valorizzato la natura di credito sorto per effetto di atti legalmente compiuti dal debitore, attraverso il richiamo del combinato disposto dei commi 3 e 7 dell’art. 161 L. fall. “perché prestazione necessitata dall’iter normativo richiesto per procedere secondo l’art. 161 co.6 l.f.”. In ordine infine al terzo criterio del filone della funzionalità, lo stesso ha trovato applicazione ma con diverse sfumature; il filone precisamente recepito dalle Sezioni Unite era stato espresso da Cass., 10 gennaio 2017, n. 280 e Cass., 30 marzo 2018, 2018: “La verifica del nesso di funzionalità/strumentalità, richiesto per il riconoscimento della prededuzione, deve essere compiuta dal giudice del merito controllando se l' attività professionale prestata possa essere ricondotta, in ragione del vantaggio arrecato alla massa dei creditori, nell' alveo della procedura concorsuale minore e delle finalità dalla stessa perseguite secondo un giudizio ex ante, senza che, ai fini di tale collocazione, debba essere accertato, con valutazione ex post, che la prestazione resa sia stata concretamente utile per la massa in ragione dei risultati raggiunti, non potendo l' evoluzione fallimentare della vicenda concorsuale, di per sé sola e pena la frustrazione dell'obiettivo sotteso al disposto dell'art. 111, comma 2, L.F., escludere il ricorso a detto istituto”.
[14] 
F. Casa, La “quadratura del cerchio”: note minime su una sentenza importante (Cass. Sez. Un. 31 dicembre 2021, n. 42093) in Ristrutturazioniaziendali.it. A commento della decisione si vedano anche G.B. Nardecchia, La prededuzione secondo le Sezioni Unite in Il Fall., 2022, pag. 365 e segg. In termini critici, M. Greggio, La prededuzione dei compensi ai professionisti secondo le Sezioni Unite: per la certezza si rischia l’ingiustizia? in Dirittodellacrisi.it.
[15] 
F. Pani, La prededuzione prima e dopo il codice della crisi, in Ristrutturazioniaziendali.it, 19.8.2022, pag. 22.
[16] 
Cass., 25 gennaio 2018, n. 1895: “Non è prededucibile nel successivo fallimento, ai sensi dell'art. 111, comma 2, l. fall., il credito del professionista derivante da una attività di elaborazione di un piano attestato di risanamento, in ragione della natura privata e non concorsuale dell'istituto di cui all'art. 67, comma 3, lett. d), l. fall.”.
[17] 
L’art. 25 ter, comma 12, CCII riconosce infatti la prededuzione al solo esperto.
[18] 
L’oggetto del presente lavoro non consente di occuparsi anche del tema della prededuzione del credito del professionista che ha assistito il debitore nelle procedure di sovraindebitamento, atteso che non è configurabile per le stesse un’evoluzione in una liquidazione giudiziale. Solo per completezza, va qui segnalato che l’argomento è oggetto di attuale dibattito, in quanto, da un lato si sostiene che la sua esclusione dalle fattispecie dell’art. 6 CCII, norma che enuncia ipotesi tassative, non consente un’interpretazione estensiva (F. Pani, La prededuzione prima e dopo il codice della crisi, op.cit., pag. 24), dall’altro, si ritiene che l’art. 277, comma 2, CCII ne autorizza invece il riconoscimento, come recita tale norma, trattandosi di crediti sorti “in occasione o in funzione”.
[19] 
Cass., 11 giugno 2019, n. 15724.
[20] 
Cass., 16 febbraio 2022, n. 5090 e Cass., 14 febbraio 2006, n. 3156.
[21] 
Cass., 21 luglio 2022, n. 21758.
[22] 
In dottrina si è evidenziato che il termine successivo consente la riconoscibilità della prededuzione non solo nei casi di consecutio, dove le due procedure sono legate da un rapporto di continuità causale e concettuale, ma anche nelle ipotesi di mera consecuzione temporale; così G.B. Nardecchia, Atti di ordinaria amministrazione, atti legalmente compiuti e consecuzione di procedure: la prededuzione ieri, oggi e domani, in Il Fall., 2019, pag. 1030 e V. Zanichelli, Prededuzione dei crediti tra interpretazioni attuali (incerte) e possibili soluzioni future, in Il Fall., 2020, p. 559. A commento della nuova norma, si legge a pag. 13 della Relazione n. 87 del 15 settembre 2022, predisposta a cura dell’Ufficio del massimario e del ruolo dalla Suprema Corte di Cassazione: “La norma sottende probabilmente un cambio di prospettiva: la prededuzione da privilegio puramente processuale diviene, in questo modo, una caratteristica sostanziale del credito, che può essere fatta valere persino in una esecuzione individuale: si pensi ai non rarissimi casi di ritorno in bonis perché una procedura è stata successivamente rinunciata oppure è stata solo parzialmente adempiuta, senza che sia seguita l’apertura della liquidazione giudiziale”.
[23] 
Di contrario avviso F. Pani, Prededuzioni e riparto: il rebus dei criteri di distribuzione in presenza di garanzie reali, op. cit., pag. 15: “Invero, sarebbe piuttosto paradossale che il creditore ipotecario rimanesse insoddisfatto a causa delle prededuzioni maturate nel corso del concordato preventivo e dovesse finanche pagare i compensi dei professionisti che hanno congegnato la proposta e il piano concordatari naufragati, e che perciò – sia pure incolpevolmente, ben s’intenda – abbiano concausato il mancato soddisfacimento del creditore stesso che, lo si rammenta nuovamente, non ha diritto di voto in sede di omologa”.
[24] 
La più recente decisione che ribadisce la natura concorsuale degli accordi di ristrutturazione è Cass., 21 dicembre 2021, n. 40913, mentre in tema di prededuzione dei crediti dei professionisti merita essere ricordata Cass., 18 gennaio 2018, n. 1182: “È prededucibile nel successivo fallimento, ai sensi dell'art. 111, comma 2, l. fall., il credito del professionista che abbia svolto attività funzionali al deposito di un accordo di ristrutturazione dei debiti, poi omologato, in ragione dell'appartenenza al diritto concorsuale dell'istituto di cui all'art. 182 bis l. fall.”.
[25] 
G.B. Nardecchia, La prededuzione secondo le Sezioni Unite, op. cit, pagg. 371-372.
[26] 
Cass. civ., 19 gennaio 2018, n. 1448: “Nella determinazione del compenso del commissario giudiziale nominato nell'ambito di un concordato preventivo di una società partecipata dalla pubblica amministrazione, occorre fare riferimento, in forza del rinvio operato dall'art. 165 l.fall., all'art. 39 l.fall. ed al d.m. n. 30 del 2012, non trovando applicazione la disciplina pubblicistica limitativa dei compensi a carico delle finanze pubbliche che opera esclusivamente in relazione ai rapporti di lavoro subordinati o autonomi con le amministrazioni pubbliche”. Decisione confermata in motivazione da Cass., 25 novembre 2020, n. 26895.

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