Anche per la formazione dello stato passivo è stata dettata una autonoma disciplina che il decreto correttivo del 2024 ha ulteriormente semplificato allo scopo di “accelerare, la formazione dello stato passivo nella liquidazione controllata”[95], che ora affida al liquidatore in via esclusiva l’accertamento dei crediti e dei diritti dei terzi, lasciando al giudice la sola risoluzione delle contestazioni sollevate dai creditori in via di reclamo.
Nell’attuale versione, infatti, si prevede che il liquidatore, adempiute le formalità di rito di cui alle lett. f) e g) del comma 2 dell’art. 270, aggiorni, entro 30 giorni dalla comunicazione a lui della sentenza di apertura della liquidazione controllata, l’elenco dei creditori, ai quali notifica la sentenza (art. 272, comma 1) che assegna ai creditori e ai terzi che vantano diritti sui beni del debitore il termine, non superiore a 90 giorni entro cui trasmettere al liquidatore la domanda di restituzione, di rivendicazione o di ammissione al passivo (art. 270, comma 2, lett, d). Scaduto questo termine, il liquidatore predispone un progetto di stato passivo che comunica agli interessati all’indirizzo Pec indicato nella domanda (art. 273, comma 1) in modo che costoro possano, entro i successivi 15 giorni, proporre osservazioni (art. 273, comma 2) riguardanti, presumibilmente, sia la propria posizione che quella degli altri creditori e soggetti compresi nel progetto. A questo punto il liquidatore esamina le osservazioni, decide sulle stesse, forma lo stato passivo, lo deposita nel fascicolo informatico- con il che lo stato passivo diventa esecutivo- e lo comunica agli interessati; il tutto nel termine di 15 giorni dalla data di scadenza per la presentazione delle osservazioni al progetto (art. 273, comma 3). Le opposizioni e le impugnazioni dello stato passivo si propongono con reclamo ai sensi dell’art. 133 (art. 273, comma 4).
Inoltre, con il decreto correttivo del 2024 è stato riscritto anche il comma 5 dell’art. 273 che regola le insinuazioni tardive, razionalizzando la precedente versione e prospettando, anche per questa tipologia di domande, le cui modalità di accertamento sono quelle delle domande tempestive, un modello del tutto differente da quello dettato dall’art. 208 per la liquidazione giudiziale.
Come si vede, in quest’ultima versione della disciplina sulla formazione dello stato passivo sono state seguite più le tracce dell’accertamento dei crediti nella liquidazione coatta amministrativa che quelle che caratterizzano la stessa fase nella liquidazione giudiziale in quanto è stata esclusa qualsiasi partecipazione del giudice delegato, a differenza di quanto accadeva nella precedente versione dell’art. 273, per il quale il liquidatore rimetteva al giudice delegato la decisione sulle contestazioni mosse al suo progetto di stato passivo che riteneva di non poter risolvere direttamente e il giudice decideva con decreto motivato, reclamabile davanti al collegio ed era il giudice a dichiarare inammissibili le domande tardive manifestamente tali per la ricorrenza delle condizioni di cui all’ult. comma dell’art. 273[96]. Nella ultima versione, eliminato l’intervento del giudice nella fase dell’accertamento, questa si conclude sempre con un atto tipico del liquidatore, impugnabile ai sensi dell’art. 133, a differenza di quanto accade nella liquidazione giudiziale, e questa struttura, fortemente caratterizzante, determina conseguenze processuali rilevanti che penalizzano fortemente i creditori e i terzi aventi diritto.
Costoro, infatti, nella liquidazione controllata non solo sono privati della possibilità di quel contraddittorio incrociato, che costituisce caratteristica unica e qualificante della verifica del passivo, potendo proporre soltanto osservazioni scritte su cui decide il liquidatore al di fuori di qualsiasi contesto collettivo; non solo manca la garanzia di una decisione giurisdizionale, ma, principalmente, essendo la decisione sul credito atto del liquidatore, l’opposizione avverso lo stato passivo si attua a mezzo di reclamo ex art. 133, ossia soltanto per violazione di legge[97].
Questi pregiudizi si riversano anche sui creditori tardivi, i quali, anzi, sono oltremodo danneggiati dal sistema definitorio di tale categoria di domande in quanto l’art. 273 , comma 5, non distingue tra domande tardive e super tardive, ma prevede una unica categoria di domande tardive che comprende tutte le domande trasmesse dopo la scadenza dei novanta giorni dalla notifica della sentenza. Scaduto questo termine tutte le domande pervenute al liquidatore successivamente fino a quando non siano esaurite le ripartizioni dell’attivo della liquidazione, sono qualificate tardive e rette da un’unica disciplina, che richiede una valutazione, sempre da parte del liquidatore, sulla incolpevolezza del ritardo. Di conseguenza i creditori tardivi sono costretti a fornire la prova della incolpevolezza del ritardo e della presentazione della domanda al liquidatore entro il termine di sessanta giorni decorrenti dal momento in cui sia cessata la causa che ne impediva il deposito tempestivo (non solo per quelle domande ritenute super tardive nella liquidazione giudiziale, bensì) anche per quelle considerate tardive nella liquidazione giudiziale.
Poiché la violazione di legge comprende solo il caso che il provvedimento impugnato consista in un’erronea ricognizione interpretativa della norma astratta, è esclusa qualsiasi valutazione di merito (quale, ad esempio, l’errata valutazione della situazione probatoria o la mancanza o l'insufficienza delle ragioni che hanno portato alla decisione) che invece può essere oggetto della opposizione allo stato passivo di cui all’art. 206, comma 2, avanti al collegio in un giudizio camerale ma a giurisdizione piena.
Il richiamo dell’art. 133, invero, non assume un significato meramente formale, volto a designare l’iter procedendi che occorre seguire per proporre, trattare e decidere le impugnazioni in questione[98], ma è un richiamo pieno alla norma di cui all’art. 133, coerente con il dato che il provvedimento di esecutorietà dello stato passivo è atto del liquidatore, avverso il quale può essere proposto reclamo al giudice delegato (e non al tribunale, come per le impugnazioni dello stato passivo che hanno ad oggetto un provvedimento del giudice delegato) ai sensi dell’art. 133, che pone il limite della censurabilità delle sole violazioni di legge. Mi sembra difficile evadere da questo percorso, applicando, nonostante l’espresso richiamo dello strumento impugnatorio di cui all’art. 133, le disposizioni sullo stato passivo dettate per la liquidazione giudiziale per effetto dell’analogia, in contrasto con l'art. 12, comma 2, delle disposizioni preliminari al c.c., che consente il ricorso all’analogia solo quando manchi nell'ordinamento una specifica norma regolante la concreta fattispecie e si renda, quindi, necessario porre rimedio ad un vuoto normativo altrimenti incolmabile in sede interpretativa.
Nel caso, non solo manca nella prima fase di accertamento una lacuna da colmare perché il sub procedimento dell’accertamento del passivo è compiutamente disciplinato, seppur secondo criteri di snellezza e semplificazione del rito adattabile alla fattispecie, ma lo stesso legislatore che ha dettato le nuove regole della formazione dello stato passivo nella liquidazione giudiziale ha codificato con regole diverse lo stesso procedimento nella liquidazione controllata, senza rinvii e richiami di altre norme o salvezza di diverse disposizioni di legge. Si ripete la situazione già vista per la regolamentazione dei contratti pendenti, con l’aggravante nel caso che la disciplina dettata dall’art. 273 per la formazione dello stato passivo è ancor più dettagliata di quella contemplata nel comma 6 dell’art. 270, in quanto regola tutti i passaggi che devono compiere il liquidatore da un lato, e le parti interessate a partecipare al concorso dall’altro, senza porre altre norme né richiami a quelle che regolano la formazione dello stato passivo nella liquidazione giudiziale: tanto nella evidente, quanto corretta, convinzione che queste sono state dettate per un sistema completamente diverso in cui il gestore della procedura presenta soltanto un progetto di stato passivo, su cui decide il giudice, in una apposita udienza alla quale possono partecipare tutti i creditori e terzi aventi diritto, sistema inadeguato alla semplificazione e snellezza che si è voluto attribuire al subprocedimento in esame nella liquidazione controllata.
Per quanto riguarda le impugnazioni, il ricorso all’analogia è ancora più impervio perchè il legislatore ha individuato il tipo di reclamo non attraverso la costruzione di un periodo che si possa prestare a diverse interpretazioni, bensì mediante l’indicazione della norma da applicare alla fattispecie, che è quella di cui all’ art. 133 e non quella di cui all’art. 206, che regola i comuni gravami averso lo stato passivo, a differenza di quanto disposto dall’art. 310, comma 2, per il quale, nella liquidazione coatta amministrativa, le impugnazioni dello stato passivo “sono disciplinate dagli articoli 206 e 207, sostituendo al curatore il commissario liquidatore”.
Applicare queste ultime disposizioni anche alle impugnazioni avverso lo stato passivo formato dal liquidatore ai sensi dell’art. 273, significherebbe costruire un processo impugnatorio a proprio piacimento, non previsto dalla legge, che si svolge avanti al giudice delegato, il quale potrebbe però decidere valutando anche il merito, non si sa peraltro seguendo quali termini e modalità, se quelle di cui all’art. 133 o quelle di cui all’art. 207.
Questione non di poco conto perché la prima norma regola un procedimento fortemente destrutturato (il giudice, sentite le parti, decide- precisa l’art. 133- “omessa ogni formalità non indispensabile al contraddittorio”), definito nel contenuto (per sola violazione di legge), e affidato al giudice delegato (non solo per il richiamo dell’art. 133 ma perché lo dice lo stesso art. 273, comma 4, secondo periodo) e non al tribunale, per cui l’opposizione come le altre impugnazioni dovrebbero seguire un procedimento anomalo che vede la domanda proposta avanti al giudice delegato, probabilmente con i tempi e le modalità dettate dal richiamato art. 133 piuttosto che quelle più stringenti poste dall’art. 207, ma il giudice, sebbene operi in un procedimento destrutturato, potrebbe decidere nel merito, disattendendo il contenuto della norma espressamente richiamata e applicando, poiché si versa in materia di stato passivo, le regole di cui all’art. 207. Situazione anomala ove l’anomalia diventerebbe ancor più accentuata qualora si ritenesse che l’art. 207 troverebbe piena applicazione nel suo intero contenuto (tranne forse lasciare la competenza al giudice delegato), perché in tal caso il richiamo dell’art. 133 sarebbe posto completamente nel nulla.
E’ vero che pomposamente, come se appunto oggetto di impugnazione fosse lo stato passivo redatto e dichiarato esecutivo dal giudice delegato, l’art. 273 propone lo stesso strumento del reclamo ex art. 133, oltre che per le opposizioni, anche per le impugnazioni dello stato passivo, dovendosi per tali intendere, quindi, sia l’impugnazione in senso stretto di cui al comma 3 dell’art. 206, che la revocazione di cui al comma 5 dello stesso articolo, ma questa è solo la dimostrazione della superficialità del legislatore che, probabilmente non ha valutato le conseguenze della previsione che anche le impugnazioni avverso gli atti dell’organo gestorio della procedura liquidatoria si propongono con reclamo ai sensi dell’art. 133. Essendo questa norma espressamente richiamata anche per le impugnazioni, vuol dire che questa si applica non solo per le opposizioni ma anche per tutte forme di impugnazione, comprese la impugnazione in senso stretto e la revocazione di crediti[99], salvo poi a cercare in via interpretativa di conciliare le impugnazioni con la procedura del reclamo ex art. 133. Conciliabilità possibile per le impugnazioni di credito, ma problematica nella revocazione, per la difficoltà a far rientrare nella violazione di legge le condizioni richieste per la revocazione di crediti, di modo che solo i motivi di revocazione che si traducano in violazioni di legge possono formare oggetto di questo tipo di impugnazione. Il ricorso alla revocazione dei crediti costituisce, infatti, un rimedio di carattere generale previsto tra le impugnazioni dello stato passivo, che deve cedere il passo alla norma specifica che, avendo attribuito l’esecutività dello stato passivo al liquidatore, coerentemente ne ha ammesso l’impugnazione con lo strumento del reclamo ex art. 133, quale unica forma di reazione avverso detto provvedimento, da chiunque proposto e qualsiasi ne sia il fine e l’oggetto, e nel cui alveo, quindi, vanno incanalate le varie forme di impugnazione che la legge consente[100].
In conclusione, se si muove dalla considerazione che le regole dettate dall’art. 273 sono quelle applicabili nella liquidazione controllata per l’accertamento del passivo e che il legislatore con questa autonoma ed unica regolamentazione ha inteso attuare un sistema, caratterizzato da snellezza, in cui la carenza di regole per alcuni aspetti è voluta propria nell’ottica della semplificazione e rapidità espressamente proclamate come finalità della liquidazione controllata, senza alcuna distinzione tra i soggetti che vi accedono, deve escludersi: a-che, nel momento in cui si sono introdotte le regole per la formazione dello stato passivo e per l’impugnazione dei relativi provvedimenti nella liquidazione controllata, il legislatore si sia affidato, come sistema, alla sola analogia per colmare, con le norme della liquidazione giudiziale, eventuali vuoti; b-che, comunque, per gli aspetti non regolati non potrebbero essere aprioristicamente essere applicate, attraverso l’analogia, le norme dettate per l’accertamento del passivo nella liquidazione giudiziale in mancanza di qualsiasi affinità tra i due sistemi di accertamento nelle due procedure.
In questo quadro non può non sottolinearsi, ancora una volta, che il modello semplificato predisposto può avere una sua logica giustificativa quando la procedura colpisce un consumatore o un professionista in considerazione delle ridotte consistenze del passivo, sia dal punto di vista numerico che quantitativo; riesce invece difficilmente spiegabile il pregiudizio che subiscono i creditori quando lo stesso modello viene applicato ad una impresa, anche se sotto soglia, e a maggior ragione quando ammessa alla procedura è una impresa agricola sopra soglia. Ma questi sono gli effetti ineliminabili della regolamentazione unitaria per tipologie di soggetti completamente diversi per caratteristiche persoli, consistenza patrimoniale, attività svolta ecc..
Affermata l’autonomia della disciplina dello stato passivo dettata dall’art. 273, valevole per tutti i sovraindebitati che vi accedono, le conseguenze non sono di poco conto in quanto ne segue che, oltre alle norme sulle impugnazioni di cui si è detto, anche altre dettate per la formazione dello stato passivo nella liquidazione giudiziale, dopo una verifica della sussistenza delle condizioni per il ricorso all’applicazione analogoica, non possano essere applicate alla stessa materia nella liquidazione controllata.
Così, ad esempio, la disposizione di cui al comma 10 dell’art. 201, per la quale il procedimento di accertamento del passivo è soggetto alla sospensione ferale, non può trovare applicazione nella liquidazione controllata, perché la norma citata ha natura eccezionale, non suscettibile di interpretazione analogica, in quanto derogatoria del contrario principio posto in linea generale dal comma 1 dell’art. 9, salva diversa disposizione di legge. Nella procedura minore non solo manca una disposizione di legge diversa dal principio affermato dall’art. 9, ma la celerità cui è improntata la fase dell’accertamento del passivo, sottolineata dal breve termine di 15 giorni assegnati al liquidatore per la formazione dello stato passivo, denota una incompatibilità con la sospensione feriale. Tanto, a mio parere, elimina anche problemi di disparità di trattamento rispetto ai creditori della liquidazione giudiziale, che sarebbe difficilmente giustificabile sul piano costituzionale ove le due procedure fossero regolate da norme analoghe, ma diventa giustificabile ove, come in quella che non richiama la norma sulla sospensione, si è voluto dichiaratamente dare una accelerata alla formazione dello stato passivo sia con la semplificazione della normativa, sia con l’attribuire al liquidatore ogni attività senza la fissazione di una udienza con la partecipazione dei creditori, sia fissando un termine allo stesso liquidatore entro cui ultimare le operazioni di accertamento.
Secondo il Tribunale di Terni[101] il termine indicato per la presentazione delle domande di cui all'art. 270, comma 2, lett. d), è soggetto alla sospensione feriale “non ravvisandosi ragioni per un trattamento differenziato dei creditori che intendono insinuarsi nella procedura di liquidazione controllata rispetto alle domande di insinuazione nella liquidazione giudiziale, anche alla luce del richiamo, contenuto nel co. 2, lett. d) dell’art. 270, il quale, all'ultimo comma, prevede l'applicazione di detta sospensione in deroga alla regola generale di cui all'art. 9, co. 1”. Tale decisione, a mio avviso non tiene conto della natura eccezionale della norma di cui al comma 10 dell’art. 201, né delle altre considerazioni sulla struttura del procedimento di verifica ed erra nel dire che tale disposizione sia richiamata nella sua interezza dall’art. 270, comma 2 lett. d), posto che tale richiamo riguarda soltanto le modalità di predisposizione della domanda che, nella liquidazione controllata, segue quindi le line tracciate dall’art. 201 quanto al contenuto.
Tale richiamo, quindi, non è utile a favorire la sospensione feriale, ma serve a colmare le lacune della lett. d) del comma 2 dell’art. 270, che accenna alle sole domande dei terzi che vantano sui beni del debitore e ai creditori risultanti dall’elenco depositato e non anche ai beneficiari dell’ipoteca o del pegno dati dal terzo ammesso alla procedura, contemplato nell’art. 201, comma 3, lett. b), per il quale costui deve indicare nella domanda “l’ammontare del credito per il quale si intende partecipare al riparto”; è probabile che questa eventualità volesse essere esclusa nella liquidazione controllata per le solite ragioni esemplificative, ma il richiamo alla predisposizione della domanda ai sensi dell’art. 201 porta necessariamente ad includere anche questa voce nella domanda da presentare nella procedura in esame.
Neanche l’ammissione con riserva è contemplata dall’art. 273 e per questo motivo non è applicabile alla procedura di liquidazione controllata, come confermato dal comma 6 bis dell’art. 275 che, nel richiamare gli articoli della liquidazione giudiziale regolanti il riparto, omette il richiamo dell’art. 228 riguardante lo scioglimento delle ammissioni con riserva.
Si è detto[102] che si può fare ricorso all’applicazione analogica della norma di cui all’art. 204, comma 2, sminuendo la portata del mancato richiamo dell’art. 228, perché questo “ben lungi dal sancire l’estraneità dell’istituto alla liquidazione controllata, appare piuttosto dipendere dall’incompatibilità di quella norma, imperniata su un provvedimento del giudice delegato, con la struttura, almeno primariamente, non giurisdizionale della verifica del passivo nella procedura in esame, così da avvalorare l’idea che allo scioglimento della riserva sia il liquidatore a dover provvedere e, per l’esattezza, a provvedere nelle forme di cui al presente art. 273, con facoltà d’impugnativa della parte interessata ai sensi del co. 4 di questa stessa norma”.
Questo utile sforzo interpretativo non mi sembra riuscito perché, a mio avviso, la mancata previsione dell’ammissione con riserva non è un vuoto da colmare con il ricorso all’analogia ma una voluta omissione dettata dalla semplificazione di un rito che, seppur dettagliatamente regolamentato, non accenna alla fattispecie in esame, nonché dalla struttura del procedimento di carattere amministrativo, imperniato sull’attività esclusiva del liquidatore. Se a questi si attribuisce la possibilità dell’ammissione riservata e poi dello scioglimento della riserva, gli si dà un potere non contemplato, ma neanche ipotizzato, dalla legge, finendo per trapiantare nel contesto della liquidazione controllata un istituto con caratteristiche ed effetti diversi da quelli della ordinaria ammissione, pensato per una procedimento imperniato sulla figura del giudice che decide nel contesto di una udienza ove si realizza il controllo incrociato tra tutti i creditori e aventi diritto; il legislatore avrebbe potuto attribuire al liquidatore anche la facoltà dell’ammissione riservata, ma proprio in considerazione della diversa struttura dei procedimenti e dei diversi ruoli che assumono sia il liquidatore che il giudice, avrebbe dovuto prevedere espressamente, o mediante rinvii normativi, questa possibilità, data la mancanza di identità della situazione di fatto non regolata rispetto a quella regolata che impedisce il ricorso all’analogia, ed avrebbe dovuto specificare chi provvede allo scioglimento della riserva.
Per lo stesso motivo della diversità della disciplina degli stesti passivi, le previsioni di cui all’art. 209- che regolano la possibilità di non dare corso (o ulteriore corso) al procedimento di accertamento del passivo avanti al giudice delegato in caso di insufficienza di attivo- non sembrano compatibili con la formazione dello stato passivo cui provvede il liquidatore senza un’apposita udienza. In particolare è incompatibile l’applicazione nella procedura minore delle regole procedimentali che passano attraverso un provvedimento del giudice delegato, emesso su richiesta del curatore almeno venti giorni prima dell’udienza, corredata da una relazione dello stesso curatore e dal parere del comitato dei creditori, attraverso, cioè, un rito complesso non trasferibile nella disciplina semplificata della liquidazione controllata, che non prevede per l’accertamento del passivo una udienza di verifica né avanti al giudice delegato né avanti al liquidatore.
Per la verità in quest’ultima lo scopo della norma di evitare l’inutile dispendio di risorse per accertare un passivo che realisticamente non può essere soddisfatto, si presenta con più frequenza giacchè qui la consistenza dell’attivo è spesso molto ridotta (al punto da riuscire non sempre agevole tracciare una linea di confine con la posizione del sovraindebitato incapiente), eppure il legislatore, sebbene ben conscio di tanto come ripetutamente affermato per giustificare la semplificazione della normativa adottata, è rimasto silente sul punto; silenzio che deve, quindi, apprezzarsi come una scelta voluta, tanto più che all’omissione della formazione del passivo ha rimediato prevedendo la chiusura della procedura, oltre che al verificarsi della situazione di cui alla lett. d) comma 1 dell’art. 233, anche prima del decorso del termine minimo di tre anni “se risulta che non può essere acquisito ulteriore attivo da distribuire” (art. 272, comma 3).
A maggior ragione non è applicabile alla fattispecie in esame il nuovo comma 5 dell’art. 204 nella parte in cui prevede che “Il decreto che rende esecutivo lo stato passivo e le decisioni assunte dal tribunale all'esito dei giudizi di cui all'articolo 206, limitatamente ai crediti accertati ed al diritto di partecipare al riparto quando il debitore ha concesso ipoteca o pegno a garanzia di debiti altrui, producono effetti soltanto ai fini del concorso”; da cui discende che le decisioni prese in sede di accertamento o di successiva impugnazione sulle domande di rivendica e restituzione di beni mobili e immobili hanno efficacia di giudicato con effetto extra concorsuale. E’ del tutto evidente che le decisioni presa dal liquidatore, siano esse riguardanti diritti di credito che diritti reali o personali su beni, non possono avere un effetto extraconcorso mancando del substrato della valutazione del giudice, né possono averlo le decisioni di questo posto che il giudice delegato interviene, come detto, in sede di reclamo ex art. 133 avverso la decisione del liquidatore, soltanto per violazione di legge e non per assumere in proprio la responsabilità del provvedimento impugnato. E questo aspetto della tematica trattata evidenzia platealmente l’impossibilità del ricorso automatico all’applicazione analogica delle regole della procedura maggiore a quella minore per colmare (presunte) lacune, che nel caso in esame finirebbe per dare valore di giudicato ai provvedimenti del liquidatore in materia di rivendica e restituzione di beni, mobili e immobili.
Anche i crediti prededucibili, in virtù della nuova disciplina contenuta nell’art. 275 bis (introdotto dal terzo correttivo in sostituzione della originaria sintetica disciplina contenuta nel comma 2 dell’art, 277[103]), sono accertati, secondo quanto prescrive il comma 1, con le modalità di cui all’art. 273, con esclusione di quelli non contestati per collocazione e ammontare, anche se sorti durante l’esercizio dell’impresa[104]. E’ vero, quindi, che la norma di cui all’art. 275 bis ha un contenuto analogo a quella contemplata dall’art. 222, ma, in forza del richiamo alle modalità di cui all’art. 273, l’accertamento di tutti i crediti contestati deve avvenire in sede di formazione dello stato passivo ad opera del liquidatore, che è l’organo cui è demandato tale compito nella liquidazione controllata, il cui provvedimento è impugnabile con il reclamo ex art. 133[105].
La diversità dell’organo che procede alla formazione dello stato passivo nelle due procedure comporta una ovvia differenza regolamentazione dell’accertamento dei provvedimenti di liquidazione dei compensi in favore dei soggetti nominati nel corso della procedura che siano contestati. Invero, l’art. 222 dispone che l’accertamento di tali crediti va effettuato con il procedimento di cui all’art. 124, nel mentre l’art. 273 conferma che il loro accertamento va eseguito con le modalità di cui all’art. 273. La prima disposizione si spiega agevolmente con il fatto che si sta parlando di crediti sorti a seguito di provvedimenti di liquidazione di compensi emessi dal giudice delegato in favore dei soggetti nominati ai sensi dell’art. 123 da lui stesso, o dal curatore, ai quali il giudice è tenuto a liquidare il compenso, ai sensi della lett. d) della stessa norma (avvocati, periti stimatori, ecc).; poichè, nel caso, la contestazione investe il decreto del giudice che, nell’accogliere o rifiutare la liquidazione, ha già svolto un accertamento sul diritto al compenso del soggetto incaricato, utilizzando anche il parere del curatore al quale appartiene l’iniziativa della richiesta, diventa superfluo un riesame della questione da parte stesso giudice in sede di verifica, nel mentre è conforme ai principi assoggettare quel provvedimento al reclamo ai sensi dell’art. 124. Situazione che non si riproduce nella liquidazione controllata ove l’accertamento dei crediti, anche prededucibili, è demandato al liquidatore, sicchè non sorge, in questa procedura, la necessitò di evitare un ulteriore valutazione dello stesso organo che ha liquidato il compenso e, pertanto, l’accertamento può seguire le ordinarie regole di cui all’art. 273, anche se, in tal caso, il liquidatore si trova a giudicare dell’ammissione di un credito su cui si è già espresso, in sede di liquidazione del compenso, il giudice delegato.