La legge Fallimentare, all’art. 147, commi 4 e 5 prevede l’istituto del fallimento in estensione consistente nella ripercussione del fallimento di società con soci illimitatamente responsabili anche al socio, la cui esistenza risulti in un momento successivo al primo fallimento[1].
La legge fallimentare del 1942 raccoglie le ceneri del codice del commercio del 1865 che all’art. 847, primo comma, prevedeva l’ipotesi in cui il fallimento di una società in nome collettivo o in accomandita producesse anche il fallimento dei soci responsabili senza limitazione[2].
È noto che l’evoluzione pretoria applica la norma in parola anche nell’ipotesi in cui la scoperta di un sodalizio di fatto, anche dopo l'iniziale dichiarazione di fallimento individuale o societario, sia riferibile ad un soggetto collettivo irregolare.
L’art. 147, comma 5, L. Fall., pertanto, trova applicazione non solo quando, dopo la dichiarazione di fallimento di un imprenditore individuale, risulti che l'impresa è, in realtà, riferibile a una società di fatto tra il fallito e uno o più soci occulti, ma anche, in virtù di sua interpretazione estensiva, quando il socio già fallito sia una società, anche di capitali, che partecipi, con altre società o persone fisiche, a una società di persone (cd. super società di fatto).
Oggi, alla luce del divenire degli assetti normativi, in ragione dell’entrata in vigore del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.Lgs. n. 14/2019), l’art. 256 CCII intitolato “Società con soci a responsabilità illimitata” riprende l’impianto originario dell’art. 147 L. fall. con alcune significative novità.
Si legge infatti nella “Relazione Illustrativa all’art. 256” che la prima novità è l’espressa previsione che, se dopo l’apertura della procedura di liquidazione giudiziale della società risulta l'esistenza di altri soci illimitatamente responsabili, la domanda di estensione della procedura di liquidazione a questi ultimi può essere proposta, oltre che dal curatore, da un creditore della società ovvero di un socio nei confronti del quale la procedura sia già stata aperta, come finora è accaduto, anche dal pubblico ministero, nonché dagli stessi soci nei cui confronti la procedura dev’essere estesa nonché dai loro creditori personali.
La seconda trova il suo fondamento nella più recente giurisprudenza ed in particolare nelle due sentenze spartiacque nell’esegesi della fattispecie in analisi: la sentenza della Corte di cassazione n. 1095 del 2016 e la sentenza della Corte costituzionale n. 255 del 2017.
Le due storiche sentenze hanno spinto il legislatore del CCII ad inserire nell’art. 256 l’espressa previsione che, in caso di apertura della procedura di liquidazione giudiziale nei confronti di una società, ove si accerti che l’impresa è, in realtà, riferibile ad una società di fatto, di cui la società in liquidazione è socio illimitatamente responsabile, il tribunale dispone l’apertura della procedura di liquidazione giudiziale nei confronti della società di fatto così accertata e degli altri soci illimitatamente responsabili della stessa.
La terza novità consiste nella espressa previsione che al giudizio di reclamo sono parti necessarie il curatore, il creditore, il socio ovvero il pubblico ministero che hanno proposto la domanda di estensione, nonché il creditore che ha proposto il ricorso per l’apertura della procedura di liquidazione giudiziale, così superando le difformi interpretazioni che, al riguardo, sono state fornite dalla giurisprudenza.