Quanto alla prima differenza, in base all’ultima parte del comma 2 bis dell’art. 88 del Codice, ai fini della omologazione forzosa è richiesto che il trattamento dei crediti tributari e contributivi deve essere sia conveniente, sia “non deteriore rispetto all’alternativa liquidatoria”, mentre l’art. 182 ter L. fall. richiede al medesimo fine la sola convenienza del soddisfacimento offerto.
Inoltre, il comma 2 del medesimo art. 88 stabilisce che “L’attestazione del professionista indipendente, relativamente ai crediti tributari e contributivi, ha ad oggetto anche la convenienza del trattamento proposto rispetto alla liquidazione giudiziale e, nel concordato in continuità aziendale, la sussistenza di un trattamento non deteriore”.
Sebbene l’inserimento del presupposto del criterio del trattamento non deteriore in entrambe le disposizioni sia stato previsto dal D.Lgs. n. 83/2022 e sebbene il contenuto dell’attestazione del professionista indipendente risulti chiaramente strumentale al provvedimento che il tribunale deve adottare con riguardo alla cosiddetta “omologazione forzosa”, esse presentano delle diversità, poiché:
Ø per quanto concerne l’attestazione, è previsto che la valutazione della proposta in base al criterio del trattamento non deteriore rileva solo per il concordato in continuità, ma non viene precisato rispetto a quale parametro il carattere deteriore del trattamento oggetto della proposta vada rilevato, potendo esso essere alternativamente rappresentato (i) dal trattamento riservato ai crediti postergati a quelli tributari e contributivi oppure (ii) dal trattamento spettante a questi ultimi in caso di liquidazione giudiziale (analogamente a quanto previsto per valutare la convenienza della proposta);
Ø sempre per quanto concerne l’attestazione, non è precisato se con riguardo al concordato in continuità rilevi sia il criterio della convenienza sia quello del trattamento non deteriore oppure solo quest’ultimo criterio, rilevando quello della convenienza soltanto per il concordato liquidatorio;
Ø per quanto concerne l’omologazione forzosa, viene stabilito che il presupposto del trattamento non deteriore dei crediti tributari e contributivi va valutato rispetto al trattamento a essi spettante in caso di liquidazione giudiziale, analogamente a quanto previsto per il criterio della convenienza (da usare in alternativa, giusta l’utilizzo della locuzione “o”), ma non viene precisato se tale criterio valga solo per il concordato in continuità, rilevando quello della convenienza solo per il concordato liquidatorio, oppure se entrambi i criteri rilevano per tutte e due le due tipologie di concordato e, in questo caso, se devono essere impiegati congiuntamente o alternativamente e, in quest’ultima ipotesi, quali siano le regole da applicare per stabilire il criterio da utilizzare.
Purtroppo, per sciogliere questo groviglio di disposizioni la relazione che ha accompagnato l’iter di approvazione del decreto legislativo di attuazione della Direttiva (UE) 2019/1023 non solo non si rivela di alcun ausilio, ma è addirittura fuorviante, perché vi si afferma che la nuova formulazione dell’art. 88 è diretta a recepire, “come fatto per l’articolo 63 sugli accordi di ristrutturazione, la disposizione dell’attuale articolo 48, comma 5, sull’omologazione anche in assenza di adesione dell’amministrazione finanziaria o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie”; invece il comma 5 dell’art. 48 del Codice previgente non faceva in alcun modo riferimento al trattamento non deteriore, così come il nuovo comma 2 bis dell’art. 63, inserito dal medesimo decreto legislativo per disciplinare il cram down fiscale relativamente alla transazione fiscale attuata nell’ambito dell’accordo di ristrutturazione dei debiti.
Con riferimento al contenuto dell’attestazione, le disposizioni recate dall’art. 88 del Codice sono suscettibili di quattro diverse interpretazioni:
1) l’attestatore deve valutare se il trattamento dei crediti tributari e contributivi, nel concordato in continuità, è conveniente per i creditori pubblici e al tempo stesso non deteriore, cioè almeno pari al trattamento riservato ai crediti postergati a quelli tributari e contributivi;
2) l’attestatore deve valutare se il trattamento dei crediti tributari e contributivi, nel concordato in continuità, è conveniente per i creditori pubblici e al tempo stesso non deteriore, cioè almeno pari al trattamento che gli stessi riceverebbero in caso di liquidazione giudiziale;
3) l’attestatore deve valutare solo se il trattamento dei crediti tributari e contributivi, nel concordato in continuità, è non deteriore, cioè almeno pari al trattamento riservato ai crediti postergati a quelli tributari o erariali;
4) l’attestatore deve valutare solo se il trattamento dei crediti tributari e contributivi, nel concordato in continuità, è non deteriore, cioè almeno pari al trattamento che gli stessi riceverebbero in caso di liquidazione giudiziale.
Con riferimento all’omologazione forzosa, le disposizioni recate dall’art. 88 appaiono suscettibili delle quattro diverse interpretazioni di seguito indicate:
a) presupposto per l’omologazione forzosa è che il trattamento dei crediti tributari e contributivi, nel concordato in continuità come in quello liquidatorio, sia per i creditori pubblici conveniente o (alternativamente) non deteriore rispetto a quello che questi riceverebbero in caso di liquidazione giudiziale;
b) presupposto per l’omologazione forzosa è che il trattamento dei crediti tributari e contributivi, nel concordato in continuità, sia conveniente per i creditori pubblici o non deteriore rispetto a quello che essi riceverebbero in caso di liquidazione giudiziale, ovvero, nel concordato liquidatorio, sia conveniente rispetto a quello che tali creditori riceverebbero in caso di liquidazione giudiziale;
c) presupposto per l’omologazione forzosa è che il trattamento dei crediti tributari e contributivi, nel concordato in continuità, sia conveniente per i creditori pubblici o non deteriore rispetto a quello che essi riceverebbero in caso di liquidazione giudiziale, ovvero, nel concordato liquidatorio, sia non deteriore rispetto a quello che tali creditori riceverebbero in caso di liquidazione giudiziale;
d) presupposto per l’omologazione forzosa è che il trattamento dei crediti tributari e contributivi, nel concordato in continuità, sia non deteriore rispetto a quello che i creditori pubblici riceverebbero in caso di liquidazione giudiziale, ovvero, nel concordato liquidatorio, sia conveniente per i creditori pubblici rispetto a quello che tali creditori riceverebbero in caso di liquidazione giudiziale.
Orbene, per districarsi in questo intricato intreccio normativo appare opportuno partire dalla considerazione che il presupposto del trattamento non deteriore è stato introdotto simultaneamente con riguardo sia all’oggetto dell’attestazione, nel comma 2 dell’art. 88, sia all’omologazione forzosa, nel comma 2 bis del medesimo articolo, in merito alla quale (omologazione forzosa) il parametro di raffronto (tanto della convenienza quanto della non deteriorità) è rappresentato unicamente dal trattamento che verrebbe riservato ai creditori pubblici in caso di liquidazione giudiziale. Inoltre, il divieto di trattamento deteriore dei creditori pubblici rispetto a quello dei creditori postergati è imposto dal comma 1 dell’art. 88, quale requisito di ammissibilità della proposta di transazione, il cui rispetto va accertato già in fase di apertura della procedura.
Per quanto concerne l’omologazione forzosa, il comma 2 bis non opera alcun distinguo, ma si limita a prevedere che, ricorrendo gli altri presupposti a tal fine richiesti, il tribunale omologa la proposta se per i creditori pubblici essa è conveniente o non deteriore rispetto alla liquidazione giudiziale. Pertanto, l’interpretazione più aderente alla lettera della norma potrebbe sembrare quella indicata sub a), secondo cui occorre valutare se il trattamento dei crediti tributari e contributivi, tanto nel concordato in continuità quanto quello liquidatorio, sia conveniente per i creditori pubblici rispetto a quello che essi riceverebbero in caso di liquidazione giudiziale o sia (alternativamente) non deteriore.
Resta peraltro da chiedersi quale sia la differenza fra un trattamento dei crediti tributari e contributivi “conveniente rispetto alla liquidazione giudiziale” e un trattamento “non deteriore rispetto alla liquidazione giudiziale”, atteso che tali espressioni potrebbero essere sostanzialmente equivalenti, considerando che un trattamento può essere non deteriore rispetto un altro in quanto è a esso esattamente equivalente, mentre un trattamento conveniente implica che esso sia migliore e non paritetico rispetto a un altro, ma la differenza fra le due espressioni potrebbe essere costituita semplicemente da un euro o da poche migliaia di euro con riguardo a debiti di rilevante ammontare.
Giova richiamare al riguardo la Direttiva (UE) 2014/59, relativa alle c.d. “procedure di bail in”, nonché la Direttiva (UE) 2019/1023. La prima direttiva invero fa riferimento al criterio noto come “no creditor worse off than liquidation” (o “no creditor worse off than in insolvency”[16]), per cui nessun creditore può subire perdite maggiori di quelle che avrebbe subito secondo una normale procedura di insolvenza. Allo stesso modo la seconda direttiva, in presenza di creditori dissenzienti, richiede l’effettuazione del “best interests of creditors test” (o “verifica del miglior soddisfacimento dei creditori”), che impone di verificare se questi soggetti riceverebbero, al valore attuale (“present value”), quanto avrebbero ricevuto se il debitore avesse optato per la soluzione liquidatoria. In entrambi i provvedimenti il trattamento proposto al creditore non deve essere peggiore di quello che spetterebbe a tale creditore in caso di liquidazione, che dunque costituisce una sorta di benchmark[17] o di “punto di indifferenza” sotto cui viene così meno ogni interesse a prendere in considerazione l’intesa negoziale. Entrambi i criteri sono attuativi del principio in base al quale il creditore dissenziente non può essere obbligato a subire un trattamento peggiorativo rispetto a quello che gli sarebbe riservato in caso di liquidazione del debitore.
Pertanto, il criterio del trattamento non deteriore deve intendersi come il criterio in base al quale il trattamento proposto al creditore dissenziente è quello che in termini satisfattivi è almeno pari (ovverosia è equivalente) al trattamento che spetterebbe al creditore pubblico in caso di liquidazione giudiziale. Esso non coincide quindi con il criterio del trattamento conveniente, il quale dovrebbe prevedere un trattamento migliorativo, ovverosia richiedere la presenza di un quid pluris, di un elemento ulteriore che (sempre in termini satisfattivi) comporti una differenza rispetto all’alternativa della liquidazione giudiziale, in quanto foriero di una maggiore utilità ovvero di un vantaggio non altrimenti ottenibile, tale da favorire e giustificare l’interesse ad accettare la proposta e raggiungere così l’intesa negoziale.
In sostanza il miglior trattamento offerto deve essere tale da giustificare, sotto il profilo della convenienza economica, la decisione di approvare la transazione fiscale, potendo in tal modo l’Erario godere di un vantaggio economico concreto.
Più precisamente, le ragioni dell’integrazione (concernente la non deteriorità della proposta di transazione) inserita nel comma 2 bis dell’art. 88 (rispetto all’omologa previsione contenuta nel comma 5 dell’art. 48) potrebbero essere da ricercare nel complesso delle disposizioni disciplinanti il concordato in continuità aziendale, essendo sufficiente, con riguardo al concordato liquidatorio, quelle già presenti, che facevano riferimento alla convenienza. In altri termini, al pari dell’incipit inserito nel comma 1 dell’art. 88 (di cui si dirà infra), anche l’adeguamento della disposizione sul cram down fiscale sembrerebbe riconducibile all’esigenza di “circoscriverne la portata in ragione della nuova disciplina del concordato preventivo in continuità”, come rilevato nella relazione che ha accompagnato l’iter di approvazione del decreto legislativo di attuazione della Direttiva (UE) 2019/1023. Inoltre, se è vero che il comma 5 dell’art. 84 del Codice prescrive - in generale - la regola del trattamento non deteriore per i crediti privilegiati anche con riguardo al concordato liquidatorio, è altrettanto vero che il comma 4, nello stabilire che la proposta deve prevedere “un apporto di risorse esterne che incrementi di almeno il 10 per cento l’attivo disponibile al momento della presentazione della domanda”, finisce comunque per imporre un quid pluris rispetto alla liquidazione giudiziale.
Per questi motivi l’interpretazione più corretta, in quanto frutto della interconnessione delle due previsioni normative, sembra essere quella secondo cui ai fini dell’omologazione forzosa è necessario e sufficiente: (i) nel concordato in continuità, che il trattamento dei crediti tributari e contributivi sia non deteriore rispetto a quello che essi riceverebbero in caso di liquidazione giudiziale; (ii) nel concordato liquidatorio, che il trattamento dei creditori pubblici sia conveniente rispetto a quello che essi riceverebbero in caso di liquidazione giudiziale. Ciò non tanto perché nel concordato liquidatorio il tribunale si troverebbe a dover valutare il requisito del trattamento non deteriore in assenza di una valutazione dell’attestatore in merito (non richiesta dalla norma), atteso che un trattamento conveniente (qual è quello che deve essere attestato nel concordato liquidatorio) è necessariamente anche non deteriore; ciò per altri due motivi: a) perché tale interpretazione è l’unica coerente con il principio della maggior convenienza del concordato liquidatorio rispetto alla liquidazione desumibile dal citato comma 4 dell’art. 84 del Codice (maggior convenienza discendente dall’apporto di risorse esterne imposto da detta norma); b) perché tale interpretazione è l’unica che rispetta l’interrelazione che sotto il profilo logico deve necessariamente sussistere tra il disposto del comma 2 e quello del comma 2 bis del citato art. 88, essendo il primo strumentale rispetto al secondo.
Questa interpretazione potrebbe sembrare ostacolata dal fatto che nel comma 2 dell’art. 88 viene utilizzata la congiunzione “e”, per il che l’interpretazione più aderente alla lettera della norma dovrebbe essere quella sopra indicata sub 2), secondo cui nel concordato in continuità l’attestatore deve accertare che il trattamento dei crediti tributari e contributivi sia al tempo stesso conveniente per i creditori pubblici e non deteriore rispetto al trattamento che questi riceverebbero in caso di liquidazione giudiziale. Tuttavia ciò sarebbe vero se tale norma così recitasse: “L’attestazione del professionista indipendente, relativa ai crediti tributari e contributivi, ha ad oggetto anche la convenienza del trattamento proposto rispetto alla liquidazione giudiziale e inoltre, nel concordato in continuità aziendale, la sussistenza di un trattamento non deteriore”. L’avverbio “inoltre” però manca, come manca, alternativamente, la particella aggiuntiva “anche” dopo la parola “aziendale”. Si intende dire che la congiunzione “e” sta semplicemente a disporre che nel concordato non qualificato (tipicamente quello liquidatorio) è necessario attestare la convenienza del trattamento e che in quello in continuità è necessario (e sufficiente) attestare la non deteriorità del trattamento.
In conclusione, l’assetto normativo ricostruito in base alle considerazioni che precedono è il seguente:
1) nel concordato liquidatorio, l’attestatore deve accertare solo la convenienza del trattamento dei crediti tributari rispetto alla liquidazione e la omologazione forzosa è disposta dal tribunale (anche sulla scorta dell’attestazione) se la proposta di soddisfacimento di tali crediti è conveniente per i creditori pubblici rispetto alla liquidazione dell’impresa debitrice;
2) nel concordato in continuità, l’attestatore deve accertare solo che il trattamento dei crediti tributari è non deteriore rispetto alla liquidazione e la omologazione forzosa è disposta dal tribunale (anche sulla scorta dell’attestazione) se la proposta di soddisfacimento di tali crediti è non deteriore al soddisfacimento che tali crediti riceverebbero a seguito della liquidazione dell’impresa.
Così stando le cose, la novità normativa parrebbe essere diretta a legittimare l’approvazione della proposta transattiva nel concordato liquidatorio solo se il trattamento dei crediti tributari e contributivi è effettivamente, e non solo nominalmente, conveniente per i creditori pubblici rispetto alla liquidazione giudiziale. E, sulla base di tale lettura della norma, la differenza fra le due previsioni, una relativa al concordato liquidatorio e l’altra riguardante il concordato in continuità, appare giustificata dai vantaggi generali che questa seconda forma di concordato produce rispetto alla soluzione liquidatoria.
Dei principi sopra esposti devono tenere conto anche l’Agenzia delle Entrate e gli enti di previdenza e assistenza, posto che i presupposti dell’omologazione forzosa sopra indicati indicano anche il “grado di soddisfacimento” che tali soggetti devono considerare ai fini dell’approvazione e del rigetto delle proposte di transazione fiscale e contributiva: approvandole quando il soddisfacimento proposto è conveniente, se la domanda di transazione è formulata nel concordato liquidatorio, o quando il soddisfacimento è non deteriore, se la proposta è formulata nel concordato in continuità, e rigettandole nel caso opposto.
Infatti, nella maggior parte dei casi una proposta non deteriore è anche conveniente per i creditori, perché è difficile che il soddisfacimento da essa previsto (inteso anche in senso sostanziale e non nominale) sia proprio coincidente con quello consentito dalla liquidazione e, se non è deteriore né coincidente, non può che essere migliore di quest’ultimo; in questi casi, quindi, i suddetti creditori pubblici, in base al principio di buon andamento della Pubblica amministrazione statuito dall’art. 97 della Costituzione, sono tenuti ad approvare la proposta di transazione, perché ne traggono un vantaggio altrimenti non conseguibile. Tuttavia, fermo restando che quando il trattamento offerto è deteriore rispetto a quello derivante dalla liquidazione dell’impresa la proposta deve essere rigettata, con riguardo al caso in cui tale coincidenza (intesa in senso sostanziale e non nominale) tra proposta e liquidazione dovesse sussistere, vi è da domandarsi che motivo avrebbero tali creditori di approvare una proposta il cui accoglimento, producendo effetti sostanzialmente analoghi a quelli discendenti dalla liquidazione, si rivelerebbe privo di vantaggi per l’Erario rispetto a quelli generati da quest’ultima soluzione. In questa circostanza è da ritenersi che la non deteriorità del soddisfacimento offerto, pur essendo sufficiente ai fini della omologazione forzosa da parte del tribunale, non basti per imporre l’approvazione della proposta all’Agenzia delle Entrate e agli enti previdenziali e assistenziali, i quali, nell’ambito del concordato in continuità saranno invece tenuti ad accogliere la domanda di transazione ove il suddetto soddisfacimento, oltre che non deteriore, sia anche conveniente; fermo restando che, nel caso in cui la proposta non venisse approvata, il tribunale dovrebbe omologarla semplicemente in quanto preveda un trattamento non deteriore, ancorché non conveniente, per l’Erario.
Come rilevato al paragrafo 11 della relazione n. 87 del 15 settembre 2022, predisposta dall’Ufficio del massimario e del ruolo della Corte di cassazione, ne discende che “nel piano liquidatorio non soltanto il trattamento della parte prelatizia non possa essere inferiore a quella realizzabile con il bene oggetto di garanzia nello scenario liquidatorio, ma che - almeno complessivamente - il trattamento riservato ai crediti tributari e contributivi debba essere “conveniente” ed oggetto di specifica ulteriore attestazione in tal senso”.