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Commento

Transazione fiscale e "cram down" del giudice fallimentare*

Michele Mauro, Associato di diritto tributario presso l’Università degli studi “Magna Graecia” di Catanzaro

29 Settembre 2022

*Il commento è stato sottoposto in forma anonima alla valutazione di un referee.

Visualizza: Trib. Bergamo, 17 agosto 2022, Pres. De Simone, Est. Magrì

L’introduzione normativa del "cram down fiscale” (e previdenziale) nel giudizio di omologazione delle procedure concordatarie, riferito a proposte non approvate a causa del voto determinante dell’Amministrazione finanziaria (o degli Enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie), ha consentito di risolvere una serie di problematiche sorte intorno all’istituto della transazione fiscale. Segnatamente, oltre ad aver superato definitivamente il fuorviante richiamo del principio di indisponibilità del credito tributario, l’attuale assetto normativo è chiaro nel delineare il riparto di giurisdizione tra giudice fallimentare e giudice tributario in caso di contestazione dei crediti tributari. In particolare, nel giudizio di omologazione, il tribunale, lungi dal pronunciarsi sul merito delle pretese fiscali, valuta esclusivamente la convenienza della proposta rispetto all’alternativa liquidatoria.
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1 . La pronuncia del Tribunale di Bergamo
La decisione del Tribunale di Bergamo si inserisce in un filone di recenti pronunce di merito[1] che, prendendo atto delle modifiche introdotte dal D.L. n. 125/2020 (convertito, con modificazioni, dalla L. 7 ottobre 2020 n. 125)[2], completate dalle ulteriori specificazioni di cui al D.L. n. 118/2021 con riguardo al concordato preventivo[3], hanno reso operante la novità prevista dal Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII - D.Lgs. n. 14/2019[4]), nota come “cram down fiscale” (e previdenziale), nelle procedure tese al risanamento della crisi d’impresa.
Invero, dovendo pronunciarsi sull’omologazione di un concordato preventivo in continuità indiretta (ossia con cessione dell’attività in esercizio), comprensivo della proposta di transazione fiscale di cui all’art. 182 ter L. fall. (R.D. n. 267/1942), il Tribunale ha omologato il piano di concordato nonostante il dissenso e le contestazioni mosse dall’Agenzia delle Entrate.
Ciò dopo aver constatato che, stante la decisività dell’adesione dell’Amministrazione finanziaria ai fini del raggiungimento delle maggioranze richieste per l’approvazione del concordato (previste dall’art. 177 L. fall.)[5], sulla base delle risultanze del parere motivato del Commissario giudiziale risultava più conveniente la proposta di soddisfacimento del creditore pubblico rispetto all’alternativa liquidatoria (fallimentare).
L’elemento determinante ai fini dell’omologazione è stato l’offerta di acquisto dell’azienda in esercizio da parte della società affittuaria -peraltro la migliore ricavabile sul mercato-, che ha reso più conveniente la proposta di soddisfacimento dei crediti tributari rispetto all’alternativa fallimentare. Difatti quest’ultima, facendo venire meno la richiamata proposta d’acquisto, avrebbe dato luogo a tentativi di vendita dell’azienda a partire da valori ragionevolmente inferiori rispetto a quelli proposti dalla società acquirente.
Nel merito delle contestazioni, i giudici hanno respinto i rilievi dell’Ufficio riguardanti sia l’importo dei crediti erariali ammessi al voto, tra i quali non sono stati inseriti quelli per sanzioni amministrative non irrogate se anche riconducibili a tributi sub iudice, sia la percentuale di soddisfazione proposta all’Amministrazione, ritenuta da quest’ultima meno conveniente rispetto a quella offerta dal debitore in una precedente proposta di transazione fiscale non andata a buon fine.
In particolare il Tribunale, dopo aver constatato l’adeguatezza della previsione, nella proposta di transazione, di un apposito fondo rischi per soddisfare i debiti sub iudice in caso di soccombenza nei giudizi pendenti, ha osservato come le sanzioni amministrative pretese dall’Agenzia delle Entrate non potessero rientrare nel computo dei crediti erariali, in quanto mai formalmente irrogate dall’Ufficio con i dovuti provvedimenti.
Inoltre, con riguardo alla percentuale di soddisfazione stabilita nella proposta di transazione, il Collegio ha ribadito la convenienza del piano concordatario rispetto all’alternativa fallimentare, ove l’Amministrazione finanziaria, alla luce del parere espresso dal Commissario giudiziale, avrebbe incassato un importo certamente inferiore, con l’ulteriore aggravio provocato dai tempi di pagamento, certamente più lunghi (e quindi peggiorativi) a causa del necessario espletamento dell’asta di vendita dei beni, peraltro senza alcuna garanzia di un potenziale acquirente.
Nessuna rilevanza, hanno concluso i giudici, può essere riconosciuta, ai fini della valutazione di convenienza richiesta dalla legge, alle somme offerte dal debitore in precedenti proposte di transazione conclusesi con esito negativo.
Pertanto, ferma restando la necessità che l’adesione da parte dell’Amministrazione finanziaria sia decisiva ai fini dell’approvazione del concordato preventivo, dalla pronuncia del Tribunale di Bergamo emerge la rilevanza del “cram down fiscale” nelle procedure tese al risanamento della crisi d’impresa, legittimato dal giudizio circa la maggiore convenienza della proposta di soddisfacimento dei crediti tributari rispetto all’alternativa liquidatoria.
2 . Il superato equivoco dell’indisponibilità del credito tributario
 L’introduzione normativa del “cram down fiscale” (e previdenziale), riferito a proposte non approvate a causa del voto determinante dell’Amministrazione finanziaria[6], ha consentito di superare definitivamente l’equivoco creatosi intorno al principio dell’indisponibilità del credito tributario[7], il quale, con specifico riferimento al credito Iva, per lungo tempo ha di fatto limitato l’applicazione della transazione fiscale ex art. 182 ter L. fall.[8] 
Invero, nel vigore delle originarie formulazioni della disposizione inserita nell’ambito del concordato preventivo[9] (ma eguali vincoli si riscontravano negli accordi di ristrutturazione dei debiti e nella procedura negoziale della composizione della crisi da sovraindebitamento, di cui alla L. 27 gennaio 2012, n. 3, riservata al debitore non assoggettabile alle procedure concorsuali[10]), ed in piena sintonia con note sentenze della Cassazione[11] che avevano riconosciuto il trattamento peculiare ed inderogabile dell’Iva nella procedura concorsuale, al punto di ritenere il relativo credito avulso dall’ordinario sistema dei privilegi, la Corte costituzionale, con la sentenza del 25 luglio 2014, n. 225, aveva sancito la legittimità costituzionale dell’intangibilità del tributo nel concordato, valorizzando proprio il principio dell’indisponibilità del credito Iva, rispetto al quale la dilazione del pagamento, già all’epoca comunque consentita dalla legge, rappresentava (ad avviso della Corte) un’eccezionale deroga[12]. 
In verità, fin dall’introduzione della transazione fiscale di cui all’art. 182 ter L. fall. nell’ambito del concordato preventivo, la dottrina aveva evidenziato le tensioni provocate dall’istituto con il richiamato principio, che involge il modo di intendere l’intero sistema tributario.
La disciplina della transazione infatti sembrava, prima facie, aver lasciato ampio spazio ad una valutazione discrezionale da parte dell’Amministrazione finanziaria in ordine alla riscossione dei crediti tributari, in virtù dell’assenza di qualunque criterio direttivo riguardante, in particolare, l’accertamento della maggiore economicità e proficuità rispetto all’attività di riscossione coattiva[13].
Tuttavia, a ben vedere, la transazione fiscale non ha mai originato un reale problema di compatibilità con l’indisponibilità del credito tributario.
Difatti il previgente (e infelice) nomen iuris dell’istituto (non a caso sostituto, ad opera dell’art. 1, comma 81, della L. n. 232 dell’11 dicembre 2016, con la nuova rubrica dell’art. 182 ter L. fall. “Trattamento dei crediti tributari e contributivi”[14]), che evocava la facoltà delle parti di disporre (aliquid datum ed aliquid retentum), era a dir poco fuorviante e non teneva conto dei principi e delle regole che governano la procedura di concordato preventivo.
Come è noto, nella suddetta procedura concorsuale opera un sistema prescrittivo di regole concernenti il concorso dei creditori sul patrimonio del debitore, tra le quali assumono particolare rilevanza due capisaldi sanciti dall’art. 160 L. fall. ed elevati al rango di condizioni di ammissibilità della domanda di concordato: il necessario rispetto dell’ordine delle prelazioni stabilito dalla legge (anche in caso di proposta con formazione delle classi) e la possibilità di pagare parzialmente i crediti privilegiati soltanto ove la percentuale offerta non sia inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale, sul ricavato dell’alternativa liquidatoria, da stabilire mediante un’apposita relazione giurata di un professionista (in possesso dei requisiti di cui all’art. 67, comma 3, lett. d), L. fall).
In sintonia con tale ultima condizione, in caso di proposta che preveda la falcidia dei crediti privilegiati – approvata a maggioranza ex art. 177 L. fall. – il Tribunale, con il giudizio di cram down ex art. 180, comma 4, L. fall., a seguito della contestazione di un creditore appartenente ad una classe dissenziente (ovvero di un creditore dissenziente qualificato, in assenza di formazione delle classi) omologa il concordato soltanto qualora ritenga che il credito sia soddisfatto in misura non inferiore rispetto alle alternative concretamente praticabili.
Dunque, già prima dell’espressa estensione normativa del cram down ai crediti tributari (e previdenziali) con riguardo a proposte non approvate a causa del voto determinante dell’Amministrazione finanziaria, nel concordato preventivo il richiamo del principio di indisponibilità del credito tributario non era pertinente, né rilevante.
In effetti, nell’ambito della proposta concordataria, anche a prescindere dal perfezionamento della transazione fiscale (il cui procedimento è diventato obbligatorio, quanto all’iter formale da seguire, a seguito dell’art. 1, comma 81, L. n. 232 del 2016)[15], il pagamento parziale dei crediti tributari era comunque subordinato alla ponderazione, da parte del giudice fallimentare, tra l’alternativa di conseguire con certezza e relativa speditezza la parziale soddisfazione del credito erariale e quella di mantenere intatta la pretesa, accollandosi i rischi di mancata o minore soddisfazione nell’eventuale successivo fallimento (ora “liquidazione giudiziale”).
Tale ponderazione indubbiamente evidenziava, ed evidenzia tuttora, che l’Amministrazione finanziaria non è di fronte ad un risultato certamente conseguibile in ordine alla riscossione dei propri crediti e, quindi, con l’eventuale voto adesivo alla transazione non attuerebbe alcuna rinuncia sostanziale al credito, ma soltanto formale[16].
Addirittura paradossali, peraltro, apparivano in passato i casi in cui era dimostrato che nell’alternativa liquidatoria l’Amministrazione finanziaria avrebbe realizzato il credito Iva in misura inferiore rispetto a quella offerta nella proposta di concordato. Ciò in quanto, invece che di rinuncia, con l’eventuale approvazione della proposta e successiva omologazione del concordato si sarebbe trattato della massimizzazione del credito tributario, in altre fattispecie ritenuta proficua anche dalla dottrina che, da sempre, ha affermato la pregnanza del principio indisponibilità del credito tributario in quanto rispondente ai principi costituzionali di riserva di legge, uguaglianza e perequazione (artt. 2, 3, 23 e 53 Cost.)[17].
Ed infatti, proprio in tema di Iva, una chiara apertura si è verificata, anche in epoca antecedente ai risolutori interventi legislativi, con la sentenza della CGCE del 7 aprile 2016 (causa C-546/14 Degano Trasporti Sas di Ferruccio Degano & C. in liquidazione), la quale, sebbene con esclusivo riferimento ad una procedura che prevedeva l’intera liquidazione del patrimonio aziendale, aveva ammesso la possibilità di pagare parzialmente il credito Iva nel concordato preventivo qualora l’Amministrazione finanziaria avesse realizzato una percentuale di soddisfazione non deteriore rispetto all’ipotesi alternativa del fallimento.
D’altra parte, ove l’Erario o gli Enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie godessero di insindacabili rifiuti alle proposte di transazione, le loro pretese si tradurrebbero, di fatto, in un atto di disposizione di tutti gli altri crediti concorsuali, che sarebbero illegittimamente sacrificati ad onta dell’ordine legale delle prelazioni. In tal senso, è appena il caso di sottolineare che l’atto di disposizione, ove sussistente, non può che riguardare unicamente il rapporto tra il creditore ed il debitore, senza mai pregiudicare i terzi che pure concorrono sul patrimonio del debitore.
È dunque condivisile l’affermazione del Tribunale di Bergamo nella pronuncia in commento, secondo cui, alla luce della ratio dell’art. 182 ter L. fall. e del principio di buon andamento della pubblica amministrazione di cui all’art. 97 Cost., l’Amministrazione finanziaria, nella valutazione della proposta di transazione fiscale, dispone di una discrezionalità “vincolata” al maggior soddisfacimento e convenienza tra il pagamento offerto dal debitore e l’alternativa liquidatoria.
3 . Il cd. “cram down fiscale” (e previdenziale) nel giudizio di omologazione del concordato preventivo
A prescindere dalla questione, che si confida essere definitivamente risolta, riguardante le tensioni della transazione fiscale con il principio di indisponibilità del credito tributario, il cd. “cram down fiscale” (e previdenziale) ha originato un vivo dibattito in dottrina[18] sul connesso profilo della giurisdizione del giudice fallimentare, nel giudizio di omologazione, avente ad oggetto la mancata adesione dell’Amministrazione finanziaria alla proposta di transazione.
Il tema è reso attuale anche per via di due recenti arresti della Cassazione, a Sezioni unite[19], nelle quali la Suprema Corte, anche alla luce delle modifiche introdotte con il richiamato D.L. n. 125/2020 in tema di omologazione delle proposte non approvate a causa del voto determinante dell’Amministrazione finanziaria (e degli Enti di previdenza e assistenza obbligatori), ha chiarito che la tutela giurisdizionale avverso il diniego dell’Amministrazione Finanziaria alla transazione fiscale appartiene alla giurisdizione del giudice fallimentare e non del giudice tributario, in virtù della natura “concorsuale” dei procedimenti[20]. 
Ebbene, parte della dottrina, anche a seguito della specificazione introdotta dall’art. 20, comma 1, lett. a), del D.L. n. 118/2021 con riguardo al concordato preventivo – che ha posto fine al dibattito circa l’applicazione del “cram down” a seconda della condotta dell’Amministrazione finanziaria nei confronti della transazione fiscale (i.e. mancanza di voto oppure diniego espresso) – ha ritenuto importante individuare uno spazio (residuale o alternativo) di giurisdizione da riservare al giudice tributario, in specie con riguardo alle questioni riguardanti l’an ed il quantum delle pretese fiscali[21].
A ben vedere, la questione risente di una serie di fraintendimenti di fondo.
In primo luogo, occorre rilevare come i giudizi tributari avverso il diniego di transazione fiscale nel concordato preventivo (e nell’accordo di ristrutturazione dei debiti), che successivamente hanno condotto al regolamento preventivo di giurisdizione deciso dalle Sezioni Unite, scaturiscono dalla ritenuta impugnabilità – affermata anche da una parte della dottrina[22] – del provvedimento di diniego dell’Amministrazione finanziaria, cui fa seguito la dichiarazione di voto contrario nell’ambito delle procedure concordatarie, sull’assunto che detto provvedimento possa essere sindacato secondo il regime proprio degli atti discrezionali e, segnatamente, con riguardo al corretto esercizio del potere. Muovendo dal presupposto che l’attività dell’Amministrazione deve ispirarsi, anche nel precipuo ambito concorsuale, ai fondamentali principi di legalità, imparzialità e buon andamento di cui all’art. 97 Cost., attraverso l’adozione di provvedimenti funzionali alla migliore realizzazione dell’interesse pubblico alla riscossione dei tributi, il richiamato orientamento ha affermato che il provvedimento di diniego debba specificare, in sede di motivazione, i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione, in relazione alle risultanze dell’istruttoria, con la conseguente possibilità, da parte del contribuente, di impugnare giudizialmente l’atto amministrativo prodromico all’espressione del voto negativo alla proposta di accordo. Con riguardo alla giurisdizione, la tesi in argomento ha individuato nel giudice tributario l’organo dotato del potere di sindacare la legittimità del provvedimento, equiparabile al rigetto della domanda di definizione agevolata del rapporto tributario di cui all’art. 19, comma 1, lett. h), D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546/1992[23].
Detta ricostruzione, tuttavia, non considera che l’espressione di voto contrario da parte dell’Amministrazione finanziaria non è rivolta al contribuente-debitore ma si inserisce nella procedura concorsuale, quale elemento partecipativo del volere dei creditori in ordine all’approvazione della proposta.
Di conseguenza, come condivisibilmente rilevato da altra dottrina, l’effetto del voto si dissolve all’interno del procedimento concorsuale, creando nel debitore una situazione di interesse di mero fatto non tutelabile giudizialmente[24]. Senza considerare che, in ogni caso, il provvedimento di diniego alla transazione non è assimilabile ad una domanda di definizione agevolata del rapporto tributario, posto che questa locuzione è riferibile agli atti che ineriscono alla determinazione del debito tributario, il quale, invece, nell’ottica della transazione fiscale è già compiutamente determinato per effetto del cd. “consolidamento” che segue all’avvio del sub-procedimento sul trattamento dei crediti tributari. Nella procedura concordataria, in altri termini, si discute esclusivamente della eventuale falcidia alla luce delle concrete prospettive di esazione delle pretese fiscali[25] e, come è stato rilevato, l’iter che si conclude con il giudizio di omologazione, anche a seguito dell’introduzione del “cram down fiscale” (e previdenziale) riferito a proposte non approvate a causa del voto determinante dell’Amministrazione finanziaria, “incide” sui diritti ma non “decide” sui diritti e, pertanto, non riguarda il corretto esercizio del potere da parte dell’Amministrazione[26].
Da quanto fin qui affermato discende che non si pone alcun problema di riparto di giurisdizione tra giudice fallimentare e giudice tributario a seguito della mancata adesione alla transazione da parte dell’Erario.
Invero, nell’ipotesi di voto dissenziente e determinante da parte di quest’ultimo, nel giudizio di omologazione il tribunale, lungi dal pronunciarsi sul merito delle pretese fiscali, valuta esclusivamente la convenienza della proposta rispetto all’alternativa liquidatoria, anche sulla base delle risultanze della relazione del professionista indipendente. E, in questo giudizio, come avvenuto nel caso deciso dal Tribunale di Bergamo qui commentato, il giudice fallimentare si pronuncia anche su eventuali contestazioni formulate dall’Amministrazione finanziaria in qualità di opponente costituito, magari a seguito degli approfondimenti di merito suggeriti dalla circolare n. 34/E del 2020; contestazioni che, tuttavia, attengono esclusivamente all’oggetto del giudizio e, quindi, alla convenienza della proposta di soddisfazione dei crediti tributari rispetto all’alternativa liquidatoria, alla fattibilità del piano, agli accontamenti riferiti alle pretese erariali sub iudice, ai tempi di pagamento, ecc.
4 . Segue. Il problema della giurisdizione sulle contestazioni riguardanti il merito delle pretese fiscali
Diversa è la questione circa la giurisdizione in presenza di contestazioni riguardanti l’entità dei crediti tributari, unitamente ad interessi e sanzioni, che, per come emerge dal cd. “consolidamento” del debito tributario riconducibile al sub-procedimento di transazione fiscale, forma oggetto dell’accordo e del calcolo delle maggioranze per la sua approvazione (e, quindi, anche del vaglio circa la rilevanza o meno, a tal fine, del voto dissenziente del Fisco). 
Si tratta, evidentemente, di un profilo che non ha alcun legame con quello – certamente diverso – dell’opposizione alla mancata adesione alla transazione da parte dell’Amministrazione finanziaria.
Ciononostante la Cassazione, in relazione al concordato preventivo, ha affrontato anche questo aspetto e in particolare, nell’ordinanza Cass., Sez. Un., 25 marzo 2021, n. 8504 – richiamando la precedente sentenza Cass. civ., Sez. I, 13 giugno 2018, n. 15414 – ha affermato che, in ordine a controversie insorgende relative all’entità del debito tributario (per esempio in conseguenza delle certificazioni amministrative, ovvero dell’emanazione di atti impositivi, sanzionatori o della riscossione), oppure a controversie già insorte (es. liti pendenti), la regola di riparto della giurisdizione è quella fissata dall’art. 90 D.P.R. n. 602/1973 [27], che indica quale rimedio volto ad evitare conflitti di pronunce e vuoti di tutela l’accantonamento dei crediti erariali contestati. 
Il richiamo operato da quest’ultima disposizione all’art. 181, comma 3, primo periodo, L. fall., infatti, deve attualmente intendersi rivolto all’art. 180, comma 6, L. fall., secondo il quale “Le somme spettanti ai creditori contestati, condizionali o irreperibili sono depositate nei modi stabiliti dal tribunale, che fissa altresì le condizioni e le modalità per lo svincolo”.
Ad avviso della Suprema Corte, dunque, nel giudizio di omologazione del concordato al Tribunale è preclusa qualsiasi delibazione sulla sussistenza e l’ammontare dei crediti tributari contestati, ed anche qualsiasi valutazione circa l’opportunità di disporre o meno accantonamenti a tutela di tali crediti, i quali sono da intendersi obbligatori per legge. Semmai, la sua cognizione potrà estendersi a profili che riguardano l’idoneità della documentazione prescritta dalla legge ai fini della certificazione dei crediti tributari (rilasciata, rispettivamente, da parte dell’Agenzia delle Entrate e dell’Agente della riscossione), ovvero l’eventuale estinzione di quest’ultimi per prescrizione[28].
Proprio nel caso deciso dal Tribunale di Bergamo, qui in commento, il Collegio ha escluso le sanzioni tributarie dal computo dei crediti erariali, ritenendo di fatto insufficiente la documentazione prodotta dall’Agenzia delle Entrate ai fini dell’inserimento delle sanzioni nell’elenco dei crediti della procedura, in quanto mai irrogate dall’Amministrazione finanziaria con un provvedimento.
Peraltro, una conferma dell’assunto della Cassazione, oltre che dalla nota regola – sancita all’art. 2 D.Lgs. n. 546/1992 – dell’esclusività della giurisdizione tributaria con riferimento alle questioni relative all’an ed al quantum dei tributi, può trarsi dall’art. 31 del D.Lgs. n. 46/1999, in virtù del quale “Le disposizioni previste dagli articoli 88 e 90, comma 2, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, come sostituiti dall’art. 16 del presente decreto, non si applicano se le contestazioni relative alle somme iscritte a ruolo sono devolute alla giurisdizione del giudice ordinario”.
Parte della dottrina, d’altro canto, non ha ritenuto pienamente soddisfacente il chiarimento espresso dalla Cassazione, evidenziando come l’art. 90 DPR n. 602/1973, che impone l’iscrizione provvisoria dei crediti tributari contestati nell’elenco dei creditori ai fini del voto e del calcolo delle maggioranze[29], faccia riferimento alle sole somme iscritte a ruolo (o agli avvisi di accertamento direttamente esecutivi[30]), mentre tutti gli atti riguardanti il merito della pretesa e la sua determinazione, ove contestati, devono essere devoluti al giudice tributario[31].
Le considerazioni svolte, si ribadisce, esulano dalla originaria questione relativa all’impugnabilità del diniego dell’Amministrazione finanziaria alla transazione fiscale, poiché evidenziano una problematica che, in quanto riferita alla esatta determinazione del debito tributario complessivo da inserire nelle procedure concordatarie, si presenta prima della formulazione della proposta e del voto, e comunque a prescindere dal fatto che il voto dell’Erario alla transazione sia favorevole o meno.
In ogni caso, il richiamato orientamento dottrinale stimola la riflessione circa diversi interrogativi sui quali occorre pronunciarsi.
Si tratta, cioè, di capire se il contribuente-debitore che abbia intrapreso l’iter della transazione fiscale, ricevute le certificazioni dei debiti tributari da parte degli Enti preposti (cd. consolidamento), possa contestare anche atti diversi dal ruolo o dall’accertamento esecutivo, quali, ad esempio, gli (eventuali) avvisi di irregolarità riferiti alle dichiarazioni non ancora controllate, i ruoli vistati ma non ancora trasmessi all’Agente della riscossione, o la certificazione rilasciata dall’Agente dalla quale risultino ruoli riportati in pregresse cartelle di pagamento mai notificate.
Viepiù, è necessario stabilire se tali contestazioni, ove ritenute ammissibili, diano luogo, al pari di quelle riferite ai ruoli, agli accantonamenti in favore dell’Erario e, inoltre, se le contestazioni, in generale, debbano intendersi tali soltanto a seguito del concreto avvio dell’azione giudiziale dinanzi al giudice tributario, il che presupporrebbe – a rigore – la sussistenza di atti autonomamente impugnabili ai sensi dell’art. 19 D.Lgs. n. 546/1992. 
Un determinante ausilio alla soluzione di tali questioni può trarsi dalle elaborazioni prospettate, in relazione a problematiche del tutto similari, nell’ambito dell’ammissione al passivo del fallimento dei crediti tributari[32].
Difatti, se è vero che nella procedura concordataria, a differenza del fallimento (ora “liquidazione giudiziale”), non è previsto formalmente alcun procedimento giudiziale al fine di individuare i soggetti legittimati a partecipare al concorso sul patrimonio del debitore e verificarne i crediti[33], è anche vero che una verifica – sebbene incidentale – si impone onde evitare che le valutazioni circa la fattibilità del piano ed il reale grado di soddisfazione delle pretese (sia parte dei creditori contestati che di quelli non contestati), funzionali al voto, siano distorte[34].
Orbene, posto che l’obiettivo del cd. consolidamento del debito tributario, prescritto a seguito dell’avvio del procedimento di transazione fiscale, ha l’obiettivo di accertare l’entità del debito complessivo ad una certa data[35], è evidente che, similmente a quanto accade ai fini dell’insinuazione del passivo del fallimento, al debitore non può essere negato il diritto di contestare il debito tributario complessivo risultante dalle certificazioni rilasciate dagli Enti preposti, a prescindere dal preciso riferimento al ruolo oppure all’accertamento esecutivo[36].
Basti pensare, in proposito, proprio a quanto verificatosi nella vicenda sottoposta all’esame del Tribunale di Bergamo, in commento. L’inserimento, nell’ambito del consolidamento del debito tributario complessivo, delle somme per sanzioni tributarie mai irrogate con alcun provvedimento, ancorché riconducibili a tributi dovuti, avrebbe potuto essere contestato dal contribuente-debitore, per non correre il rischio -ove il Commissario giudiziale e il giudice fallimentare, a differenza del caso concreto, avessero ritenuto adeguata la documentazione prodotta dall’Amministrazione a corredo della dimostrazione del credito sanzionatorio- di un eventuale computo di crediti per sanzioni, mai venuti giuridicamente ad esistenza, ai fini del voto e della determinazione dell’esposizione debitoria complessiva.
L’ammissibilità di siffatte contestazioni, come evidente, ha l’obiettivo di assicurare la parità di trattamento tra i creditori dell’imprenditore in crisi, evitando che il debitore, nella redazione della proposta, debba offrire all’Erario un pagamento che non ritiene dovuto.
Tuttavia, stante l’impossibilità per il Tribunale di vagliare, anche incidentalmente, le obiezioni riguardanti il merito delle pretese tributarie, in quanto devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice tributario, si rende applicabile, in relazione ad ogni contestazione, la disciplina sugli accantonamenti di cui all’art. 180, comma 6, L. fall., da ritenersi obbligatori e non sindacabili da parte del giudice fallimentare. Ciò in quanto il Tribunale, nell’omologare il concordato, potrebbe decidere se prescrivere o meno gli accantonamenti solo all’esito di una valutazione (incidentale) avente ad oggetto l’esistenza dei crediti contestati[37], valutazione che – si ribadisce – gli è preclusa con riguardo ai crediti tributari.
Resta da stabilire se la contestazione di natura tributaria, per produrre gli effetti suddetti, debba tradursi in una immediata instaurazione della controversia dinanzi alle Corti di giustizia tributarie, sicché gli accantonamenti siano, di fatto, equiparati a quelli previsti per le liti tributarie pendenti[38].
A tal proposito, si ritiene che le contestazioni producano effetti immediati che prescindono dal concreto avvio dell’azione giudiziale, sollecitando, di conseguenza, l’emissione (da parte dell’Agente) di atti di riscossione autonomamente impugnabili ex art. 19 D.Lgs. n. 546/1992, destinati a consolidarsi ove non ritualmente impugnati dal debitore nel termine previsto a pena di decadenza.
Diversamente opinando, invero, si impedirebbe concretamente al debitore-contribuente, in maniera gravemente lesiva del diritto di difesa oltre che della par condicio creditorum, di contestare i debiti tributari che non ritiene dovuti ma che non sono riportati in atti immediatamente impugnabili davanti al giudice tributario (si pensi ai già richiamati casi in cui il debitore voglia contestare gli avvisi di irregolarità riferiti alle dichiarazioni non ancora controllate, i ruoli vistati ma non ancora trasmessi all’Agente della riscossione, la certificazione rilasciata dall’Agente dalla quale risultino ruoli riportati in pregresse cartelle di pagamento mai notificate, o l’intervenuta decadenza ai fini della notifica di cartella dei pagamento riferita ai ruoli).
Non sembra, peraltro, risolutiva, sotto quest’ultimo profilo, la nota teoria della “impugnazione facoltativa” affermatasi nella giurisprudenza di legittimità[39], valorizzata per affermare l’immediata impugnabilità dinanzi al giudice tributario, sebbene non rientranti nell’elenco di cui all’art. 19 D.Lgs. n. 546/1992, dei documenti aventi una funzione ricognitiva del debito tributario, ivi compresa la base documentale ed informativa che consente di formulare la proposta di transazione fiscale[40].
Tale opzione ermeneutica, invero, oltre al rischio di provocare declaratorie di inammissibilità del ricorso tributario, sembra essere quanto meno sminuita dalla recente introduzione nell’art. 12 D.P.R. n. 602/1973 del comma 4 bis (per opera dell’art. 3 bis D.L. n. 146/2021, conv. con L. 17 dicembre 2021 n. 215)[41], il quale, dopo aver chiarito espressamente (ove vi fossero dubbi) la non impugnabilità dell’estratto di ruolo, ha fortemente limitato l’impugnabilità del ruolo e della cartella che si assume invalidamente notificata, anche nei casi in cui il contribuente ne abbia avuto conoscenza attraverso l’estratto di ruolo o in altri modi irrituali (come potrebbe accadere – evidentemente – attraverso la documentazione ricevuta dagli Enti preposti ai fini della redazione della proposta di transazione).
La suddetta disposizione, in particolare, ha consentito l’impugnazione del ruolo e della cartella di pagamento per vizi di notifica in soli tre casi (i.e. dimostrato pericolo di pregiudizio ai fini: della partecipazione a procedure d’appalto; della riscossione dei pagamenti da parte della pubblica amministrazione per effetto delle verifiche ex art. 48 bis D.P.R. n. 602/1973; della perdita di un beneficio nei rapporti con la pubblica amministrazione).
Tali limitazioni sono riferite ai casi di “diretta” impugnazione del ruolo e della cartella per censure riguardanti la notificazione, così evitando che, avutane conoscenza irrituale, il contribuente introduca azioni finalizzate all’accertamento negativo del credito, ad esempio per decadenza e/o prescrizione della pretesa erariale iscritta a ruolo[42].
Pertanto, ferma restando la possibilità di contestare la notifica della cartella di pagamento in sede di impugnazione dell’atto successivo (ritualmente notificato), la novella ha inteso circoscrivere la tutela anticipata avverso il ruolo e la cartella di pagamento irritualmente conosciuti (ad esempio, attraverso l’estratto di ruolo o proprio attraverso la documentazione ricevuta dagli Enti preposti ai fini della redazione della proposta di transazione), così evitando di derogare in tutti i casi (con inevitabile proliferazione di controversie) al carattere impugnatorio del processo tributario, delineato all’art. 19 D.Lgs. n. 546/1992[43].
Occorre, d’altro canto, rilevare che la richiamata modifica normativa, in quanto inserita del D.P.R. n. 602/1973, riguarda espressamente le imposte sui redditi, onde si potrebbe opinare che, con riguardo alle impugnazioni aventi ad oggetto imposte indirette (come ad esempio l’Iva, solitamente rilevante nella crisi d’impresa), non valgano le previste limitazioni. Tuttavia, ad avviso della giurisprudenza di legittimità, le disposizioni previste nell’ambito delle imposte dirette devono ritenersi applicabili anche ai tributi indiretti[44].

Note:

[1] 
Cfr., tra le altre, Trib. Ragusa, 12 novembre 2021; Trib. Genova, 13 maggio 2021; Trib. Venezia, 22 settembre 2021; Trib. Como, 1 dicembre 2021.
[2] 
L’art. 3, comma 1 bis, D.L. 7 ottobre 2020, n. 125 (convertito, con modificazioni, dalla L. 27 novembre 2020, n. 159), in virtù dello stato di crisi in cui versavano (e versano) numerose imprese a causa della pandemia da Covid-19, ha inserito nella legge fallimentare vigente talune disposizioni (o frammenti di disposizioni) contenute nel nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza di cui al D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 (come novellato dal D.Lgs. 26 ottobre 2020, n. 147, c.d. decreto correttivo), agevolando, anche attraverso il “cram down” fiscale e contributivo, l’accesso delle imprese a procedure concorsuali minori al fine di evitarne il dissesto, nella consapevolezza che spesso l’inerzia del creditore pubblico costituisce ostacolo alle soluzioni alternative alla liquidazione del patrimonio aziendale, anche se maggiormente convenienti di quest’ultima. In particolare, con riferimento al concordato preventivo, l’art. 180, comma 4, L. fall, come novellato dal D.L. 125/2020, attribuisce al Tribunale il potere di omologare il concordato preventivo anche in “mancanza di voto” da parte dell’Amministrazione finanziaria o degli enti previdenziali e assistenziali quando l’adesione da parte di tali enti è determinante ai fini del raggiungimento delle maggioranze di cui all’art. 177 L. fall., e quando, anche sulla base delle risultanze della relazione dell’attestatore indipendente, la proposta di soddisfacimento dei creditori pubblici è conveniente rispetto all’alternativa liquidatoria. Analogamente, con riguardo agli accordi di ristrutturazione, all’art. 182 bis, comma 4, L. fall. è stata inserita la possibilità per il Tribunale di omologare l’accordo in “mancanza di adesione” dell’Amministrazione finanziaria e degli enti di previdenza obbligatoria, quando la predetta adesione sia decisiva ai fini del raggiungimento della percentuale del 60% dei creditori aderenti, richiesta dal primo comma del medesimo art. 182 bis ai fini della conclusione degli accordi, fermo restando che, anche sulla base delle risultanze della relazione del professionista, risulti che la proposta di soddisfacimento dei predetti creditori sia conveniente rispetto all’alternativa liquidatoria.
[3] 
In particolare l’art. 20, comma 1, lett. a), del D.L. n. 118/2021 ha sostituito, nell’ultimo periodo del quarto comma dell’art. 180 L. fall., le parole “il tribunale omologa il concordato preventivo anche in mancanza di voto” con “il tribunale omologa il concordato preventivo anche in mancanza di adesione”. L’intervento normativo ha così posto fine al dibattito circa l’applicazione del “cram down” soltanto in caso di mancanza di voto ovvero anche in caso di diniego espresso da parte del creditore pubblico, originato dalla (previgente) differente formulazione della norma prevista per il concordato preventivo (“mancanza di voto”) rispetto agli accordi di ristrutturazione dei debiti (“mancanza di adesione”): cfr., tra gli altri, E. Stasi, La transazione fiscale obbligatoria e il riparto di giurisdizione tra giudice ordinario fallimentare e giudice tributario, in Il Fall., 2021, p. 1389; A. Danovi, D. Giuffrida, Cram down fiscale e previdenziale, in AA.VV. a cura di A. Danovi, G. Acciaro, Nuova transazione fiscale, Milano, 2021, p. 41 ss. A seguito dell’intervenuta modifica, il testo dell’art. 180 L. fall. è divenuto conforme alle altre similari ipotesi disciplinate dall’art. 48 del D.Lgs. n. 14/2019 (CCII) per gli accordi di ristrutturazione ed il concordato preventivo, nonché dall’art. 12, comma 3 quater, della L. 27 gennaio 2012, n. 3, con riguardo all’accordo di composizione della crisi nel sovraindebitamento in relazione alla mancata adesione dell’Amministrazione finanziaria, e, ancora, dall’art. 80, comma 3, CCII per il concordato minore. La medesima formula si rinviene - infine - anche nell’art.182 bis, comma 4, L. fall., che si riferisce appunto all’ “adesione”.
[4] 
Invero, l’art. 48, comma 5, del D.Lgs. n. 14/2019 (CCII), stabilisce testualmente che “Il tribunale omologa gli accordi di ristrutturazione o il concordato preventivo anche in mancanza di adesione da parte dell’amministrazione finanziaria o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie quando l’adesione è determinante ai fini del raggiungimento delle percentuali di cui all’art. 57, comma 1, 60, comma 1, e 109, comma 1, e quando, anche sulla base delle risultanze della relazione del professionista indipendente, la proposta di soddisfacimento della predetta amministrazione o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie è conveniente rispetto all'alternativa liquidatoria”. 
[5] 
Sui criteri circa la verifica della decisività o meno della adesione dell’amministrazione finanziaria o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie per il raggiungimento delle maggioranze di cui all’art. 177 L. fall., nell’ambito del concordato preventivo, cfr. l’interessante pronuncia del Trib. Siracusa, 21 luglio 2021. I Giudici, sul punto, hanno precisato che la suddetta verifica debba essere condotta escludendo il credito dei creditori pubblici dal computo dei votanti e dal computo dei voti contrari in maniera che, se per effetto di questa elisione sia dal numeratore che dal denominatore, i voti favorevoli risultino superiori rispetto ai voti contrari, l’adesione di detti enti può reputarsi determinante.
[6] 
Cfr. G. Fransoni, Trattamento dei debiti tributari e concordato preventivo: dal procedimento al processo, in Rass. trib., 2021, p. 304 ss., il quale opportunamente ha evidenziato come il giudizio di cram down prima operava con riferimento ad una proposta approvata a maggioranza ex art. 177 L. fall., mentre ora riguarda anche proposte non approvate, essendo mancato il voto favorevole e determinante dell’Amministrazione finanziaria (o degli enti previdenziali e assistenziali). 
[7] 
Su tale principio, che è stato oggetto di significativa evoluzione di pensiero da parte della dottrina, non è il caso di soffermarsi in questa sede. Si rinvia, ex multis, a L. Perrone, voce Discrezionalità amministrativa (dir. trib.), in AA.VV., Dizionario di diritto pubblico, diretto da S. Cassese, Milano, 2006, III, p. 2003 ss.; M.C. Fregni, Obbligazione tributaria e codice civile, Torino, 1998, p. 427 ss.; F. Gallo, Discrezionalità (diritto tributario), in Enc. dir. agg., Milano, 2000, p. 538 ss.; M. Versiglioni, Accordo e disposizione nel diritto tributario, Milano, 2001, passim e spec. p 303 ss.; G. Falsitta, Funzione vincolata di riscossione dell’imposta e intransigibilità del tributo, in Riv. dir. trib., 2007, I, p. 1047 ss.; A. Guidara, Indisponibilità del tributo e accordi in fase di riscossione, Milano, 2010, p. 161 ss.
[8] 
L’istituto della transazione fiscale ha dato luogo ad un continuo ed intenso dibattito dottrinale. Cfr., senza pretesa di completezza, L. Del Federico, La nuova transazione fiscale nel sistema delle procedure concorsuali, in Riv. dir. trib., 2008, I, p. 223 ss.; F. Paparella, Il nuovo regime dei debiti tributari di cui all’art. 182 ter L.F.: dalla transazione fiscale soggettiva e consensuale alla retrogradazione oggettiva, in Rass. trib., 2018, p. 317; M. Allena, La transazione fiscale: dalla legge fallimentare al codice della crisi d’impresa, in AA.VV. a cura di A Guidara, Accordi e azione amministrativa nel diritto tributario, Pisa, 2020, p. 176 ss.; A. Carinci, Il diniego di transazione fiscale nel prisma del nuovo Codice sulla crisi di impresa, in Il Fisco, 2021, p. 2243; G. Fransoni, Trattamento dei debiti tributari e concordato preventivo: dal procedimento al processo, cit., p. 304 ss.; V. Ficari, Gli interessi “pretensivi” del contribuente (dagli “strumenti” di collaborazione e partecipazione alle “definizioni consensuali”), in AA.VV., a cura di A. Carinci, T. Tassani, I diritti del contribuente. Principi, tutele e modelli di difesa, 2022, Milano, p. 446 ss.
[9] 
Precisamente, prima delle modifiche intervenute con l’art. 1, comma 81, L. n. 232 del 2016, l’art 182 ter, comma 1, L. fall. stabiliva che “Con il piano di cui all’art. 160 il debitore può proporre il pagamento, parziale o anche dilazionato, dei tributi amministrati dalle agenzie fiscali e dei relativi accessori, nonché dei contributi amministrati dagli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie e dei relativi accessori, limitatamente alla quota di debito avente natura chirografaria anche se non iscritti a ruolo, ad eccezione dei tributi costituenti risorse proprie dell’Unione europea; con riguardo all’imposta sul valore aggiunto ed alle ritenute operate e non versate, la proposta può prevedere esclusivamente la dilazione del pagamento (corsivo dell’autore). Se il credito tributario o contributivo è assistito da privilegio, la percentuale, i tempi di pagamento e le eventuali garanzie non possono essere inferiori a quelli offerti ai creditori che hanno un grado di privilegio inferiore o a quelli che hanno una posizione giuridica ed interessi economici omogenei a quelli delle agenzie e degli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie; se il credito tributario o contributivo ha natura chirografaria, il trattamento non può essere differenziato rispetto a quello degli altri creditori chirografari ovvero, nel caso di suddivisione in classi, dei creditori rispetto ai quali è previsto un trattamento più favorevole”.
[10] 
Cfr. A. Guidara, L’infalcidiabilità IVA nel sovraindebitamento tra irragionevolezza e disapplicazione, in Corr. trib., 2018, p. 3003.
[11] 
Il riferimento è alle sentenze “gemelle” Cass. civ., Sez. I, 4 novembre 2011, n. 22931 e Cass. civ., Sez. I, 4 novembre 2011, n. 22932, entrambe in Riv. dir. trib., 2012, II, p. 35 ss., con nota di L. Del Federico, La Corte di Cassazione inquadra la transazione fiscale nel sistema delle procedure concorsuali.
[12] 
Cfr. M. Mauro, L’intangibilità del credito Iva nel concordato preventivo: la criticabile decisione della Corte costituzionale e l’opportunità del rinvio della questione alla Corte di Giustizia, in Riv. dir. fin., 2014, II, p. 85 ss. 
[13] 
Peraltro, l’accertamento della maggiore economicità e proficuità della transazione rispetto all’attività di riscossione coattiva è stato da sempre considerato immanente da L. Del Federico, Giurisdizione tributaria e procedure concorsuali: i profili processuali della transazione fiscale, in AA.VV. a cura di M. Basilavecchia, G. Tabet, La giurisdizione tributaria nell’ordinamento giurisdizionale, Atti del convegno di Teramo del 22 e 23 novembre 2007, Bologna, 2009, p. 68 ss., che lo ha ritenuto determinante ai fini della ponderazione di interessi pubblici che l’Amministrazione deve compiere nelle proprie determinazioni concernenti l’adesione o il diniego alla proposta di transazione.
[14] 
Peraltro, la rubrica “Transazione e accordi su crediti contributivi” permane all’art. 63, D.Lgs. n. 14/2019, cd. Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza.
[15] 
Cfr. G. Andreani – A. Tubelli, Transazione fiscale e crisi d’impresa, Milano, p. 72, i quali hanno evidenziato come il voto dell’Amministrazione finanziaria “deve essere sulla ‘proposta concordataria’ (e non sulla ‘ proposta’ di trattamento dei crediti tributari ex se”. 
[16] 
A tal proposito non si possono che condividere le opinioni espresse dalla dottrina che, anche al di fuori delle procedure concorsuali (e quindi del procedimento di transazione fiscale), sottolineando la diversità che contraddistingue l’azione vincolata dell’Amministrazione finanziaria nella fase di accertamento rispetto a quella della riscossione, ha rilevato come l’interesse pubblico perseguito dall’attività acquisitiva dei tributi non può dirsi pregiudicato dall’adesione a soluzioni consensuali che possano eventualmente consentirne un livello di soddisfacimento uguale o addirittura maggiore rispetto a quello realizzabile attraverso l’esercizio unilaterale del potere: cfr. S. La Rosa, Accordi e transazioni nella fase della riscossione dei tributi, in Riv. dir. trib., 2008, I, p. 319; A. Guidara, Indisponibilità del tributo e accordi in fase di riscossione, cit., p. 165 ss.
[17] 
Il riferimento è a G. Falsitta, Funzione vincolata di riscossione dell’imposta e intransigibilità del tributo, cit., p. 1067, il quale, con riferimento alla transazione di cui all’art. 3, comma 3, D.L. n. 138/2002, ha osservato come il risultato conseguibile con la transazione fosse più proficuo per l’erario rispetto all’esecuzione forzata.
[18] 
Cfr., di recente e in senso critico, F. Paparella, Le Sezioni Unite ribadiscono la giurisdizione del giudice fallimentare nelle controversie originate dalla condotta dell’Amministrazione Finanziaria avverso la proposta di transazione fiscale, in Riv. tel. dir. trib., 18 gennaio 2022, ove riferimenti alle varie opinioni espresse in dottrina. Tra le posizioni contrarie si segnalano, altresì, A. Carinci, Il diniego di transazione fiscale nel prisma del nuovo Codice sulla crisi d’impresa, cit., p. 2243; A.R. Ciarcia, Diritto della crisi d’impresa: le novità in tema di transazione fiscale, in Riv. tel. dir. trib., 14 aprile 2021. In senso favorevole cfr. D. Corraro, Il giusto ravvedimento della Cassazione sulla giurisdizione in materia di transazione fiscale, in. - Riv. giur. trib., 2021, n. 6, p. 497 ss.
[19] 
Cfr. Cass., SS.UU., ord. 25 marzo 2021, n. 8504. Successivamente la Cassazione, SS.UU., è tornata a pronunciarsi sulla questione con l’ord. 22 novembre 2021, n. 35954.
[20] 
In particolare, l’ord. 25 marzo 2021, n. 8504, ha sottolineato che “...inserita la transazione fiscale (in senso lato) all’interno della disciplina generale delle procedure concorsuali (in senso lato) con il D.Lgs. n. 5 del 2006, la novella della L. n. 232 del 2016, art. 1, comma 81, ha indubbiamente accentuato tale posizione sistematica con la previsione dell’obbligatorietà (‘esclusivamente mediante la proposta...’) del sub-procedimento di ‘trattamento dei crediti tributari’ nell’ambito della ‘procedura madre’ di concordato preventivo o di accordo di ristrutturazione dei debiti. A tale ‘esclusività’ deve darsi un significato di prevalenza della ratio concorsuale su quella fiscale dell’istituto in esame, almeno nel senso funzionale ossia nel senso che questo ‘incidente tributario’ è essenzialmente finalizzato alla definizione concordataria o di ristrutturazione debitoria della crisi di impresa, secondo le regole procedurali dettate per tali procedure concorsuali e di quelle più specifiche di cui alla L. fall., art. 182 ter”. La successiva ord. 22 novembre 2021, n. 35954, riprendendo le argomentazioni della precedente pronuncia, ha anche ribadito “la prevalenza, con riferimento all’istituto in esame, dell’interesse concorsuale su quello tributario, senza che assuma rilievo, invece, la natura giuridica delle obbligazioni oggetto dei menzionati crediti”.
[21] 
Cfr. E. Stasi, La transazione fiscale obbligatoria e il riparto di giurisdizione tra giudice ordinario fallimentare e giudice tributario, in Il Fisco, 2021, n. 11, p. 1389 ss.; F. Paparella, Le Sezioni Unite ribadiscono la giurisdizione del giudice fallimentare nelle controversie originate dalla condotta dell’Amministrazione Finanziaria avverso la proposta di transazione fiscale, cit., ove altri riferimenti ad Autori che sono giunti alla medesima conclusione; A. Carinci, Il diniego di transazione fiscale nel prisma del nuovo Codice sulla crisi di impresa, in Il Fisco, 2021, p. 2243 ss.
[22] 
Cfr. G. Marini, La transazione fiscale: profili procedimentali e processuali, in AA.VV., a cura di F. Paparella, Il diritto tributario delle procedure concorsuali e delle imprese in crisi, Milano, 2013, p. 677; L. Del Federico, Profili evolutivi della transazione fiscale, in Il nuovo Diritto Fallimentare, in AA.VV., a cura di A. Jorio E M. Fabiani, Bologna, 2010, p. 1215; V. Ficari, Riflessioni su “transazione” fiscale e “ristrutturazione” dei debiti tributari, in Rass. trib., 2009, p. 68; F. Paparella, Le Sezioni Unite ribadiscono la giurisdizione del giudice fallimentare nelle controversie originate dalla condotta dell’Amministrazione Finanziaria avverso la proposta di transazione fiscale, cit.
[23] 
Così, tra gli altri, L. Del Federico, Profili evolutivi della transazione fiscale, cit., p. 1226.
[24] 
Cfr. F. Randazzo, Il “consolidamento” del debito tributario nella transazione fiscale, in Riv. dir. trib., 2008, I, p. 831.
[25] 
Cfr. D. Stevanato, Transazione fiscale, in C. Cavallini (diretto da), Commentario alla Legge fallimentare, Milano, 2010, p. 848.
[26] 
Così G. Fransoni, Trattamento dei debiti tributari e concordato preventivo: dal procedimento al processo, cit., p. 304 ss.
[27] 
Tale disposizione, precisamente, stabilisce che “1. Se il debitore è ammesso al concordato preventivo o all’amministrazione controllata, il concessionario compie, sulla base del ruolo, ogni attività necessaria ai fini dell’inserimento del credito da esso portato nell’elenco dei crediti della procedura. 2. Se sulle somme iscritte a ruolo sorgono contestazioni, il credito è comunque inserito in via provvisoria nell’elenco ai fini previsti agli articoli 176, primo comma, e 181, terzo comma, primo periodo del R.D. 16 marzo 1942, n. 267”.
[28] 
Dopo le note e discordanti decisioni adottate, sul punto, dalla Cassazione (v. Cass., SS.UU., 13 giugno 2017 n. 14648; Cass., SS.UU., n. 23832/2017; Cass., SS.UU., 3 maggio 2016, n. 8770), la più recente pronuncia adottata a Sezioni Unite (Cass., SS.UU., 24 dicembre 2019, n. 34447), che ha fatto seguito alla sentenza della Corte cost. n. 114/2018, in ordine al vaglio della prescrizione dei crediti tributari ha affermato la giurisdizione del giudice fallimentare. Cfr., in proposito, G. M. Cipolla, Il riparto di giurisdizione tra Commissioni tributarie e giudice delegato nella fase di insinuazione al passivo dei crediti tributari, in Giur. comm., 2021, p. 110.
[29] 
Difatti, ai sensi dell’art. 176, comma 1, L. fall. (richiamato dall’art. 90 D.P.R. n. 602/1973) “Il giudice delegato può ammettere provvisoriamente in tutto o in parte i crediti contestati ai soli fini del voto e del calcolo delle maggioranze, senza che ciò pregiudichi le pronunzie definitive sulla sussistenza dei crediti stessi”. È chiaro che, non avendo giurisdizione sul merito delle pretese erariali, il giudice dovrà ammettere interamente i crediti tributari contestati nell’elenco dei creditori.
[30] 
Difatti, l’art. 29, comma 1, lett. g) del D.L. n. 78/2010, ha previsto che, ai fini della procedura di riscossione, “i riferimenti contenuti in norme vigenti al ruolo e alla cartella di pagamento si intendono effettuati agli atti indicati nella lettera a)”, ossia agli avvisi di accertamento emessi dall’Agenzia delle entrate. Cfr., sul punto, G. Andreani - A. Tubelli, Le Sezioni Unite della Cassazione rimodellano la transazione fiscale, in Corr. trib., 2021, 6, p. 539 ss. 
[31] 
Cfr., con argomentazioni variamente articolate, F. Paparella, Le Sezioni Unite ribadiscono la giurisdizione del giudice fallimentare nelle controversie originate dalla condotta dell’Amministrazione Finanziaria avverso la proposta di transazione fiscale, cit.; A. Carinci, Il diniego di transazione fiscale nel prisma del nuovo Codice sulla crisi di impresa, cit., p. 2243 ss.
[32] 
Cfr., tra gli altri, L. Del Federico, I crediti tributari nell’accertamento del passivo fallimentare, in Rass. trib., 2015, p. 11; F. Paparella, Le indicazioni delle Sezioni Unite della Suprema Corte sull’impugnabilità dell’estratto di ruolo e gli effetti sull’ammissione al passivo dei crediti tributari, in Riv. dir. trib., 2017, I, p. 1; M. Mauro, Questioni in tema di ammissione dei crediti tributari al passivo fallimentare, in Rass. trib., 2015, p. 805; A. Carinci, L’ammissione al passivo dei crediti tributari, in AA.VV. (a cura di F. Paparella), Il diritto tributario delle procedure concorsuali e delle imprese in crisi, cit., p. 547; G. M. Cipolla, Il riparto di giurisdizione tra Commissioni tributarie e giudice delegato nella fase di insinuazione al passivo dei crediti tributari, cit., p. 110.
[33] 
L’accertamento dello stato passivo del fallimento, invero, è a tutti gli effetti un processo di cognizione, ancorché semplificato e sommario, che vede contrapposti il curatore ed il creditore di fronte al giudice fallimentare in posizione di terzietà: Cfr., tra gli altri, F. Lamanna, Il nuovo procedimento di accertamento del passivo, Milano, 2006, 409 ss.; V. Zanichelli, La nuova disciplina del fallimento e delle altre procedure concorsuali, Torino, 2006, 182 ss.
[34] 
Cfr. S. F. Marzo, I crediti contestati nel concordato preventivo, in Dir. fall. e soc. comm., 2021, n. 3-4, I, p. 593 ss., ove ampi riferimenti. L’Autore, in particolare, ha dimostrato come la verifica dei crediti, seppure condotta incidentalmente, si imponga anche nel concordato preventivo, al fine di evitare che lo strumento concordatario possa prestarsi ad utilizzi distorti o a indebite discriminazioni tra i creditori dell’imprenditore in crisi, nonché per assicurare la genuinità della formazione del consenso sulla proposta concordataria, rientrando sotto entrambi i suddetti profili nella sfera dei poteri esercitabili anche in via officiosa dal Tribunale, sia nella fase di ammissione che nella fase di omologazione del concordato. In tal senso v. anche Cass., ord. 8 gennaio 2019, n. 208; Cass., ord. 2 marzo 2021, n. 5655.
[36] 
Anche nell’accertamento del passivo del fallimento, con riferimento ai crediti tributari il combinato disposto degli artt. 87 e 88 del D.P.R. n. 602 del 1973, a prima vista, sembra individuare testualmente solo nel “ruolo” il titolo necessario per l’insinuazione al passivo. Difatti, l’art. 87 dispone che l’Agente della riscossione, per conto dell’Agenzia delle entrate, chiede l’ammissione al passivo “sulla base del ruolo”, mentre l’articolo successivo, nel disciplinare il caso in cui sussistano contestazioni “sulle somme iscritte a ruolo”, stabilisce l’ammissione del credito con riserva. Tuttavia, al curatore fallimentare, come previsto in relazione alle domande di ammissione presentate dagli altri creditori, è consentito sollevare contestazioni in ordine alla prova del credito tributario allegata alla domanda di insinuazione al passivo, a prescindere che si tratti, o meno, del ruolo (o dell’accertamento esecutivo): cfr. M. Mauro, Questioni in tema di ammissione dei crediti tributari al passivo fallimentare, cit., p. 805 ss. È utile ricordare, in proposito, che la Cassazione (Cass., SS.UU., 15 marzo 2012, n. 4126), dando rilievo alla dichiarazione del contribuente, ha ritenuto ammissibile l’insinuazione al passivo del fallimento direttamente da parte dell’Agenzia delle Entrate, a prescindere, quindi, dall’esistenza del ruolo.
[37] 
Cfr. Cass., ord. 13 giugno 2018, n. 15414.
[38] 
La cessazione della materia del contendere quale effetto del concordato preventivo è stata abrogata a seguito della L n. 232 del 2016. Tale effetto, invece, non ha mai riguardato l’accordo di ristrutturazione dei debiti (cfr. Cass., Sez. V civ., 6 agosto 2020, n. 16755).
[39] 
Cfr., tra le altre, Cass. civ., Sez. trib., 27 febbraio 2020, n. 5334; Cass., ord. 2 novembre 2017, n. 26129; Cass., ord. 18 luglio 2016, n. 14675. In queste pronunce la Suprema Corte ha ritenuto non vincolante e tassativo l’elenco degli atti impugnabili di cui all’art. 19 D.Lgs. n. 546/1992, consentendo l’impugnazione di ogni atto contenente una pretesa sufficientemente determinata e motivata, e precisando, altresì, che l’impugnazione degli atti non tipizzati, in quanto facoltativa, non è soggetta a termine decadenziale, con la conseguenza che la sua mancata impugnazione non preclude la possibilità di impugnare l’atto tipico successivo. In dottrina cfr., tra gli altri, G. Ingrao, Prime riflessioni sull’impugnazione facoltativa nel processo tributario [a proposito dell’impugnabilità di avvisi di pagamento, comunicazioni di irregolarità, preavvisi di fermo di beni mobili e fatture], in Riv. dir. trib., 2007, I, p. 1075; G. Fransoni, Spunti ricostruttivi in tema di atti impugnabili nel processo tributario, in Riv. dir. trib., 2012, I, p. 979; F. Paparella, Le indicazioni delle Sezioni Unite della Suprema Corte sull’impugnabilità dell’estratto di ruolo e gli effetti sull’ammissione al passivo dei crediti tributari, in Riv. dir. trib., 2017, I, p. 1; G. M. Cipolla, Processo tributario e modelli di riferimento: dall’onere di impugnazione all’impugnazione facoltativa, in Riv. dir. trib., 2012, I, p. 957; F. Pistolesi, L’impugnazione 'facoltativa' del diniego di interpello 'disapplicativo', in Riv. trim. dir. trib., 2013, p. 451; L. Perrone, Profili critici degli atti impugnabili nel processo tributario, in Rass. trib., 2020, p. 79.
[40] 
Cfr. F. Paparella, Le Sezioni Unite ribadiscono la giurisdizione del giudice fallimentare nelle controversie originate dalla condotta dell’Amministrazione Finanziaria avverso la proposta di transazione fiscale, cit., ove altri riferimenti.
[41] 
Tale disposizione stabilisce che “L’estratto di ruolo non è impugnabile. Il ruolo e la cartella di pagamento che si assume invalidamente notificata sono suscettibili di diretta impugnazione nei soli casi in cui il debitore che agisce in giudizio dimostri che dall’iscrizione a ruolo possa derivargli un pregiudizio per la partecipazione a una procedura di appalto, per effetto di quanto previsto nell’art. 80, comma 4, del codice dei contratti pubblici, di cui al D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 50, oppure per la riscossione di somme allo stesso dovute dai soggetti pubblici di cui all’art. 1, comma 1, lettera a), del regolamento di cui al decreto del Ministro dell'economia e delle finanze 18 gennaio 2008, n. 40, per effetto delle verifiche di cui all’art. 48 bis del presente decreto o infine per la perdita di un beneficio nei rapporti con una pubblica amministrazione”. In proposito, si veda il commento critico di A. Carinci, Note sparse sulla novella che ha introdotto la non impugnabilità dell’estratto di ruolo nonché della cartella di pagamento e del ruolo per vizio di notifica, in Riv. tel. dir. trib., 12 gennaio 2022.
[42] 
Invero, come sottolineato in dottrina “Se in ragione e sull’assunto che la notifica della cartella è stata nulla o addirittura inesistente si arriva a contestare la pretesa ovvero se ne lamenta l’intervenuta prescrizione/decadenza (ad esempio, perché non si è integrato alcun effetto interruttivo/impeditivo), si apre la strada ad una pronuncia che ha ad oggetto, non tanto il vizio di un atto, quanto l’esistenza/inesistenza della pretesa. Obiettivo del giudizio non diviene più, infatti, rimuovere un atto onde impedire che si definisca, ma già e solo accertare che non c’è più una pretesa”: così A. Carinci, Note sparse sulla novella che ha introdotto la non impugnabilità dell’estratto di ruolo nonché della cartella di pagamento e del ruolo per vizio di notifica, cit.
[43] 
Cfr., per tutti, F. Tesauro, Gli atti impugnabili e i limiti della giurisdizione tributaria, in Giust. trib., 2007, p. 9 ss.
[44] 
  Cfr. Cass., 18 agosto 1996, n. 7579, in Giur. it, 1997, I, 1, p. 602, con nota di A. Turchi, Crediti tributari contestati e tutela concorsuale dell’Amministrazione finanziaria, ancorché con riguardo alle previgenti diposizioni normative (art. 45 del D.P.R. n. 602/1973 nel testo anteriore alle modifiche previste dal D.Lgs. n. 46/1999). In dottrina cfr. M. Martelli, Profili Iva: compensazione dei crediti Iva della procedura e problematiche relative all’ammissione al passivo del credito erariale, in AA.VV., a cura di Tosi, Problematiche fiscali del fallimento, Padova, 2005, p. 73 ss.

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