Secondo il primo angolo visuale ci si deve chiedere se il comportamento del debitore – che, post omologazione, abbia proceduto con le modifiche al piano ispirate a buona fede ed al soddisfacimento della proposta – possa essere censurato mediante lo strumento civilistico dell’azione di responsabilità, qualora i risultati in concreto raggiunti non siano allineati alle attese e, anzi, portino al default dell’impresa.
A tal proposito, pare qui venire in rilievo il noto principio business judgment rule e la relativa esegesi compiuta da giurisprudenza e dottrina ([3]).
Sul punto, in questa sede è appena il caso di ricordare che – in estrema, quasi banalizzante semplificazione – il predetto principio conduce alla tendenziale insindacabilità del merito delle scelte gestorie, qualora le stesse non siano palesemente irragionevoli (secondo un giudizio “ex ante”) e vengano adottate ad esito di una corretta procedimentalizzazione.
In linea generale, la business judgement rule poggia su un trittico di regole fondamentali che investono la fase decisoria dell’azione di governo societario:
- l’amministratore deve sempre agire in modo informato ed operare con cautela e diligenza; a tal fine la società deve istituire un adeguato assetto organizzativo;
- la decisione deve essere assunta nei limiti della Legge e non in conflitto di interessi;
- la decisione deve essere ragionevole, ossia coerente con gli esiti della fase istruttoria.
A seguito delle modifiche recate dal Codice della Crisi, la declinazione stessa della business judgment rule si conforma all’obbligo degli amministratori di attivarsi per intercettare tempestivamente la crisi e, successivamente, scegliere lo strumento più idoneo previsto dall’ordinamento per superare la crisi.
Tale principio deve guidare la valutazione degli esiti delle scelte degli amministratori, sia in fase pre-concorsuale, sia nelle fasi successive e quindi anche in sede di esecuzione del concordato.
Nella fase di deterioramento delle condizioni finanziarie, tale principio – assurgendo la tutela dei creditori sociali quale focus supremo dell’operato gestorio – diventa centrale nella scelta degli strumenti con cui affrontare lo stato di crisi, che dovranno essere tempestivamente adottati anche grazie alla predisposizione di adeguati meccanismi che, appunto, esplichino pienamente la propria funzione in corrispondenza della predetta, delicatissima fase ([4]).
Insomma, in altri termini – se vogliamo più semplicistici – si può affermare che, con l’approssimarsi della crisi, viene in luce un “irrobustimento” della diligenza imposta in capo all’organo amministrativo, stante la circostanza che la situazione di patologia reca la seguente criticità: ossia, che chi ricopre l’ufficio gestorio possa implementare operazioni azzardate, ad alto coefficiente di rischio, perniciose per i creditori sociali ([5]).
Secondo l’interpretazione che appare preferibile, la responsabilità dell’imprenditore può configurarsi solo laddove gli strumenti apprestati risultino irrazionali, nel senso di essere avulsi da criteri di ragionevolezza e logicità ed estranei alle dinamiche ed alle potenzialità dell’azienda ([6]).
Ancor più in profondità ed in via sistematica: in considerazione dell’essenziale ruolo della business judgment rule nel diritto societario, è necessario riconoscere la sua applicabilità anche nel contesto, delicato e complesso, della specifica fase di esecuzione del piano.
Nella fase esecutiva, gli amministratori debbono assumere decisioni sotto la “pressione” del dover risanare e rilanciare l’attività aziendale, pur operando in un contesto di (inevitabile) limitazione delle risorse finanziarie.
L’adozione della business judgment rule in questo scenario va quindi intesa come il riconoscimento che, anche nella gestione della risoluzione della crisi aziendale, le decisioni degli amministratori devono essere protette rispetto ad una valutazione eccessivamente rigorosa o retrospettiva, purché assunte in buona fede, sulla base di informazioni adeguate, con ragionevolezza e nell’interesse della società e dei suoi creditori, permettendo agli amministratori di perseguire le soluzioni adeguate per raggiungere il soddisfacimento della proposta concorsuale; per l’effetto, senza il timore di incorrere in responsabilità per il solo fatto che tali decisioni – pur parzialmente in distonia rispetto all’originario piano, ma pur sempre orientate al miglior soddisfacimento dei creditori – comportino dei rischi.
Certamente, è essenziale che la riacquisita autonomia decisionale dell’organo amministrativo, successiva all’omologazione del concordato, venga equilibrata con adeguati sistemi di controllo e trasparenza, e che le decisioni adottate siano in linea con gli obbiettivi del concordato e dirette a proteggere gli interessi dei creditori e degli altri stakeholders coinvolti.
In questo contesto, i principi stabiliti dalla giurisprudenza relativi alla c.d. business judgment rule possono offrire un criterio di valutazione efficace rispetto ad un’azione amministrativa responsabile e proattiva, anche nei momenti maggiormente critici della vita aziendale. Ciò, anche considerando che le scelte gestorie dovranno essere dirette al successo nell’attuazione del piano, conformandolo – in linea con le recenti evoluzioni del diritto concorsuale ed ai principi indicati nella direttiva insolvency – al raggiungimento della sostenibilità dell’impresa (ossia la c.d. “viability” ([7])).
In definitiva, proprio la valutazione del comportamento degli amministratori ispirata dal principio business judgment rule consente di esonerarli da responsabilità nel caso in cui le loro decisioni gestionali, pur deviando dall’originario piano di concordato, siano comunque orientate al raggiungimento degli obiettivi fondamentali dello stesso ed alla sua causa concreta (id est, la soddisfazione della proposta).
In questo modo, si riconosce una certa flessibilità nella gestione, permettendo agli amministratori di adattarsi a circostanze impreviste o a cambiamenti del contesto di mercato, sempre nell’ottica di perseguire il miglior interesse dei creditori e la continuità aziendale ([68]).