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Giudizio di fattibilità e “ragionevole probabilità di impedire l’insolvenza”. Ruolo del giudice e poteri dei creditori*

Alida Paluchowski, Presidente Sezione procedure concorsuali del Tribunale di Milano

14 Febbraio 2022

*Scritto destinato all’Opera collettanea, a cura di Fondazione Nazionale Dottori Commercialisti e della rivista Diritto della Crisi, dal titolo “Ce lo chiede l’Europa”. Dal recupero dell’impresa in difficoltà agli scenari post-pandemia: 15 anni di riforme. Atti del XXVIII Convegno di Alba del 20 novembre 2021, organizzato da Associazione Albese Studi di Diritto commerciale.
L’Autrice indaga il tema della fattibilità del concordato preventivo in una prospettiva sistematica.

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1 . Premessa della evoluzione del concetto di fattibilità nel concordato
Il giudizio di omologazione della l. 267 del 1942 nella versione precedente al 2006, era il momento in cui il Tribunale comparava la proposta del debitore rivolta ai creditori col modello legale del concordato preventivo previsto dalla legge e in sintonia coll’allora esistente marcata eterotutela che il giudice poneva in essere, espressione del dirigismo economico e dell’intervento pubblico nell’economia allora esistente e caratterizzante la realtà economico-giuridica italiana, permetteva una valutazione della proposta così “intima” da consentire di negare l’omologa, nonostante tutti i creditori avessero votato positivamente la proposta, se la stessa era ritenuta non conveniente rispetto alla soluzione liquidatoria fallimentare.
L’indagine e la decisione del Tribunale erano un esempio di tutela degli interessi dei creditori che superava il potere della loro convinzione e che esprimeva il massimo del potere di indagine della proposta nel merito, sia in ordine alla sua realizzabilità sia alla sua convenienza.
La riforma degli anni 2005 - 2006 ha capovolto l’approccio del Pubblico all’economia, essa rappresenta uno svincolo dell’Esecutivo dai doveri di indirizzo dell’economia, maturati sul convincimento, formatosi medio tempore, che le questioni economiche potessero e dovessero essere affrontate e risolte efficacemente dai privati portatori di interessi confliggenti. Alla base vi era la convinzione che fonda le sue radici nella teoria dell’analisi economica del diritto che nel gioco di equilibri che i vari interessi riescono legittimamente ad assumere nella realtà del mercato essi tendono a equilibrarsi in modo sostanzialmente corretto così da consentire a tutti gli interessi che contano di ottenere soddisfazione proporzionale appunto alla loro importanza. 
La conseguenza diretta di questo mutamento profondo (che comportava anche il sollievo dall’onere di sostenere economicamente l’economia da parte del potere pubblico) è stata l’arretramento della figura del giudice e del potere giudiziario in generale nelle procedure concorsuali da gestore a controllore di legalità di scelte e condotte poste in essere da altri (il debitore, i creditori, i terzi) che naturalmente avrebbero dovuto avere una griglia di principi certi e immanenti ai quali ispirare le proprie condotte (la buona fede nelle trattative, l’obbligo di non danneggiare i creditori con scelte azzardate ponendo in pericolo le loro garanzie, ecc.). Non ci si può esimere, però dall’osservare che l’ideologia liberista influenzò molto la stesura della riforma ponendo in luce una predilezione, fra i vari interessi contrapposti in gioco, per il debitore, al cui comportamento furono riconosciuti molteplici incentivi, abolendo tendenzialmente le sanzioni, ritenendola una scelta più armonica rispetto all’impostazione della riforma. Ciò ha oggettivamente dato vita a un periodo in cui i creditori meno importanti, i chirografari, dopo avere perso le percentuali minime di riparto, che erano prima del 2005 del 40% e poi divennero indeterminate, furono privati anche della volontà di votare o meno, in quanto si allargò il principio del silenzio assenso del concordato fallimentare, al concordato preventivo [1]. Le percentuali libere, come è ovvio nel libero mercato senza alcun controllo, tesero a minimizzarsi, finché, entrato in vigore l’istituto del concordato con riserva, le proposte di concordato ai creditori allora per il 96% di natura liquidatoria, giunsero a essere caratterizzate da percentuali solo virtuali, in quanto ove fossero state attualizzate avrebbero mostrato la loro vera natura di sostanziale prossimità allo zero.
A questo punto socialmente si è riscontrato un fenomeno di ribellione dei piccoli creditori chirografari, che numericamente erano la stragrande maggioranza dei soggetti che, subendo concordati particolarmente miseri, entravano in crisi a loro volta ed erano costretti a proporre concordati indecenti o fallire. 
In esito a questo movimento, cui Confindustria ha dovuto dare voce e spazio, denominato “Io non voglio fallire “dal titolo di un libro che ne fu il manifesto, scritto da una piccola imprenditrice veneta, il governo emise la legge n. 132 del 2015[ 2], denominata dai suoi detrattori “controriforma”. Con essa venne reintrodotto un limite all’offerta del debitore ai creditori chirografari nel concordato liquidatorio pari al 20% ed abolito il silenzio assenso, nel 178 l.f., inoltre per evitare la preparazione di proposte preconfezionate e “bloccate” a favore del debitore che si poteva accordare con terzi per imporre ai creditori una soluzione priva di alternative, non la migliore per loro o per l’impresa, ma la migliore per i suoi interessi, la legge adottò la competitività come chiave di lettura delle attività liquidatorie di qualunque proposta di concordato, rendendo possibili persino proposte concorrenti di concordato da parte di terzi , una volta che il debitore vi avesse acceduto.
2 . La distonia fra merito e cassazione: Cass. SS.UU. n. 152/2013
Con la omologa post riforma 2006 il tribunale dà efficacia ed esecutività ad un accordo che si assume sostanzialmente privato e quindi risponde agli stessi criteri ed esigenze fatte proprie dall’art. 129 in sede di concordato fallimentare.
La novità introdotta dalla riforma è stata la scissione tra l’ipotesi in cui nel giudizio di omologazione non venissero presentate opposizioni e quella invece in cui le opposizioni si introducessero con ricorso depositato 10 giorni prima dell’udienza fissata dal tribunale.
Quando non vi erano opposizioni, il tribunale doveva limitarsi, si affermava usualmente, alla verifica della procedura sotto il profilo della sua legalità, al controllo dell’esito del voto e poi doveva procedere alla omologazione [3]). La suprema Corte puntualizzava che il tribunale è privo del potere di valutare d’ufficio il merito della proposta di concordato preventivo perché tale potere appartiene solo ai creditori e solo in caso di dissidio tra i medesimi in ordine alla fattibilità, denunciabile attraverso l’opposizione all’omologazione, il tribunale, preposto per sua natura alla soluzione dei conflitti, poteva intervenire risolvendo il contrasto con una valutazione di merito in esito a un giudizio in cui le parti contrapposte potevano esercitare appieno il loro diritto di difesa.
Ciò escludeva in ogni caso che, pur di fronte a un piano privo di qualunque attitudine a raggiungere gli obiettivi prefissati, ove l’attestatore avesse invece concluso in modo diverso, il tribunale potesse rifiutare di procedere all’omologa, in quanto il suo potere di indagine e sulle condizioni di ammissibilità della procedura, valutate ai sensi dell’articolo 163 l.f., era in questo caso ritenuto inesistente. Serpeggiava tra i giudici di merito la rivendica della possibilità di valutare la fattibilità della proposta anche in sede di omologa e pure in assenza di opposizione, mentre la Cassazione insisteva nell’affermazione della inesistenza di un potere del tribunale poiché, mancando le opposizioni, il tribunale aveva solamente una funzione di presidio di legalità. È evidente che l’orientamento dei giudici di merito era direttamente figlio di quella propensione all’etero tutela sostitutiva ed integrativa da parte del giudice di cui ho detto in apertura, tesa a tutelare gli interessati spesso colpiti da fenomeni di disincentivazione ad assumere iniziative legali di qualunque tipo.
Speculare in qualche modo alla “contrapposizione” che si era verificata tra i sostenitori della soluzione liberistica assoluta e quelli della soluzione liberistica calmierata, si era innestata una evidente distonia fra i giudici di merito ed i giudici di legittimità in ordine al contenuto dei poteri del giudice in sede di omologa e sul contenuto della indagine che poteva essere svolta in quella sede definitiva per la procedura.
Per la Corte di cassazione a sezioni semplici nel 2011, invece, il tribunale era addirittura privo del potere di valutare d’ufficio il merito della proposta sia in sede di ammissione alla procedura, che nel procedimento per l’eventuale revoca [4].Una successiva pronuncia, però, dello stesso 2011, stabiliva che il tribunale poteva invece rilevare d’ufficio eventuali nullità, quali l’illiceità o l’impossibilità dell’oggetto (ad es., incommerciabilità dei beni), e ciò non impediva al medesimo, nel procedimento di omologazione, di verificare, anche d’ufficio, la iniziale o sopravvenuta non fattibilità del piano. [5] Questa pronuncia veniva assunta come orientamento leader della giurisprudenza di merito e stante il contrasto all’interno della stessa sezione prima della Cassazione, la questione veniva rimessa alla Sezioni unite[6].
La pronuncia che ne usciva era vistosamente frutto di un compromesso fra due orientamenti che si contrapponevano anche nel giudice di legittimità. La decisione arcinota, SS.UU. n. 1521 del 2013, si è espressa in termini complessi, prima di tutto affermando che vi è un dovere del giudice in sede di omologa, analogo a quello esistente in ogni altra fase della procedura (di ammissione, di revoca, di omologa) di controllo di legittimità, che si esplica anche sulla fattibilità della proposta di concordato, non risultando questo giudizio escluso da un diverso giudizio dell’attestatore, mentre è riservata solo ai creditori la valutazione di merito che riguarda la probabilità di successo economico ed i rischi inerenti “l’operazione concordato” nel suo complesso , espressione che si riassume comunemente nel termine: “convenienza”.
Il contenuto del controllo di legittimità si realizzava attraverso la verifica della realizzabilità della causa concreta del concordato. La causa concreta, categoria introdotta per la prima volta in una procedura e, quindi al di fuori dell’ambito ordinario negoziale andava intesa «come obiettivo specifico perseguito dal procedimento, non ha contenuto fisso e predeterminabile, essendo dipendente dal tipo di proposta formulata, pur se inserita nel generale quadro di riferimento, finalizzato al superamento della situazione di crisi dell’imprenditore, da un lato, e all’assicurazione di un soddisfacimento, sia pur ipoteticamente modesto e parziale, dei creditori, da un altro». La soluzione accolta dalla Suprema Corte creava una soluzione binaria, che mantenendo ai creditori una posizione di primo piano purtuttavia recuperava il giudice ad un ruolo maggiormente attivo rispetto a quello del notaio. Infatti, al tribunale veniva riconosciuta la possibilità di valutare – già dalla fase di ammissione – la fattibilità giuridica, con la possibilità quindi di operare una valutazione circa la sussistenza di eventuali violazioni di norme inderogabili, che potessero incidere sulla concreta realizzabilità della proposta. Tale valutazione poteva e doveva essere ripetuta anche in sede di omologa attraverso la individuazione della causa concreta del negozio proposto ai creditori. Il mezzo attraverso il quale la valutazione era compiuta era la ricerca ed il controllo della causa contrattuale del concordato che variava, ovviamente a seconda di come il concordato era concepito, vista la atipicità di base della sua conformazione. Il concordato inammissibile e illegittimo diveniva quello in cui il negozio era palesemente inidoneo, quindi, a realizzare la causa concreta cui le parti tendevano cioè a superare la crisi da un lato, soddisfacendo in qualche misura anche modesta e parziale, il diritto dei creditori in tempi ragionevoli, dall’altro lato[7].
Pacificamente non vi era una percentuale obbligatoria minima, né vi era obbligo, di corrispondere davvero quella percentuale proposta in caso di concordato liquidatorio, salvo che vi fosse garanzia in tal senso del debitore.
Perciò gli elementi su cui l’esame in sede di omologa poteva appuntarsi anche in caso di mancanza di opposizioni erano l’assenza di violazioni di norme inderogabili, e la presenza della causa giuridica ovvero la idoneità o meglio non manifesta inidoneità del concordato a superare la crisi (attraverso la ristrutturazione dei debiti) in qualsiasi forma, soddisfacendo parzialmente ed anche in misura modesta i creditori, ma in tempi ragionevoli, che divenivano, pertanto anche essi un aspetto della idoneità del procedimento che poteva legittimare il rifiuto di omologa .
2.1 . La giurisprudenza dopo il 2013. il modificarsi dell’ambito di indagine sulla fattibilità
Queste le premesse della evoluzione propria della giurisprudenza sul tema dei poteri del tribunale in sede di omologa ed in particolare sulla fattibilità del piano che sostiene la proposta, come cartina di tornasole della realizzabilità della stessa [8]. Si sono verificati per alcuni fattori esterni imprevedibili nel 2013 che hanno condotto a questa evoluzione. Innanzitutto il concordato si è oggettivamente modificato in questi anni sino a rendere quasi raro quello che era il modello tipo su cui la pronuncia era stata meditata e tarata, il concordato liquidatorio, e ora è costituito infatti quasi integralmente da concordati in continuità, per i quali il legislatore, nell’intento protettivo dei creditori dal possibile potenziale espropriativo della continuazione e della prededuzione che la caratterizza, ha posto delle caratteristiche peculiari e stringenti al piano che sostiene la proposta e alla proposta stessa, affermando poi che essi devono perseguire in ogni caso il best interest dei creditori [9]. Cosicché, nella ormai fondamentale Cass. 9061 del 2017 [10], la stessa Corte ha finito per dipingere un quadro diverso dalla 1521/13, necessitato dal modificarsi delle fattispecie in omologa. Infatti, ha ribadito che in tema di concordato preventivo il tribunale è tenuto ad una verifica diretta del presupposto di fattibilità del piano per poter ammettere il debitore alla relativa procedura. Ha chiarito che mentre il controllo di fattibilità giuridica volto ad individuare la violazione di norme inderogabili, (es. la vendita di beni la cui destinazione urbanistica non lo consente) non incontra particolari limiti, quello concernente la fattibilità economica, intesa come realizzabilità di esso nei fatti, può essere svolto nei limiti della verifica della sussistenza, o meno, di una manifesta inettitudine del piano a raggiungere gli obiettivi prefissati, individuabile caso per caso in riferimento alle specifiche modalità indicate dal proponente per superare la crisi (le modalità atipiche in cui il concordato persegue ristrutturazione e soddisfazione dei creditori). Ha affermato che in questo ambito il giudice dell’ammissione, della revoca ex art. 173 o dell’omologa deve porsi nella prospettiva funzionale propria della causa concreta. Ha per la prima volta dovuto integrare questo aspetto di indagine nell’ottica del concordato in continuità perché il tenore dell’art. 186-bis [11] sostanzialmente sconosciuto all’epoca della discussione che ha dato vita alla 1523/2913, imponeva un aggiornamento della prospettiva delle sezioni unite. Ha così precisato che nell’ipotesi di concordato con continuità aziendale ai sensi dell’articolo 186-bis la rigorosa verifica della fattibilità del piano per indagare la causa “in concreto” presuppone un’analisi inscindibile dei presupposti giuridici e di quelli economici, dovendo il piano con continuità essere idoneo a dimostrare la sostenibilità finanziaria nel tempo della continuità stessa, in un contesto in cui il favor per la prosecuzione dell’attività imprenditoriale è accompagnato da una serie di cautele inerenti il piano e l’attestazione, tese ad evitare il rischio di un aggravamento del dissesto ai danni dei creditori, al cui miglior soddisfacimento la continuazione dell’attività non può che essere funzionale (e non può che esserlo perché lo afferma lo stesso art. 186-bis, secondo comma, punto b). 
Ecco,quindi, che l’indagine sulla causa concreta diviene per il concordato in continuità, come ribadito anche nella successiva pronuncia del 27.09. 2018 n. 23315, e nella 11.522 del 15.6.2020 indirettamente, l’indagine sulla plausibilità della proposta e sulla verifica che i flussi di cassa ed il conseguente indebitamento non siano tali da erodere le prospettive di soddisfazione dei creditori. Tale ultima indagine che emerge dal tenore dell’art. 186-bis, ultimo comma, che attribuisce al Tribunale il potere di revocare l’ammissione al concordato nella forma della continuità aziendale qualora l’esercizio dell’attività d’impresa risulti manifestamente dannoso per i creditori, non rappresenta per la corte una chiave per riconoscere un potere legittimo di indagare da parte del Tribunale la fattibilità economica o la convenienza pura del procedimento, ma solo una tutela protettiva verso i creditori che hanno il diritto di valutare la fattibilità economica e la convenienza solo di proposte plausibili e che non li danneggino in modo palese[ 12]. è abbastanza evidente però che la Corte pur riconfermando il tenore della 1523/13 formalmente, in realtà se ne sta allontanando, poiché l’esame del Tribunale deve essere sempre più aderente al giudizio prognostico che sta alla base del concordato e deve indagarlo. Esso viene necessariamente coinvolto tangenzialmente nel giudizio in base allo stesso tenore del 186-bis
Ai creditori resta la valutazione afferente la probabilità di successo economico del piano con i rischi conseguenti [13]. 
Attualmente l’affermazione contenuta nell’art. 161, secondo comma, l.f., nel prescrivere la presentazione di un piano contenente la descrizione analitica delle modalità e dei tempi di adempimento della proposta, impone al debitore di esplicitare i passaggi logici e tecnici per mezzo dei quali la prestazione dallo stesso offerta ai creditori può diventare concretamente fattibile ed i modi con cui egli intende raggiungere concretamente il risultato che la proposta rappresenta per i creditori. Questa serie di considerazioni fa sì che debba considerarsi sempre sindacabile dal tribunale, la proposta che risulti implausibile ovvero la proposta che si presenti manifestamente priva di una ragionevole “chances” di successo [14]. Ciò che si realizza in assenza di logicità e coerenza complessiva delle conclusioni dell’attestatore, nonché in assenza di attuabilità giuridica degli assunti del piano. [15].
Superata e spero chiarita nelle sue ragioni giustificatrici la provocazione che implicitamente ho avvertito nella relazione del prof. Stanghellini circa la inspiegabile condotta della giurisprudenza, devo invece esprimere il mio pensiero sugli istituti del d.l. n. 118/2021 e sul modificarsi del concetto di fattibilità che il concordato semplificato introdotto ha veicolato nel nostro ordinamento 
3 . Il D.L. n. 118 del 2021 conv. in L 147 del 23.10.2021
Il decreto n. 118 del 2021, ha inserito nel panorama degli strumenti di lotta alla crisi del nostro ordinamento un percorso agevolato per la conduzione delle trattative volte alla composizione negoziata della crisi d’impresa. È un percorso di natura privatistica ispirato certamente alle procedure di Early Restructuring contemplate nella direttiva 1023 del 2019 che si caratterizza per essere concettualmente da assumere molto prima del ricorso agli strumenti classici della legge fallimentare. Uno strumento facile per quanto riguarda l’accesso, informatico e gestito su di una piattaforma comune, a basso costo, tutelato da una forte tutela della riservatezza e dalla concessione di ausili giurisdizionali cui l’imprenditore in crisi rectius l’impresa in crisi può accedere In caso di esito negativo delle trattative per la composizione negoziata, una delle possibili soluzioni offerte all’imprenditore per perseguire il suo fine, accanto al piano di cui all’articolo 67 l.f., all’accordo di ristrutturazione, al concordato ordinario è il cosiddetto concordato semplificato. Procedura concorsuale, quest’ultima, ma di tipo sostanzialmente residuale, molto diversa dal concordato ordinario, cui può accedersi solamente quando tutte le altre chances sono state indagate ma non hanno potuto o non sono riuscite a realizzarsi. Si tratta di una soluzione per evitare la procedura liquidatoria fallimentare, ottenendo ugualmente l’esdebitazione ma distaccando l’imprenditore dalla sua “creatura”, l’impresa che, quando la continuità diretta non è possibile, assicura la continuità comunque del complesso produttivo mediante l’alienazione dell’azienda, ovvero in via indiretta. Lo scopo da un lato, quindi, è quello di mantenere l’unitarietà del complesso produttivo e dall’altro di farlo alienandolo al miglior offerente e sempre nell’intento di soddisfare i creditori in una prospettiva che non sia peggiore di quella che avrebbero all’interno di una procedura liquidatoria giudiziale.
Questo tipo di concordato è l’estrema ratio per evitare la liquidazione giudiziale-fallimento ed è molto difforme da quello ordinario, non ha una attestazione, non ha un momento di ammissione vero e proprio, non ha un commissario giudiziale, perché l’amministrazione ordinaria e straordinaria rimangono in mano all’imprenditore, non ha una votazione dei creditori con la relativa adunanza, perché non è richiesta la loro volontà; esso appare infatti intimamente un procedimento coattivo, ispirato a quello delle amministrazioni straordinarie o delle liquidazioni coatte amministrative. Con chiaro parallelismo con quelle ipotesi vi è chi sorveglia e tutela degli interessi dei creditori che non possono votare, affinché non siano inutilmente lesi. Il controllo non può che essere giurisdizionale e si svolge quindi in fase di omologa.
Tra gli scopi della creazione e formulazione di questa procedura vi è quello di ridurre all’osso i tempi (si pensi che prima deve essere stata tentata infruttuosamente la composizione negoziale e quindi possono essere passati dai 120 ai 240 giorni, durata massima delle procedure protettive e cautelari degli artt. 6 e 7 del d.l. n. 118) e i costi, infatti la commissione ha preso atto che le procedure giurisdizionali hanno costi rilevanti per attestatori, per advisors esperti, consulenti, periti, commissari e liquidatori. L’alzare l’asticella della indagine e la qualità della attestazione secondo l’indagine della commissione riferita dal Prof. Stanghellini che mi ha preceduto porta ad una fuga dal Tribunale da parte delle imprese in crisi, che temono anche l’eccesso di analisi delle decisioni. Lo strumento dovrebbe essere eccezionale, destinato a ipotesi di crisi irresolubile con l’ordinario concordato che ha soglie di soddisfazione dei creditori troppo alte ed è teso al raggiungimento del best interest per i creditori. Qui il meccanismo è sostanzialmente a contraddittorio posticipato e assicura che l’operazione non sia più dannosa per i creditori rispetto alla soluzione liquidatoria fallimentare che evita. Alcuni opportuni aggiustamenti occorsi in sede di conversione alla stesura originaria del d.l. n. 118 [16] rassicurano che l’idea di fondo sia quella di uno strumento ad utilizzo molto delimitato, così da fugare i timori in ordine alla possibilità di strumentalizzare la stessa composizione negoziata come un semplice escamotage preparatorio alla vera volontà di convogliare i creditori all’interno di un concordato semplificato perché sostanzialmente coattivo e senza soglie minime. 
L’art. 18, così come modificato dalla legge di conversione, specifica che quando l’esperto nella relazione finale dichiara che le trattative si sono svolte secondo correttezza e buona fede ma, ciò nonostante, non hanno avuto esito positivo ed altresì dichiara che le soluzioni individuate non sono praticabili, allora si verifica la condizione che legittima la presentazione di una proposta di concordato semplificato che il legislatore definisce per cessione di beni; esso deve essere accompagnato da un piano di liquidazione e dagli stessi documenti indicati nell’art. 161, secondo comma, lettere A, B, C e D della legge fallimentare. L’imprenditore chiede l’omologazione del concordato con un ricorso presentato al tribunale del luogo in cui l’impresa ha la propria sede [17], ricorso che va comunicato al pubblico ministero e pubblicato a cura del cancelliere nel registro delle imprese entro il giorno successivo al suo deposito in cancelleria.
Dalla pubblicazione della notizia della presentazione del ricorso sul registro delle imprese si producono gli effetti tipici degli artt. 167, 168, 169 e del 111, in ordine alla prededucibilità.
Il tribunale, a questo punto, inizia una fase che si può definire istruttoria (visto che non vi è mai stata ammissione) e deve valutare numerosi aspetti della domanda presentata avvalendosi degli strumenti esistenti.
In primo luogo, esamina la ritualità della stessa, ovvero che sia stata presentata dopo che è stata tentata una seria composizione negoziale, la quale pur tuttavia non ha avuto esito positivo. Questo tipo di controllo avviene attraverso l’acquisizione della relazione finale di cui al comma uno dell’articolo 18 redatta dall’esperto all’esito della composizione negoziale negativa. Nel protocollo allegato al decreto dirigenziale al punto 14,7 si afferma che quando in esito alle trattative non sia stato raggiunto alcun accordo con le parti interessate l’esperto può riportare nella relazione finale la propria opinione sulla praticabilità tra gli esiti di cui all’articolo 11 di una soluzione concordata della crisi.
Se il tribunale lo ritiene, per poter interpretare gli elementi della relazione finale dell’esperto e le risposte del medesimo riferite nel parere, potrà nominare un ausiliario ex art. 68 c.p.c. che però non equivale al commissario giudiziale [18] e non ne ha i penetranti poteri, circostanza che il legislatore della riforma pare voler evitare; è un consulente tecnico d’ufficio iscritto agli albi del tribunale che giura, con capacità contabili ed amministrative, conoscenze commercialistiche e di bilancio, capace di valutare un’azienda, di esaminare un budget o un piano industriale. Ciononostante, per la disciplina, la legge ha dovuto poi fare riferimento agli artt. 173, 184, 185, 186, 217-bis e 236 l.f., affermando che devesi sostituire alla figura del commissario giudiziale quella dell’ausiliario.
L’aiuto dell’ausiliario, di tipo sostanzialmente tecnico scientifico, serve non solo a superare i limiti della capacità aziendalistica del giudice delegato, ma a valutare le affermazioni sia dell’esperto che del debitore, e, come si vedrà, può essere utilizzato anche oltre il primo parere previsto dall’art. 18, quarto comma, probabilmente per valutare anche le affermazioni degli eventuali soggetti opponenti nel procedimento di omologazione.
L’opposizione può essere proposta da qualunque creditore e da qualsiasi interessato, senza limitazioni numeriche o di percentuale, i quali si devono costituire, come nel concordato ordinario nel termine perentorio di 10 giorni prima dell’udienza fissata dal tribunale.
4 . La decisione di omologa, un diverso concetto di fattibilità
Il processo immaginato dal legislatore è un processo estremamente celere e concentrato. Non è ipotizzabile alcuna differenza formale tra l’omologa con opposizioni e senza, come è invece nel concordato ordinario, mentre i poteri istruttori e di decisione del Tribunale sono ampi e delimitati solo dal perimetro delle condizioni di omologa indicate dall’art. 18, quinto comma.
Le condizioni perché l’omologa possa essere pronunciata riguardano innanzitutto il controllo di legalità e quindi la regolarità del contraddittorio e del procedimento, invece con riferimento al merito vi sono alcune condizioni che influenzano in tutta evidenza il concetto di fattibilità che è alla base della omologabilità di questo particolare tipo di concordato. In primo luogo, il rispetto dell’ordine delle cause legittime di prelazione ed anche, in caso di suddivisione in classi, la correttezza e legittimità della determinazione delle stesse. La sussistenza della cosiddetta “fattibilità del piano di liquidazione”, cui è consustanziale l’accertamento che la proposta non arrechi pregiudizio ai creditori rispetto all’alternativa della liquidazione fallimentare e che, naturalmente la proposta assicuri a ciascun creditore una utilità facilmente apprezzabile.
In apparente contrasto concettuale con quanto auspicato nella relazione che mi ha preceduta sulla necessità di abbassare l’asticella dell’intensità dell’indagine giurisdizionale, la commissione, a mio avviso, ha recuperato nella funzione giurisdizionale del Tribunale un’ampiezza di poteri che è addirittura pari a quella esistente in epoca antecedente alla riforma del 2006, probabilmente perché esso, nei limiti precisi indicati dalla norma, opera come garanzia sostitutiva della partecipazione di ciascun creditore al procedimento concordatario. [19] Il legislatore pur avendo assoluta contezza di tutte le problematiche che hanno portato alla pronuncia della sentenza SS.UU. n. 1522 del 2013, non ha differenziato il tipo di fattibilità cui il tribunale deve indirizzare la sua disamina. In altre parole, non ha indicato come limite della disamina sulla fattibilità l’indagine sulla causa concreta del negozio, e non ha ripreso la differenziazione fra fattibilità giuridica e fattibilità economica del negozio. Non l’ha fatto probabilmente perché quello in parola non è affatto un negozio, trattandosi sostanzialmente di una procedura coattiva, nella quale è il tribunale a dover garantire che la stessa non sia una soluzione deteriore rispetto a quella fallimentare. Quindi probabilmente non ha alcun senso in questa sede distinguere fra fattibilità giuridica e fattibilità economica. D’altra parte, sia l’esperto che l’ausiliario sono in grado di esprimersi competentemente in tema di fattibilità economica della proposta e il tribunale, dovendo accertare che la soluzione non sia pregiudizievole per i creditori, ha una indicazione ben precisa di quale deve essere la soglia economica al di sotto della quale la proposta non può andare, a differenza di quello che avviene nel concordato ordinario. La soglia del pregiudizio è quella economica realizzabile in sede di liquidazione fallimentare, in merito alla quale può essere condotta l’indagine se la soluzione liquidatoria offerta dall’imprenditore assicura un risultato identico o migliore, perché in caso diverso la proposta non può trovare omologazione. L’indagine sulla mancanza di pregiudizio non si sostanzia in una valutazione bilanciata tra il pregiudizio delle ragioni dei creditori e la prosecuzione dell’attività di impresa, in quanto c’è un limite ben preciso indicato dalla legge della valutazione di convenienza che è in definitiva indipendente dalla valutazione della continuità. La valutazione che il tribunale può dare della liquidazione fallimentare, oltre ad essere aiutata dal parere dell’esperto e dell’ausiliario, dovrà tenere conto del fatto che non vi è una norma di retrodatazione del periodo sospetto della revocatoria [20]al momento della nomina dell’esperto o al momento del deposito della proposta di concordato semplificato, cosicché una serie di vantaggi che il concordato ordinario realizza attraverso la consecuzione di procedure in questo caso non è ravvisabile.
La fattibilità che va valutata in questa sede è la realizzabilità della proposta di liquidazione proposta dal debitore. La complessità del giudizio rispetto al concordato ordinario è decisamente minore non dovendosi valutare un piano di continuità che ha anni di sviluppo, ma esclusivamente una operazione di alienazione, che poggia sulla attendibilità della valutazione del complesso aziendale, per il quale vi sarà una perizia e sulla idoneità delle garanzie di adempimento da parte dei soggetti che hanno formulato le offerte o sono stati individuati come acquirenti.
Recuperando qui il tema generale della fattibilità e della sua evoluzione osservo che la comparazione che sostiene il giudizio è ridotta di entità e semplificata concettualmente, perché non è chiesto il best interest ma una soluzione non deteriore rispetto a quella liquidatoria fallimentare, in presenza della quale l’eventuale opposizione risulta infondata perché non vi è esproprio delle ragioni creditorie, ma semplicemente la preferenza del legislatore per una scelta di continuità indiretta rispetto a quella liquidatoria fallimentare atomistica. Nell’ottica dello strumento di utilizzo limitato nel tempo e nelle ipotesi di cui si è detto più sopra, pertanto, si tratta di una scelta opportuna e chiarificatrice, condivisibile ad una analisi più attenta.

Note:

[1] 
Legge 7 agosto 2021 n. 134 di conversione del d.l. 22 giugno 2012 n. 83.
[2] 
L. 132 del 2015 di conversione del D.L.n. 83/2015.
[3] 
Cfr. Cass. 26.09.2013 n. 22083 est. De chiara, su www.leggiditalia.it.
[4] 
Cfr. Cass. n. 13817 del 23 giugno 2011 est. Zanicheli, in Il Fall., 2011, 933 e ss.
[5] 
Cass.n. 18864 del 15 settembre 2011, est. Bernabai, in Il Fall., 2012, 39.
[6] 
Vedi Cass. ord. n. 27063 del 15 dicembre 2011 est. Rordorf, in Il Fall., 2012, 229 ss.
[7] 
Cass. 25.09.2013 n. 21901 est. Cristiano, su www.Ilcodicedeiconcordati.it.
[8] 
Cfr. Capozzi, La verifica sulla fattibilità del piano nel concordato Preventivo, valutazione sistematica delle caratteristiche, dei costi e dei possibili risultati, Crisi d’impresa ed insolvenza, in www.ilcaso.it, 23. Giugno 2021, pag. 7.
[9] 
Così il testo del 186-bis introdotto dalla legge 134/2012.
[10] 
Cass. 7.4.2017 n. 9061, est. Terrusi, www.ilcaso.it e Cass. 27.09.2018 n. 23315, est. Di Marzio, www.Ilcaso.it, ambedue in tema di concordato in continuità.
[11] 
Cfr. l. 7 agosto 2012 n, 134, di conversione del D.L. 22 giugno 2012 n. 83 art. 33.
[12] 
Cfr. Cass. 27.09.2018 n. 23315 est. Di Marzio su www.ilcaso.it.
[13] 
Cfr. Cass. 25.09.2013 n. 21901, est. Cristiano, www.Ilcodicedeiconcordati.it. La pronuncia è in sintonia anche con alcuni dei principi di Cass. 6.112013 n. 24970, est. De Chiara, su www.ilcaso.it
[14] 
Cfr. Cass. 23.7.2021 n. 21190, ord. est. Dolmetta, www.dirittodellacrisi.it.
[15] 
Cfr. G. Ciervo,Il giudizio di fattibilità del piano di concordato preventivo nella recente giurisprudenza della Suprema Corte, Nuovo diritto delle società, 2015, fasc. 3.
[16] 
Alludo da un lato al completamento e chiarimento del contenuto della legge attraverso l’ineliminabile ausilio del decreto dirigenziale, del 28.09.2021 alla cui lettura si rimanda con particolare attenzione al protocollo che lo accompagna che illumina l’attività dell’esperto, figura fondamentale per il successo di tale procedimento, punto 7.5. Dall’altro penso alla aumentata responsabilità dell’esperto che ha l’onere di fermare le negoziazioni senza futuro, al permanere delle responsabilità penali degli imprenditori per le condotte che violano i doveri loro imposti, alla esplicazione delle modalità colle quali la gestione ordinaria o straordinaria deve essere compiuta da questi ultimi, vedi l’art. 4 co. 5 che impone che la gestione non pregiudichi ingiustamente gli interessi dei creditori il cui senso meglio si comprende ora alla luce del art. 9 co. 1 che chiarisce che la gestione deve evitare pregiudizio alla sostenibilità economico-finanziaria dell’attività, ma in caso di insolvenza, reversibile, essa va condotta nel prevalente interesse dei creditori. (Il giudizio di prevalenza ritengo debba essere formulato rispetto all’interesse alla continuazione dell’attività aziendale ed a quello del debitore).
[17] 
Non mi pare dubbio che non si è scientemente richiamata la norma dell’art. 9 e la inopponibilità dei trasferimenti di sede infrannuali, perché è la situazione effettiva che c’è che il legislatore vuole risanare. Per la inapplicabilità si veda G. Bozza, Il concordato semplificato introdotto dal D.L. n. 118/2021 convertito, con modifiche dalla L n. 147/2021, in Diritto della Crisi , nov. 2021.
[18] 
Per una vicinanza con il commissario giudiziale si è espresso G. Bozza, Il concordato semplificato introdotto dal D.L. n. 118/2021 convertito, con modifiche dalla L n. 147/2021, cit; 146.
[19] 
L’orientamento espresso in questa sede è stato in precedenza formulato in un incontro del 10.11.2021 presso la Scuola Superiore della Magistratura nell’ambito del corso sul Concordato Preventivo, nel quale la sottoscritta ha svolto una relazione sull’omologazione.
[20] 
Cfr. G. Bozza, Il concordato semplificato introdotto dal D.L. n. 118 del 2021 convertito, con modifiche dalla L. n. 147/2021, cit., 150.

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