L’evoluzione della legislazione in tema di crisi d’impresa degli ultimi 15 anni è stata importante, anche se il cardine è rimasto la legge fallimentare del 1942, spesso indicata come il segno dell’incapacità del nostro sistema di evolversi. In realtà l’evoluzione, condizionata dalla necessità di adattarsi ai nuovi standard internazionali e ai vincoli derivanti dall’appartenenza all’UE, è stata importante e le obiettive inefficienze sono state più la conseguenza della generale inefficienza del nostro apparato giudiziario che dell’inadeguatezza della nostra legislazione.
La riforma Vietti del 2005-2006 ha rappresentato la svolta fondamentale. E’ stata abbandonata la logica sanzionatoria e liquidatoria tipica della legislazione concorsuale tradizionale. Per la prima volta si sono regolate in modo adeguato le conseguenze della crisi, non soltanto dell’insolvenza. Sono stati introdotti nel nostro ordinamento tre istituti di fondamentale importanza: il nuovo concordato preventivo vera e propria moderna procedura di ristrutturazione saldamente ancorato al controllo giudiziale; gli accordi di ristrutturazione che, dopo un inizio incerto, sono ormai una procedura di sicuro successo e di reale impatto nella pratica; i piani attestati di risanamento. Per la prima volta è stata riconosciuta la possibilità di deroga alla regola della par condicio, in principio su base convenzionale ed in seguito secondo il principio del best creditors’ interest test.
Il nostro legislatore è stato incapace di rimuovere dal sistema l’amministrazione straordinaria che, sia pur con alcuni correttivi, continua a garantire la prosecuzione dell’attività delle imprese insolventi di dimensioni medio-grandi e rappresenta una sicura anomalia. Essa però consente la gestione immediata delle crisi di maggior rilevanza, per le quali la generale inefficienza del sistema giudiziario non offre garanzie sufficienti.
Nel 2012 il vuoto normativo creato dalla riforma Vietti per le imprese commerciali sotto soglia, per le imprese agricole e per i soggetti non imprenditori – soggetti tutti che erano passati dal privilegio, che l’esenzione dal fallimento assicurava nel vecchio sistema sanzionatorio, all’impossibilità di fruire delle nuove opportunità, è stato colmato con la nuova disciplina del sovraindebitamento, potenzialmente fruibile da un’enorme platea di destinatari. Il codice della crisi ha rivisto queste norme, recentemente anticipate con una novella nella legge fallimentare, ed ha aggiunto due nuovi istituti di grande importanza: l’esdebitazione dell’incapiente, ora anticipata anch’essa nella legge fallimentare, e la procedura familiare, che consente la trattazione congiunta delle situazioni di insolvenza che sorgono in ambito appunto familiare.
La riforma Vietti intendeva ridurre la sfera dell’intervento del giudice. Meno giudice e più mercato era il principio che aveva mosso il legislatore, presto smentito dall’interpretazione che delle norme hanno dato i tribunali e la Cassazione, poi seguita dal legislatore. La riforma è stata integrata da molteplici interventi legislativi che anno dopo anno hanno disegnato il sistema che conosciamo oggi, integrando ad esempio la disciplina dei finanziamenti e della prededuzione, dei rapporti pendenti nel concordato, introducendo l’istituto del concordato con riserva, ampliando negli accordi di ristrutturazione la sfera degli effetti nei confronti dei creditori estranei e creando i presupposti per il loro riconoscimento come vera e propria procedura concorsuale.
La mancanza di strumenti efficaci di tempestiva rilevazione della crisi, che ha reso necessario consentire alle imprese di accedere alle procedure conservative anche se insolventi, e l’imponente ricorso alle procedure in via opportunistica in mancanza di serie prospettive di recupero, ha provocato a far tempo dal 2015 interventi legislativi diretti ad assicurare un maggior controllo del giudice.
Il prezzo è stato pagato in termini di maggior rigidità ed inefficienza.
Intanto la legislazione europea ha iniziato ad avere effetti vincolanti sul nostro sistema. La disciplina dell’insolvenza transfrontaliera, prima sostanzialmente ignorata in Italia per la mancanza di grandi gruppi integrati a livello sovranazionale, è stata estesa alla disciplina della crisi e della ristrutturazione, ed è stato avviato il processo di armonizzazione dei diritti nazionali che sarebbe sfociato nella Direttiva sui quadri di ristrutturazione preventiva.
L’Italia però, alla pari dei maggiori Paesi europei escluso il Regno Unito, non ha colto l’opportunità rappresentata dalla Model Law dell’Uncitral in tema di insolvenza e non si è dotata di un sistema di riconoscimento rapido delle procedure concorsuali aperte fuori dall’Unione Europea.
La riforma Rordorf doveva rivedere la riforma in termini sistematici, tenendo conto dei vincoli europei, e doveva attuare un sistema di early warning che rimediasse ai difetti strutturali della nostra legislazione. Il risultato – il codice della crisi e dell’insolvenza – va valutato in termini positivi per la previsione di principi generali e la chiara individuazione degli obblighi del debitore e dei creditori nella crisi, per il coordinamento e la riscrittura delle procedure conservative dell’impresa, per la revisione della disciplina del sovraindebitamento, per l’introduzione per la prima volta del concordato e della liquidazione di gruppo. Meno felice la mancata approfondita revisione della liquidazione dell’impresa, le eccessive rigidità nella disciplina del concordato in continuità riservato ai soli casi di prevalenza, i vincoli occupazionali, le eccessive rigidità burocratiche nella disciplina dell’allerta. Il codice è stato depotenziato dalla mancata introduzione del giudice specializzato e fortemente avversato per il timore che l’allerta mettesse a nudo i difetti strutturali di una parte significativa del nostro sistema d’imprese, incapace di innovare, restia a crescere, sottocapitalizzata e troppo dipendente dal credito bancario.
Il resto è storia recente ed è stata la ragione del XXVIII Convegno tenutosi ad Alba il 20 novembre 2021.
Gli interventi urgenti adottati dal legislatore sulla spinta del Covid con la temporanea sospensione delle procedure esecutive e delle istanze di fallimento, il forte rallentamento dell’attività giurisdizionale causato dal lockdown e dallo smart working e con i provvedimenti temporanei ed ingenti di sostegno alle imprese hanno ritardato il momento, ormai prossimo, in cui dovranno essere affrontate e gestite le crisi di tante imprese generate o aggravate dalla pandemia.
Il legislatore ha rinviato il codice della crisi a causa dell’allerta, non per differire all’infinito una riforma che in definitiva, a parte appunto l’allerta, era soltanto una importante riorganizzazione del sistema già esistente, non una rivoluzione epocale, come erroneamente è stato detto. Dell’allerta sono rimasti per le sole società e imprese collettive gli assetti adeguati disciplinati dall’art. 2086 c.c. con il conseguente dovere di attivarsi per garantire la continuità aziendale e l’obbligo dell’organo di controllo, dove esistente, di intervenire in caso d’inerzia degli amministratori[1]. Il ruolo dell’organo di controllo è stato potenziato nella recente riforma della composizione negoziata.
Intanto è entrata in vigore la Direttiva sui quadri di ristrutturazione preventiva e l’Italia, avendo già usufruito della possibilità di rinvio di un anno, deve adeguare la propria legislazione entro il prossimo luglio. L’adeguamento riguarda i meccanismi di early warning, la presenza di almeno una procedura di ristrutturazione delle imprese in crisi ed insolventi, anche sotto soglia, che sia in linea con i requisiti richiesti dalla Direttiva, la presenza di un sistema di esdebitazione e fresh start che al più tardi scatti entro tre anni dall’apertura della procedura di liquidazione concorsuale anche qui per tutte le imprese, senza limiti dimensionali.
Al momento si sono adeguati alla Direttiva Francia, Germania, Olanda, Grecia. Il Portogallo sta per varare la propria legislazione. La Spagna ha appena attuato un’importante riforma della propria disciplina.
La composizione negoziata, frutto della prima parte dei lavori della Commissione Pagni, istituita dalla Ministra Cartabia, è stata definitivamente approvata dalla legge 147/2021 di approvazione del decreto legge 118.
La Commissione è ora all’opera per l’adeguamento del codice della crisi alla Direttiva. E’ ragionevole ritenere che la composizione negoziata prenderà il posto dell’allerta nel titolo II del codice.
Intanto la Ministra ha posto mano per la prima volta da molti anni alla riforma della disciplina penale dei reati concorsuali, con la nomina della Commissione di riforma presieduta da Renato Bricchetti, una riforma assolutamente indispensabile perché l’evoluzione del nostro diritto concorsuale ha reso la disciplina penale, che ancora risale al 1942, obsoleta perché diretta esclusivamente alla tutela degli interessi dei creditori contro il rischio di dispersione e sottrazione del patrimonio e contro la violazione della par condicio. Occorre un sistema che tenga conto delle esigenze d è della conservazione dell’impresa e dell’affievolirsi della par condicio come valore fondante della disciplina concorsuale.
Sono questi i temi su cui si è articolato il Convegno.
Silvia Giacomelli dal suo punto di osservazione privilegiato in Banca d’Italia, ha fotografato la situazione delle imprese italiane in rapporto alla crisi ed all’efficacia degli strumenti di regolazione della medesima. Silvia è componente della Commissione Pagni.
Andreas Stein, che ancora ringraziamo per la sua disponibilità, ha risposto alle domande di Giorgio Corno sull’adeguamento dei 27 Stati dell’Unione alla Direttiva. Sulle esperienze olandesi e tedesche di attuazione della riforma sono intervenuti Robert Van Galen e Christoph Paulus, noti esperti a livello internazionale.
Paola Severino ci ha spiegato com’è possibile riformare la nostra legislazione penale evitando che essa divenga sempre di più un “fossile vivente”, un lacerto del tempo che fu.
I successivi interventi si sono concentrati sulla composizione negoziata. I punti di forza del nuovo istituto sono l’accesso ad istanza di parte, il filtro d’ingresso presidiato da un’analisi aziendalisticamente fondata delle condizioni dell’impresa, la condizione dell’imprenditore che mantiene il pieno potere gestionale, il ruolo di facilitatore della soluzione negoziale dell’esperto, terzo ed indipendente, non imbelle di fronte alle iniziative dell’imprenditore, ed ancora l’intervento del giudice sugli atti fondamentali ( misure protettive, finanziamenti assistiti dalla prededuzione, cessione d’azienda, rinegoziazione dei contratti). Va sottolineata la possibilità di cessione rapida dell’azienda senza trasferimento all’acquirente dei debiti pregressi secondo le indicazioni del giudice che riguarderanno le modalità di individuazione dell’acquirente e la garanzia che il prezzo venga effettivamente destinato al soddisfacimento dei creditori.
La composizione negoziata non sostituisce pienamente l’allerta perché richiede l’iniziativa dell’imprenditore, a tanto incentivato dalla vigilanza dell’organo di controllo. Nelle imprese individuali e nelle società prive di organo di controllo manca per il momento un’adeguata vigilanza.
Vi sono state critiche che lamentano una sorta di “controriforma” rispetto al trend della legislazione iniziato nel 2015 per la lamentata sottrazione di poteri di controllo al giudice. Mi pare e l’ho già osservato in altre occasioni che si tratti di critiche frutto di un’affrettata lettura della legge. I presidi ci sono e sono rilevanti. L’utilizzo opportunistico della procedura mi pare difficile[2].
I problemi sono molto più prosaici. Da un lato la difficoltà di organizzare in tempi brevi i corsi e l’iscrizione all’elenco di chi intende svolgere il ruolo di esperto e di avviare la piattaforma telematica presso le Camere di Commercio. Dall’altro di gestire le molte domande di accesso al nuovo strumento negoziale, che – occorre ribadirlo – non è una procedura, evitando gli accessi opportunistici di imprese decotte che debbono essere liquidate. Per questa ragione abbiamo intitolato il panel che affronta questi temi: “Il diavolo è nei dettagli”.
Su questi temi riproponiamo gli interventi di Sandro Pettinato, vice segretario generale di Unioncamere, da tempo motore dell’attuazione prima dell’allerta ed ora della composizione negoziata, di Riccardo Ranalli, cui dobbiamo gran parte del lavoro che è stato fatto per chiarire il compito affidato all’esperto ed in particolare, non da solo, la redazione del test e della lista di controllo contenuti nel decreto dirigenziale del Ministero della Giustizia di attuazione del d.l. 118.
Nell’impossibilità di trattare tutti i temi che sono oggi sul tavolo della Commissione Pagni e senza ovviamente entrare nella concreta declinazione dei lavori della Commissione, ne abbiamo scelti alcuni:
- il giudizio di fattibilità del piano secondo la Direttiva, in termini di ragionevolezza della previsione;
- la rivoluzione copernicana che porterebbe nel nostro sistema la scelta della Direttiva, da cui gli Stati membri possono discostarsi, di accogliere la relative priority rule e quindi di modificare il rigido schema del soddisfacimento dei creditori secondo l’ordine delle cause di prelazione e la parità di trattamento dei creditori chirografari, per facilitare la ristrutturazione con maggiori incentivi per alcune categorie di creditori e per gli stessi soci dell’impresa in crisi;
- il nuovo istituto “eretico” del concordato liquidatorio semplificato, senza voto dei creditori, cui l’imprenditore può accedere in caso di esito negativo della composizione negoziata, con il solo limite che la proposta non preveda un trattamento deteriore rispetto al fallimento, ove però l’esperto attesti che le trattative si sono svolte secondo buona fede e non siano decorsi più di sessanta giorni, uno strumento che può convincere i creditori più rigidi ad ammorbidire il loro atteggiamento per evitare appunto la soluzione concordataria.
Su questi temi riportiamo gli interventi di Alida Paluchowski, Stefania Pacchi, Giorgio Lener.
Il nostro Convegno è sempre stato attento ai profili non strettamente giuridici della disciplina concorsuale. Per questo abbiamo chiesto a Marcello Messori, di affrontare in ideale continuità con il convegno dell’anno passato, il fenomeno NPE, non soltanto nel suo andamento, che con la crisi segna un aumento del numero di NPL e di UTP, ma anche nel suo duplice impatto sul sistema bancario e sulla crisi d’impresa. Allo scritto di Marcello Messori si aggiunge una mia riflessione sul fenomeno indagato dal diverso punto di vista delle conseguenze della classificazione a NPL sulle trattative per la ristrutturazione del debito per l’imprenditore debitore del credito non performante
Ringrazio Bruno Inzitari e Cristina Bauco che hanno voluto accompagnare alla pubblicazione degli atti un ulteriore contributo di riflessione.