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Saggio

I giudizi di omologazione nel Codice della Crisi*

Ilaria Pagni, Ordinario di diritto processuale civile nell'Università di Firenze-Pres. Commissione ministeriale di riforma
Massimo Fabiani, Ordinario di diritto commerciale nell'Università del Molise Componente Commissione ministeriale di riforma

31 Agosto 2022

*Il saggio è stato sottoposto in forma anonima alla valutazione di un referee.
*Lo scritto è destinato, con eventuali variazioni, allo Speciale di Diritto della crisi, di prossima pubblicazione, dal titolo “Studi sull’avvio del Codice della crisi” a cura di Laura De Simone, Massimo Fabiani e Salvo Leuzzi.
La previsione di un procedimento unitario per tutte le procedure di regolazione della crisi incide anche sulla ricostruzione, oltre che sulla collocazione nel Codice, dei giudizi di omologazione del concordato preventivo e degli altri strumenti soggetti a omologa, rimodellati sia con riferimento alle regole processuali, sia con riferimento al contenuto delle valutazioni rimesse al tribunale. Una questione delicata, che rimane aperta, è quella della natura e dell’oggetto di questi procedimenti: su questa i tempi non sono maturi per considerazioni conclusive, ma è opportuno riprendere il dibattito alla luce delle novità del Codice, data l’importanza, non solo da un punto di vista teorico ma anche applicativo, dell’argomento trattato e le sue ricadute sui problemi che l’introduzione, per la prima volta nel sistema concorsuale, di un procedimento unitario porta con sé e che al momento non possono essere neppure immaginati.
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1 . Il nuovo assetto delle omologazioni dalla legge fallimentare al Codice della crisi
Nella legge fallimentare l’organizzazione della procedura di concordato preventivo, nella sequenza degli adempimenti che portavano alla definizione del procedimento, era relativamente semplice: tutto era collocato negli artt. 174 ss. L. fall., nei quali si incontrava prima la disciplina dell’approvazione e poi quella dell’omologazione.
Ora, invece, le norme sono collocate in due parti diverse del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (d’ora in avanti ‘CCII’) e l’ordine è rovesciato:
(i)   il procedimento di omologazione, seppur posteriore al momento deliberativo, è disciplinato prima (artt. 48, 51, 52 e 53 CCII, con un richiamo, poi, nell’art. 112);
(ii) l’iter deliberativo è collocato dopo (artt. 107-111 CCII);
(ii) lo stesso accade per gli accordi di ristrutturazione (artt. 57 ss. CCII) e per il piano soggetto a omologazione (artt. 64 bis ss. CCII).
La scelta è solo apparentemente disarmonica, perché ha una sua razionalità dovuta essenzialmente al ‘dominio’ del procedimento unitario: un dominio originariamente più affermato (tanto nella legge delega che nei principi generali del D.Lgs. 14/2019) che effettivamente realizzato[1], ma ora conseguito in modo più deciso, dal momento che il Codice disciplina non soltanto il rito applicabile in caso di riunione, modificando l’art. 7, primo comma, CCII, ma si preoccupa anche di permettere che, attraverso la proposizione di domande riconvenzionali, le varie istanze volte alla sistemazione della crisi o all’apertura della liquidazione giudiziale confluiscano nell’unico procedimento costruito come una sorta di contenitore delle diverse procedure, e che, perciò, all’apertura del procedimento per effetto del ricorso di uno dei più legittimati possa far seguito la comparsa di costituzione di chi voglia richiedere una diversa forma di regolazione della crisi, o di intervento di chi non aveva preso l’iniziativa, e, inoltre, che il giudice si pronunci con unico provvedimento sulle diverse domande in tal modo introdotte in giudizio.
In questa prospettiva, poiché il procedimento è unico, attrae ogni richiesta di apertura di uno dei quattro strumenti giudiziali di regolazione della crisi (accordi di ristrutturazione, piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione, concordato preventivo e liquidazione giudiziale, messe in disparte le procedure ‘amministrative’), e il procedimento si può sviluppare in direzioni diverse, era logico che le regole processuali della fase dell’omologazione fossero anticipate rispetto a quelle del contenuto del giudizio del tribunale e contemplate all’interno della disciplina del procedimento unitario.
Le riflessioni che seguono avranno ad oggetto il procedimento di omologazione nella declinazione dell’art. 48 CCII, che operano anche per il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione, dato che l’art. 64 bis rinvia ai primi tre commi dell’art. 48.
Inizieremo col modello del procedimento di omologazione del concordato (e di riflesso del piano) accennando marginalmente, dal cono visivo del contenuto delle opposizioni, al tema delicato della profondità del controllo del tribunale. Poi passeremo al giudizio di omologazione degli accordi di ristrutturazione e infine all’analisi delle impugnazioni, per poi concludere con la disciplina dell’efficacia della sentenza, nell’altalena degli effetti che si possono avere in caso di revoca della liquidazione giudiziale e omologazione del concordato, del piano o degli accordi.
Ma prima di analizzare la struttura del procedimento, è necessario riaprire la discussione sulla natura del procedimento e sul suo oggetto. Il tema - sul quale, come vedremo, è ancora prematuro immaginare risposte definitive - non è soltanto teorico, ma può incidere sulle questioni applicative di notevole spessore che si porranno nei mesi a venire (soprattutto, ma non solo, per l’intreccio tra gli strumenti di regolazione della crisi tra loro, e con l’iniziativa per la liquidazione giudiziale), a partire da quelle di diritto intertemporale così tanto dibattute e controverse in queste prime settimane di vigenza del Codice.
1.1 . La natura del procedimento. I punti fermi
Un punto per noi è certo. La natura e l’oggetto del procedimento non cambiano a seconda che siano proposte o meno opposizioni: non si trasforma un procedimento di volontaria giurisdizione in un processo contenzioso[2], non si muta l’oggetto del giudizio, ma semplicemente si amplia la cognizione del giudice perché si introducono fatti che altrimenti il tribunale non avrebbe modo di conoscere. Questo, però, niente ha a che vedere con la natura volontaria o contenziosa del procedimento; semplicemente, il giudice, se vi sono opposizioni, dovrà svolgere qualche accertamento in più.
Altro punto certo è la funzione del giudizio di omologazione: il giudizio mira a consentire, con la sentenza di omologazione, che tutti gli effetti dell’accordo stipulato fra il debitore e la maggioranza dei creditori si estendano ai terzi: si pensi agli effetti rispetto ai creditori anteriori (art. 117 CCII), agli effetti sull’esenzione dalle azioni revocatorie (art. 166, comma 3, lett. e), agli effetti ai fini dell’esimente dal reato di bancarotta (art. 324 CCII).
Meno evidente è la tipologia del giudizio. Siamo in presenza di un modello lasciato alla discrezionalità del giudice, ma in una cornice regolatoria più definita rispetto a quella tipica del procedimento camerale del codice di rito, dato che il legislatore ha previsto termini e modi del processo, tratteggiandone alcuni tempi e alcune forme. Che i tratti distintivi siano quelli dei procedimenti in camera di consiglio si ricava, sul piano formale, dal richiamo all’“udienza in camera di consiglio”[3] contenuto nell’art. 48 comma 1 CCII: ma ci si può chiedere se, a dispetto di questa indicazione letterale, non si debba qualificare il procedimento come un processo a cognizione piena, ma semplificato, al modo di quanto è stato ritenuto, con riferimento all’art. 15 L. fall., per l’istruttoria fallimentare[4].
L’opzione per il modello camerale, infatti, potrebbe rilevare per dimostrare che non sono in discussione diritti soggettivi e che il provvedimento conclusivo – l’omologazione assunta con sentenza – non ha natura decisoria. Tuttavia, poiché è noto che il procedimento in camera di consiglio è divenuto ormai, per la giurisprudenza costante del giudice di legittimità, un contenitore neutro, adatto ad includere anche liti su diritti, la scelta del legislatore può essere considerata neutra[5]. E se così è, possiamo tenerci lontani da una classificazione motivata da prese di posizione preconcette, rimanere aderenti all’indicazione normativa e mantenere il giudizio di omologazione tra quelli camerali: considerando la scelta ragionevolmente coerente con l’impostazione sistematica del concordato, del piano e degli accordi, seppure non priva di criticità sul piano applicativo, dal momento che il modello di procedimento non è né quello generale del codice di rito (art. 737 ss. c.p.c.), né quello camerale ma arricchito previsto nell’art. 124 CCII e richiamato per il concordato di liquidazione dall’art. 245 CCII.
Su questi punti tutto sommato è più facile essere d’accordo. Più delicata, invece, è la questione della natura e dell’oggetto del giudizio, perché il giudizio di omologazione del concordato, degli accordi e del piano di ristrutturazione continua a sfuggire, per un verso o per l’altro, alle categorie tradizionali del processo civile.
1.2 . Segue. Il rapporto fra concordato (causa) e giudizio di omologazione (oggetto)
Andiamo per gradi. Proviamo a dare per ammesso, sia per precedenti speculazioni[6] che per l’esplicita previsione normativa di cui all’art. 2 lett. m-bis CCII, che la causa del concordato preventivo sia la regolazione della crisi secondo le regole del concorso concordatario. Il concordato è rivolto alla sistemazione della crisi di un’impresa e la sistemazione della crisi può avvenire in base a regole che disciplinano il concorso fra i creditori e che sono ben diverse rispetto agli accordi di ristrutturazione e al piano di ristrutturazione soggetto a omologa, non fosse altro che per il fatto che solo nel concordato sono stabilite regole di distribuzione del valore (v., artt. 84 e 112 CCII)[7].
Se è vero che la causa del concordato preventivo è la regolazione della crisi e che la procedura di concordato è lo strumento per comporre con i creditori quella crisi, cionondimeno, poiché il giudizio di omologazione rappresenta soltanto un segmento della procedura concordataria, rispetto al quale è servente, non necessariamente l’oggetto dell’uno dev’essere ricostruito in base alla seconda. Al tempo stesso, però, non si può non tener conto in alcun modo del fatto che il giudizio è retto dall’unico ricorso previsto all’art. 40 CCII.
Di nuovo, alcuni punti fermi. Oggetto del processo di concordato e oggetto del giudizio di omologazione non sono né la qualità di imprenditore commerciale non sotto-soglia del debitore, né lo stato di crisi o di insolvenza, né i diritti dei creditori.
I primi due, al più, rappresentano i presupposti perché ci possa essere una procedura concordataria.
Ancora, salvo quanto si vedrà in maniera più approfondita più avanti, ciò di cui si discute nel giudizio di omologazione è se la crisi del debitore - crisi che come detto rappresenta un presupposto del procedimento - può essere composta col concordato o se deve essere risolta con la procedura di liquidazione giudiziale o comunque con una soluzione di carattere espropriativo. Messa la questione in questi termini, si potrebbe dire che al fondo si tratta di porre al centro del processo il controllo sull’esercizio di quello che può essere definito un potere processuale, il potere di chiedere che il giudice verifichi che la crisi può essere regolata con la disciplina del sistema concorsuale-concordatario[8]. In questa chiave, si tratterebbe in particolare di capire se oggetto del giudizio sia la conformazione di un potere, un diritto, o invece se si tratti semplicemente di attribuire efficacia a un accordo, senza che si possa ragionare in termini di oggetto del processo perché un vero e proprio oggetto del processo non c’è.
1.3 . Segue. Il procedimento unitario e l’iniziativa dell’organo di controllo
Il tema dell’oggetto del processo è un tema classico del diritto processuale civile, seppure in tempi più recenti tenda ad essere meno valorizzato che in passato, tanto che taluno discute dell’utilità di una indagine di questo tipo.
Rimane ferma la necessità, comunque, di stabilire il perimetro dell’intervento del giudice e il vincolo che si forma sul provvedimento, sia esso di vero e proprio giudicato o di semplice preclusione. In questa prospettiva resta, quindi, opportuno continuare a interrogarsi sull’oggetto del giudizio anche nella materia concorsuale.
Una considerazione preliminare: sul punto, in passato e con riguardo al sistema della legge fallimentare rivisitata a partire dal 2005, abbiamo espresso idee differenti[9]; oggi, con l’introduzione del procedimento unitario, entrambe le visioni potrebbero essere messe parzialmente in discussione. È comunque utile offrire delle chiavi di lettura che tengano conto dei diversi approcci.
Il giudizio di omologazione, abbiamo detto, si inserisce nel procedimento unitario, e rappresenta, come in passato, un segmento della procedura di concordato, ma oggi è retto, diversamente dal passato, dal medesimo ricorso che avvia la procedura concordataria. Ricorso che può reggere anche il procedimento per l’apertura della liquidazione giudiziale, anch’esso disciplinato dall’art. 40 CCII.
È proprio da qui che dobbiamo partire: dal procedimento unitario, immaginandolo avviato da una domanda di apertura della liquidazione giudiziale. Con questo ricorso, il creditore chiede che il suo credito sia tutelato con le regole dell’espropriazione concorsuale; se nel procedimento si inserisce la domanda di concordato, il debitore chiede che i suoi debiti seguano le regole del concorso, ma vengano trattati in base alle pattuizioni negoziali[10] che prevalgono su quelle del procedimento liquidatorio[11]. 
Ciò implica che creditore e debitore da una parte (nella liquidazione giudiziale) e debitore e creditori dall’altra (nel concordato preventivo) si collochino comunque in posizione antagonista. La contrapposizione di interessi, infatti, è intrinseca alla situazione di dissesto (o di semplice crisi, ma non risolvibile con le sole ‘forze’ del debitore) e il fatto che il debitore possa, nel caso concreto, anche aderire al ricorso per liquidazione giudiziale, o i creditori possano talora non essere interessati a proporre opposizione al concordato, non incide sulla valutazione di quale sia la natura e l’oggetto del processo.
Nel sistema anteriore alla introduzione del procedimento unitario, si poteva sostenere (è la tesi di uno dei due autori di questo saggio) che il ricorso per fallimento e il ricorso per concordato preventivo avessero in comune l’oggetto nella parte in cui il ricorrente fa valere una situazione potestativa strumentale (il passaggio dalla regolazione civilistica a quella commercialistica delle obbligazioni); dopo di che, una volta che si fosse accertata la sussistenza dei requisiti che giustificavano l’apertura del fallimento, ciò che ne seguiva era un procedimento esecutivo, mentre in caso di accertamento dei presupposti del concordato, quella che ne derivava era una composizione fondata prevalentemente sui principi della autonomia privata. Di conseguenza anche il giudizio di omologazione era inteso come un giudizio avente ad oggetto il diritto del debitore di vedere risolta la propria crisi secondo le regole negoziali. 
Quella conclusione è ora messa fortemente in dubbio dall’inserimento di una previsione eterodossa che troviamo nell’art. 37 CCII là dove si attribuisce la titolarità dell’iniziativa per l’apertura della liquidazione giudiziale anche agli organi di controllo, ovvero il collegio sindacale o il sindaco unico[12]. Poiché non vi è dubbio che i controllori non siano titolari di alcuna posizione che possa qualificarsi in termini di esercizio di un potere che non sia meramente processuale[13], ribadire la tesi avanzata in passato comporta, per chi non la voglia abbandonare, uno sforzo ricostruttivo tutt’altro che semplice. Non minori criticità presenta – ma questa volta perché è il ricorso ex art. 40, che, al di fuori dell’ipotesi dei sindaci, sembra postulare che si faccia valere un diritto, a reggere anche il giudizio di omologazione - la ricostruzione di chi (è la tesi dell’altro dei due autori) preferisce escludere che nell’omologazione si decida di diritti potestativi, e ritiene che si operi, piuttosto, nel settore in cui l’intervento giudiziale serve solo a consentire all’atto dei privati di produrre un’efficacia che, in quanto tale da incidere sulla posizione di “terzi”, richiede un controllo da parte del giudice.
La previsione di una iniziativa dell’organo di controllo, nel nostro sistema, si ritrova anche in vicende che presentano una qualche simmetria rispetto a quella della legittimazione all’apertura della liquidazione giudiziale, come la denuncia di cui all’art. 2409 c.c. Una simmetria che si può cogliere anche nel fatto che in entrambi i casi concorre con quella, sebbene con riferimento ad alcune categorie soltanto di società, l’iniziativa del pubblico ministero.
A proposito del procedimento di cui all’art. 2409 c.c. vi è chi discorre di ‘giurisdizione obiettiva’, rispetto alla quale non si controverte né su diritti, né su poteri, ma sul dovere di provvedere[14].
Per altri, si tratta di giurisdizione volontaria a tutto tondo.
Secondo la Cassazione, la denuncia di cui all’art. 2409 c.c. “dà vita ad un procedimento di amministrazione di interessi privati, definito di volontaria giurisdizione, il quale comporta un’attività oggettivamente amministrativa, connotata dalla modificabilità e revocabilità dei provvedimenti i quali, se pure incidenti sui diritti di terzi come gli amministratori, cui, dunque, è consentita la partecipazione al procedimento a tutela del loro interesse legittimo, non decidono in ordine ad alcun rapporto di diritto sostanziale fra i soci denunzianti ed i terzi”[15].
Di certo siamo dinanzi ad una ipotesi di giurisdizione non necessitata[16], di quelle, cioè, che vedono al centro del giudizio gli interessi di minori, incapaci, patrimoni separati, gruppi collettivi, rispetto alla quale i diritti dei soci o dei terzi, lesi dalla violazione dei doveri in capo agli amministratori e ai sindaci, ricevono, nella sede camerale, unicamente la tutela indiretta derivante dall’eliminazione delle gravi irregolarità. In questa prospettiva non vi è dunque un processo nel quale al giudice è demandato il compito di risolvere una controversia tra parti contrapposte, ma un intervento giudiziale che, nelle forme della giurisdizione non contenziosa, è volto a “gestire” l’interesse della società ad una corretta amministrazione, peraltro incidendo, in caso di revoca, sui diritti soggettivi di amministratori e sindaci. E se pure il procedimento per irregolarità di gestione presenta rilevantissima delicatezza per i temi dibattuti[17], ne è pacifica, almeno in giurisprudenza, la non ricorribilità per cassazione.
Qualunque sia la ricostruzione che si ritenga preferibile, il procedimento non si focalizza sull’accertamento della lesione di un diritto ma sulla corretta gestione della società: variano le sfumature, ma nella sostanza i valori in gioco restano gli stessi e cioè l’assenza di una lesione e la presenza di interessi generali che giustificano la tipologia di iniziativa.
Nel caso della apertura della liquidazione giudiziale le cose non stanno in modo troppo diverso. Se l’iniziativa del P.M. serve a bilanciare il venir meno dell’iniziativa ufficiosa, l’attribuzione all’organo di controllo nell’art. 37 CCII avvicina il ricorso, allo stesso modo di quel che avviene nell’art. 2409 c.c., alla categoria della segnalazione, facendogli perdere, almeno per quanto attiene al ricorso dei sindaci, il valore tipico della domanda giudiziale. In questi casi è difficile sostenere che il processo ruoti attorno ad una domanda su un diritto/potere: piuttosto, esso si sviluppa su una ‘mera’ richiesta di apertura, cui corrisponde, per altro verso, un potere di rinuncia. Così che al fondo ci troviamo dinanzi ad un procedimento sui generis, nel quale la ‘domanda’ serve ad aprire un processo (come la rinuncia serve a chiuderlo) ma una volta che questo è stato aperto, oggetto del processo è la verifica di quella situazione di crisi o insolvenza che giustifica che il trattamento delle relazioni tra debitore e creditori e tra creditori sia disciplinato da regole di tutela collettiva e non solo individuale come accade nell’espropriazione forzata.
1.4 . Segue. La forma del provvedimento conclusivo e la ricorribilità per cassazione della sentenza di omologazione
Rimane il fatto che, diversamente da quel che accade per la denuncia di irregolarità di gestione della società, il provvedimento che apre la liquidazione giudiziale ha la forma della sentenza e può essere impugnata, dopo il reclamo, con il ricorso per cassazione.
Anche il provvedimento che conclude il giudizio di omologazione ha la forma della sentenza ed è ricorribile per cassazione.
L’opzione per la forma della sentenza, che riporta le lancette dell’orologio alle previsioni anteriori al 2005, ha un qualche significato?
In verità, nella legge fallimentare la sostituzione del decreto alla sentenza non aveva prodotto particolari conseguenze sul piano interpretativo, perché la lettura prevalente aveva ritenuto che il decreto fosse nella sostanza equivalente alla sentenza.
Il passaggio inverso potrebbe allora considerarsi ugualmente neutro, anche perché la scelta è stata originata soprattutto dalla volontà di prevedere un unico modello di provvedimento, qualunque fosse la soluzione della crisi, in linea con la previsione di un procedimento unitario nel quale confluiscono le opposte domande di regolazione della crisi o dell’insolvenza. In questo modo, non abbiamo più, come nell’art. 180 ultimo comma L. fall., l’eventualità di una dichiarazione di insolvenza con sentenza e dell’emissione contestuale di un decreto di rigetto della domanda di omologazione, ma un’unica pronuncia, in forma sempre di sentenza, sulle diverse domande introdotte nell’unico giudizio, impugnabile unitariamente nei modi dell’art. 51 CCII. Peraltro, se si può reputare più coerente il modello ‘sentenza’ per l’omologazione del concordato rispetto al modello ‘sentenza’ per l’omologazione degli accordi, là dove l’assetto privatistico – non scalfito dalla teoria, per vero ancora controversa, della concorsualità degli accordi – avrebbe giustificato forse la persistenza di un provvedimento con forma di decreto, non vale neppure troppo la pena di indugiare su questioni nominalistiche se si guarda al fatto che nel concordato di liquidazione (art. 246 CCII) il tribunale decide con decreto e nel concordato coattivo (art. 314 CCII) decide invece con sentenza.
Se invece si vuole ricavare una qualche indicazione dall’adozione della forma della sentenza, se ne potrebbe desumere la volontà del legislatore di sottolineare che, qualunque sia la regola da applicare alla crisi del debitore (siano le regole, più pervasive, della liquidazione giudiziale, quelle ampiamente flessibili degli accordi di ristrutturazione o quelle intermedie del concordato preventivo), siamo dinanzi a un giudizio aperto da un soggetto che reagisce ad una situazione di crisi chiedendo l’apertura di un procedimento che deve concludersi con un provvedimento che certifica quali sono le regole da applicare a quella specifica crisi. Così ragionando, allora, ne verrebbe ribadita la tesi che oggetto del giudizio di omologazione del concordato preventivo sia la verifica del corretto esercizio del potere del debitore di vedere regolata la propria crisi secondo lo schema del ‘concorso concordatario’: un concorso vero e proprio nel quale esiste un ordine di distribuzione verticale delle risorse, che non è imposto dal giudice ma negoziato dalle parti e certificato dal tribunale.
Per la Cassazione il provvedimento emesso dal tribunale all’esito del giudizio di omologazione è provvedimento decisorio[18]: ma non dimentichiamo che la Corte, pur muovendo dalla premessa tradizionale, per la quale la “decisorietà” consiste nell’attitudine del provvedimento del giudice non solo ad incidere su diritti soggettivi delle parti, ma ad incidervi con la particolare efficacia del giudicato, la declina tuttavia andando alla ricerca, quale elemento discretivo tra ciò che è decisorio e ciò che non lo è, della previsione di un contraddittorio con coloro che si ritengono avere interesse contrario alla decisione richiesta, per concludere che dove il contraddittorio non è previsto (come avviene per il decreto reso ex art. 162 L. fall., che contempla solo l’audizione del debitore), manca la controversia e dunque non può affermarsi che il decreto decida su diritti soggettivi di parti contrapposte e sia destinato al giudicato[19].
Vediamo la questione della ricorribilità per cassazione della sentenza.
Anche questo elemento non è decisivo per suffragare la tesi della natura contenziosa del procedimento: si può sostenere, infatti, che al termine del giudizio non si formi un vero e proprio giudicato, ma si realizzi semmai una forma di stabilità del provvedimento volta a rendere irretrattabili tutte le posizioni coinvolte nella procedura concorsuale.
Nel caso della liquidazione giudiziale, se la sentenza non viene impugnata e la procedura si chiude, qualora, dopo il ritorno in bonis, la società risulti di nuovo insolvente, la prima decisione non genera alcun vincolo sul successivo procedimento. Semmai si può aggiungere che la sentenza di apertura della liquidazione giudiziale modifica i diritti del debitore e dei creditori con l’effetto che è ulteriormente giustificabile il ricorso per cassazione.
Nel caso del concordato, il discorso è lo stesso. La stabilità degli interessi coinvolti in un processo nel quale il presupposto è un dissesto e, dunque, una lesione inferta alle relazioni economiche tra più soggetti, giustifica largamente che non vi sia spazio per ripensamenti (cioè per la revoca del provvedimento).
1.5 . Le conclusioni possibili
Tutte queste considerazioni non possono essere trascurate quando si ragiona di omologazione della domanda di concordato.
Da un lato, si tratta di valutare se possa resistere la tesi che vuole la domanda di concordato come espressiva di un potere di conformazione una volta che la specularità di posizioni è venuta meno per effetto del mutamento dell’oggetto del processo nel giudizio per l’apertura della liquidazione giudiziale[20].
Dall’altro lato, si tratta di capire se tale tesi debba essere superata per tornare ad accogliere la tesi della riconducibilità del giudizio di omologazione del concordato preventivo alla categoria dei giudizi autorizzatori-omologatori, o se a ciò non osti il fatto che il giudizio di omologazione non è più un giudizio autonomo sganciato dalla procedura di concordato preventivo. Se fosse autonomo, sarebbe più semplice ricondurne l’oggetto alla verifica dell’accordo intervenuto fra il debitore e i creditori, non troppo diversamente da quanto accade per l’omologazione degli accordi di separazione fra coniugi.
La prima tesi è probabilmente più affascinante, ma indubbiamente complicata.
La distinzione, prima tratteggiata in dottrina[21] ed ora confermata espressamente nell’art. 87 CCII, fra “piano”, “proposta” e “domanda”, chiarisce che il debitore formula una domanda giudiziale sin dal deposito del ricorso ex art. 40 CCII, e che è necessario tenere separato il profilo, per così dire, volitivo-giudiziale della domanda dal profilo conciliativo-negoziale della proposta. Col ricorso viene sollecitata l’apertura della procedura di concordato preventivo ma, anche, la sua omologazione, cui però si dà seguito solo per effetto della approvazione dei creditori. Per decidere sulla richiesta di omologazione il tribunale deve, prima, accertare che sussistano determinati presupposti e questi presupposti in parte preesistono alla domanda e in parte si formano all’interno del procedimento. È solo per effetto dell’approvazione dei creditori, infatti, che si passa all’esame della domanda di omologazione.
In questa prospettiva il giudizio di omologazione, che si innesta nel procedimento unitario, può essere visto come il contenitore nel quale si deve verificare, innanzi tutto, se è stato legittimamente esercitato da parte dell’imprenditore il potere di chiedere che la sua crisi venga regolata con gli strumenti del concorso concordatario; un concorso che, pur se rientra nelle forme di attuazione della responsabilità patrimoniale, è dotato di regole autonome, come si ricava ad esempio dal fatto che non sono azionabili le azioni revocatorie concorsuali.
Il potere di ottenere che la crisi sia regolata secondo la disciplina del concordato sussiste quando si verificano una serie di circostanze che costituiscono i presupposti perché quel potere sia riconosciuto. Non un vero e proprio potere di conformazione dell’altrui sfera giuridica[22], perché la modificazione dei diritti di coloro che si trovano in posizione antagonista presuppone che l’esercizio del potere intercetti il consenso della maggioranza di coloro che “subiscono” l’effetto. Se non fosse prevista la votazione si avrebbe ragione di sostenere che si tratti di un diritto potestativo del debitore di conformare la situazione altrui, da esercitarsi all’interno del processo, e perciò a necessario esercizio giudiziale, ma poiché la votazione è necessaria e deve dare un risultato di consenso alla proposta, non è neppure sufficiente che il diritto – che altri ordinamenti riconoscono anche ai creditori - sia esercitato nel processo per produrre i propri effetti.
Qual è allora l’oggetto del processo? Il diritto del debitore di ottenere che la crisi sia regolata secondo la disciplina concordataria? Oppure è il formarsi del consenso prestato dai creditori? O questo è un presupposto di legittimità del procedimento nonché un presupposto su cui il potere processuale del debitore è fondato? 
In altre parole, il potere del debitore preesiste alla prestazione del consenso ed il consenso è solo un mezzo di attuazione del potere oppure è la presenza del consenso che giustifica l’esercizio del potere, sì che ci si arresta al controllo sul patto di concordato? Sono domande che innescano una sorta di circolo vizioso, che non fa che confermare la complessità, anche sotto il profilo processuale, del concordato preventivo.
Sono così numerosi gli interrogativi che abbiamo sollevato che non si può dare una risposta certa al quesito da cui eravamo partiti.
Vi sono motivi che spingono nella direzione della cognizione su poteri, come appare dal fatto che il procedimento si chiude con una sentenza ed è previsto il ricorso per cassazione; ma ve ne sono anche altri per non discostarsi, all’opposto, dalla tesi che scorge nel procedimento una fattispecie autorizzatoria-omologatoria: e ciò perché il potere è sui generis, non c’è lesione di un diritto né un mutamento di status e perché la previsione espressa della ricorribilità per cassazione può dipendere sì dalla situazione soggettiva (tesi ‘A’) ma anche, più semplicemente, dalla esigenza di stabilizzazione degli effetti dell’accordo raggiunto (tesi ‘B’). In questo caso, si deve concludere che al giudice è rimesso semplicemente il controllo della legittimità della volontà delle parti (fissata nel patto da omologare) a protezione dei soggetti estranei all’accordo, e che la sentenza entra a far parte della fattispecie negoziale cui è chiamata ad attribuire efficacia: è la natura non meramente individuale degli interessi in gioco che spinge a non rinunciare al favore per una soluzione negoziata, ma insieme a negarle forza conclusiva del processo e a collegare invece tale conclusione al sopraggiungere di un provvedimento che, chiudendo il procedimento avviato con il ricorso ex art. 40, si combina ab externo con la volontà dei soggetti stipulanti.
2 . La cognizione del tribunale nelle opposizioni
Di solito si è abituati ad associare al termine opposizione l’attività processuale della parte che assume un’iniziativa per impedire che un atto del privato o del giudice possa consolidarsi. Nel giudizio di omologazione, invece, l’opponente non si duole di un provvedimento del giudice, che ancora non c’è, ma chiede che la pronuncia del tribunale abbia un contenuto diverso da quello cui mira il proponente. Dunque, con l’opposizione (e a prescindere, per ora, da quale può esserne il contenuto), è come se la parte opponente introducesse nel giudizio un’eccezione, ossia una difesa volta ad ottenere il rigetto della richiesta di omologazione del concordato[23].
Stando così le cose, di per sé tutto quello che viene dedotto nel giudizio tramite le opposizioni non allarga l’oggetto della decisione.
Quando si discute di “fattibilità”, di “convenienza”, di “assenza di pregiudizio”, di “legittimità sostanziale”, di “ritualità”, di “manifesta inattitudine”, o quando si sollevano rilievi con riferimento alle singole posizioni creditorie (in questo caso a maggior ragione perché, come tra poco vedremo meglio, l’accertamento del credito è solo una questione incidentale utile per valutare la sussistenza dei presupposti per l’omologazione), l’opposizione amplia il novero delle circostanze che il giudice può esaminare e gli consente una valutazione più completa e approfondita dell’omologabilità della proposta di concordato, ma non estende in alcun modo l’oggetto del processo. Quell’oggetto, infatti, è disegnato dalla domanda del proponente, e l’ambito dell’opposizione, se di vera e propria eccezione si tratta (e cioè se con essa si introducono in giudizio fatti estintivi, impeditivi e modificativi, e non fatti-diritti[24]), non può andare oltre, non potendo essere introdotte nel giudizio di omologazione, tramite un’eccezione che non abbia natura di eccezione riconvenzionale, domande diverse, quali potrebbero essere, ad esempio, quelle di accertamento di un credito.
Per avere conferma di quanto si è detto, e cogliere al meglio quale sia l’ambito del giudizio in presenza di opposizioni, può risultare utile selezionare le possibili ragioni che stanno a fondamento di un’opposizione. 
L’opposizione può avere ad oggetto i) vizi del procedimento, ii) censure che attengono al difetto di genuina prestazione del consenso (ai fini del computo della maggioranza e ai fini della ponderazione della formazione delle classi), ma anche iii) censure sulla fattibilità del piano concordatario, da intendersi come manifesta inattitudine del piano alla realizzazione ed esecuzione della regolazione concordata[25], iv) censure sulla convenienza nel caso della classe dissenziente o della minoranza qualificata, v) censure sul pregiudizio che la proposta arreca al singolo opponente nel concordato in continuità, vi) fatti rilevanti ai sensi dell’art. 106 CCII e che se conosciuti avrebbero provocato la revoca del concordato[26]. 
Introducendo fatti relativi a queste censure non si estende l’oggetto dell’accertamento demandato al tribunale, ma si introducono elementi che consentono al giudice di giungere ad una decisione più consapevole. Si può discutere, tutt’al più, della rilevabilità anche d’ufficio, o solo su istanza di parte, della questione sollevata, corrispondentemente alla natura di eccezione in senso lato o in senso stretto del rilievo (ma ferma la necessità della allegazione della base fattuale ad opera delle parti), ma non di un ampliamento dell’oggetto del giudizio: e ciò anche quando l’opponente, insieme alle cause ostative all’omologa, faccia valere il proprio diritto di credito e perciò un fatto-diritto che, in quanto tale, potrebbe (in astratto) costituire oggetto di un autonomo giudizio oppure essere accertato all’interno del giudizio principale in via incidentale o, se ricorrono le condizioni dell’art. 34 c.p.c. o siamo in presenza di un fenomeno di pregiudizialità logica, anche con efficacia di giudicato.
Questioni che postulano teoricamente l’accertamento del diritto di credito non sono infrequenti: è il caso del creditore che contesta la riduzione concordataria della misura del proprio diritto, o del creditore che chiede di essere incluso tra i creditori concorrenti e dunque aventi diritto al voto; in generale, la questione della individuazione dei creditori concorrenti è questione che – come nelle controversie distributive in materia di esecuzione forzata o nell’accertamento del passivo - presuppone la verifica della sussistenza di questo o quel diritto di credito. Ma, diversamente da quel che accade nelle controversie distributive e nell’accertamento del passivo, qui l’accertamento del credito potrà tutt’al più potrà costituire oggetto di una questione pregiudiziale da accertare incidenter tantum, senza vincolo di giudicato, ai soli fini del computo esatto delle maggioranze[27], perché nel giudizio di omologazione del concordato non si accertano i crediti e dunque non vi è spazio per l’applicazione dell’art. 34 c.p.c. o per l’esame di questioni incompatibili, tali da dover necessariamente essere decise ai fini della formazione del giudicato pieno. 
Nel giudizio di omologazione si deve escludere che una domanda di accertamento del credito (con efficacia di giudicato della relativa pronuncia) si possa cumulare con la richiesta di omologazione, e ciò anche quando l’affermazione dell’esistenza del credito provenga dal titolare del diritto (se ne fosse lamentata l’inesistenza, da un altro creditore o da un terzo interessato, opererebbe in ogni caso l’art. 81 c.p.c.). Infatti, la previsione contenuta nell’art. 108 CCII, a tenore della quale le decisioni adottate dal giudice delegato nell’iter dell’approvazione del concordato preventivo, sono provvisorie[28] e non aprono incidenti contenziosi, sembra esprimere un principio più generale e cioè quello secondo il quale le controversie sui crediti non possono mai essere qualificate come questioni pregiudiziali in senso stretto e come tali idonee ad impedire la decisione principale che è, a questi fini, la decisione sulla richiesta di omologazione. Non a caso il controllo sull’esercizio del potere del giudice di ammissione al voto del singolo credito è sì possibile nel giudizio di omologazione ma solo se ciò incide sulla formazione della maggioranza, il che a ben vedere significa, implicitamente ma inequivocabilmente, che le decisioni sui crediti non attengono all’accertamento del credito con efficacia di giudicato ma all’accertamento incidentale del credito ai soli fini dell’ammissione al voto.
3 . L’ambito applicativo. Cenno alle opposizioni di creditori e soci alle operazioni straordinarie
L’art. 116 CCII prevede che se il piano prevede il compimento, durante la procedura oppure dopo la sua omologazione, di operazioni di trasformazione, fusione o scissione della società debitrice, la validità di queste può essere contestata dai creditori solo con l’opposizione all’omologazione.
La norma risponde all’esigenza di regolare i rapporti tra diritto societario e diritto concorsuale, e di non affidare la soluzione dei problemi soltanto all’opera dell’interprete: un’esigenza che si è tradotta nella scelta di prevedere espressamente la stabilità degli effetti delle operazioni straordinarie in caso di annullamento e risoluzione del concordato, salvo il risarcimento del danno eventualmente spettante ai soci o ai terzi ai sensi degli artt. 2500 bis, comma 2, 2504 quater, comma 2, e 2506 ter, comma 5, c.c., nonché in quella di assicurare il coordinamento delle opposizioni consentite ai creditori attraverso l’assorbimento delle opposizioni previste dal codice civile in quella contemplata dall’art. 48 CCII[29]. L’affidamento della tutela dei creditori sociali ai soli rimedi concorsuali, nel caso del concordato, è in linea con la volontà del legislatore concorsuale di assoggettare l’approvazione della proposta di concordato al principio di maggioranza e di renderne il contenuto vincolante per tutti i creditori anteriori alla pubblicazione nel registro delle imprese del ricorso allo strumento di regolazione della crisi: si ritiene, argomentando anche dall’art. 2503 bis c.c., che riconosce agli obbligazionisti delle società partecipanti alla fusione il diritto di opposizione solo in quanto l’assemblea degli obbligazionisti non abbia approvato la fusione, che la presenza di una organizzazione interna alla categoria e la competenza a deliberare su temi di comune interesse consentano di sacrificare la volontà individuale, salvaguardando gli interessi più generali, connessi al risanamento dell’impresa in crisi. Questa conclusione non contrasterebbe neppure con la ritenuta autonomia della disciplina societaria rispetto a quella concorsuale, perché quell’autonomia riguarda unicamente le decisioni relative all’organizzazione, di cui i soci non vengono espropriati, e non già i profili di tutela dei creditori che sono quelli su cui le norme concorsuali direttamente intervengono[30].
Ovviamente occorre distinguere tra creditori della società che presenta il piano e creditori delle altre società partecipanti all’operazione straordinaria, dato che solo sui primi la previsione dell’art. 116 CCII può avere effetto; per i secondi rimane aperta la strada dell’opposizione codicistica, e la possibilità di pregiudicare, così, l’esecuzione del piano, a meno che non si subordini l’efficacia dell’operazione, deliberata prima dell’omologa, alla definitività del decreto di omologazione, in tal modo calibrando i tempi dell’una e dell’altra opposizione[31].
La previsione dell’art. 116, infatti, presenta alcune criticità, per superare le quali si era proposta una correzione, nei limiti di quanto consentito dalla legge delega, che i tempi e il differente oggetto del D.Lgs. n. 83/2022, , di modifica del codice della crisi in attuazione della Direttiva 2019/1023 del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 giugno 2019, non permettevano di recepire e che avrebbe richiesto semmai l’emanazione di un decreto correttivo a norma dell’art. 1, comma 1, L. n. 20/2019,  (la legge, cioè, sulla cui base già era intervenuto, nel 2020, un primo decreto correttivo col D.Lgs. n. 147/2020).
In particolare, si era immaginato di precisare meglio per quali operazioni operasse la disposizione, limitandola alle opposizioni nei confronti delle deliberazioni di trasformazione eterogenea, fusione e scissione adottate dalla società debitrice in corso di procedura, oppure previste dal piano, ma a condizione che quest’ultimo contenga le indicazioni di cui agli articoli 2500 sexies, comma 2, 2501 ter e 2506 bis c.c., e si era soppresso il riferimento, non corretto, alla “validità” dell’operazione, che non è quanto propriamente si contesta con l’opposizione. Si era inoltre escluso, per bilanciare le esigenze di stabilità degli atti societari con quelle della tutela dei creditori, in difetto della possibilità di far ricorso alla tutela cautelare inibitoria, che le operazioni possano produrre effetto sino a quando non sia decorso il termine per la proposizione dell’opposizione o l’opposizione sia stata decisa con la sentenza del tribunale, a meno che non consti il consenso di tutti i creditori delle società partecipanti alle operazioni.
Si era inoltre aumentato il termine intercorrente fra la pubblicazione della deliberazione o del piano nel registro delle imprese e l’udienza di cui all'art. 48 CCII, portandolo dagli attuali trenta giorni a settanta, per permettere ai creditori di avere un tempo sufficiente per la predisposizione dell’opposizione.
In assenza di interventi correttivi occorrerà un particolare sforzo, da parte degli operatori, nel fornire soluzioni che possano superare le questioni che si potranno porre nella pratica dei tribunali con riferimento ai temi che abbiamo indicato e agli altri che emergeranno con l’entrata in vigore del codice della crisi.
4 . La domanda di omologazione
Quando le maggioranze sono raggiunte e il concordato è stato approvato, a seguito della relazione del commissario resa ai sensi dell’art. 110 CCII che costituisce documento informativo diretto al tribunale, viene fissata l’udienza in camera di consiglio per la comparizione delle parti e del commissario giudiziale. Non si tratta di una iniziativa officiosa[32] perché tutto il procedimento è retto dalla domanda ex art. 40 CCII.
Il decreto di fissazione dell’udienza dev’essere iscritto presso l’ufficio del registro delle imprese dove l’imprenditore ha la sede legale (e, se questa differisce dalla sede effettiva, anche presso l’ufficio del luogo in cui la procedura è stata aperta) affinché qualunque interessato ne prenda atto e possa presentare opposizione; invece, ai soggetti che appaiono come i più probabili interessati a partecipare al giudizio di omologazione (commissario giudiziale ed eventuali creditori dissenzienti)[33], il decreto deve essere notificato a cura del debitore[34]. 
Se la notificazione non avviene, si deve ritenere che il tribunale debba ordinarne la rinnovazione e se la rinnovazione non viene effettuata il procedimento non può proseguire, con la sopravvenuta improcedibilità della domanda di concordato[35].
Al di là dell’ipotesi che abbiamo ricordato, prevista dall’art. 116 CCII per il caso in cui il piano di concordato preveda operazioni societarie straordinarie di trasformazione, fusione e scissione, l’art. 48 CCII non prevede un termine per la fissazione dell’udienza ma solo il termine a ritroso per la proposizione di opposizioni.
5 . Le regole processuali del giudizio di omologazione e il controllo del giudice (rinvio)
Non tratteremo del controllo del giudice nel giudizio di omologazione, esaminato, in questo fascicolo, da G. Fichera, Il giudizio di omologazione nei concordati liquidatori e in continuità aziendale. Ci occuperemo invece delle regole processuali dell’art. 48, con riferimento al contraddittorio tra le parti, alle questioni rilevabili d’ufficio, all’istruttoria, al regime di efficacia della sentenza e alle impugnazioni.
5.1 . Il contraddittorio tra le parti
Il modus procedendi descritto nell’art. 48 è quasi identico a quello del previgente art. 180 L. fall.
Parzialmente diverse sono alcune norme che regolano le opposizioni.
Nel procedimento vi è un’unica parte necessaria sostanziale ed è il debitore, mentre il commissario giudiziale è parte ma in senso solamente formale[36]; vi possono poi essere delle parti eventuali, dai creditori dissenzienti al pubblico ministero[37] e altri interessati (chi ha presentato una proposta concorrente), senza escludere la legittimità di interventi ad adiuvandum.
Innanzi tutto, al secondo comma dell’art. 48 CCII si è previsto che i creditori dissenzienti e qualunque interessato per proporre opposizione debbano costituirsi nel termine perentorio[38] – non soggetto a sospensione feriale[39] – di almeno dieci giorni prima dell’udienza. Con l’occasione si è chiarito che le opposizioni sono sempre contenute in comparse di costituzione con le quali i creditori sollevano difese che appartengono al novero delle eccezioni, e non delle domande.
Si è, poi, opportunamente eliminata la previsione della costituzione in giudizio del commissario giudiziale che, come si era ribadito più volte, partecipa necessariamente al procedimento ma come organo della procedura[40] e non come parte titolare di una posizione giuridica autonoma: gli si chiede perciò il deposito di una relazione conclusiva, contenente un motivato parere col quale dovrà prendere posizione anche sulle eventuali opposizioni, nel termine di cinque giorni prima dell’udienza.
Al debitore o al proponente, per depositare memorie, è stato assegnato un ulteriore termine fino a due giorni prima dell’udienza. 
Il contraddittorio tra le parti è così organizzato in modo più efficiente rispetto al passato, con la previsione di termini sfalsati per le opposizioni e per la memoria del debitore o del proponente, che, avendo a disposizione un termine più ampio, potranno replicare ad esse e tener conto anche del parere del commissario giudiziale. Qualcuno ha lamentato una eccessiva compressione dei tempi, perché dieci giorni, cinque giorni, e due giorni sono obiettivamente termini stretti, ma non si è riflettuto a sufficienza sul fatto che in realtà, rispetto al passato, i tempi si sono allungati: dieci giorni prima dell’udienza era già il termine previsto per tutti (nel previgente art. 180 L.  fall. si stabiliva infatti che «il debitore, il commissario giudiziale, gli eventuali creditori dissenzienti e qualsiasi interessato [dovessero] costituirsi almeno dieci giorni prima dell’udienza fissata»), mentre adesso al commissario giudiziale e al debitore si dà qualche giorno in più per tenere conto di quanto è dedotto nelle opposizioni.
5.2 . Le questioni rilevabili d’ufficio e su istanza di parte
Una volta chiarito che oggetto delle opposizioni sono eccezioni, e non domande, e che con esse l’oggetto del processo non muta, dunque, in relazione all’ampiezza, alla presenza e alla profondità dell’opposizione[41], è possibile anche in questa sede prospettare la distinzione tra eccezioni in senso stretto ed eccezioni in senso lato, eccezioni di rito ed eccezioni di merito. 
Possono essere considerate eccezioni di rito in senso lato, e quindi rilevabili anche d’ufficio, le censure che vertono sulla verifica della regolare progressione delle fasi del procedimento; ed eccezioni di merito (perché attengono alla validità della deliberazione), le doglianze sul raggiungimento della maggioranza per l’approvazione. Sulla natura di eccezione in senso stretto o in senso lato di queste eccezioni si può discutere, perché la natura dipende dal tipo di circostanza lamentata. Un’eccezione di prescrizione, una decadenza, un vizio del consenso che ha determinato il voto favorevole alla proposta, sollevato dal creditore che voglia inficiare la validità dell’accordo, oppure l’annullabilità del contratto o i vizi della merce dalla cui consegna sia sorto il credito di cui si sia tenuto conto nel calcolo delle maggioranze, sono tutte ipotesi di eccezioni in senso stretto, di fronte alle quali viene messo in discussione il risultato raggiunto in sede di adunanza. 
Sono, invece, certamente eccezioni in senso stretto, anch’esse di merito, quelle che attengono alla convenienza - vista la volontà esplicita del legislatore di attribuire al giudice il compito di verificare la convenienza solo quando vi è un’opposizione di un creditore dissenziente appartenente ad una classe dissenziente o della minoranza qualificata di dissenzienti (almeno il venti per cento) – e alla assenza di pregiudizio. Deve reputarsi eccezione in senso lato, anch’essa di merito, quella sulla manifesta inidoneità del piano concordatario, se si ritiene che l’”infattibilità” debba essere letta come fatto impeditivo, e non già la “fattibilità” come fatto costitutivo della domanda.
5.3 . L’istruttoria
Nel regime della legge fallimentare il compimento di attività istruttoria era riservato alle sole ipotesi in cui fossero state proposte opposizioni. In verità, la lettura corrente era nel senso che l’attività istruttoria prescindesse dalla presenza di opposizioni, sul presupposto che nei procedimenti a forma camerale l’attività istruttoria è rimessa alla iniziativa officiosa del giudice, che può assumere informazioni. In tale senso si era, dunque, opinato che una attività istruttoria potesse essere svolta in ogni situazione[42]. 
Il limite previsto dall’art. 180, comma 3, L. fall. è stato opportunamente rimosso, visto che l’art. 48, comma 3, CCII stabilisce che in ogni caso il tribunale procede all’istruttoria, assunti i mezzi di prova richiesti dalle parti o disposti d’ufficio[43]. La scelta, coerente con il fatto che la presenza o meno delle opposizioni non muta la natura del giudizio, è stata quella di abbandonare il percorso binario, derivante dall’essere state, o meno, presentate opposizioni, uniformando la disciplina sul modello della legge previgente più prossimo possibile alla cognizione piena ed esauriente[44]. Anche in assenza di opposizioni, infatti, ci sono questioni rilevabili d’ufficio che ostano all’omologazione e di cui il tribunale può avere necessità di assumere la prova, a patto che le circostanze di fatto su cui basa il proprio giudizio risultino in qualche modo agli atti di causa, non potendosi superare il divieto di cui all’art. 97 disp. att. c.p.c.
6 . Il procedimento di omologazione degli accordi
Il D.Lgs. n. 83/2022 è intervenuto sulle previsioni dell’art. 48 CCII in punto di omologazione degli accordi di ristrutturazione, allineandone il contenuto a quello del giudizio sul concordato preventivo e sul piano di ristrutturazione soggetto a omologazione. Ha inoltre modificato il testo originario dell’art. 44, spostando la previsione dell’ultimo comma (ove si precisava che «nel caso della domanda di accesso al giudizio di omologazione di accordi di ristrutturazione, gli accordi, contestualmente al deposito, sono pubblicati nel registro delle imprese e acquistano efficacia dal giorno della pubblicazione») all’art. 40, comma 4, e ha spostato in quel comma anche la norma per cui la nomina del commissario giudiziale, che dev’essere disposta in presenza di istanze per l’apertura della liquidazione giudiziale, può comunque intervenire anche se quelle istanze non ricorrano, aggiungendovi la previsione di conferma del commissario che sia già stato nominato in caso di accesso con riserva a uno degli strumenti di regolazione della crisi.
Non è più prevista la sospensione feriale del termine per l’opposizione, originariamente contemplata per evitare il rischio che la domanda di omologazione fosse presentata nel periodo feriale e per «garantire effettività al diritto di difesa dei creditori»: si osservava cioè che, mentre nel caso del concordato le opposizioni all’omologazione sono proposte nell’ambito di una procedura già incardinata e della quale i creditori sono a conoscenza, nel caso degli accordi il termine decorre dalla pubblicazione della domanda nel registro delle imprese quando, «notoriamente, imprese e professionisti riducono o sospendono le loro attività» (così la Relazione illustrativa alla versione iniziale del Codice). Ma per la verità, diversamente da quanto accadeva con la legge fallimentare (dove in astratto, non essendo prevista una priorità temporale tra il deposito della domanda di omologazione e la pubblicazione dell’accordo, l’opposizione del creditore o di un qualsiasi altro interessato sarebbe potuta intervenire prima dell’apertura del giudizio di omologa ad opera del debitore), anche nel caso degli accordi le opposizioni si inseriscono in una procedura già incardinata (dal ricorso ex art. 40): quello che cambia è, soltanto, il modo in cui si arriva all’omologazione dell’accordo, senza un iter di approvazione dello stesso analogo a quello prevista per il concordato preventivo.
Analogamente a quanto accade col concordato preventivo, le opposizioni vengono presentate dunque in un giudizio già avviato dal ricorso ex art. 40 e possono avere allora la medesima forma della memoria prevista dal comma 2 dell’art. 48. L’unica differenza è che in questo caso il termine per il deposito non è quello dei dieci giorni prima dell’udienza, ma di trenta giorni dalla pubblicazione degli accordi. Non è previsto un contraddittorio sfalsato come nel comma 2.
Anche in questo caso, come per l’omologazione del concordato o del piano di ristrutturazione, il tribunale procede all’istruttoria assumendo i mezzi di prova richiesti dalle parti o disposti d’ufficio, sia che vi siano sia che non vi siano le opposizioni.
Per come sono strutturati gli accordi di ristrutturazione riteniamo che i dubbi sull’oggetto del procedimento, che abbiamo evocato a proposito del concordato preventivo, in questo caso debbano essere superati, nel senso che l’assetto negoziale spinge in modo decisivo verso la riconduzione all’oggetto tipico delle tutele autorizzatorie-omologatorie, soluzione non smentita né dalla previsione della forma della sentenza, né dalla ricorribilità per cassazione del provvedimento, ampiamente giustificabile nella chiave della stabilizzazione degli effetti, dato che questi effetti a seguito della decisione del tribunale si riflettono anche sui terzi. E ciò anche ed a maggior ragione nel caso degli accordi con efficacia estesa (art. 61 CCII), in cui è la pronuncia di omologazione a determinare la produzione degli effetti nei confronti dei terzi non aderenti in posizione omogenea inserendosi nella fattispecie negoziale e divenendo parte di essa.[45]
7 . La sentenza e la sua efficacia
Una volta effettuate tutte le verifiche richieste nell’art. 48 e nell’art. 112 CCII (a proposito del giudizio di convenienza)[46], il tribunale decide con sentenza sulla domanda di omologazione del concordato, del piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione e degli accordi di ristrutturazione.
La sentenza di omologazione deve essere notificata alle parti del procedimento e deve essere iscritta nel registro delle imprese, producendo effetto (a) dalle comunicazioni previste nel codice di rito rispetto alle parti e (b) dalla iscrizione nel registro delle imprese rispetto ai terzi. Ma questa disposizione (art. 48, comma 6, CCII) vuole esprimere anche un ulteriore concetto e cioè quello della immediata produzione di effetti della sentenza[47], senza che occorra attendere il termine per proporre reclamo o l’esaurimento delle impugnazioni.
Quando, invece, il tribunale rigetta la domanda di omologazione emette sentenza che può contenere anche la dichiarazione di apertura della liquidazione giudiziale se qualcuno dei soggetti legittimati ne aveva fatto richiesta.
8 . Il regime delle impugnazioni
Contro la sentenza è ammesso reclamo alla corte d’appello entro il termine di trenta giorni che decorrono (a) per le parti del procedimento dalla notificazione telematica effettuata dall’ufficio e (b) per i terzi dall’iscrizione della sentenza sul registro delle imprese; in caso di mancata comunicazione, si applica il termine semestrale di cui all’art. 327 c.p.c. Poiché nell’art. 50 CCII si esplicita che il reclamo può essere proposto anche da un terzo quando la sentenza di rigetto dell’omologazione è accompagnata dalla pronuncia di apertura della liquidazione giudiziale[48], se ne deve dedurre che la sentenza che provvede solo sulla omologazione possa essere impugnata esclusivamente dalle parti che hanno partecipato al procedimento di omologazione[49], a meno che non siano state illegittimamente pretermesse. 
Per uniformare i termini e le regole dell’impugnazione vista l’interpretazione giurisprudenziale formatasi sull’art. 183 L. fall. si può condividere la tesi per la quale nel caso di rigetto dell’omologazione e di contemporaneo rigetto della richiesta di liquidazione giudiziale, il modello impugnatorio sia sempre quello dell’art. 51 CCII (e non quello dell’art. 50)[50].
Il procedimento di reclamo, che per effetto della uniformazione del procedimento si applica a tutte le impugnazioni, è modellato su quello dell’attuale art. 18 L. fall. con alcune non significative varianti.
Tanto il reclamo, quanto il ricorso per cassazione (da proporre entro trenta giorni dalla notificazione della sentenza della corte di appello a cura della cancelleria[51]) non sospendono l’efficacia della sentenza.
Una disposizione nuova ma non del tutto distante dal sistema (cfr., art. 94 c.p.c.) la ritroviamo nell’art. 51 ult. comma CCII: il legale rappresentante di una società o ente che propone reclamo (o ricorso per cassazione) deve valutare con ponderazione la scelta perché corre il rischio che se il giudice del gravame ne accerta la mala fede, di essere condannato personalmente sia al pagamento delle spese processuali sia al pagamento del doppio del contributo unificato. Si tratta di una disposizione che muove dalla chiara intenzione di responsabilizzare chi ha la rappresentanza della parte processuale, posto che molte volte le impugnazioni sono intraprese ai soli fini dilatori o strumentali[52] e spesso per interessi extra-concorsuali, come per gli effetti sui reati di bancarotta.
8.1 . L’altalena degli effetti: dalla omologazione alla apertura della liquidazione giudiziale e viceversa
Molto interessanti sono le due disposizioni (artt. 52 e 53 CCII) che regolano quel che accade in caso di proposizione del reclamo, e di suo accoglimento o suo rigetto, qualora venga proposto ricorso per cassazione.
Nell’art. 52 si disciplina il caso della proposizione del reclamo contro l’omologazione: il reclamante o le altre parti possono chiedere alla corte d’appello un decreto provvisorio che inibisca al debitore l’esecuzione del piano o l’effettuazione di pagamenti, ed eventualmente adeguate misure cautelari ai sensi dell’art. 54 CCII[53]. Il decreto è reso dalla corte in composizione collegiale previa comparizione delle parti in contraddittorio fra loro; il decreto, al pari di una misura di natura (latamente) cautelare[54], non è suscettibile di ricorso per cassazione. 
Si collega a questa previsione quella dell’art. 51, comma 14, per la quale il ricorso per cassazione contro la pronuncia in sede di reclamo non sospende l’efficacia della sentenza, ma, se la pronuncia ha confermato quella di primo grado (e non nel caso opposto, in cui si applica invece l’art. 53), opera di nuovo l’art. 52.
Nell’art. 53, comma 5 e comma 6, CCII si disciplinano gli effetti dell’accoglimento del reclamo contro la sentenza che ha omologato il concordato, l’accordo o il piano di ristrutturazione soggetto a omologazione. 
Per bilanciare i contrapposti interessi ed evitare i pregiudizi che potrebbero discendere da un’altalena di effetti in caso di riforma del provvedimento di primo grado poi seguita dalla cassazione della pronuncia, si è immaginato che, una volta aperta la liquidazione giudiziale ad opera della Corte d’Appello, sia pure con i provvedimenti conseguenti demandati al tribunale, il debitore possa chiedere a quest’ultimo di sospendere sia i termini per la proposizione delle impugnazioni dello stato passivo (ad evitare la complicazione originata dal procedere fino alla cassazione di giudizi condizionati dall’esito dell’impugnazione proposta nei confronti della sentenza della Corte d’Appello, e destinati ad essere superati dall’eventuale accoglimento di quest’ultima), sia di sospendere la liquidazione dell’attivo (qui ad evitare il formarsi di situazioni incompatibili con l’accoglimento dell’impugnazione). Per non sprecare tempo prezioso, non è invece impedita la formazione dello stato passivo con un decreto, che, se i termini per le impugnazioni sono sospesi, anche se non viene impugnato ha un’efficacia meramente provvisoria.
La revoca della sentenza di omologazione lascia salvi tutti gli effetti degli atti legalmente compiuti durante la procedura, sia che risultino imputabili agli organi della procedura sia al debitore[55].
8.2 . L’arretramento della tutela specifica nel comma 5 bis dell’art. 53
Del tutto nuova e assai rilevante tanto sul piano pratico che su quello del sistema è la disposizione, introdotta in attuazione di una indicazione della Direttiva, secondo cui “in caso di accoglimento del reclamo proposto contro la sentenza di omologazione del concordato preventivo in continuità aziendale, la corte d’appello, su richiesta delle parti, può confermare la sentenza di omologazione se l’interesse generale dei creditori e dei lavoratori prevale rispetto al pregiudizio subito dal reclamante, riconoscendo a quest’ultimo il risarcimento del danno”: si sostituisce così la tutela specifica con quella per equivalente monetario, rimettendo al giudice, come in altri settori (per esempio, nella materia dei lavori pubblici, all’art. 124 Codice del processo amministrativo) il bilanciamento degli interessi in gioco.
La norma, prevista per il solo concordato preventivo con piano di continuità ma invocabile per effetto del richiamo anche al piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione, consente di giungere ad un risultato win-lose o lose-win nel senso che la fondatezza del reclamo contro la sentenza di omologazione non porta alla riforma della decisione e alla sua revoca ma soltanto all’attribuzione al creditore del diritto al risarcimento del danno là dove si assuma che, nel prevalente interesse della regolazione della crisi, sia preferibile la stabilità dell’omologazione.
Perché ciò accada è necessario che vi sia una richiesta espressa delle parti (debitore e creditori), che la conferma della decisione pur erronea sia coerente con il miglior interesse dei creditori e dei lavoratori e che il vincitore/perdente sia ristorato dal pregiudizio subito. Un pregiudizio che dovrà essere commisurato al differenziale di utilità tra quanto percepibile da un concordato che non avrebbe dovuto essere omologato e quanto ricavabile da una liquidazione giudiziale che avrebbe dovuto essere aperta.
9 . Conclusioni
La riscrittura delle regole processuali del giudizio di omologazione ha raccolto le riflessioni che in questi anni erano state svolte con riferimento alle conseguenze, sul tipo di giudizio, della presenza o meno delle opposizioni, alla natura di difese – non di domande - di queste ultime, alla omogeneità di disciplina tanto dell’omologazione del concordato che di quella degli accordi (visto che in tutti i casi il giudizio è retto dal ricorso ex art. 40), senza le differenze apparenti che si potevano scorgere nel diverso tenore degli artt. 180, commi 3 e 4, e 182 bis, comma 3. 
Col Codice sono stati messi in ordine quegli aspetti che avevano determinato letture fuorvianti, quali quella che, data la diversa disciplina dell’istruttoria nel concordato preventivo a seconda che fossero o meno proposte opposizioni, postulava un diverso tipo di controllo da parte del tribunale in un caso e nell’altro, e una diversa natura, contenziosa o di giurisdizione volontaria, del procedimento nel quale il controllo avveniva. 
Sono rimasti tuttavia, come abbiamo detto, dei nodi non secondari da sciogliere, e in particolare quello della natura e dell’oggetto del giudizio di omologazione del concordato preventivo: il tema dell’oggetto dei procedimenti di concordato, di omologa degli accordi di ristrutturazione e di liquidazione giudiziale ha avuto un rilievo centrale nella ricostruzione giurisprudenziale dei meccanismi di raccordo tra le procedure di regolazione della crisi e dell’insolvenza, che le Sezioni unite nel 2015 hanno individuato utilizzando la categoria della continenza per specularità che, a propria volta, evoca quella della incompatibilità tra diritti. 
Oggi il Codice ha cercato di risolvere quei medesimi problemi attraverso gli artt. 7 e 49, commi 1 e 2 CCII, ma quello dell’oggetto, come abbiamo visto, rimane un nervo scoperto, e il tema, già complicato di per sé, si porta dietro altri temi, non meno complicati, che sono classici del diritto concorsuale e del diritto processuale in generale: la questione dell’oggetto influisce sulla natura dei procedimenti, che a propria volta si accompagna a quella delle garanzie che vengono richieste quando viene utilizzata una tipologia di processo che, nato come modello tipico della giurisdizione volontaria, viene impiegato anche quando, pur non decidendo su diritti, il provvedimento del giudice in ogni caso incida su di essi. 
Se è vero quindi che le indicazioni fornite tra il 2015 e il 2018 dalla giurisprudenza della Suprema Corte, da una parte, e le indicazioni contenute negli artt. 7 e 49, commi 1 e 2, del Codice della crisi, dall’altra, hanno ormai risolto la gran parte delle questioni che possono porsi quando si fronteggiano istanze diverse per la sistemazione della medesima situazione di crisi d’impresa, e se è vero anche che la questione della ricorribilità o meno per cassazione dei provvedimenti è stata risolta con la previsione espressa della impugnazione, ciò non toglie l’utilità di una riflessione, più approfondita di quanto non sia possibile in questa sede, sui temi dell’oggetto e della natura delle procedure di regolazione della crisi e dell’insolvenza, che, per la loro complessità e per la mancanza di coordinate certe, si prestano spesso ad equivoci ricostruttivi. Del resto, il Codice della crisi è appena entrato in vigore e non ha ancora mostrato appieno quali potranno essere gli interrogativi che solo col tempo verranno ad emersione e sui quali inciderà l’opzione ricostruttiva prescelta.

Note:

[1] 
Cfr. le perplessità ricorrenti in F. De Santis, Il processo c.d. unitario per la regolazione della crisi o dell’insolvenza: effetti virtuosi ed aporie sistematiche, in Il Fall., 2020, 157; F. Tommaseo, Alcuni profili processuali della gestione dell’impresa in crisi, in Riv.dir.proc., 2020, 670; M. Montanari, Profili processuali del nuovo codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, in Nuove leggi civ., 2019, 263. Per una ricostruzione dei diversi passaggi che hanno portato alla costruzione del procedimento unitario, v. I. Pagni, L’accesso alle procedure di regolazione nel codice della crisi e dell’insolvenza, in Il Fall., 2019, 551.
[2] 
Così, invece, S. Pacchi, Il concordato preventivo, in AA.VV., Manuale di diritto fallimentare, Milano, 2011, 518; Cass., 15 gennaio 1985, n. 67, in Il Fall., 1985, 640.
[3] 
Nel precedente regime sulla natura ibrida del procedimento v. F.G.G. Pirisi, L’omologazione del concordato preventivo, in Crisi d’impresa e procedure concorsuali, diretto da O. Cagnasso-L. Panzani, Milanofiori-Assago, 2016, 3687.
[4] 
La questione si ripropone con riferimento all’art. 41 CCII, che non menziona la “camera di consiglio”.
[5] 
Si rinvia alla nota teorizzazione giurisprudenziale del procedimento in camera di consiglio come “contenitore neutro”: v. Cass. 28 luglio 2004, n. 14200, in Foro.it, 2005, I, 777; Cass. 22 ottobre 1997, n. 10377 in Foro.it, 1999, I, 2045; in dottrina, v., fra i molti, V. Denti, I procedimenti camerali come giudizi sommari di cognizione: problemi di costituzionalità ed effettività della tutela, in AA.VV., Quaderni dell’associazione fra gli studiosi del processo civile, XLV, Milano, 1991, 31. Per una opposta lettura, v. A. Proto Pisani, Il nuovo art. 111 Cost. e il giusto processo civile in Foro.it, 2000, V, 241; A. Cerino Canova, Per la chiarezza delle idee in tema di procedimento camerale e di giurisdizione volontaria in Riv. dir. civ., 1987, I, 63. Con specifico riguardo al procedimento di cui all’art. 2409 c.c. (di cui diremo infra nel testo) v. M.F. Ghirga, Il procedimento per irregolarità della gestione sociale, Padova, 1994, 168.
[6] 
M. Fabiani, Causa del concordato preventivo e oggetto dell'omologazione, in Nuove leggi civ., 2014, 579.
[7] 
G. Lener, Considerazioni intorno al plusvalore da continuità e alla “distribuzione” del patrimonio (tra regole di priorità assoluta e regole di priorità relativa), in www.dirittodellacrisi.it, 25 febbraio 2022.
[8] 
In termini simili, A. Bonsignori-E. Frascaroli Santi-G. Nardo-M. Zoppellari, Il concordato preventivo e quello stragiudiziale, Torino, 2001, 60, ove però si metteva in discussione il fatto che il debitore poteva cercare di regolare la crisi anche senza ricorrere al giudice. Ma nel testo si valorizzava che il debitore chiede che la crisi sia regolata secondo un modello speciale e cioè quello del concorso concordatario che ha tutta una serie di peculiarità.
[9] 
I. Pagni, Il controllo del Tribunale e la tutela dei creditori nel concordato preventivo, in Il Fall., 2008, 1093; M. Fabiani, Concordato preventivo, Bologna, 2014, 649.
[10] 
Questa tesi si trova in perfetta sintonia – per vero solo su questo punto – con C. Balbi, I creditori con diritto di prelazione nel concordato preventivo con cessione dei beni, in Riv. dir. proc., 1989, 440, ad avviso del quale il debitore chiede l’accertamento dei presupposti che giustificano un nuovo regolamento dei rapporti tra l’imprenditore e la serie dei creditori concorsuali, allo scopo di sostituire il regolamento civilistico di diritto comune.
[11] 
Questa specularità di ruoli è ben messa in evidenza da N. Picardi, La dichiarazione di fallimento dal procedimento al processo, Milano, 1974, 208.
[12] 
Organo di controllo da intendersi non già come l’autorità amministrativa di vigilanza (peraltro legittimata a propria volta, v., art. 40 CCII).
[13] 
Il collegio sindacale, il consiglio di sorveglianza e i consiglieri di amministrazione indipendenti che compongono il comitato per il controllo sulla gestione del sistema monistico, infatti, non sono titolari di un diritto alla regolazione della crisi secondo le regole del concordato preventivo, degli accordi o del piano di ristrutturazione soggetto a omologazione, ma, tutt’al più, di un potere di iniziativa ad esercizio doveroso di attivazione, che è cosa ben diversa dal primo.
[14] 
Il tema è molto complesso e la letteratura è molto ricca; in luogo di molti si veda, A. Valitutti, Il controllo giudiziario sulle società di capitali, Milanofiori-Assago, 2013, 54; G. Arieta (L. Montesano), Trattato di diritto processuale civile, II, 1, Padova, 2002, 1409 ss.; S. Ambrosini, Il controllo giudiziario, in Trattato di diritto privato, diretto da P. Rescigno, Milanofiori-Assago, 2013, 366; A. Bertolotti, I controlli nella s.p.a., Bologna, 2018, 601. In giurisprudenza, sulla natura non contenziosa con coerente esclusione della ricorribilità per cassazione, v., in luogo di molte, la sentenza capostipite Cass., sez.un., 23 ottobre 1961, n. 2343, in Giust. civ., 1961, I, 1731, per giungere senza soluzione di continuità a Cass. 29 dicembre 2011, n. 30052, secondo la quale la denunzia di cui all'art. 2409 c.c. è ammessa a tutela dell'interesse della società e dà vita ad un procedimento di amministrazione di interessi privati, definito di volontaria giurisdizione, il quale comporta un'attività oggettivamente amministrativa, connotata dalla modificabilità e revocabilità dei provvedimenti i quali, se pure incidenti sui diritti di terzi come gli amministratori, cui, dunque, è consentita la partecipazione al procedimento a tutela del loro interesse legittimo, non decidono in ordine ad alcun rapporto di diritto sostanziale fra i soci denunzianti ed i terzi, con la conseguenza che tali provvedimenti non sono ricorribili per cassazione.
[15] 
Cass. civ., sez. I, 29 dicembre 2011, n. 30052, in Foro.it, Rep. 2012, voce Società, n. 584.
[16] 
I. Pagni, Il controllo societario delle società per azioni in una prospettiva processuale, in Società, 2015, 1219. Sul tema si rinvia, senza pretesa di completezza, alle sistemazioni offerte, con varietà di accenti, in A. Cerino Canova, Per la chiarezza d’idee in tema di procedimento camerale e di giurisdizione volontaria, in Riv. dir. civ., 1987, 480; M. Pagano, Contributo allo studio dei procedimenti di camera di consiglio, in Dir. e giur., 1988, 11; A. Proto Pisani, Usi e abusi della procedura camerale ex art. 737 ss. c.p.c., in Riv. dir. civ., 1990, 393; L. Montesano, Dovuto processo su diritti incisi da giudizi camerali e sommari, in Riv. dir. proc., 1989, 915; L. Lanfranchi, La cameralizzazione del giudizio su diritti, in Giur. it., 1989, IV, 33; F. Tommaseo, I processi a contenuto oggettivo, in Studi in onore di E. Allorio, Milano, 1989, I, 81 ss.
[17] 
Ad esempio, se il giudice sia o meno legato al principio dell’onere della prova, tipico dei processi contenziosi: S. Vanoni, Denunzia al tribunale, in Commentario al codice civile diretto da P. Schlesinger e F.D. Busnelli, Milano, 2017, 28; F. Tommaseo, I processi a contenuto oggettivo, in Studi in onore di E. Allorio, I, Milano, 1989, 81; G. Bongiorno, Il procedimento previsto dall’art. 2409 c.c., in Studi in onore di Crisanto Mandrioli, I, Milano, 995, 243; G. Canale, Il nuovo procedimento previsto dall’art. 2409 c.c., in Riv. trim. dir. proc. civ., 2005, 103; M.F. Ghirga, Il procedimento per irregolarità della gestione sociale, op. cit., 86; G.U. Tedeschi, Il controllo giudiziario sulla gestione, in Trattato delle società per azioni, diretto da G.E. Colombo - G.B. Portale, 5, Torino, 1988, 276.
[18] 
Cass., sez. un., 28 dicembre 2016, n. 27073, in Il Fall., 2017, 537.
[19] 
Per una critica alla pronuncia delle Sezioni unite v. I. Pagni, Decisorietà e definitività dei provvedimenti in materia di concordato e accordi nella prospettiva delle Sezioni unite, in Il Fall., 2017, 542 ss.
[20] 
Sul tema dell’oggetto del processo, ma visto ancora nel prisma del procedimento pre-fallimentare v. da ultimo, M. Cirulli, Oggetto del processo per dichiarazione di fallimento e natura del reclamo, in Dir. fall., 2022, 80 ss.
[21] 
M.Fabiani, Per la chiarezza delle idee su proposta, piano e domanda di concordato preventivo e riflessi sulla fattibilità, in Il Fall., 2011, 172.
[22] 
In argomento v. A. Motto, Poteri sostanziali e tutela giurisdizionale, Torino, 2012, 17 ss.
[23] 
I. Pagni, Contratto e processo nel concordato preventivo e negli accordi di ristrutturazione dei debiti, op. cit., 576; A. Penta, Il controllo del tribunale in sede di omologazione del concordato preventivo e la prosecuzione dell’attività d’impresa, in Il Fall., 2008, 84. Già prima della riforma, v., A. Bonsignori, Diritto fallimentare, Torino, 1992, 429; F.C. Carboni, Il processo di omologazione del concordato preventivo, Padova, 1994, 127.
[24] 
I. Pagni, Contratto e processo nel concordato preventivo e negli accordi di ristrutturazione dei debiti, op. cit., 578; G. Fabbrini, voce Eccezione, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1989, vol. XII, 1 ss.
[25] 
Per l’interpretazione prevalente il controllo sulla fattibilità può essere sollecitato al tribunale, ma è questione anche rilevabile d’ufficio; v., fra i molti, D. Galletti, Il nuovo concordato preventivo: contenuto di piano e sindacato del giudice, in Giur. comm., 2006, II, 911; I. Pagni, Contratto e processo nel concordato preventivo e negli accordi di ristrutturazione dei debiti, cit., 580; S. Pacchi, Il concordato preventivo, op. cit., 517.
[26] 
P. Brenca, Osservazioni a margine dei poteri del tribunale in fase di omologa e del reclamo avverso il decreto di revoca dell’ammissione al concordato preventivo, in Dir. fall., 2011, II, 281.
[27] 
Cass. 9 giugno 2010, n. 13897, in Il Fall., 2010, 924; Cass. 14 febbraio 2002, n. 2104; App. Genova, 14 aprile 2004, in Dir. fall., 2005, II, 486; G. Rago, Il concordato preventivo dalla domanda all’omologazione, Padova, 1998, 467.
[28] 
È utile rammentare che l’art. 19 l. 197/1903, stabiliva espressamente che le pronunce sui crediti erano provvisorie e non potevano pregiudicare l’accertamento del credito.
[29] 
Sul tema, v. I. Pagni, Operazioni straordinarie e procedure preventive: profili processuali, in Il Fall., 2017, 1053 ss.
La soluzione dell’assorbimento era prevalente tra gli interpreti già prima della modifica normativa, anche se non mancavano opinioni opposte: nel primo senso, F. Guerrera-M. Maltoni, Concordati giudiziali e operazioni societarie di «riorganizzazione», in Dir. fall., 2008, 87 ss.; G. Palmieri, Operazioni straordinarie «corporative» e procedure concorsuali: note sistematiche e applicative, in Il Fall., 2009, 1098 ss.; V. Calandra Bonaura, La gestione societaria dell’impresa in crisi, in Liber amicorum Pietro Abbadessa, Torino, 2014, 2612 ss.; P. Pototschnig, Le scissioni (e le fusioni) societarie quali strumenti di attuazione del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione, in www.ilcaso.it, 35 ss.; G. Guizzi, Patrimoni destinati e crisi societarie, in Riv. dir. comm., 2006, I, 773 ss.; M. Consiglia di Martino, La fusione «concordataria» delle società di capitali, Campobasso, 2013, 174. Per la disamina degli argomenti che avrebbero dovuto condurre ad escludere l’assorbimento dell’opposizione societaria nell’opposizione all’omologa nei concordati liquidatori, posto che ciò integrerebbe un arbitrario travaso di risorse destinate ai creditori di una società a quelli di un’altra società, v. R. Brogi, La fusione e la scissione nel concordato preventivo e nel concordato fallimentare, in P. Bastia-R.Brogi, Operazioni societarie straordinarie e crisi d’impresa, in OCI, collana diretta da M. Ferro, Milano, 2016, 190 ss.
[30] 
In questo senso, V. Calandra Bonaura, La gestione societaria dell’impresa in crisi, cit., 2613.
[31] 
In questo senso, M. Arato, Il piano di concordato e la soddisfazione dei creditori concorsuali, in Crisi d’impresa e procedure concorsuali, Trattato diretto da O. Cagnasso, e L. Panzani, Torino, 2016, III, 3479.
[32] 
Così, invece, F.G.G. Pirisi, L’omologazione del concordato preventivo, op. cit., 3689.
[33] 
Non anche gli astenuti che nel nuovo sistema di voto (art. 109 CCII) perdono importanza.
[34] 
È importante rilevare che l’omessa notificazione determina la nullità del procedimento per violazione del contraddittorio secondo Cass., 8 febbraio 2019, n. 3860, in Il Fall., 2019, 584.
[35] 
Per il regime precedente P.F. Censoni, Il concordato preventivo, in Trattato delle procedure concorsuali, diretto da A. Jorio-B. Sassani, IV, Milano, 2016, 343; G. Bozza, L’omologazione della proposta (i limiti alle valutazioni del giudice), in Il Fall., 2006, 1067.
[36] 
F.G.G. Pirisi, L’omologazione del concordato preventivo, op. cit., 3695.
[37] 
F.G.G. Pirisi, L’omologazione del concordato preventivo, op. cit., 3692.
[38] 
Nel regime vigente, per la non perentorietà v. Cass., 16 settembre 2011, n. 18987, Foro.it, 2012, I, 135; G. Lo Cascio, Il concordato preventivo, Milano, 2017, 633.
[39] 
Contra, Cass., 4 febbraio 2009, n. 2706, in Foro.it, 2009, I, 2370.
[40] 
Cass., 16 settembre 2011, n.18987, in Foro.it, 2012, I, 135; M. Fabiani, Concordato preventivo, op. cit., 663.
[41] 
C. Ferri, Classi di creditori e poteri del giudice nel giudizio di omologazione del ‘‘nuovo’’ concordato preventivo, in Giur. comm., 2006, I, 571.
[42] 
In una lettura più coerente col sistema, già ora V. Giorgi, Poteri del giudice nell'omologazione del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione del debito, in Dir. fall., 2015, I, 415, lascia al giudice ampi poteri istruttori pur quando non siano state avanzate opposizioni.
[43] 
I. Pagni, L’accesso alle procedure di regolazione nel codice della crisi e dell’insolvenza, op. cit., 559.
[44] 
M. Montanari, Il sempre problematico confine tra revoca dell’ammissione al concordato preventivo e giudizio di omologazione, in Il Fall., 2019, 460; F. De Santis, Il processo c.d. unitario per la regolazione della crisi o dell’insolvenza: effetti virtuosi ed aporie sistematiche, op. cit., 157; in senso diverso P.F. Censoni, Il concordato preventivo, op. cit., 347, ad avviso del quale l’attività istruttoria dovrebbe essere ridotta al minimo indispensabile.
[45] 
Sul punto v. G. Ferri jr., Gli accordi di ristrutturazione dei debiti: struttura, funzione ed effetti, a cura di G. Ferri jr. e D. Vattermoli, Pisa, 2021.
[46] 
G. Fauceglia, Il nuovo diritto della crisi e dell’insolvenza, Torino, 2019, 80.
[47] 
Cass., 19 novembre 2018, n. 29741, in Il Fall., 2019, 927.
[48] 
Cass., 9 febbraio 2017, n. 3463. 
[49] 
S. Sanzo-D. Burroni, Il nuovo codice della crisi di impresa e dell’insolvenza, cit., 91; V. Zanichelli, La nuova disciplina del concordato preventivo, cit., 164; S. Ambrosini, L’omologazione del concordato, cit., 517; App. Genova, 23 dicembre 2011, in Il Fall., 2012, 437.
[50] 
V. Zanichelli, La nuova disciplina del concordato preventivo, op. cit., 165.
[51] 
Cass., 21 dicembre 2018, n. 33345, in Il Fall., 2019, 1048.
[52] 
I. Pagni, L’accesso alle procedure di regolazione nel codice della crisi e dell’insolvenza, op. cit., 562.
[53] 
V. Zanichelli, La nuova disciplina del concordato preventivo, cit., 169.
[54] 
I. Pagni, L’accesso alle procedure di regolazione nel codice della crisi e dell’insolvenza, cit., 562.
[55] 
S. Sanzo-D. Burroni, Il nuovo codice della crisi di impresa e dell’insolvenza, cit., 93.

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