La procedura di concordato preventivo è trattata nel codice della crisi di impresa e dell’insolvenza (CCII) negli articoli dal 84 al 120 quinquies. Nella procedura di concordato preventivo (sia esso liquidatorio o in continuità), a norma dell’art. 167 L. fall., e come confermato nell’art. 94 del CCII, l’amministrazione dei beni e l’esercizio di impresa, sotto la vigilanza del commissario giudiziale, permane in capo al debitore il quale, conservando anche la legale rappresentanza dell’impresa, deve curare il corretto adempimento di tutti gli adempimenti fiscali e tributari che proseguono secondo le regole ordinarie e senza deroghe.
Le implicazioni fiscali, in ambito imposte dirette, che interessano la procedura in esame risultano in particolare: i) dall’art. 86, comma 5 TUIR; ii) dall’art. 88, comma 3 bis TUIR; iii) dall’art. 88, comma ter TUIR e iv) dall’art. 101, comma 5 TUIR che regolano rispettivamente:
i) il trattamento impositivo delle minusvalenze e plusvalenze derivanti dalla cessione dei beni nel concordato preventivo;
ii) il trattamento dei contributi percepiti dall’impresa a titolo di liberalità dai soggetti sottoposti alle procedure concorsuali;
iii) il trattamento delle sopravvenienze attive (cd. bonus da concordato) derivanti dalla riduzione dei debiti dell’impresa per effetto della procedura;
iv) il conseguente trattamento fiscale, in capo al creditore, della perdita su crediti rispetto a debitori assoggettati a procedure concorsuali.
Richiamandone analiticamente la disciplina:
- l’art. 86, comma 5 TUIR recita: “La cessione dei beni ai creditori in sede di concordato preventivo non costituisce realizzo delle plusvalenze e minusvalenze dei beni, comprese quelle relative alle rimanenze e il valore di avviamento”. Seppur talvolta dibattuto se la previsione rilevasse esclusivamente per il concordato con cessione dei beni, o anche per forme diverse di concordato, ad avviso di chi scrive, è agevole ritenere che la normativa si riferisca non già alla forma del concordato in quanto caratterizzata dalla cessione dei beni, quanto piuttosto all’istituto della cessione dei beni nel concordato preventivo e quindi valevole per tutti quei beni per i quali la proposta di concordato preveda la cessione a prescindere dalla forma. Conseguentemente il precetto si ritiene applicabile a tutte le forme di concordato preventivo siano esse di liquidazione, di continuità ovvero miste[6].
Rispetto poi alle plusvalenze/minusvalenze – dopo una prima interpretazione secondo cui le stesse dovessero essere solo quelle relative alla cd. cessio bonorum – tale orientamento è stato superato confermando l’irrilevanza fiscale per tutte le plusvalenze/minusvalenze derivanti dalla cessione dei beni nel concordato preventivo. In senso conforme la stessa amministrazione finanziaria con la risoluzione n. 29 del 01 marzo 2004 dove si conferma, richiamando la Sent. 04 giugno 1996, n. 5112, della Suprema Corte, che la ratio della norma è quella di “ridurre l’onere fiscale delle operazioni compiute nel corso della liquidazione giudiziale”.
- l’art. 88, comma 3 bis TUIR, introdotto dall’art. 14 del D.L. n. 18/2016 (cd. Riforma delle banche) prevede testualmente che: “Non costituiscono sopravvenienze attive, in quanto esclusi, i contributi percepiti a titolo di liberalità dai soggetti sottoposti alle procedure concorsuali …(omissis) … ad esclusione di quelli provenienti da società controllate dell’impresa o controllate dalla stessa società che controlla l’impresa”; in particolare l’articolo prevede l’esclusione da tassazione quali sopravvenienze attive per i contributi percepiti a titolo di liberalità dalle società in procedura concorsuale, anche nei 24 mesi successivi alla chiusura della procedura, con esclusione di quelli derivanti nell’ambito dei rapporti infragruppo.
- l’art. 88, comma 4 ter, TUIR dispone che “non si considerano … sopravvenienze attive le riduzioni dei debiti dell’impresa in sede di concordato … preventivo liquidatorio”. E’ quindi prevista nell’ambito del concordato preventivo liquidatorio una detassazione piena per il cd. “bonus da concordato” ossia per la differenza tra il debito iscritto in bilancio e la percentuale offerta ai creditori; il momento in cui fiscalmente emerge il beneficio è da individuarsi con il giudizio di omologa ovvero con la chiusura della procedura.
Mentre per il concordato preventivo liquidatorio, come detto, l’articolo in commento prevede una detassazione piena per le sopravvenienze attive derivanti dalla riduzione dei debiti, nell’ambito del concordato preventivo di “risanamento”, l’articolo come modificato dal D. Lgs. n. 147/2015 (cd. decreto Internazionalizzazione) e da successivi interventi ne introduce un regime di detassazione parziale. E’ previsto che la riduzione dei debiti dell’impresa non costituisca sopravvenienza attiva per la sola parte che eccede le perdite, pregresse e di periodo, di cui all’articolo 84, senza considerare il limite dell’ottanta per cento, la deduzione di periodo e l’eccedenza relativa all’aiuto alla crescita economica di cui all’articolo 1, comma 4, del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, e gli interessi passivi e gli oneri finanziari assimilati di cui al comma 4 dell’articolo 96 del presente testo unico.
Come evidenziato in circolare Assonime n. 17 del 14 giugno 2016 la ratio dell’intervento normativo che ha introdotto una detassazione parziale per i concordati di risanamento è da individuare nella “volontà del legislatore di voler far scattare la detassazione in parola solo dopo aver consumato le poste che potrebbero dar luogo ad una riduzione degli imponibili dei successivi periodi di imposta”. L’applicazione della norma pone sicuri interrogativi, facendo peraltro riferimento alla nozione di “concordato di risanamento” rispetto alla diversa locuzione di “concordato con continuità aziendale” dell’art. 186 bis L. fall. (locuzione anche ripresa nel testo del nuovo CCII), risultando forse, per chi scrive, poco coerente con le finalità normative e della procedura.
Sul tema in esame di interesse è una presa di posizione dell’Agenzia delle entrate che desta perplessità.
Con una risposta ad interpello, la numero 201/2022, l’Agenzia delle Entrate torna sul tema del trattamento fiscale delle sopravvenienze attive che, per effetto dello stralcio dei debiti di cui alla proposta concordataria, si manifestano all’omologazione del concordato stesso.
Le analisi dell’Agenzia muovono da un’ipotesi particolare, che riporta altresì alla tematica della decorrenza dei termini di prescrizione delle spettanze dei creditori in sede di concordato. Nell’ambito di un concordato preventivo di natura liquidatoria la cui esecuzione è durata più di dieci anni, e per il quale la proposta omologata prevedeva il pagamento dei creditori chirografari al 40% tramite la liquidazione di tutti gli attivi, un socio della società debitrice ha eccepito la prescrizione di parte delle spettanze dei creditori, per intervenuta decorrenza del termine decennale di cui all’articolo 2496 del c.c. sostenendo che nel corso della procedura concordataria il decorso del termine di prescrizione non sia sospeso, come invece è previsto apertis verbis nel fallimento.
Ne sono scaturite in particolare procedure di mediazione assistita con singoli creditori, ovvero giudizi ordinari.
All’esito degli stessi, una serie di posizioni di debito è stata definita con una ulteriore riduzione delle spettanze dei creditori, rispetto alla percentuale del 40% prevista dalla proposta, ovvero con l’integrale annullamento per intervenuta prescrizione.
L’aspetto dell’interpello su cui ci si vuole focalizzare è quello della applicabilità o meno delle prescrizioni dell’art. 88 Tuir a questo ulteriore stralcio.
A giudizio dell’istante, l’effetto esdebitatorio si determina alla fine del periodo concorsuale assorbendo tutta l’operatività sviluppata nel corso della procedura e l’intero risultato rientra nelle ipotesi agevolative di cui all’art. 88 comma 4 ter TUIR, sottolineandosi che tal prescrizione normativa “non subordina in alcun modo la detassazione delle sopravvenienze di cui trattasi alla causa sottostante, ovvero ad una particolare causa”.
Replica diversamente l’Agenzia delle Entrate, secondo cui “in relazione alla riduzione dei debiti derivanti dalle procedure poste in essere dal socio della società, le relative sopravvenienze concorrono interamente alla formazione della base imponibile ires ai sensi dell’art. 88 Tuir”.
L’Agenzia poggia la propria affermazione sulla circostanza per cui “si tratta di componenti di reddito che, sebbene conseguiti in fase di esecuzione di concordato, esulano dall’originario concordato omologato”.
L’interpretazione è particolarmente restrittiva, e si presta ad una serie di considerazioni in direzione contraria.
Innanzitutto, il dato letterale della norma non è tale da consentire una distinzione tra la fase di formazione della proposta concordataria (fino all’omologazione) e la fase esecutiva del concordato omologato. La norma, opportunamente, richiama “le riduzioni di debiti in sede di concordato”. E la “sede” del concordato è certamente anche quella della fase esecutiva, alla quale oltretutto sono connaturate evoluzioni e modifiche degli originari termini del piano concordatario, pur nella direzione della sua tenuta ed esecuzione.
D’altro canto, giova risalire ai principi ispiratori della norma. Come ricorda la relazione accompagnatoria all’articolo 55 del D.P.R. N. 917/86 (confluito poi nell’articolo 88 in commento) “si è ritenuto di escludere la tassabilità inserendo una norma espressa, allo scopo di non rendere più difficoltoso il concordato stesso”. Le finalità normative sono state riprese e cristallizzate dalla Corte di Cassazione con la sentenza 5112 del 3 aprile 1996 che, pur in tema di articolo 86 Tuir, aveva chiaramente enunciato l’obiettivo “di ridurre l’onere fiscale delle operazioni compiute nel corso della liquidazione concordataria”.
Recente dottrina[7] ha rimarcato la circostanza per cui “il soddisfacimento dell’obbligazione tributaria in relazione all’ammontare delle sopravvenienze attive originate dalla riduzione dei crediti chirografari avrebbe comportato l’impossibilità di dare attuazione al concordato preventivo e conseguentemente avrebbe provocato la sentenza dichiarativa di fallimento, rendendo quindi del tutto inapplicabile la normativa civilistica del concordato stesso”.
In definitiva, l’arrocco dell’Agenzia sullo schema del piano omologato non pare in linea:
· con l’iter complessivo della procedura, che evolve in una fase esecutiva necessariamente interessata da variazioni applicative del piano, ai fini di una sua esecuzione;
· con la conseguente possibilità che in tale fase esecutiva le posizioni passive possano conoscere variazioni qualitative e quantitative rispetto al piano come portato alla votazione dei creditori;
· con il concetto stesso di piano, che comporta una fase esecutiva con le relative differenti declinazioni;
con le chiare finalità della norma di neutralizzare dal punto di vista fiscale le “riduzioni dei debiti” legate al piano concordatario. In senso conforme i primi commenti all’interpello, secondo cui “la limitazione individuata dalle Entrate non appare conforme alla ratio della norma … che è quella di non gravare di oneri fiscali un’impresa già soggetta a procedure come concordato liquidatorio o fallimento in considerazione della sua effettiva capacità contributiva”.[8]
Non si ravvisa un mutamento di visuale tra concordato liquidatorio e concordato in continuità. Anche in ipotesi di continuità, infatti, le diminuzioni della passività concordatarie, ancorché successive alla omologa del concordato, possono rientrare a pieno titolo tra le variazioni di passivo neutrali dal punto di vista fiscale, in quanto finalizzate alla tenuta della proposta e comunque correlate al suo adempimento (sotto la vigilanza, si rammenta, del commissario giudiziale).
Un ulteriore aspetto merita un riordino sistematico e terminologico.
Tanto l’istanza di interpello, quanto la risposta dell’Agenzia delle Entrate, che riguardano un concordato liquidatorio, richiamano il concetto possibile di “residuo attivo” alla chiusura della procedura, asserendo come lo stesso “deve essere assoggettato ad imposizione” (così l’istanza) e “assume rilevanza ai fini fiscali” (così il parere dell’Agenzia).
La rappresentazione non convince.
Si ricorda che nel concordato preventivo la gestione rimane all’imprenditore e fiscalmente l’impresa in procedura è soggetta alle ordinarie disposizioni in tema di reddito di impresa, eccezion fatta per quelle che in modo specifico trattano del concordato preventivo (in particolare artt. 86 e 88 TUIR).
Il risultato reddituale viene determinato al termine di ogni esercizio, e l’eventuale utile netto potrà essere accantonato a riserva. Ove al termine di un concordato liquidatorio residuasse della finanza, questa potrà eventualmente essere distribuita ai soci, in primis quale rimborso di capitale e, se del caso, come distribuzione di riserve.
In altri termini, non si determina come nel fallimento un “residuo attivo” da assoggettare ad imposta autonomamente, come invece previsto per la procedura fallimentare dell’articolo 183 TUIR.
- quanto all’art. 101, comma 5 TUIR si rammenta come regoli invece il trattamento degli effetti sui creditori del debitore nell’operazione di risanamento che per effetto della procedura di concordato preventivo possono trovarsi a rilevare una perdita su crediti. L’articolo recita: “Le perdite di beni … e le perdite su crediti … sono deducibili se risultano da elementi certi e precisi e in ogni caso, per le perdite su crediti, se il debitore è assoggettato a procedure concorsuali …”. La disposizione tutela l’evidente interesse del creditore di svalutare con riconoscimento fiscale il proprio credito in ragione della inferiore misura di soddisfazione oggetto della proposta concordataria e quindi avuto riguardo alla parte non soddisfatta. Secondo quanto previsto dall’articolo, il momento in cui può essere rilevato l’evento è quello del decreto di ammissione del debitore alla procedura di concordato preventivo. Sul punto la Direzione regionale dell’Agenzia delle Entrate della Lombardia ha tuttavia precisato che il riferimento è al decreto definitivo di ammissione alla procedura di concordato preventivo e non già il decreto di ammissione alla procedura ai sensi dell’art. 161, comma 6 L. fall. (concordato preventivo cd. “in bianco”).
In ogni caso, per quanto espresso nel comma 5 bis dell’art. 101 la deduzione della perdita su crediti è ammessa nel periodo di imputazione in bilancio, ovvero anche in un periodo di imposta successivo a quello in cui il debitore, secondo quanto precede, si considera assoggettato a procedura concorsuale, purché tale imputazione non avvenga in un periodo di imposta “successivo a quello in cui, secondo la corretta applicazione dei principi contabili, si sarebbe dovuto procedere alla cancellazione del credito di bilancio”. Il richiamo sul tema è al principio contabile OIC 15 che provvede ad individuare ai paragrafi 71-77 i corretti principi contabili per la cancellazione del credito dal bilancio per cui, in attuazione del principio di derivazione rafforzata ex art. 83 TUIR, si determina l’estinzione con valenza anche fiscale.
In ambito imposta regionale sulle attività produttive (IRAP) non rilevano particolarità ai sensi della L. n. 244/2007, dovendosi applicare, come per l’imposta sul reddito, le regole ordinarie. Come noto la base imponibile dell’imposta regionale è determinata dalla differenza tra il valore della produzione (A) e dei costi della produzione di cui alla lettera (B) del conto economico ex art. 2425 c.c. con esclusione, dai costi, delle seguenti voci:
B9) – Costi del personale
B10), lettera c) – altre svalutazioni delle immobilizzazioni
B10), lettera d) – svalutazione dei crediti dell’attivo circolante e delle disponibilità liquide
B12) – accantonamenti per rischi
B13) – altri accantonamenti.
Ritiene chi scrive che, pur in assenza di uno specifico richiamo normativo nella L. n. 244/2017, le plusvalenze ex art. 86, comma 5 così come le sopravvenienze attive ex art. 88, comma 4 ter TUIR – trattandosi di componenti straordinarie[9] (connesse alla falcidia concordataria) – non siano soggette ad IRAP.
In favore di tale interpretazione (con riferimento ai bilanci relativi agli esercizi finanziari a tutto il 31/12/2015) risulta utile il richiamo al provvedimento dell’Agenzia delle entrate n. 5378 del 15 gennaio 2014 e, per quanto attiene l’art. 88 TUIR, la risposta n. 904-211/2016 dell’amministrazione finanziaria che sostiene che “per quanto esposto, questa direzione condivide la soluzione prospettata dalla società istante relativamente alla non tassabilità, ai fini irap, delle sopravvenienze attive derivanti dalla falcidia concordataria”.
Il D.Lgs. n. 139/2015 con riferimento ai bilanci relativi agli esercizi finanziari con inizio a partire dal 1 gennaio 2016, ha soppresso l’area straordinaria del conto economico di cui all’art. 2425 c.c. ex voce E), determinando conseguenze sulla determinazione della base imponibile IRAP.
Il D.L. n. 244/2016 convertito nella L. n. 19/2017 è intervenuto sull’art. 5, comma 1 del D.Lgs. n. 446/1997 con modifiche tese a coordinare la nuova disciplina di bilancio prevista dal D.Lgs. n. 139/2015 con la disciplina tributaria, introducendo il cd. principio di derivazione rafforzata (art. 83 TUIR) sulla base del quale i componenti positivi e negativi sono imputati secondo corretta qualificazione, imputazione temporale e classificazione così come previsto dai principi contabili (OIC 12 e 19).
Con riferimento a quanto precede, come verrà meglio analizzato nel capitolo “Approfondimenti ai fini Irap”, le plusvalenze ex art 86, comma 5 le sopravvenienze attive ex art. 88 commi 3 bis e 5 TUIR, non concorrono alla formazione della base imponibile Irap, venendo classificati nell’area finanziaria del conto economico voce C16 d). Il principio contabile (OIC 12 par. 92) include infatti nella voce di conto economico C16d) “Proventi diversi dai precedenti” le componenti positive di reddito derivanti da ristrutturazione del debito con la conseguenza che le stesse risultano escluse dalla base imponibile IRAP.