La permanenza dei poteri gestori in capo agli organi amministrativi delle società del gruppo durante il percorso della composizione negoziata vale a superare ogni dubbio in ordine al perdurante esercizio dell’attività di direzione e coordinamento da parte della società holding. La soluzione positiva prospettata in altra sede con riferimento al concordato preventivo[11] non può dunque che trovare conferma, e a fortiori, nel percorso stragiudiziale delle trattative, la cui conduzione unitaria ai sensi dell’art. 13 D.L. 118, sembra anzi presupporre di regola una perdurante attività di coordinamento delle entità del gruppo che vi partecipano ad opera della holding.
Qualora la crisi in cui versano alcune imprese del gruppo venga a trascolorare in insolvenza (pur sempre reversibile, in quanto “esistono concrete prospettive di risanamento”), andranno considerati i vincoli funzionali posti dall’art. 9 del decreto, che impone di ispirare la gestione della società – e dunque anche la direzione e coordinamento sulla stessa da parte della capogruppo – al prevalente interesse dei creditori in caso di insolvenza. Anche in tale contesto – che potrebbe indubbiamente far assumere alla eterodirezione connotati diversi da quella esercitata nel gruppo in funzionamento fisiologico – la stessa disposizione da ultimo richiamata conferma in capo al debitore il potere di esercitare atti di ordinaria e straordinaria amministrazione. La più ampia capacità operativa che tanto quest’ultima, quanto le società eterodirette conservano durante la composizione negoziata vale dunque a prevenire gran parte dei rischi di interferenza sull’esercizio dell’attività di direzione e coordinamento, che connotano invece inevitabilmente la procedura concordataria. In particolare, nella composizione negoziata non è dato registrare quei corollari limitativi – sebbene non necessariamente ostativi – che lo “spossessamento attenuato” determina, sin dall’eventuale fase prenotativa, sulle operazioni di finanziamento e concessione di garanzie reali e personali, precludendo la fisiologica operatività della politica finanziaria del gruppo, che tipicamente compete alla holding.
La realizzazione di operazioni finanziarie tra società del gruppo non soltanto non è ostacolata dall’avvio della composizione negoziata, ma risulta in qualche misura assecondata dalla disciplina dettata dal Decreto. In questa prospettiva si iscrive innanzi tutto il nono comma dell’art. 13 che esenta espressamente dalla regola della postergazione legale di cui agli artt. 2497-quinquies e 2467 c.c. i crediti derivanti da “finanziamenti eseguiti in favore di società controllate oppure sottoposte a comune controllo, in qualsiasi forma pattuiti dopo la presentazione dell’istanza di cui all’articolo 2, comma 1, (…) sempre che l’imprenditore abbia informato preventivamente l’esperto ai sensi dell’articolo 9, comma 2, e che l’esperto, dopo avere segnalato che l’operazione può arrecare pregiudizio ai creditori, non abbia iscritto il proprio dissenso ai sensi dell’articolo 9, comma 4”.
La disposizione va raccordata alle previsioni contenute, rispettivamente, nell’art. 9 e nel primo comma, lett. c) dell’art. 10 del Decreto, che insieme completano la disciplina dei finanziamenti infragruppo realizzati nel corso della composizione negoziata.
La prima norma, richiamata dall’art. 13, richiede in termini generali che il compimento di atti di straordinaria amministrazione, tra i quali sono sussumibili i finanziamenti infragruppo, sia oggetto di informazione preventiva all’esperto; analogo obbligo è previsto “per l’esecuzione di pagamenti che non siano coerenti rispetto alle trattative o alle prospettive di risanamento” (art. 9, comma 2). In tali casi “l’esperto, quando ritiene che l’atto può arrecare pregiudizio ai creditori, alle trattative o alle prospettive di risanamento, lo segnala per iscritto all’imprenditore e all’organo di controllo” (art. 9, comma 3); se, nonostante la segnalazione, l’atto viene compiuto, “l’imprenditore ne informa immediatamente l’esperto il quale, nei successivi dieci giorni, può iscrivere il proprio dissenso nel registro delle imprese. Quando l’atto compiuto pregiudica gli interessi dei creditori, l’iscrizione è obbligatoria” (art. 9, comma 4). Si deve dunque innanzi tutto constatare che, nel corso della composizione negoziata, ogni nuovo contratto di finanziamento infragruppo, al pari del rimborso di finanziamenti preesistenti (come ha cura di precisare, per i finanziamenti soci, il decreto dirigenziale del 28 settembre 2021, ricomprendendoli tra gli atti che eccedono l’ordinaria amministrazione), presuppone l’adempimento degli obblighi informativi da parte della società che intenda acquisire il finanziamento o procedere al rimborso, così da permettere il doveroso preventivo scrutinio da parte dell’esperto e le eventuali segnalazioni ed iscrizioni del dissenso ad opera di quest’ultimo.
Se l’art. 9 costituisce dunque il piedistallo normativo dell’istituto in esame, su un piano ulteriore si colloca la previsione dettata dal primo comma, lett. c), dell’art. 10, ai sensi del quale il tribunale, “verificata la funzionalità degli atti rispetto alla continuità aziendale e alla migliore soddisfazione dei creditori, può (…) autorizzare una o più società appartenenti ad un gruppo di cui all’articolo 13 a contrarre finanziamenti prededucibili ai sensi dell’articolo 111 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267”.
Al riguardo sarebbe agevole stigmatizzare il tenore letterale piuttosto claudicante di una disposizione che, da un lato, fa genericamente riferimento ad ogni finanziamento che sia stato contratto “da una o più società appartenenti ad un gruppo” e, dall’altro riferisce la prededuzione ai “finanziamenti”; non meno agevolmente si può tuttavia pervenire a una lettura correttiva volta a indirizzare selettivamente la prededuzione in esame ai crediti derivanti da finanziamenti erogati in qualunque forma da altre società appartenenti al medesimo gruppo di imprese[12].
Di là da tale rilievo formale, va sottolineata la rilevanza della complessiva disciplina dei finanziamenti in corso di composizione negoziata, quale desumibile dalla lettura coordinata di questa disposizione con il nono comma dell’art. 13, in quanto viene ad offrire a operatori e interpreti una soluzione normativa alla delicata questione della qualificazione dei finanziamenti infragruppo strumentali a soluzioni della crisi diversi dall’approdo fallimentare (e, un domani, della liquidazione giudiziale)[13].
Da tale complesso normativo si evince una sorta di tassonomia tripartita che vede collocarsi, in un ideale climax ascendente:
i) alla base, i finanziamenti infragruppo “disincentivati”, in quanto postergati in base alle regole generali dettate dal codice civile, che sarebbero destinate a trovare di regola applicazione per l’almeno tendenziale riconducibilità nell’alveo del presupposto oggettivo di cui al secondo comma dell’art. 2467 c.c. della situazione di crisi richiesta ai fini dell’avvio della composizione negoziata[14];
ii) in una posizione intermedia, i finanziamenti infragruppo “non disincentivati”, di cui al nono comma dell’art. 13, svincolati da qualsiasi vaglio giudiziale e ricollegati alla convergenza di un requisito temporale – l’essere stati eseguiti dopo l’istanza per la nomina dell’esperto – e del presupposto negativo della mancata iscrizione del dissenso alla stipulazione del contratto di finanziamento da parte dell’esperto;
iii) infine, al vertice, i finanziamenti infragruppo “incentivati” dalla prededuzione, che può essere riconosciuta in presenza dei più stringenti requisiti richiesti dal primo comma dell’art. 10 d.l., rappresentati dalla valutazione di convenienza e di funzionalità alla continuità d’impresa da parte del tribunale e dalla conseguente autorizzazione.
Nel rinviare al commento a quest’ultima disposizione per un approfondimento dei presupposti della prededuzione, ora richiamati, si deve qui ribadire come tali presupposti, da un lato, non siano meccanicamente trasponibili dalla dimensione atomistica della società monade al contesto molecolare del gruppo di imprese[15] e, dall’altro, non risultino a livello operativo significativamente diversi da quelli richiesti dal nono comma dell’art. 13 ai fini dell’esenzione dalla postergazione. La linea di confine tra la funzionalità dell’operazione al “miglior soddisfacimento dei creditori” (che il giudice è chiamato ad accertare ai sensi dell’art. 10), e la diversa precondizione per cui la stessa non dovrebbe risultare a questi ultimi pregiudizievole (sottoposta al vaglio dell’esperto ai sensi dell’art. 13) si rivela invero labile e sfuggente; mentre, sotto altro versante, pare innegabile che l’obiettivo della preservazione della continuità aziendale costituisca un denominatore comune ad ogni operazione di sostegno finanziario infragruppo realizzato nel corso di un percorso, qual è la composizione negoziata unitaria di gruppo, che per definizione mira al superamento della situazione di crisi di cui all’articolo 2, comma 1, del decreto, e dunque alla tutela o al ripristino della continuità aziendale, in una logica gestoria ispirata alla sostenibilità economico-finanziaria dell’attività dell’imprese coinvolte nella composizione negoziata[16].
Alla luce di tali considerazioni, non pare azzardato pronosticare che le imprese coinvolte nel sostegno finanziario infragruppo saranno naturalmente sospinte a richiedere l’autorizzazione così da assurgere al rango della prededuzione, piuttosto che accontentarsi dell’esenzione dalla postergazione. Nel nuovo scenario è dunque prevedibile che l’ambito applicativo del penultimo comma dell’art. 13 rimanga relegato alle ipotesi nelle quali si intenda conservare il percorso di composizione negoziata di gruppo – e, al suo interno, l’operazione di finanziamento – entro una dimensione puramente stragiudiziale o, ancora, si intenda ridefinire il punto di equilibrio tra la posizione della società finanziata e quella che eroga il finanziamento, anche alla luce della diversa gravità della crisi e soprattutto degli esiti delle trattative in corso con gli altri creditori e con gli eventuali finanziatori esterni al gruppo[17].
A quest’ultimo riguardo va ricordato che la nuova disciplina contempla espressamente la possibile partecipazione alle trattative delle “imprese partecipanti al gruppo che non si trovano nelle condizioni indicate nell’articolo 2, comma 1” (così il settimo comma dell’art. 13, sul quale v. supra, ai par. 1 e 4): un coinvolgimento proattivo delle società in bonis ai fini del risanamento delle entità in crisi, in una logica unitaria corrispondente ai principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale, che può aver luogo anche su invito dell’esperto ed è suscettibile di tradursi innanzi tutto in interventi di sostegno finanziario delle prime a beneficio delle seconde, tali da permettere la realizzazione di un piano unitario di risanamento non realizzabile dalle sole società in crisi attingendo alle loro sole risorse.
La ricordata “naturale” propensione a richiedere l’autorizzazione tribunalizia ai fini della prededuzione, piuttosto che accontentarsi del rango chirografario, potrebbe risultare ulteriormente accentuata qualora il piano di risanamento di gruppo includa finanziamenti di società controllate a favore della capogruppo. Tali operazioni sono infatti certamente suscettibili di rientrare nel più ampio spettro applicativo di cui all’art. 10, comma 1, lett. c), laddove il nono comma dell’art. 13 fa riferimento ai soli finanziamenti “discendenti” effettuati dalla holding a favore delle società eterodirette od “orizzontali” tra queste ultime. In tale diversa formulazione si potrebbe annidare il rischio di una interpretazione a contrario che, anche in assenza dell’iscrizione del dissenso da parte dell’esperto, induca ad applicare comunque la regola postergazione legale ex art. 2497 quinquies c.c. al credito derivante dal finanziamento ascendente erogato alla capogruppo dalle controllate e al credito di rivalsa che maturerebbe in capo a queste ultime in ipotesi di escussione di garanzie accordate a favore della prima[18].