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Saggio

Crisi dei gruppi e composizione negoziata*

Niccolò Abriani e Giuliana Scognamiglio, Ordinario di diritto commerciale nell’Università di Firenze e Ordinario di diritto commerciale nell’Università di Roma

23 Dicembre 2021

*Il saggio è stato sottoposto in forma anonima alla valutazione di un referee.
Gli autori esaminano la complessa e innovativa tematica del fenomeno dei gruppi nel quadro della composizione negoziata. Regole e strumenti sono al centro di un’analisi critica che ne intercetta il senso, la portata, le prospettive. 
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1 . Cenni introduttivi sulla rilevanza del fenomeno dei gruppi nella disciplina della crisi e dell’insolvenza
Il d.l. n. 118/2021, convertito nella l. n. 147/2021, nell’introdurre nel nostro sistema del diritto della crisi d’impresa il nuovo istituto della composizione negoziata, ne disciplina altresì - all’art. 13, rubricato “conduzione delle trattative in caso di gruppo di imprese” - l’applicazione al fenomeno delle imprese fra loro legate dall’appartenenza ad un medesimo gruppo, 
L’attenzione specifica nei riguardi della fattispecie del gruppo di imprese, nel contesto delle varie ipotesi di regolazione della crisi, non costituisce una novità nel nostro ordinamento. Il precedente più recente è dato dalla legge delega per la riforma organica della disciplina della crisi d’impresa, n. 155/2017 che all’art. 3 dettava i criteri per la disciplina del concordato preventivo e della liquidazione giudiziale coinvolgenti più imprese di uno stesso gruppo; ad essa ha fatto seguito il decreto legislativo delegato n. 14/2019, recante il codice della crisi e dell’insolvenza dell’impresa (nel prosieguo c.c.i.i.), che in attuazione dei suddetti criteri disciplina analiticamente (agli artt. 284 e seguenti) l’applicazione ai gruppi delle due ricordate procedure concorsuali e che tuttavia, pur se pubblicato in Gazzetta ufficiale all’inizio del 2019, non è ancora entrato effettivamente in vigore[1].
Si può quindi affermare che la disciplina dettata nell’art. 13 del d.l. n. 118/2021 costituisce la prima disciplina della crisi del gruppo ad avere effettiva vigenza nel nostro Paese, se si eccettua la normativa sull’amministrazione straordinaria, nelle due varianti disciplinate rispettivamente dal d.lgs. n. 270/1999 e dal d.l. n. 347/2003, conv. In l. n. 39/2004, che è però tarata su un segmento particolare, quello delle imprese in stato di insolvenza qualificabili come “grandi” sulla base di determinati indici dimensionali.
La ratio che giustifica la previsione di regole specifiche in materia di gruppi di imprese è comune ai diversi interventi normativi che si sono dianzi ricordati: il riconoscimento, cioè, del possibile interesse a far valere, anche nella fase della gestione della crisi o dell’insolvenza, il profilo dell’unità (unità della direzione, rispetto ad una o più fasi o funzioni delle imprese aggregate in gruppo, gestite in forma accentrata e coordinata per l’intero insieme) che immancabilmente caratterizza, sia pure in costante tensione dialettica con il profilo della pluralità, il fenomeno dei gruppi di imprese. 
Si dà spazio, per altro, riprendendo in pieno, a quanto sembra, il ragionamento sottostante alle soluzioni al riguardo adottate dal c.c.i.i., anche alla possibilità che detto interesse non sussista[2]: ciò potrebbe per esempio accadere nel caso di gruppi a conduzione fortemente decentrata, caratterizzati cioè da un elevato tasso di autonomia della gestione ovvero da un elevato tasso di disomogeneità fra le attività economiche delle imprese che ne fanno parte, o di gruppi nei quali il fenomeno della crisi è effettivamente circoscritto ad un segmento o ad un settore limitato, che potrebbe in ipotesi coincidere con una o alcune delle singole entità soggettive in cui il gruppo è articolato. 
Ma se la struttura e la conformazione del gruppo, o le modalità della sua conduzione nella fase in bonis, sono tali da giustificare la conservazione del profilo della gestione unitaria anche durante la crisi, le imprese devono poter disporre di strumenti all’uopo adeguati, senza sentirsi eccepire la mancanza di una disciplina positiva espressa e la necessità di tale disciplina per superare il dato oggettivo della distinta personalità giuridica o comunque della reciproca autonomia soggettiva fra le imprese del gruppo.
2 . Il gruppo di imprese e la composizione negoziata per la soluzione della crisi: l’ipotesi della conduzione unitaria delle trattative, contrapposta a quella della conduzione atomistica
Il caso che in questa sede interessa è dunque quello dell’accesso da parte dei gruppi di imprese alla composizione negoziata per la soluzione della crisi. Il d.l. in esame prevede al riguardo due possibili percorsi: (a) l’iniziativa, sin dall’origine configurata come unitaria (art. 13, comma 2), di più imprese appartenenti al medesimo gruppo che versano nelle condizioni indicate nell’art. 2, comma 1 (i.e., in condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario che ne rendono probabile la crisi o l’insolvenza); iniziativa che presumibilmente avrà come antecedente uno specifico accordo fra le imprese in questione o uno specifico atto di indirizzo della comune capogruppo e che consiste nel richiedere congiuntamente, al segretario generale della camera di commercio competente sulla base dei criteri enunciati nel comma 3 dell’art. 13, la nomina dell’esperto facilitatore di cui all’art. 2, comma 2; (b) l’impulso dei diversi esperti nominati a seguito delle domande spiegate all’origine separatamente da singole imprese del gruppo affinché la composizione negoziata si svolga in modo unitario per tutte le imprese richiedenti, o per una parte di esse, appositamente individuate (art. 13, comma 8), nel qual caso la composizione, iniziata in maniera “atomistica” dovrebbe proseguire con l’ausilio dell’esperto designato di comune accordo fra quelli in origine nominati o, in mancanza di accordo, dell’esperto nominato a seguito dell’istanza presentata per prima.
La seconda ipotesi appare sotto diversi aspetti più problematica e complessa: agli esperti separatamente nominati è infatti attribuito il potere di optare per la formula della conduzione unitaria della composizione negoziata, il che presuppone il preventivo accertamento da parte degli stessi (con quali modalità? Con quali risorse? Con quali strumenti istruttori?) di legami fra le imprese aspiranti alla composizione negoziata, tali da rendere scarsamente proficua la strada della composizione atomistica, che pure le imprese interessate, nell’esercizio della propria autonomia imprenditoriale, avevano valutato come coerente con le rispettive esigenze e con le peculiarità della specifica aggregazione di gruppo. Inoltre, il percorso (b) lascia intravedere in filigrana la possibile tara del conflitto fra i diversi esperti nominati, per la designazione di quello che dovrà assumere l’incarico della conduzione unitaria delle trattative, una volta divisatane l’opportunità; conflitto per il quale la legge prevede comunque un criterio di soluzione, identificato nella prevalenza dell’esperto nominato sulla base dell’istanza presentata per prima.
Tornando al percorso (a), sembra che l’esito della domanda congiuntamente presentata dalle diverse imprese del gruppo non possa che essere positivo, sul presupposto che abbia avuto esito positivo la verifica, da parte del segretario generale della Camera di commercio, della sussistenza sia del requisito soggettivo, attinente alla condizione in cui versano le imprese, sia del requisito oggettivo, attinente alla esistenza fra le imprese interessate delle tipologie di collegamento richiamate nel comma 1, su cui si tornerà a breve (infra, par. 4). Altrimenti detto: il potere della Camera di commercio di opporre un diniego alla nomina dell’unico esperto sembra circoscritto alle ipotesi di carenza dei presupposti indicati rispettivamente nel comma 2 dell’art. 2 nel comma 1 dell’art. 13; in presenza di detti presupposti, sembra che la Camera di commercio non possa svolgere valutazioni discrezionali riguardo all’opportunità e alla convenienza della scelta del percorso unitario ovvero riguardo al perimetro delle imprese coinvolte, né nel senso di escluderne una o talune, né nel senso di coinvolgere ex officio nella composizione negoziata di gruppo imprese che non avevano sottoscritto l’istanza congiunta.
Quindi, a seguito della richiesta congiunta pervenuta alla Camera di commercio competente (sulla base dei criteri indicati nel comma 3 dell’art. 13, su cui si veda più avanti il par. 5), l’esperto facilitatore, unico per l’insieme delle imprese richiedenti, verrà nominato e comincerà a svolgere il suo compito – così come descritto nel comma 2 dell’art. 2 - in maniera unitaria per tutte le imprese del gruppo partecipanti all’iniziativa. 
Potrebbe tuttavia succedere (art. 13, comma 6) che, nel corso della sua attività, l’esperto si renda conto di ciò, che la conduzione unitaria delle trattative è resa più difficile e gravosa dalla contestuale partecipazione di più imprese ovvero di troppe imprese; nel qual caso gli viene attribuito il potere di decidere che il negoziato con le controparti si svolga in maniera atomistica per ciascuna impresa del gruppo; così come può decidere (art. 13, comma 7) di invitare imprese del gruppo che non soddisfano il presupposto oggettivo indicato, in termini generali, nell’art. 2, comma 2, a partecipare alle trattative congiuntamente con le altre, che invece si trovano in quelle particolari condizioni.
3 . I poteri attribuiti all’esperto facilitatore con riferimento alla composizione negoziata coinvolgente imprese di un medesimo gruppo
La scelta legislativa di attribuire ad un professionista, designato – sia pure da una pubblica autorità – su istanza di soggetti privati con il compito di facilitare un certo percorso negoziale diretto alla composizione della crisi il potere di modificare la composizione soggettiva di una delle parti del negoziato, in tal modo forzando o comunque alterando quella che era stata la scelta delle imprese interessate, effettuata nell’esercizio della loro autonomia d’impresa nonché, possibilmente, su indirizzo ed impulso della loro impresa capogruppo presta il fianco a non pochi dubbi e rilievi; rilievi che possono investire altresì, a ben vedere, il potere di segno opposto, ma di contenuto strutturalmente non dissimile, attribuito agli esperti plurimi, nominati disgiuntamente, di optare per la gestione unitaria della composizione negoziata ex art. 13, comma 8.
Si può anzitutto osservare, sia pure con la cautela imposta dalla circostanza che si tratta della primissima interpretazione di un testo normativo molto recente, che i poteri in tal modo assegnati all’esperto facilitatore sembrano avere un’estensione molto ampia (e contenuti non sempre chiaramente delineati), senza che ad essi sia, in termini espliciti, correlata alcuna responsabilità. In vero: 
(i) per l’esercizio di detti poteri non sono previsti espressamente limiti di tempo; 
(ii) (l’esistenza di un obbligo di motivazione sembra potersi affermare, alla stregua del tenore testuale delle norme, soltanto nei casi disciplinati dal comma 6 (qui l’esperto dovrà allegare circostanze idonee a comprovare la gravosità eccessiva, dunque non proporzionata e disfunzionale rispetto all’obiettivo perseguito, della conduzione unitaria del negoziato per giustificare la propria decisione di passare, almeno per alcune imprese, ad una gestione atomistica del negoziato medesimo) e dal comma 8, mentre non sembra vincolato ad alcun obbligo di motivazione, né agganciato ad alcuna circostanza o presupposto oggettivo il potere di “invito” di cui al comma 7, che – se esercitato con successo – ha l’effetto di coinvolgere nei negoziati imprese in bonis
(iii) sembra che il potere previsto dal comma 6 dell’art. 13 (così come quello previsto dal comma 8) non generi alcuna possibilità di contestazione da parte delle imprese investite dalle scelte discrezionali dell’esperto: il che appare singolare, tanto più se si considera che dette imprese potrebbero essere (art. 13, comma 1) sottoposte al potere di direzione e coordinamento di un’altra impresa o ente e che non sembra esservi ragione di ritenere che il potere di direzione e coordinamento del soggetto posto al vertice del gruppo ceda e venga meno a fronte del potere dell’esperto, quasi che il suo compito di facilitatore nella gestione della composizione negoziata della crisi giustificasse altresì il suo subentro nel ruolo che fisiologicamente spetta all’impresa o all’ente capogruppo. Diversamente, nel caso previsto dal comma 7 dell’art. 13, sembra che le imprese in bonis che l’esperto vorrebbe coinvolgere nelle trattative, in quanto destinatarie di un mero invito, possano semplicemente declinarlo e rimanere così fuori del negoziato per la composizione della crisi (così come, per converso, potrebbero essere le imprese stesse a farsi avanti spontaneamente per essere coinvolte, senza che la loro iniziativa possa incontrare ostacoli nei poteri di conformazione delle parti del negoziato attribuiti all’esperto); 
(iv) nulla si dice, poi, riguardo alla possibilità di interazioni ed interferenze tra l’esercizio, da parte del facilitatore, dei poteri che gli sono attribuiti e gli interessi ed i comportamenti di soggetti partecipi delle trattative in qualità di controparti dell’imprenditore, in particolare creditori, lavoratori ed altri stakeholders. In proposito, si può supporre legittima l’interlocuzione fra detti soggetti e l’esperto facilitatore, al quale gli stessi potrebbero fornire l’input o lo stimolo utile all’assunzione di determinate decisioni, per esempio in materia di coinvolgimento nelle trattative di imprese del gruppo ancora in bonis, oppure di passaggio dalla conduzione unitaria dei negoziati a quella atomistica nel caso in cui la prima risulti troppo complessa e costosa, in una parola disfunzionale rispetto all’obiettivo. Più difficile sembra invece ricostruire nel silenzio del dato positivo, un potere di contestazione formale, da parte degli stakeholders coinvolti nella composizione negoziata della crisi dell’impresa, delle decisioni discrezionalmente adottate dall’esperto in particolare ai sensi dell’art. 13, comma 6 (ovvero dell’art. 13, comma 8); 
(v) non viene chiarito se, nel caso disciplinato dal comma 6 dell’art. 13 (decisione dell’esperto di convertire, totalmente o parzialmente, la gestione unitaria in gestione atomistica delle trattative), l’esperto debba rimandare le imprese alla Camera di commercio, affinché presentino istanza per la nomina di ulteriori esperti, oppure possa mantenere comunque il ruolo in capo a sé stesso, anche con riferimento alle imprese che, sulla base della sua decisione, vengono poste al di fuori della composizione negoziata unitaria. Nel silenzio della norma positiva, il dubbio ha una sua ragion d’essere, anche perché la prima soluzione (rinvio delle imprese alla Camera di commercio per la designazione di ulteriori esperti) comporterebbe probabilmente l’inconveniente di un aggravio di tempo aggiuntivo a carico delle imprese interessate; tuttavia, dalla disciplina complessiva della composizione negoziata della crisi dei gruppi (ed in particolare dal comma 8 dell’art. 13) sembra potersi inferire che la previsione di un esperto facilitatore unico per più imprese dello stesso gruppo sviene considerata coerente con, e perciò si giustifica in ragione dell’opzione per la conduzione unitaria delle trattative; il che lascia pensare che si debba procedere in senso opposto (i.e., alla nomina di più esperti) nel caso in cui si intenda realizzare il percorso opposto.
Il lettore vorrà perdonare il carattere sintetico e talora apodittico dei rilievi che precedono, giustificabile solo in considerazione dell’esigenza di tempestività di questo primissimo commento della nuova disciplina; e vorrà convenire sul punto che detti rilievi toccano uno dei punti nevralgici (forse il più complesso ed il meno limpido) della disciplina nel suo insieme, e cioè il corretto inquadramento giuridico della figura dell’esperto e del suo ruolo, su cui si può prevedere che il dibattito, appena aperto, duri ancora a lungo, andando ben al di là della tematica dei gruppi e dunque dei limiti contenutistici del presente commento.
4 . I presupposti (a) oggettivo e (b) soggettivo della composizione negoziata delle crisi di gruppo. Il principio della trasparenza dei legami di gruppo
(a) Del presupposto oggettivo della composizione negoziata di gruppo si è già detto: la disciplina postula che ciascuna delle imprese istanti per la nomina di un unico esperto, ai fini della conduzione unitaria delle trattative (ai sensi del comma 2 dell’art. 13), o di più esperti, nel caso di opzione per la composizione atomistica ai sensi del comma 8, versi nelle condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario, descritte nel comma 1 dell’art. 2. 
Di più non si dirà in questa sede sulle caratteristiche specifiche di tali situazioni di squilibrio, che sono oggetto di un apposito commento. 
Vale invece la pena richiamare la statuizione (contenuta nel già menzionato comma 7 dell’art. 13) secondo la quale, nel caso dei gruppi di imprese, la sussistenza del presupposto oggettivo delineato nel comma 1 dell’art. 2 è presupposto per l’accoglimento dell’istanza di nomina dell’esperto, ma non costituisce requisito imprescindibile per l’ingresso nella composizione negoziata e per la partecipazione alle trattative: altrimenti detto, occorre che il presupposto ricorra in capo alla o alle imprese istanti (saranno contestualmente più di una in caso di istanza per la composizione unitaria di gruppo), ma potrebbe mancare in capo a una o più imprese, che sono chiamate (dalle altre del gruppo o dallo stesso esperto) a partecipare alla vicenda nella loro specifica qualità di imprese in bonis e con la finalità, verosimilmente, di offrire supporto operativo, finanziario o anche di semplice patronage alle trattative intraprese o che si vanno ad intraprendere. 
Ora, è noto a chiunque abbia un po’ di dimestichezza con le tematiche della crisi e dell’insolvenza dei gruppi (rectius, delle imprese facenti parte di un gruppo) che uno dei nodi problematici risiede nella questione relativa all’ammissibilità, ed in tal caso ai limiti e alle condizioni, del coinvolgimento nelle relative procedure (di crisi o di insolvenza) delle imprese in bonis del gruppo: è infatti possibile che la crisi o l’insolvenza attacchino solo determinate articolazioni soggettive del gruppo e non si estenda ad altre; nel qual caso l’ipotesi della partecipazione delle imprese rimaste indenni alle procedure che investono le imprese “malate” del gruppo viene in generale considerata incompatibile con il principio della separatezza e reciproca autonomia dei patrimoni delle imprese facenti parte del gruppo, che ha come corollario l’impossibilità di estendere ad una qualsiasi altra società del gruppo i debiti che gravano su quella insolvente.
Va tuttavia osservato che la soluzione affermativa, in punto di coinvolgimento delle imprese in bonis del gruppo, se appare discutibile nel caso delle procedure concorsuali in senso tecnico, dirette all’attuazione della garanzia patrimoniale dell’impresa debitrice in stato di insolvenza, solleva difficoltà teoriche molto minori in un caso, come quello della composizione negoziata, in cui il perno della vicenda è costituito dallo svolgimento, secondo buona fede, trasparenza e correttezza (art. 4, commi 4, 5, 6, 7), di trattative mirate alla ricerca di una soluzione negoziale della crisi. 
Trattandosi di una vicenda che si dipana sul terreno dell’autonomia contrattuale e dell’autonomia d’impresa, sia pure assistita dall’intermediazione pubblica nella nomina dell’esperto e accompagnata da alcuni interventi dell’autorità giudiziaria, la previsione di limiti alla partecipazione di altre imprese del gruppo (diverse da quelle in condizione di squilibrio) sarebbe disfunzionale rispetto all’esigenza di massimizzare lo sforzo negoziale complessivo, con l’obiettivo di conseguire, quanto prima possibile, una soluzione condivisa della crisi (o del pericolo di crisi o di insolvenza) che ha investito alcune articolazioni del gruppo.
La soluzione in proposito adottata dall’art. 13, comma 7, della legge in esame merita quindi, a nostro avviso, di essere valutata favorevolmente.
(b) quanto al presupposto soggettivo, la disciplina dell’art. 13 si rivolge ai titolari di imprese commerciali e agricole (cfr. art. 2, comma 1) che siano reciprocamente avvinte da legami tali da configurarle come un “gruppo di imprese”.
La definizione del gruppo di imprese dettata dal comma 1 dell’art. 13 ricalca in maniera pedissequa quella enunciata nell’art. 2, lettera h), d.lgs. n. 14/2019; questa, a sua volta, si ispira molto da vicino alla nozione di gruppo implicitamente accolta dal codice civile (artt.2497 e seguenti) nel testo novellato dalla riforma organica del diritto societario (d. lgs. n. 6/2003). Anche in questo caso si può quindi osservare che la disciplina in esame intende affermare una linea di continuità con le scelte definitorie già adottate, sul medesimo terreno della disciplina delle crisi d’impresa, dal c.c.i.i. e motivate da una valutazione di preferenza per soluzioni normative che evitino il proliferare incontrollato di nozioni di gruppo di imprese di volta in volta diverse, nella misura in cui la sostanza del fenomeno economico considerato non richieda una siffatta diversificazione delle definizioni.
Il gruppo di imprese rilevante ai fini dell’art. 13 del nostro decreto presenta, dunque, le seguenti caratteristiche:
- non include mai lo Stato o gli enti territoriali, che restano fuori del perimetro del gruppo; 
- l’elemento essenziale ed indefettibile che collega l’una all’altra le legal entities che compongono il gruppo è dato dall’attività di direzione e coordinamento, la quale può far capo ad una società, ad un ente (diverso, ovviamente, dallo Stato e dagli enti territoriali) o ad una persona fisica; 
- soggetti passivi della direzione e coordinamento esercitata dal soggetto capogruppo possono essere imprese o enti (ancora una volta diversi dallo Stato e dagli enti territoriali);
- sono contemplati sia il modello del gruppo verticale fondato sul controllo sia quello del gruppo fondato su vincoli contrattuali, ivi incluso il modello del gruppo paritetico fra imprese cooperative;
- l’attività di direzione e coordinamento, anche qui in linea con la scelta già operata nel c.c. e nel c.c.i.i., non viene definita nei suoi contenuti; viene tuttavia agevolato l’accertamento della sua esistenza sulla base dei criteri presuntivi indicati nelle lettere a) e b) del comma 1 dell’art. 13. Alla stregua di detti criteri l’attività di direzione e coordinamento si presume, salvo prova contraria esercitata dall’ente o dalla società tenuti alla redazione del bilancio consolidato di gruppo, nonché dalla società o ente a cui fa capo il controllo, diretto o indiretto, anche nel caso in cui il controllo sia esercitato congiuntamente da due o più società o enti;
- le imprese del gruppo hanno tutte la propria sede legale nel territorio dello Stato.
Riguardo all’ultimo punto, la scelta a suo tempo compiuta dal d.lgs. n. 14/2019 e qui testualmente richiamata, se è probabilmente di dubbia giustificazione e perciò meritevole di essere ripensata con riferimento alle procedure concorsuali ivi disciplinate, appare ancor più discutibile con riferimento alla composizione negoziata per la soluzione della crisi. Andrebbe al riguardo quanto meno ammesso che imprese del gruppo aventi la propria sede legale all’estero possano associarsi alle consorelle aventi la sede legale nel territorio italiano nell’istanza per la nomina di un unico esperto, sì da favorire l’avvio di un negoziato unitario di gruppo con le controparti rilevanti.
Ampiamente ricalcata sulle soluzioni adottate del c.c.i.i. ed in particolare ispirata al principio, ormai generalmente accolto, della necessaria trasparenza dei legami di gruppo, appare infine la regola (art. 13, comma 4) onde è imposto alle imprese del gruppo di inserire nella piattaforma istituita ex art. 3, oltre alla documentazione richiesta dall’art. 5, comma 3, (i) una relazione che fornisca informazioni analitiche in merito all’architettura partecipativa e contrattuale del gruppo, (ii) l’indicazione relativa al registro o ai registri delle imprese in cui è stata effettuata la pubblicità prescritta dall’art. 2497-bis, ed infine (iii) il bilancio consolidato del gruppo in questione, se disponibile. 
5 . I criteri di individuazione della camera di commercio presso la quale depositare l’istanza unitaria di composizione negoziata e del tribunale competente a vagliare le istanze relative a misure protettive e cautelari relative a imprese del gruppo
Il terzo comma dell’art. 13 dispone che l’istanza unitaria di composizione negoziata che coinvolge più società del gruppo dev’essere “presentata alla camera di commercio, industria, agricoltura e artigianato ove è iscritta la società o l’ente, con sede nel territorio dello Stato, che, in base alla pubblicità prevista dall’articolo 2497-bis del codice civile, esercita l’attività di direzione e coordinamento oppure, in mancanza, l’impresa con sede nel territorio dello Stato che presenta la maggiore esposizione debitoria, costituita dalla voce D del passivo nello stato patrimoniale prevista dall’articolo 2424 del codice civile in base all’ultimo bilancio approvato ed inserito nella piattaforma telematica ai sensi del comma 4”. 
Identica scansione è riproposta nel quinto comma dell’art. 13 al fine di determinare il tribunale competente per la concessione delle misure protettive e cautelari di cui agli artt. 6 e 7 dello stesso Decreto: anche in questo caso si fa riferimento innanzi tutto alla circoscrizione giudiziaria in cui ha sede l’ente che dirige e coordina le altre società in crisi e, in difetto dell’indicazione pubblicitaria di cui all’art. 2497-bis c.c., a quella dell’impresa che presenta la maggiore esposizione debitoria. 
In questa seconda disposizione il fuoco della norma è posto sul dato sostanziale della sede reale di cui all’art. 9 l.f. e non sul dato formale della iscrizione, cui fa invece riferimento il terzo comma; con un conseguente potenziale disallineamento tra la camera di commercio competente alla nomina dell’esperto chiamato a gestire la trattativa unitaria e il tribunale competente a confermare le misure protettive e cautelari[3].
Sul punto è immediata l’assonanza con i criteri previsti dall’art. 286, comma 1, c.c.i., ai fini della individuazione del tribunale competente per la presentazione con unico ricorso della domanda di accesso alla procedura di omologazione di accordi di ristrutturazione dei debiti o di concordato preventivo di gruppo, sia essa fondata su un piano unitario o su piani reciprocamente collegati e interferenti: anche per tali procedure unitarie la domanda andrà proposta al “tribunale individuato ai sensi dell’articolo 27 in relazione al centro degli interessi principali della società o ente o persona fisica che, in base alla pubblicità prevista dall’articolo 2497-bis del codice civile, esercita l’attività di direzione e coordinamento oppure, in mancanza, dell’impresa che presenta la maggiore esposizione debitoria in base all’ultimo bilancio approvato”[4]. 
Assonanza, ma non piena coincidenza: non soltanto per la più puntuale definizione di maggior esposizione debitoria, che potrà costituire un punto di riferimento anche per il Codice della crisi, ma altresì per la non necessaria coincidenza tra la sede principale di cui all’art. 9 l.fall., identificata presuntivamente con quella legale, e il centro degli interessi principali (c.d. COMI) della capogruppo o della società più esposta. Il D.L. 118 non opera inoltre distinzioni in relazione alle dimensioni del gruppo coinvolto nella composizione negoziata unitaria; i criteri indicati sono dunque destinati a trovare applicazione anche in ipotesi di gruppi di imprese di rilevante dimensione, per il quali il Codice della crisi contempla invece una (opportuna) attrazione della competenza presso “il tribunale sede delle sezioni specializzate in materia di imprese di cui all’articolo 1 del decreto legislativo 27 giugno 2003, n.168”[5].
Al pari del criterio di cui all’art. 286, comma 1, c.c.i., anche quello indicato dal terzo e quinto comma dell’art. 13 è destinato a trovare applicazione nell’ipotesi in cui il gruppo presenti imprese, rispettivamente, iscritte presso diverse camere di commercio (comma 3, ai fini del deposito dell’istanza unitaria di composizione negoziata) o con sedi in circoscrizioni giudiziarie diverse (comma 5, ai fini della proposizione della domanda di misure protettive e cautelari). In tali casi il riferimento a criteri oggettivi e predeterminati – quale la sede dell’ente che, in base alla pubblicità di cui all’articolo 2497-bis c.c., esercita l’attività di direzione e coordinamento o, in via subordinata, della società che presenta la maggiore esposizione debitoria – mira a limitare i rischi di forum shopping e connessi abusi, ai quali si potrebbe prestare il diverso criterio temporale, peraltro accolto in altri importanti ordinamenti che radicano invece la competenza nel luogo di presentazione della prima domanda da parte di una delle imprese del gruppo[6].
Il criterio principale potrà trovare applicazione solo in ipotesi di un coinvolgimento diretto della capogruppo nel percorso di composizione negoziata, che a sua volta presuppone la configurabilità anche nei suoi confronti del presupposto oggettivo della composizione negoziata. Va peraltro osservato, da un lato, che la dilatazione in funzione anticipatoria di tale presupposto – il cui ventaglio spazia dalla mera “probabilità di crisi” sino alla insolvenza, purché reversibile – determina un ampliamento del perimetro delle società del gruppo suscettibili di essere coinvolte nel percorso unitario di ristrutturazione, a cominciare dalla holding; dall’altro, che l’eventuale successivo coinvolgimento della capogruppo in bonis nelle trattative, che può aver luogo su invito dell’esperto in forza della previsione di cui al settimo comma dell’art. 13, non avrebbe naturalmente alcuna incidenza sulle già radicate competenze.
La lettera della norma sembrerebbe tuttavia lasciare spazio all’applicazione del criterio sussidiario, basato sulla sede della società con la maggiore esposizione debitoria, anche nelle ipotesi in cui, pur essendo coinvolta ab initio la società posta al vertice del gruppo, tale posizione e la speculare soggezione a direzione e coordinamento delle controllate non abbia l’evidenza pubblicitaria richiesta – rectius, imposta – dall’art. 2497 bis c.c. Si tratta di una conclusione che non sembra peraltro automatica, ove si consideri la presunzione postulata dall’art. 2497 sexies c.c. e reiterata dalla nozione di gruppo enunciata dal comma iniziale della norma in esame (v. supra, al par. 4). Di dubbia efficienza si rivelerebbe, d’altro canto, una regola che, per quanto in via suppletiva, finirebbe per ricollegare ad un inadempimento degli obblighi pubblicitari una maggior discrezionalità delle società del gruppo nel radicamento della competenza; tanto più ove si consideri – e questo pare il dato decisivo – che il criterio principale, segnatamente nella declinazione sostanzialistica di cui al quinto comma, mira evidentemente a conservare un nesso con il principale centro di interessi di un gruppo, la gestione della cui crisi – ad iniziare dalla scelta a monte della stessa istanza unitaria – rappresenta una peculiare forma di esercizio del potere di direzione e coordinamento della holding sulle società eterodirette[7]. 
Queste considerazioni sembrano confermare il carattere meramente subordinato del criterio alternativo, relegandone l’applicazione alle sole ipotesi in cui la capogruppo non presenti i presupposti richiesti per la presentazione dell’istanza di composizione negoziata. Al di fuori di tali situazioni, e della ancor più rara fattispecie del gruppo paritetico, le competenze in esame andranno pertanto individuate considerando l’ambito territoriale e la circoscrizione giudiziaria in cui ha sede l’ente che si colloca – dichiaratamente (art. 2497-bis c.c.) o presuntivamente (artt. 2497-sexies c.c. e 13, comma 1, D.L. 118) – al vertice del gruppo ed è, come tale, tenuto a coordinare la gestione unitaria del risanamento delle società eterodirette che condividano con il primo la situazione di crisi reversibile[8]. 
Su un piano ancora distinto si pone la peculiare ipotesi nella quale l’esercizio della direzione e coordinamento sia riferibile a una persona fisica. Si tratta di una fattispecie che, come ricordato, viene ora espressamente contemplata dal decreto nel solco della corrispondente disposizione del Codice della crisi, con riferimento alla quale non trovano tuttavia applicazione né gli artt. 2497-bis e 2497-sexies c.c., né le presunzioni di cui alla parte finale del primo comma dell’art. 13 comma, parimenti riferite alle sole “società” od enti controllanti. In tal caso, la competenza andrà pertanto determinata accertando in concreto l’esercizio effettivo della eterodirezione: un onere probatorio agevole da assolvere, dati i tempi serrati imposti dalla crisi, ma al contempo eludibile qualora non si intenda coinvolgere ab initio nelle trattative la holding persona fisica[9].
Va infine sottolineato che se la domanda unitaria di nomina dell’esperto può essere presentata soltanto dalle imprese del gruppo che hanno sede nel territorio dello Stato, non è però esclusa la partecipazione alle trattative di società straniere in bonis, ed eventualmente della stessa capogruppo, ai sensi della già esaminata previsione di cui al settimo comma dell’art. 13[10]. 
6 . I finanziamenti infragruppo in corso di composizione negoziata
La permanenza dei poteri gestori in capo agli organi amministrativi delle società del gruppo durante il percorso della composizione negoziata vale a superare ogni dubbio in ordine al perdurante esercizio dell’attività di direzione e coordinamento da parte della società holding. La soluzione positiva prospettata in altra sede con riferimento al concordato preventivo[11] non può dunque che trovare conferma, e a fortiori, nel percorso stragiudiziale delle trattative, la cui conduzione unitaria ai sensi dell’art. 13 D.L. 118, sembra anzi presupporre di regola una perdurante attività di coordinamento delle entità del gruppo che vi partecipano ad opera della holding. 
Qualora la crisi in cui versano alcune imprese del gruppo venga a trascolorare in insolvenza (pur sempre reversibile, in quanto “esistono concrete prospettive di risanamento”), andranno considerati i vincoli funzionali posti dall’art. 9 del decreto, che impone di ispirare la gestione della società – e dunque anche la direzione e coordinamento sulla stessa da parte della capogruppo – al prevalente interesse dei creditori in caso di insolvenza. Anche in tale contesto – che potrebbe indubbiamente far assumere alla eterodirezione connotati diversi da quella esercitata nel gruppo in funzionamento fisiologico – la stessa disposizione da ultimo richiamata conferma in capo al debitore il potere di esercitare atti di ordinaria e straordinaria amministrazione. La più ampia capacità operativa che tanto quest’ultima, quanto le società eterodirette conservano durante la composizione negoziata vale dunque a prevenire gran parte dei rischi di interferenza sull’esercizio dell’attività di direzione e coordinamento, che connotano invece inevitabilmente la procedura concordataria. In particolare, nella composizione negoziata non è dato registrare quei corollari limitativi – sebbene non necessariamente ostativi – che lo “spossessamento attenuato” determina, sin dall’eventuale fase prenotativa, sulle operazioni di finanziamento e concessione di garanzie reali e personali, precludendo la fisiologica operatività della politica finanziaria del gruppo, che tipicamente compete alla holding
La realizzazione di operazioni finanziarie tra società del gruppo non soltanto non è ostacolata dall’avvio della composizione negoziata, ma risulta in qualche misura assecondata dalla disciplina dettata dal Decreto. In questa prospettiva si iscrive innanzi tutto il nono comma dell’art. 13 che esenta espressamente dalla regola della postergazione legale di cui agli artt. 2497-quinquies e 2467 c.c. i crediti derivanti da “finanziamenti eseguiti in favore di società controllate oppure sottoposte a comune controllo, in qualsiasi forma pattuiti dopo la presentazione dell’istanza di cui all’articolo 2, comma 1, (…) sempre che l’imprenditore abbia informato preventivamente l’esperto ai sensi dell’articolo 9, comma 2, e che l’esperto, dopo avere segnalato che l’operazione può arrecare pregiudizio ai creditori, non abbia iscritto il proprio dissenso ai sensi dell’articolo 9, comma 4”. 
La disposizione va raccordata alle previsioni contenute, rispettivamente, nell’art. 9 e nel primo comma, lett. c) dell’art. 10 del Decreto, che insieme completano la disciplina dei finanziamenti infragruppo realizzati nel corso della composizione negoziata. 
La prima norma, richiamata dall’art. 13, richiede in termini generali che il compimento di atti di straordinaria amministrazione, tra i quali sono sussumibili i finanziamenti infragruppo, sia oggetto di informazione preventiva all’esperto; analogo obbligo è previsto “per l’esecuzione di pagamenti che non siano coerenti rispetto alle trattative o alle prospettive di risanamento” (art. 9, comma 2). In tali casi “l’esperto, quando ritiene che l’atto può arrecare pregiudizio ai creditori, alle trattative o alle prospettive di risanamento, lo segnala per iscritto all’imprenditore e all’organo di controllo” (art. 9, comma 3); se, nonostante la segnalazione, l’atto viene compiuto, “l’imprenditore ne informa immediatamente l’esperto il quale, nei successivi dieci giorni, può iscrivere il proprio dissenso nel registro delle imprese. Quando l’atto compiuto pregiudica gli interessi dei creditori, l’iscrizione è obbligatoria” (art. 9, comma 4). Si deve dunque innanzi tutto constatare che, nel corso della composizione negoziata, ogni nuovo contratto di finanziamento infragruppo, al pari del rimborso di finanziamenti preesistenti (come ha cura di precisare, per i finanziamenti soci, il decreto dirigenziale del 28 settembre 2021, ricomprendendoli tra gli atti che eccedono l’ordinaria amministrazione), presuppone l’adempimento degli obblighi informativi da parte della società che intenda acquisire il finanziamento o procedere al rimborso, così da permettere il doveroso preventivo scrutinio da parte dell’esperto e le eventuali segnalazioni ed iscrizioni del dissenso ad opera di quest’ultimo.
Se l’art. 9 costituisce dunque il piedistallo normativo dell’istituto in esame, su un piano ulteriore si colloca la previsione dettata dal primo comma, lett. c), dell’art. 10, ai sensi del quale il tribunale, “verificata la funzionalità degli atti rispetto alla continuità aziendale e alla migliore soddisfazione dei creditori, può (…) autorizzare una o più società appartenenti ad un gruppo di cui all’articolo 13 a contrarre finanziamenti prededucibili ai sensi dell’articolo 111 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267”. 
Al riguardo sarebbe agevole stigmatizzare il tenore letterale piuttosto claudicante di una disposizione che, da un lato, fa genericamente riferimento ad ogni finanziamento che sia stato contratto “da una o più società appartenenti ad un gruppo” e, dall’altro riferisce la prededuzione ai “finanziamenti”; non meno agevolmente si può tuttavia pervenire a una lettura correttiva volta a indirizzare selettivamente la prededuzione in esame ai crediti derivanti da finanziamenti erogati in qualunque forma da altre società appartenenti al medesimo gruppo di imprese[12]. 
Di là da tale rilievo formale, va sottolineata la rilevanza della complessiva disciplina dei finanziamenti in corso di composizione negoziata, quale desumibile dalla lettura coordinata di questa disposizione con il nono comma dell’art. 13, in quanto viene ad offrire a operatori e interpreti una soluzione normativa alla delicata questione della qualificazione dei finanziamenti infragruppo strumentali a soluzioni della crisi diversi dall’approdo fallimentare (e, un domani, della liquidazione giudiziale)[13].
Da tale complesso normativo si evince una sorta di tassonomia tripartita che vede collocarsi, in un ideale climax ascendente: 
i) alla base, i finanziamenti infragruppo “disincentivati”, in quanto postergati in base alle regole generali dettate dal codice civile, che sarebbero destinate a trovare di regola applicazione per l’almeno tendenziale riconducibilità nell’alveo del presupposto oggettivo di cui al secondo comma dell’art. 2467 c.c. della situazione di crisi richiesta ai fini dell’avvio della composizione negoziata[14];
ii) in una posizione intermedia, i finanziamenti infragruppo “non disincentivati”, di cui al nono comma dell’art. 13, svincolati da qualsiasi vaglio giudiziale e ricollegati alla convergenza di un requisito temporale – l’essere stati eseguiti dopo l’istanza per la nomina dell’esperto – e del presupposto negativo della mancata iscrizione del dissenso alla stipulazione del contratto di finanziamento da parte dell’esperto; 
iii) infine, al vertice, i finanziamenti infragruppo “incentivati” dalla prededuzione, che può essere riconosciuta in presenza dei più stringenti requisiti richiesti dal primo comma dell’art. 10 d.l., rappresentati dalla valutazione di convenienza e di funzionalità alla continuità d’impresa da parte del tribunale e dalla conseguente autorizzazione.
Nel rinviare al commento a quest’ultima disposizione per un approfondimento dei presupposti della prededuzione, ora richiamati, si deve qui ribadire come tali presupposti, da un lato, non siano meccanicamente trasponibili dalla dimensione atomistica della società monade al contesto molecolare del gruppo di imprese[15] e, dall’altro, non risultino a livello operativo significativamente diversi da quelli richiesti dal nono comma dell’art. 13 ai fini dell’esenzione dalla postergazione. La linea di confine tra la funzionalità dell’operazione al “miglior soddisfacimento dei creditori” (che il giudice è chiamato ad accertare ai sensi dell’art. 10), e la diversa precondizione per cui la stessa non dovrebbe risultare a questi ultimi pregiudizievole (sottoposta al vaglio dell’esperto ai sensi dell’art. 13) si rivela invero labile e sfuggente; mentre, sotto altro versante, pare innegabile che l’obiettivo della preservazione della continuità aziendale costituisca un denominatore comune ad ogni operazione di sostegno finanziario infragruppo realizzato nel corso di un percorso, qual è la composizione negoziata unitaria di gruppo, che per definizione mira al superamento della situazione di crisi di cui all’articolo 2, comma 1, del decreto, e dunque alla tutela o al ripristino della continuità aziendale, in una logica gestoria ispirata alla sostenibilità economico-finanziaria dell’attività dell’imprese coinvolte nella composizione negoziata[16]. 
Alla luce di tali considerazioni, non pare azzardato pronosticare che le imprese coinvolte nel sostegno finanziario infragruppo saranno naturalmente sospinte a richiedere l’autorizzazione così da assurgere al rango della prededuzione, piuttosto che accontentarsi dell’esenzione dalla postergazione. Nel nuovo scenario è dunque prevedibile che l’ambito applicativo del penultimo comma dell’art. 13 rimanga relegato alle ipotesi nelle quali si intenda conservare il percorso di composizione negoziata di gruppo – e, al suo interno, l’operazione di finanziamento – entro una dimensione puramente stragiudiziale o, ancora, si intenda ridefinire il punto di equilibrio tra la posizione della società finanziata e quella che eroga il finanziamento, anche alla luce della diversa gravità della crisi e soprattutto degli esiti delle trattative in corso con gli altri creditori e con gli eventuali finanziatori esterni al gruppo[17]. 
A quest’ultimo riguardo va ricordato che la nuova disciplina contempla espressamente la possibile partecipazione alle trattative delle “imprese partecipanti al gruppo che non si trovano nelle condizioni indicate nell’articolo 2, comma 1” (così il settimo comma dell’art. 13, sul quale v. supra, ai par. 1 e 4): un coinvolgimento proattivo delle società in bonis ai fini del risanamento delle entità in crisi, in una logica unitaria corrispondente ai principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale, che può aver luogo anche su invito dell’esperto ed è suscettibile di tradursi innanzi tutto in interventi di sostegno finanziario delle prime a beneficio delle seconde, tali da permettere la realizzazione di un piano unitario di risanamento non realizzabile dalle sole società in crisi attingendo alle loro sole risorse. 
La ricordata “naturale” propensione a richiedere l’autorizzazione tribunalizia ai fini della prededuzione, piuttosto che accontentarsi del rango chirografario, potrebbe risultare ulteriormente accentuata qualora il piano di risanamento di gruppo includa finanziamenti di società controllate a favore della capogruppo. Tali operazioni sono infatti certamente suscettibili di rientrare nel più ampio spettro applicativo di cui all’art. 10, comma 1, lett. c), laddove il nono comma dell’art. 13 fa riferimento ai soli finanziamenti “discendenti” effettuati dalla holding a favore delle società eterodirette od “orizzontali” tra queste ultime. In tale diversa formulazione si potrebbe annidare il rischio di una interpretazione a contrario che, anche in assenza dell’iscrizione del dissenso da parte dell’esperto, induca ad applicare comunque la regola postergazione legale ex art. 2497 quinquies c.c. al credito derivante dal finanziamento ascendente erogato alla capogruppo dalle controllate e al credito di rivalsa che maturerebbe in capo a queste ultime in ipotesi di escussione di garanzie accordate a favore della prima[18]. 
7 . I possibili esiti della composizione negoziata nei gruppi di imprese
Gli approdi finali della composizione negoziata che coinvolga più società appartenenti al medesimo gruppo sono indicati dall’ultimo comma dell’art. 13, ai sensi del quale “[a]l termine delle trattative, le imprese del gruppo possono stipulare, in via unitaria, uno dei contratti di cui all’articolo 11, comma 1, ovvero accedere separatamente alle soluzioni di cui all’articolo 11”[19].
La trattativa condotta unitariamente ai sensi dell’art. 13 può dunque porre le premesse per la stipulazione in termini unitari dell’accordo con uno o più creditori idoneo ad assicurare la continuità aziendale per almeno due anni, della convenzione di moratoria di cui all’art. 182-octies, l.fall. e dell’accordo che ha gli stessi effetti del piano attestato, ma senza necessità di attestazione. Non parrebbe tuttavia preclusa la predisposizione anche di un piano parimenti unitario di gruppo rafforzato dalla attestazione ai sensi all’articolo 67, terzo comma, lettera d), l.fall., ancorché tale strumento di risanamento sia richiamato nel terzo comma dell’art. 11. Da un lato, la legittimità di piani di risanamento attestati di gruppo è già oggi riconosciuta da dottrina e giurisprudenza; dall’altro, potrebbero essere gli stessi creditori delle società del gruppo – o di alcune di esse – a richiedere comunque un’attestazione ad opera di professionista scelto di comune accordo con il debitore e tale da riscuotere la loro piena fiducia (laddove l’esperto nominato in sede camerale potrebbe non presentare le medesime caratteristiche e soprattutto, analoga esperienza professionale nell’ambito delle attestazioni). Né si vede per quale ragione dovrebbe negarsi cittadinanza a questo ulteriore elemento di conforto in ordine alle prospettive di effettiva fattibilità del piano di risanamento, sia esso, come normalmente avverrà, unitario oppure riferito ad alcune soltanto delle società del gruppo che avevano partecipato alla composizione negoziata o erano state comunque coinvolte nelle trattative.
Una considerazione speculare può essere rivolta alla convenzione di moratoria, che il decreto prefigura quale possibile approdo unitario, ponendo così le premesse per la stipulazione di un unico accordo tra più società del gruppo, da una parte, e i loro rispettivi creditori, dall’altra, la cui idoneità a disciplinare provvisoriamente gli effetti della crisi delle prime sarà oggetto di attestazione da parte dell’esperto in una relazione parimenti unitaria e che andrà comunicata ai creditori in posizione omogenea ai fini dell’estensione dei suoi effetti anche ai non aderenti. Se si introduce in tal modo una importante novità che realizza una significativa anticipazione della logica unitaria sottesa alla disciplina dei gruppi dettata dal Codice della crisi, non sembra potersi escludere la legittimità di separate convenzioni di moratoria per singole società eterodirette o per la stessa capogruppo: una diversa e più tradizionale opzione operativa che potrebbe essere suggerita dallo stesso attestatore in considerazione della maggior difficoltà di ricondurre ad omogeneità categorie di creditori di distinte società del gruppo e di attestare che il pregiudizio derivante dall’estensione degli effetti della convenzione risulti “proporzionato e coerente con le ipotesi di soluzione della crisi o dell’insolvenza in concreto perseguite”.
A rimanere “necessariamente separato” – almeno sino all’entrata in vigore degli artt. 284 e ss. c.c.i. – è invece “l’accesso” alle procedure fallimentari e di concordato preventivo (liquidatorio o con continuità aziendale), nonché al nuovo istituto del concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio di cui all’articolo 18 del decreto e agli accordi di ristrutturazione dei debiti di cui agli artt. 182-bis ss. l.fall. A questo proposito merita di essere sottolineato come la nuova disciplina degli accordi di ristrutturazione, quale delineata in particolare dagli artt. 182 septies e 182 novies l.fall., introdotti dal d.l. 118 e già in vigore[20], offra agli operatori una pluralità di opzioni adattabili al grado di intensità delle crisi di ciascuna entità del gruppo. Così, si potrà stipulare, in parallelo, un accordo agevolato per situazioni meno gravi, anche al fine di presidiare le garanzie accordate a sostegno di altre imprese del gruppo in maggiore difficoltà, le quali potranno, a loro volta, indirizzarsi verso i nuovi accordi ad efficacia estesa anche nei confronti di creditori commerciali, oltre che bancari e finanziari, purché tra loro omogenei. E le potenzialità applicative di quest’ultimo strumento è ulteriormente rafforzata dal decreto in esame per le società che abbiano avviato la composizione negoziata: il secondo comma dell’art. 11 prevede infatti che, qualora la relazione finale dell’esperto dia atto della presenza delle condizioni necessarie per il raggiungimento dell’accordo, conseguite grazie all’effetto maieutico delle trattative, la percentuale di consensi necessaria per rendere l’accordo vincolante anche per i creditori non aderenti appartenenti alla medesima categoria si riduca dal settantacinque al sessanta per cento.
Se l’approdo positivo più plausibile di trattative di gruppo è dunque un fascio di accordi di ristrutturazione – tra loro collegati e fondati su (e al contempo fondanti le premesse di) un piano unitario di risanamento – accordi non necessariamente identici tra loro per natura, portata ed effetti, lo stesso istituto, nelle variegate declinazioni consentite dalla nuova tassonomia introdotta dal decreto, potrebbe coesistere con strumenti più semplici, come il contratto con i creditori o l’accordo sottoscritto anche dall’esperto, di cui rispettivamente alle lett. a) e c) del primo comma dell’art. 11. Anche in questo caso, il carattere “unitario” dell’approdo, prefigurato in termini di possibilità dall’ultimo comma dell’art. 13, non sembra implicare necessariamente che tutte le società del gruppo coinvolte nella composizione negoziata debbano limitarsi a sottoscrivere uno dei due strumenti negoziali indicati, potendo alcune di esse ricorrere anche ad un accordo di ristrutturazione, ai sensi del secondo comma, o al “tradizionale” piano attestato ex art. 67, comma 3, lett. d), l.fall., evocato dall’ultimo comma dello stesso art. 11. 
Del resto, non può neppure escludersi che, per alcune delle società del gruppo risulti inevitabile la deriva liquidatoria. Se l’insussistenza ab origine del necessario presupposto della recuperabilità della continuità aziendale preclude la stessa partecipazione alla composizione negoziata di tali società, l’accertamento della sopravvenuta irreversibilità della crisi all’esito delle (e nonostante le) trattative condotte nella dimensione unitaria, potrebbe imporre una loro espunzione dal programma di risanamento, indirizzandole verso la soluzione liquidatoria. Una prospettiva, quest’ultima, che, come si è ricordato, vede ora affiancarsi al fallimento e al concordato liquidatorio “ordinario” il concordato liquidatorio semplificato di cui all’art. 18[21]. 
Tanto nello scenario liquidatorio, quanto nella diversa (e auspicabile) prospettiva della continuità aziendale andrà comunque gestita con grande attenzione la fase intermedia che consegue alla chiusura della composizione negoziata. Va infatti considerato il venir meno delle eventuali misure protettive di cui le società del gruppo avevano beneficiato in pendenza della composizione negoziata e la riespansione degli obblighi di ricapitalizzazione, automaticamente sospesi a seguito della dichiarazione di cui all’art. 8 del decreto, con i connessi obblighi di gestione conservativa e la responsabilità aggravata di cui all’art. 2486 c.c. Di qui l’importanza della tempistica con il quale saranno presentate – oggi, per ciascuna società del gruppo interessata, un domani con l’istanza unitaria di cui agli artt. 284 ss. c.c. – le eventuali domande di concessione dei termini per il deposito della domanda di ammissione al concordato preventivo o di omologazione dell’accordo di ristrutturazione, entrambe idonee a ripristinare l’ombrello protettivo necessario per perfezionare il percorso di risanamento. E parimenti tempestiva dovrà essere l’eventuale predisposizione della proposta di concordato liquidatorio semplificato, che il decreto consente di presentare nel breve termine di sessanta giorni dalla comunicazione della relazione finale dell’esperto.
Sullo sfondo si colloca il più ingombrante ed inquietante tra i “convitati di pietra” della nuova disciplina concorsuale, rappresentato dal limite massimo di durata della sospensione delle azioni esecutive, che la Direttiva 1023/2019 – e, in questo caso, in piena sintonia, il Codice della crisi – stabiliscono, come noto, in dodici mesi[22]: un arco temporale tanto più angusto in contesti, come le trattative di gruppo di cui all’art. 13, che presentano una complessità tale da rendere problematico non soltanto il conseguimento di soluzioni nel semestre prefigurato di regola per la composizione negoziata, ma anche il perfezionamento del percorso di risanamento con strumenti più strutturati nei successivi sei mesi.

*I paragrafi da 1 a 4 sono di Giuliana Scognamiglio; i paragrafi da 5 a 7 sono invece da attribuire a Niccolò Abriani.

Note:

[1] 
Lo stesso d.l. che ha introdotto la conduzione negoziata per la soluzione della crisi d’impresa ha infatti disposto lo slittamento ulteriore dell’entrata in vigore del c.c.i.i. al 16 maggio 2022; ma i dubbi sull’effettività di questa data si stanno moltiplicando, anche in ragione dell’interferenza con il termine, pure pendente, entro il quale andrà attuata nel nostro Paese la direttive UE/2019/1023 sui quadri di ristrutturazione preventiva delle imprese, e della evidente necessità di operare un raccordo sistematico tra il d. lgs. n. 14/2019 e la emananda disciplina di recepimento della direttiva europea.
[2] 
Nel c.c.i.i.si sono espressamente disciplinate, com’è noto, la fattispecie della gestione unitaria della crisi o dell’insolvenza di gruppo, a seconda dei casi attraverso un concordato di gruppo o una liquidazione giudiziale di gruppo, e la fattispecie della gestione atomistica dei medesimi fenomeni, attraverso procedure di liquidazione giudiziale ovvero di concordato preventivo disposte separatamente per le singole imprese del gruppo (cfr. artt.284 ss. d. lgs n. 14/2019). In proposito sia consentito rinviare a G. Scognamiglio, I gruppi di imprese nel CCII: fra unità e pluralità, in Società, 4/2019, 413 ss.; EAD., La crisi e l’insolvenza dei gruppi di società: prime considerazioni critiche sulla nuova disciplina, in Rivista ODC, n. 3/2019, 669.
[3] 
Disallineamento che, peraltro, è destinato a riproporsi ogni qualvolta i due ambiti di riferimento non coincidessero, essendo ricomprese più circoscrizioni giudiziarie all’interno dell’ambito territoriale di una medesima camera di commercio (o viceversa). E anche al di fuori delle realtà di gruppo, posto che la nomina dell’esperto va sempre richiesta al segretario generale della camera di commercio nel cui ambito territoriale si trova la sede legale dell’impresa (art. 2, co. 1), mentre l’istanza di conferma delle misure protettive va proposta innanzi al tribunale competente ai sensi dell’articolo 9 l.fall. (art. 7, co. 1).
[4] 
Così l’art. 286, primo comma, c.c.i., Nozione di COMI è rilevante, nell’ambito del Codice della crisi, ai fini della giurisdizione (art. 26), e della competenza (art. 27). La definizione generale del “centro degli interessi principali del debitore” (COMI)” è individuata, come noto, nell’art. 2, lett. m), c.c.i, nel “luogo in cui il debitore gestisce i suoi interessi in modo abituale e riconoscibile dai terzi”. Per le persone giuridiche e gli enti il centro degli interessi principali del debitore si presume coincidere “con la sede legale risultante dal registro delle imprese o, in mancanza, con la sede effettiva dell’attività abituale” (art. 27, comma 3, lett. c), c.c.i.)
[5] 
Così l’art. 27 c.c.i., ove si precisa che “il tribunale sede della sezione specializzata in materia di imprese è individuato a norma dell’articolo 4 del decreto legislativo 27 giugno 2003, n. 168, avuto riguardo al luogo in cui il debitore ha il centro degli interessi principali”. La nozione di gruppo di rilevante dimensione è contenuta nell’ art. 2 comma 1, lett. i), c.c.i), ai sensi del quale si intendono per tali “i gruppi di imprese composti da un’impresa madre e imprese figlie da includere nel bilancio consolidato, che rispettano i limiti numerici di cui all’articolo 3, paragrafi 6 e 7, della direttiva 2013/34/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013”. In base alla norma richiamata, la soglia di riferimento è rappresentata da un fatturato, su base consolidata, di quaranta milioni di euro; si tratta dunque di realtà che, sul piano economico, sono riconducibili nell’alveo della media impresa (anzi, per quanto attiene alle singole imprese del gruppo, finanche delle PMI). 
[6] 
Il criterio di priorità temporale (c.d. Prioritätprinzip) è previsto nell’ordinamento tedesco (§ 3a dell’Insolvenzordnung) ai fini dell’individuazione del Gruppen-Gerichtsstand e trova riscontro anche nel § 1408 nell’US Code. E v. altresì in Francia la novella dell’art. L. 621-2 del code de commerce, operata dalla legge n. 2005-845 del 26 giugno 2005, richiamato dall’art. L. 641-1 per le crisi dei gruppi. La scelta del legislatore italiano si colloca invece nel solco della previsione contenuta nell’art. 25.4 della Ley concursal spagnola, che radica la competenza dei concursos conexospresso il tribunale nella cui giurisdizione si trova il COMI della capogruppo. Il criterio di priorità temporale è invece previsto dal Codice della crisi per la procedura unitaria di liquidazione giudiziale: e v. infatti l’art. 287, comma 4, ai sensi del quale “Se le diverse imprese del gruppo hanno il proprio centro degli interessi principali in circoscrizioni giudiziarie diverse, il tribunale competente è quello dinanzi al quale è stata depositata la prima domanda di liquidazione giudiziale”, trovando applicazione i criterio del COMI della capogruppo o della società più esposta soltanto in caso di presentazione contestuale della domanda di accesso alla procedura (“Qualora la domanda di accesso alla procedura sia presentata contemporaneamente da più imprese dello stesso gruppo, è competente il tribunale individuato ai sensi dell’articolo 27, in relazione al centro degli interessi principali della società o ente o persona fisica che, in base alla pubblicità prevista dall’articolo 2497-bis del codice civile, esercita l’attività di direzione e coordinamento oppure, in mancanza, dell’impresa che presenta la più elevata esposizione debitoria in base all’ultimo bilancio approvato”).
[7] 
In argomento v. da ultimo N. Abriani, Holding e continuità aziendale nelle procedure di regolazione della crisi dei gruppi, in dirittodellacrisi.it, 2021, 1, 6 ss. In generale, sulla sussistenza in capo alla holding del potere ad esercizio doveroso di dirigere e coordinare i percorsi di risanamento delle società eterodirette in crisi, v. M. Maugeri, Gruppo insolvente e competenza territoriale, in Banca borsa, tit. cred., 2017, II, 227 ss.; M. Miola, Attività di direzione e coordinamento e crisi d’impresa, in Società, banche e crisi d’impresa. Liber amicorum Pietro Abbadessa, diretto da M. Campobasso-Cariello-Di Cataldo-Guerrera-Sciarrone Alibrandi, Torino, 2014, 2693 ss.; G. Scognamiglio, I gruppi di imprese nel CCII: fra unità e pluralità, in Società, 2019, 413 ss.; Ead., La disciplina del gruppo societario in crisi o insolvente, Prime riflessioni a valle del recente disegno di legge delega per la riforma organica della legge fallimentare, in Arato e Domenichini (a cura di), Le proposte per una riforma della legge fallimentare. Un dibattito dedicato a Franco Bonelli, Milano, 2017, 21 ss.; G. Fauceglia, Il nuovo diritto della crisi e dell’insolvenza, Torino, 2019, 213 ss. In argomento, per un quadro di sintesi degli orientamenti giurisprudenziali e dottrinali in materia di procedure di gruppo ante riforma – e un richiamo ai tuttora illuminanti insegnamenti di Berardino Libonati (Il gruppo insolvente, Firenze, 1981) – si rinvia a N. Abriani - L. Panzani, Crisi e insolvenza nei gruppi di società, in Crisi di impresa e procedure concorsuali, diretto da Cagnasso e Panzani, Torino, 2016, II, p. 3001 ss. (spec. 3048 ss.).
[8] 
Ed è appena il caso di osservare che la possibilità di superare la presunzione di direzione e coordinamento, postulata dalle norme sopra richiamate, è qui preclusa in radice dalla circostanza che la gestione unitaria delle trattative è opzione riservata ad imprese avvinte dal legame di gruppo.
[9] 
Tale coinvolgimento rimarrebbe del resto precluso in radice, al pari della ipotesi di holding persona giuridica, qualora la capogruppo non versi nella situazione di crisi (o pre crisi) richiesta ai fini della composizione negoziata.
[10] 
L. Panzani, Il D.L. “Pagni” ovvero la lezione (positiva) del covid, cit., in dirittodellacrisi.it, 46, ove si richiama anche la disciplina del regolamento 848/2015 UE in materia di insolvenza transfrontaliera, che potrebbe assumere rilievo ove le trattative possano sfociare in una procedura che rientri nell’ambito della previsione dell’allegato A al regolamento.
[11] 
N. Abriani, Holding e continuità aziendale nelle procedure di regolazione della crisi dei gruppi, cit.
[12] 
È infatti evidente che le ipotesi in cui il finanziatore di una società del gruppo sia un socio o altro soggetto estraneo al gruppo ricadrebbero già nell’ambito di applicazione delle altre due lettere del primo comma dell’art. 10.
[13] 
E v. già, per la segnalazione della rilevanza sistematica della disposizione in esame, N. Abriani - L. Benedetti, Il gruppo di imprese ha una sua trattativa ad hoc, in La crisi d’impresa a cura di Pollio, Milano, 2021, 133 ss.. Per una prima attenta disamina della portata dell’art. 10 del decreto v. A. Dentamaro, La nuova finanza nella composizione negoziata per la soluzione della crisi d’impresa ex d.l. 118/2021, su www.dirittodellacrisi.it, 12 ottobre 2021. Per un quadro completo delle diverse costruzioni interpretative elaborate in dottrina sul tema in esame si rinvia a L. Benedetti, I finanziamenti dei soci e infragruppo, cit., 79 ss.
[14] 
Come si è avuto modo di osservare, il rapporto tra l’eccessivo squilibrio evocato dalla disciplina codicistica della postergazione e la “probabilità di crisi” meriterebbe un supplemento di attenzione, non trattandosi di nozioni coestensive; naturalmente, il presupposto dell’eccessivo squilibrio sarà più agevolmente postulabile in ipotesi di crisi già acclarata e di insolvenza: N. Abriani - L. Benedetti, op. loc. ult. cit.; e v. ora, per un approfondimento, A. Dentamaro, op. loc. ult. cit..
[15] 
Sui delicati problemi interpretativi che si pongono ai fini di un puntuale accertamento presupposti della funzionalità alla continuità aziendale e al miglior soddisfacimento dei creditori nel contesto del gruppo, v. ancora N. Abriani - L. Benedetti, op. loc. ult. cit.
[16] 
E v. l’art. 9, comma 1.
[17] 
In particolare, i finanziatori esterni che potrebbero non tollerare una condivisione della prededuzione loro accordata dalla alla lett. a) del primo comma dell’art. 10. 
[18] 
Il rischio di un simile approdo interpretativo è tanto maggiore in considerazione dei sempre più diffusi dubbi sull’esattezza della tesi maggioritaria secondo la quale i finanziamenti ascendenti non sarebbero ricompresi nell’ambito di applicazione dell’art. 2497 quinquies c.c.: e v., anche per riferimenti, L. Benedetti, La disciplina dei finanziamenti up-stream della società eterodiretta alla capogruppo in situazione di difficoltà finanziaria, in Riv. soc., 2014, 747 ss.
[19] 
Sui possibili esiti della composizione negoziata v. V. Zanichelli, Gli esiti possibili della composizione negoziata, in dirittodellacrisi.it, cui adde ora L. Panzani, Gli esiti possibili delle trattative e gli effetti in caso di insuccesso, in corso di pubblicazione in Fallimento, 2021, che ho potuto leggere per cortesia dell’A.
[20] 
Sul tema, con riferimento alle corrispondenti norme del Codice della crisi ora anticipate dal D.L. 118, v. N. Abriani, Gli accordi di ristrutturazione a efficacia estesa, in Accordi di ristrutturazione, piani di risanamento e convenzioni di moratoria, a cura di G. Ferri e D. Vattermoli, Pisa, 2021, 105 ss.
[21] 
In termini generali si è osservato che la relazione finale dell’esperto può in talune ipotesi rappresentare il “bagno di realtà” che fa comprendere agli amministratori che rimane a disposizione della società da loro amministrata la sola soluzione liquidatoria (così L. Panzani, Gli esiti, cit.).
[22] 
L. Panzani, Il D.L. “Pagni” ovvero la lezione (positiva) del covid, cit., in dirittodellacrisi.it, 46, ove si richiama anche la disciplina del regolamento 848/2015 UE in materia di insolvenza transfrontaliera, che potrebbe assumere rilievo ove le trattative possano sfociare in una procedura che rientri nell’ambito della previsione dell’allegato A al regolamento.

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