Nel solco tracciato dalla legge delega n. 155/2017, il Codice della crisi ha posto al centro della disciplina la questione “tempo”. Se la tempestività costituisce il nucleo “forte” del pensiero del legislatore che, però, soltanto con la soluzione introdotta dal D.L. n. 118/2021, ha trovato con la composizione negoziata una elaborazione, meno coraggiosa, ma senza dubbio più condivisa, altri passi della disciplina si muovono nel solco dell’accelerare l’assunzione di decisioni e l’introduzione nonché lo svolgimento di strumenti per addivenire ad una efficace ed efficiente soluzione della crisi
[20].
Il legislatore ha importato la Composizione negoziata (d.lgs. 83/2022) nel Codice della Crisi non solo come sistema alternativo di allerta, volontaria e assolutamente priva di profili autoritativi, ma soprattutto come fase dedicata a intessere contatti e intavolare confronti per ricercare una soluzione condivisa
[21].
È uno spazio libero – l’imprenditore decide se accedervi o meno e i creditori di partecipare o meno – riservato, eventualmente protetto, regolato e strutturato
[22] per condurre le trattative rapidamente ed efficacemente nel rispetto reciproco dei diritti di cui ciascuna parte è portatrice.
A tal fine – tentando di combinare interessi di diversa natura anziché azionare soltanto diritti soggettivi
[23]– la legge pone le condizioni di un terreno di gioco sul quale le parti si confrontino, scambiandosi informazioni, agevolando così la dissoluzione del conflitto con la ricerca di un ordine negoziato. È uno spazio – un percorso - scandito da regole per tessere dialoghi facilitati dall’esperto quando l’impresa presenti comprovati profili di risanabilità determinando allora un risultato utile per debitore, creditori e impresa.
Il ruolo dell’esperto è centrale ponendosi come garante della serietà ed efficienza delle trattative
[24]. Mentre si svolge un processo di reciproco apprendimento di informazioni, l'esperto “agevola” la negoziazione delle parti guidandole in un binario volto ad “ingegnerizzare” soluzioni utili per combinare gli interessi patrimoniali e non patrimoniali in gioco. A lui non compete di presentare e strutturare la soluzione
[25] – non è l’
advisor – bensì di condurre le parti, avvalendosi dell’arte della maieutica e dell’esperienza della mediazione, verso una proposta partorita e elaborata dal debitore a che, se condivisa dai creditori, potrà comporre la crisi
[26]. L’equilibrio deve contraddistinguere l’esperto non solo nel valutare se le trattative possano intavolarsi ma anche se debbano concludersi.
La composizione negoziata è un terreno di gioco privo della presenza dell’autorità giudiziale ma soltanto governato dalla presenza di questo soggetto terzo, indipendente e imparziale con il compito di verificare il requisito (la risanabilità) e la correttezza e buona fede dei partecipanti al tavolo delle trattative delle quali è predisposto un canovaccio che scandisce i momenti tipici di questa fase e che l’esperto facilitatore deve seguire, monitorare, annotare per renderlo esplicito in una puntuale relazione nel momento della chiusura. Per il resto vi è libertà dell’imprenditore e dei creditori.
A un’impostazione autoritativa marcatamente caratterizzante il sistema d’allerta disciplinato nella prima versione del Codice della crisi si contrappone la volontarietà della composizione negoziata, un percorso - antefatto di uno degli strumenti previsti dall’art. 23 CCII – che consente la ricerca di un ordine condiviso
[27]. Si tratta, quindi, di un percorso, di uno
spatium temporis regolato, guidato, nel quale, avendo i requisiti, si può entrare e rimanere per il tempo massimo previsto senza che il mancato raggiungimento di soluzione condivisa marchino a fuoco l’impresa condizionandone il futuro.
Con la composizione negoziata il legislatore ha, dunque, inteso mettere a disposizione delle imprese risanabili e virtuose – perché dotate di adeguati assetti - una soluzione idonea
[28] al pronto superamento della situazione di squilibrio patrimoniale o economico finanziario che rendono probabile la crisi o l'insolvenza.
Alla tempestività dell’approccio alla crisi fa da sponda la rapidità dell’individuazione e della realizzazione della soluzione
. Come esito
[29], si favoriscono le soluzioni
light, definitive (quelle di cui alle lett. a e c dell’art. 23, comma I) o transitorie/interlocutorie (la moratoria di cui alla lett. b) che costituiscono l’approdo diretto delle trattative
[30], senza tuttavia respingere l’ipotesi in cui “all’esito delle trattative, se non è individuata una soluzione tra quelle al comma 1” l’imprenditore ricorra o a uno strumento variamente plasmabile quali il piano attestato ex art. 56 o (
hard) all’accordo di ristrutturazione, che può godere del vantaggio competitivo derivante dal percorso precedentemente intrapreso
[31] o, se nessuno di questi strumenti è proponibile, – a condizioni ben precise –al concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio.
Residuano, infine, quali sbocchi possibili, per gli imprenditori commerciali, gli altri strumenti disciplinati nel Codice della crisi o nel D.Lgs. n. 270/1999 e nel D.L. n. 347/2003 e per l’imprenditore agricolo quelli indicati nell’art. 25 quater, comma 4.
Da questa varietà di strumenti messi a disposizione delle parti, ricaviamo alcuni corollari.
In primo luogo, viene esaltata – visti gli sbocchi
target - l’autonomia privata nella scelta del rimedio alla crisi
[32].
In secondo luogo, la composizione negoziata rappresenta il percorso obbligato perché l’imprenditore avente i requisiti di legge, possa accedere ad una qualsiasi delle soluzioni indicate nell’art. 23, scortate da alcuni interessanti effetti premiali.
In terzo luogo, elemento distintivo degli sbocchi di cui al comma 2 dell’art. 23 rispetto a quelli del comma 1, è che i primi possono non essere frutto diretto delle trattative
[33] pur sfruttando di queste il flusso informativo e le conoscenze acquisite sulle diverse posizioni assunte dalle parti. Ciascuno è, quindi, arricchito da potenzialità che non avrebbe in un utilizzo “in solitario”.
Con questo bagaglio cognitivo e comportamentale – costruito anche grazie all’attività dell’esperto che ha retto le fila del percorso precedente registrando, al termine, l’insuccesso con un
report puntuale sul “vissuto” nelle “segrete stanze” delle trattative, in particolare rispetto al comportamento tenuto dalle parti
[34] - l’imprenditore “riparte” verso la elaborazione di una proposta.
Il Legislatore del Codice della crisi nel perseguire l’obbiettivo della tempestività insegue la gestione sostenibile della crisi.
Credo possibile parlare di gestione sostenibile di una crisi quando lo strumento utilizzato per il risanamento assicuri nel tempo e nello spazio un equilibrio durevole dell’impresa con una equa ripartizione dei costi tra tutti i soggetti coinvolti.
[35] In sintesi – sulla scorta della definizione di sviluppo sostenibile fornita dalla World Commission on Environment and Development del 1987 (Brundtland’s Report ´Our Common Future`) - dovrebbe trattarsi di uno strumento che soddisfi i bisogni del presente (il superamento della crisi) senza compromettere le possibilità di un “futuro” (di un domani) dell’impresa stessa, di tutti gli stakeholders e del territorio.
Emerge il senso del limite che ci conduce a un bilanciamento degli interessi.
Affondando le proprie radici semantiche nel primigenio significato di “sorreggere”, di essere cioè in grado di sopportare sia cambiamenti di stato emotivo che di status economico, “sostenibilità” deve ricordarci (attraverso l’evocazione di un generico e a volte sottinteso “principio di responsabilità”), quanto sia importante mantenere il “senso del limite”
[36].
In sostanza l’antagonismo immanente alla individualistica tensione verso il conseguimento della somma più alta dovrebbe cedere il passo al solidarismo richiesto dall’impresa multistakeholders, nella quale l’agglomerato di interessi è da considerare, anche e a maggior ragione, quando si apre lo scenario della crisi.
È oggi necessario evitare “la veduta corta”
[37] esplorando percorsi che recuperino e valorizzino – secondo canoni raccomandati recentemente dal legislatore Unionale – l’apporto degli
stakeholders.
È tempo di pensare “agli interessi degli
stakeholder non come a vincoli, di cui i gestori delle imprese devono in qualche modo tenere conto nel perseguimento del massimo sviluppo” – (e quindi anche nella gestione dello strumento per risolvere la crisi) – “ma come ad obiettivi che devono trovare adeguato spazio come uno dei vari elementi che devono concorrere a definire, in concreto, quale equilibrato sviluppo sia il caso di perseguire”
[38].
Infine, ci chiediamo quale possa essere la visione “delle imprese” dinanzi ad un progetto di gestione sostenibile della crisi.
Probabilmente “deve giocoforza schiudersi un nuovo cammino, quello della sostenibilità, che è ambientale ma anche sociale, e prima ancora, culturale: un'economia al servizio della società e non viceversa, un'impresa che lavora non soltanto per il benessere dell'azionista, ma per il benessere della comunità in cui si trova, un assetto istituzionale che assicuri a tutti a prescindere dalle loro condizioni i medesimi livelli di protezione. Un miglioramento integrale nella qualità della vita umana, a partire dallo spazio in cui si svolge l'esistenza che agisce sul modo di vedere, sentire e agire”
[39].