Anche per la novità dello strumento e l’assenza di precedenti, il Protocollo della sezione III del decreto dirigenziale, per quanto non contenga precetti assoluti, assume rilevanza fondamentale per lo svolgimento del ruolo dell’esperto in modo efficace e rapido.
Un aspetto, in particolare, mai sufficientemente rimarcato, deve essere chiaro: per il successo della composizione negoziata occorre la piena consapevolezza da parte dell’esperto del proprio ruolo di imparziale facilitatore delle trattative. Egli non assiste l’imprenditore né si sostituisce alle parti nell’esercizio dell’autonomia privata ma ha il compito di facilitare le trattative e di stimolare gli accordi (v. punti 8.2. e 8.3. del Protocollo). Tale ruolo, che si colloca nell’ambito della mediazione[10], deve essere ben compreso e interiorizzato dall’esperto, anche perché non ha precedenti nella crisi d’impresa. Rispetto allo stesso collegio dell’OCRI, non è più sufficiente che l’esperto sia indipendente ma occorre che operi con indipendenza e imparzialità nei confronti di tutte le parti e cioè con eguale distacco rispetto ad esse. Assai diversa è pertanto la sua missione rispetto a quella prevista dall’art. 16 co. 1 CCII, che invece chiede al collegio dell’OCRI di “assistere” l’imprenditore, su istanza di quest’ultimo, nel procedimento di composizione “assistita”.
La terzietà e l’equidistanza del suo operato lo pongono nella situazione ideale per svolgere il ruolo di facilitatore delle trattative. Egli deve essere consapevole che è piuttosto facile generare sospetti di parzialità e che ciò impedirebbe il raggiungimento di un componimento efficace ed in tempi rapidi delle diverse posizioni delle singole parti. L’imprenditore può infatti essere tentato di proporre ai creditori sacrifici eccessivi rispetto alle esigenze o di non rappresentare con oggettività la propria situazione nella speranza di ottenere ulteriore credito; l’esperto, però, che ha accesso alle informazioni disponibili, deve atteggiarsi con oggettività per perseguire l’equilibrio dei sacrifici richiesti alle diverse parti (tra le quali vi rientra anche l’imprenditore) evitando, nei limiti di quanto a lui possibile, che una di queste si avvantaggi ingiustificatamente[11] a scapito delle restanti. Se sorgesse in talune parti il sospetto che l’esperto stia favorendo una o più delle restanti, si ripresenterebbero le criticità che caratterizzano le faticose e lunghissime trattative degli accordi nei tavoli tra imprenditore e creditori. Egli perderebbe credito, verrebbe compromesso il suo ruolo di terzo facilitatore e ne verrebbero pregiudicati i tempi, disperdendo inutilmente il vantaggio di un’allerta effettivamente tempestiva.
L’imparzialità deve sussistere durante tutto il corso delle trattative. Vi sarà chi riterrà eccessivo che, per preservare la terzietà, l’esperto si debba astenere dall’assunzione di incarichi retribuiti dal debitore successivamente all’esito della composizione negoziata. In realtà, il solo fatto che possa accadere potrebbe ingenerare dubbi sull’effettiva imparzialità dell’esperto presso i creditori derivanti dal sospetto che egli nutra l’aspettativa di ottenere tali incarichi una volta conseguita la composizione (in tal senso si pone il punto 1.5 del Protocollo).
Deriva anche dall’imparzialità dell’esperto il fatto che le trattative si svolgano in via informata. Si tratta di un’esigenza fondamentale per consentire a ciascuna parte coinvolta di valutare il rischio al quale essa è esposta ed i vantaggi derivanti dal risanamento. Gli stessi tempi di conclusione delle trattative dipendono da ciò.
Il Protocollo, oltre a sottolineare tale ruolo dell’esperto, ne rende più snello ed agevole l’intervento cadenzando la sua attività. Egli non dovrà interrogarsi sul ruolo da assumere, e disporrà dell’indicazione di un percorso che potrà seguire con determinazione.
Vi è di più. La presenza del Protocollo dell’esperto ne rende prevedibile l’attività, agli occhi sia dell’imprenditore che dei creditori. È questo un elemento che deve essere attentamente soppesato in quanto il procedere in modo disordinato ed estemporaneo sarebbe non solo fonte di legittime perplessità presso l’imprenditore, di cui già si è detto, ma anche presso i suoi fornitori, ai quali è richiesto di continuare a concedere credito con le nuove forniture. È questo, a bene vedere, il tema più rilevante durante la composizione: il canale degli approvvigionamenti, fondamentale per ogni impresa, trova un presidio normativo solo nella ‘collaborazione leale’ dell’art. 4, comma 7, le nuove forniture non rientrano, infatti, nel portato dell’art. 6, comma 5, al pari di quanto previsto dall’art. 12, comma 3, CCII, trattandosi di norme rivolte ai soli contratti pendenti. Incertezza e tentennamenti dell’esperto nell’espletamento del proprio ruolo verrebbero percepiti dai fornitori come rischi di insuccesso, pregiudicando il canale degli approvvigionamenti e di conseguenza la continuità aziendale.
Al fine di evitare incertezze, nel Protocollo sono affrontati i profili più critici.
Si tratta in primo luogo del tema della concreta perseguibilità del risanamento. L’individuazione della presenza di concrete prospettive di risanamento necessitava, infatti, dell’enunciazione di buone pratiche maturate nella gestione della crisi d’impresa, in difetto delle quali la valutazione avrebbe rischiato di essere estremamente soggettiva. Il Protocollo sottolinea, come già la Relazione illustrativa, che la presenza di uno stato di insolvenza non preclude necessariamente l’accesso alla composizione negoziata ed evidenzia come, per il riconoscimento della concretezza delle prospettive di risanamento in presenza di uno stato di insolvenza, sia determinante l’andamento delle trattative con i creditori (la stessa cessione dell’azienda è realisticamente praticabile nella composizione negoziata solo se le trattative permettono l’assorbimento da parte dei creditori aderenti dell’impatto della carenza delle risorse per fronteggiare il debito complessivo dell’impresa). Determinante è quanto riportato nel Protocollo, al punto 2.4., laddove si precisa che l’esperto terrà conto: i) della distruzione di risorse derivante dalla continuità aziendale; ii) dell’indisponibilità dell’imprenditore a immettere nuove risorse; iii) dell’assenza di valore del compendio aziendale. In presenza di tali circostanze le probabilità che l’insolvenza sia reversibile sono assai remote, indipendentemente dalla scelta dei creditori ed appare dunque inutile addirittura avviare le trattative.
Nel corso delle trattative, quando l’esperto ravvisi che sia venuta meno ogni concreta prospettiva di risanamento, anche in via indiretta, interrompe la composizione. Vi è un momento in cui tali prospettive vengono meno ed è il momento in cui viene constatato che le risorse per rendere il debito sostenibile, comprese quelle messe a disposizione dai creditori attraverso il riconoscimento di stralci o di conversione in equity, non possano avere un ritorno adeguato che tenga conto del premio per il rischio in capo al creditore. Con una precisazione: il ritorno minimo occorrente per le risorse impiegate da coloro (creditori e soci) che sono già esposti al rischio di perdite in caso di insolvenza è più contenuto rispetto al loro valore nominale, non si deve, infatti, tenere conto di quella parte delle perdite che essi comunque subirebbero in assenza di composizione della crisi. Con un’ulteriore precisazione: la valutazione del ritorno minimo necessario e dell’implicito premio per il rischio la può fare solo colui che mette a disposizione le risorse (creditore o socio che sia), anche sulla base del suo livello di appetito al rischio. L’andamento delle trattative costituirà di fatto la cartina tornasole e l’esperto dovrà sempre tenerne conto.
In ogni caso nell’apprezzamento della concretezza delle prospettive di risanamento l’esperto terrà conto del grado di difficoltà emerso dal test e, nell’esame delle linee di intervento e del piano, delle risposte date dall’imprenditore alle domande della check-list.
L’operato dell’esperto trova un punto di attenzione nel vaglio critico degli atti di gestione dell’impresa, tanto più rilevante quanto maggiore è la gravità della situazione dell’impresa. Al riguardo il Protocollo fornisce utili indicazioni operative al paragrafo 7.
Centrale è il tema dello svolgimento delle trattative con le parti interessate e la formulazione da parte dell’imprenditore delle sue proposte, cui si affianca l’intervento dell’esperto nel caso in cui la rideterminazione del contenuto, dei termini o delle modalità delle prestazioni contrattuali si renda opportuna per assicurare la continuità aziendale ed agevolare il risanamento dell’impresa. Il Protocollo li affronta ai paragrafi 8, 9 e 11.
Vi è una fase evidenziata nel Protocollo che appare fortemente innovativa rispetto alle pratiche che sino ad ora hanno caratterizzato i tavoli negoziali delle crisi: si tratta dell’individuazione delle parti interessate. Lo strumento della composizione negoziata, rispetto a quanto di fatto accade nelle trattative che caratterizzano gli accordi di cui all’art. 182-bis l. fall. e quelli sottostanti ai piani attestati di cui all’art. 67 l. fall., ha l’ambizione di estenderle dal ristretto ambito del ceto bancario a tutte le parti interessate. Sono queste costituite dagli altri creditori e dai fornitori, in particolare, dai detentori del capitale sociale e, laddove sussista un ragionevole interesse, dai clienti di filiera. L’esperto è chiamato ad individuare le parti che hanno interesse al risanamento dell’impresa avendo riguardo alla loro esposizione al rischio ed ai vantaggi che ritrarrebbero dalla continuità aziendale. Il Protocollo al punto 5.2. fornisce suggerimenti su come individuare l’interesse delle singole parti ed invita l’esperto ad esaminare: le conseguenze derivanti dal venire meno della continuità (il punto 5.2.1. fornisce esempi al riguardo); la misura di soddisfacimento in caso di liquidazione dei beni o nelle alternative concretamente praticabili; le conseguenze derivanti sui rapporti di credito o economici con terze parti, ad esempio le altre imprese del gruppo dell’imprenditore; le ulteriori conseguenze derivanti in capo al creditore da una procedura concorsuale in capo all’imprenditore (ad esempio: responsabilità civili e penali, azioni revocatorie e risarcitorie).
Come già detto, l’equilibrio dei sacrifici richiesti alle parti interessate è il presupposto per un rapido superamento negoziale della crisi. In ciò l’esperto potrà essere di stimolo al raggiungimento di una composizione se ha ben chiare quali siano le proposte che l’imprenditore può formulare a ciascuna delle parti interessate e quali invece non sarebbero compatibili con il suo stato o con la situazione della singola parte. È utile al riguardo il contenuto dell’allegato 1 del decreto dirigenziale che reca l’elencazione ragionata delle tipologie di proposte che possono essere formulate dall’imprenditore alle diverse parti (banche, fornitori, erario, soci, clienti, ecc.). Si tratta di un documento pensato per l’imprenditore ma che è anche di ausilio all’esperto per valutare in concreto il complessivo equilibrio delle proposte formulate. Va anche evidenziato il suggerimento rivolto all’esperto di proporre la nomina di un CRO (chief restructoring officer) con il ruolo di monitorare l’attuazione del piano di risanamento quando siano previsti ristori ai creditori subordinati al raggiungimento di risultati economici o finanziari prefissati (earn-out) o l’assegnazione di strumenti finanziari partecipativi di cui all’art. 2346 c.c. (punto 9.4.).
Per una piena consapevolezza delle reciproche utilità delle parti occorre la stima della liquidazione del patrimonio dell’impresa, attraverso la quale gli interessati possono pervenire alla stima del tasso di recovery. Il Protocollo (punti 13.1 e 14.8) suggerisce all’esperto di darvi corso già durante l’iter delle trattative per lasciarne traccia nella relazione finale. Il che ha destato in taluni perplessità[12] che paiono a chi scrive prive di fondamento: il rischio che le valutazioni rese dall’esperto possano essere strumentalmente volte a costringere i creditori ad accettare sacrifici eccessivi è, ad avviso di chi scrive, fugato dalla sua imparzialità che, se sussiste, ben i creditori saranno in grado di apprezzare nel corso delle trattative ovvero, in caso contrario, di non riconoscergli non attribuendo affidabilità alcuna alle sue valutazioni.
Il Protocollo scende in dettaglio anche per affrontare la specifica situazione del gruppo di imprese. Lo fa al paragrafo 3, invitando l’esperto ad estendere la valutazione degli interessi a quelli dei creditori delle singole imprese del gruppo e suggerendogli di tenere conto della coincidenza e della contrapposizione degli interessi delle parti interessate delle singole imprese, nonché delle reciproche conseguenze in caso di discontinuità aziendale e sui rapporti infragruppo in ogni altro caso. La presenza di un gruppo consente anche all’esperto (art. 13, comma 7) di invitare a partecipare alle trattative, quali parti interessate, anche le altre imprese del gruppo anche se non presentano situazioni di squilibrio patrimoniale od economico-finanziario. Assai rilevante è, con riferimento alla nuova finanza infragruppo, quanto previsto all’art. 13, per escludere la postergazione, e all’art. 10, per il riconoscimento della prededuzione; in materia il Protocollo fornisce puntuali indicazioni rispettivamente al punto 7.8 ed al par. 10.
Il Protocollo fornisce inoltre suggerimenti all’esperto sulle valutazioni da condurre nel caso in cui gli sia richiesto un parere da parte del tribunale in sede di giudizio di conferma o proroga delle misure protettive e cautelari (par. 6) o in quello di autorizzazione di nuovi finanziamenti prededucibili o di rinegoziazione dei contratti (par. 10).
Completano il quadro definito dal Protocollo, l’intervento dell’esperto in caso di cessione dell’azienda o di rami di essa, la stima della liquidazione dell’intero patrimonio, la conclusione dell’incarico. Con riferimento ad essi, pare opportuno sottolineare una particolarità rilevante dello strumento in questione che lo differenzia da tutti gli altri: la sua flessibilità di impiego. Chiunque assista le imprese in crisi ben sa che sono rari i casi in cui il percorso di risanamento disegnato all’inizio dell’intervento rimanga immutato sino al termine. Molto spesso sono le difficoltà sorte nel corso delle trattative, il peggioramento (od il miglioramento) dell’andamento corrente e lo stesso andamento delle trattative che impongono all’advisor di modificare il percorso e di sfociare in uno strumento diverso. Il che tutte le volte comporta perdite di tempo e, laddove siano previsti termini rigidi da rispettare (quale ad esempio il termine del prenotativo del concordato preventivo), sorge il rischio di non arrivare in tempo utile o l’esigenza di dover ripartire da capo. Con la composizione negoziata, invece, gli esiti possono essere diversi e modificati in corso d’opera: dal mero contratto con una o più parti, alla convenzione di moratoria, agli accordi non omologati, con o senza attestazione, alle diverse forme di accordi di ristrutturazione omologati, anche ad efficacia estesa. Il contenuto dell’intervento dell’esperto ad esito delle trattative cambia a seconda della soluzione individuata ed il Protocollo fornisce ai punti 14.4 e 14.5. puntuali indicazioni in caso di contratto di cui alla lett. a) dell’art. 11, comma 1, o di sottoscrizione sostitutiva dell’attestazione dell’accodo di cui alla seguente lett. c), nonché al punto 14.6 in caso del raggiungimento del term sheet di un accordo di ristrutturazione ad efficacia estesa.
Nel corso delle trattative, è ben possibile transitare da una forma di continuità soggettiva ad una di continuità indiretta, che l’esperienza insegna essere assai frequente e, in un Paese caratterizzato da particolare nanismo delle imprese, anche opportuna.
Si tratta di un cambio di prospettiva che necessita della deroga al disposto dell’art. 2560, comma 2, c.c. e pertanto sarebbe, in radice, impedita dal ricorso diretto agli strumenti del piano attestato e dell’accordo di ristrutturazione omologato e comunque non sarebbe stata accessibile con la composizione assistita dell’OCRI. La deroga necessita però dell’autorizzazione del tribunale (art. 9, comma, lett. d) che sentirà i creditori e quasi certamente l’esperto. Al riguardo, deve essere sottolineato che la cessione dell’azienda o di suoi rami sarebbe comunque oggetto di trattativa con i creditori, i quali probabilmente richiederanno l’adozione di procedure competitive (e la Piattaforma mette a tal fine a disposizione un ambiente di virtual data room e uno, secretato, di raccolta delle offerte). L’esperto, sentito dal tribunale nel contraddittorio del relativo giudizio autorizzativo, sarebbe chiamato a rendere informativa dell’attività svolta (delineata al punto 12.2 del Protocollo). Di estrema rilevanza il fatto che, nell’ambito di tale informativa, il Protocollo inviti l’esperto a dare anche conto se l’acquirente riveste la qualifica di parte correlata all’imprenditore (punto 12.4) e si ha ragione di ritenere che il tribunale non possa non richiederglielo.
Se anche la soluzione non fosse raggiunta ad esito dell’intervento dell’esperto, le indicazioni di praticabilità che egli riporta nella propria relazione finale in conformità al punto 14.7 del Protocollo consentiranno all’imprenditore ed alle parti con le quali sono state condotte le trattative di concludere una convenzione di moratoria, un accordo o le altre soluzioni concordate della crisi anche dopo l’archiviazione dell’istanza. Il lavoro svolto dall’esperto non verrebbe in questi casi affatto vanificato ed anzi costituirebbe la base per una più circostanziata rimeditazione dell’opportunità di raggiungere comunque un’intesa. L’attività svolta nel corso della composizione negoziata costituirà comunque una base rilevante che consentirà comunque un risparmio di tempo e di costi nel diverso strumento adottato in caso di suo esito sfavorevole. Perché questo possa accadere occorre però che la relazione finale abbia un contenuto adeguato e, di nuovo, rilevano le indicazioni fornite dal Protocollo.
È anche fugato il rischio che dalle stime della liquidazione del patrimonio rese dall’esperto possa derivare un nocumento per i creditori nell’eventualità del concordato semplificato al quale l’imprenditore intendesse accedere. A prescindere dal fatto che la stima dell’esperto sarebbe meramente indicativa e potrebbe essere superata dai valori in concreto realizzati, la presenza dell’ausiliario prevista dall’art. 18 ed il ricorso alle procedure competitive, che verrebbe disposto per effetto del richiamo all’art. 182 l. fall., occorrente per verificare l’assenza di soluzioni migliori sul mercato (art. 19, comma 2), sarebbero sufficienti ad evitare nocumento per i creditori. Anzi il realizzo dell’azienda e di rami aziendali potrebbe essere reso più efficiente dall’attività di selezione (in particolare se effettuata con le indicazioni del punto 12.2. del protocollo) dei potenziali acquirenti svolta dall’esperto quando l’impresa era ancora operativa e comunque attraverso l’ostensione di informazioni agli interessati (la data room) appropriate in quanto predisposte insieme allo stesso imprenditore che ben conosce le esigenze informative del settore.
Il che dà evidenza della rilevanza operativa del documento e della sua diffusione attraverso la pubblicazione nella parte pubblica della Piattaforma. Quest’ultima, unitamente a quella della check-list, consentirà l’impiego di un linguaggio comune a imprenditore, esperto, creditori, ed advisor, fondamentale per la conduzione in via informata delle trattative, rendendo più efficace il dialogo, evitando fraintendimenti e incomprensioni, a tutto vantaggio dei tempi di raggiungimento di un accordo.