Nel nostro sistema concorsuale, messi in disparte i procedimenti nei quali l’assetto negoziale è più marcato, sono presenti più procedure: la liquidazione giudiziale, il concordato preventivo, il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione, la liquidazione coatta amministrativa (ora per convenzione anche solo ‘l.c.a.’) e l’amministrazione straordinaria (ora per convenzione anche solo ‘a.s’), la liquidazione controllata.
Orbene, accantonato il concordato preventivo, in quanto procedura concorsuale negoziata, per le altre tre possiamo parlare di ‘procedure imposte’ anche quando l’iniziativa per la loro apertura sia stata assunta dal debitore[136].
Parliamo di procedure imposte in quanto il soddisfacimento delle ragioni dei creditori dipende dall’andamento della gestione della singola procedura e non dipende dalla volontà del debitore. Sono procedure imposte anche perché, tutte, sono volte ad attuare la garanzia patrimoniale ai sensi dell’art. 2740 c.c.
Tuttavia, è subito necessario operare un netto distinguo in quanto mentre nella liquidazione giudiziale (e controllata) e nella liquidazione coatta amministrativa l’esito del procedimento è, naturalmente, quello della liquidazione del patrimonio e della successiva distribuzione ai creditori di quanto ricavato, nell’amministrazione straordinaria il percorso della liquidazione non è obbligato, posto che l’uscita dalla procedura può essere anche la ristrutturazione dell’impresa, senza alienazione (art. 27, 2° comma, lett. b, D.Lgs. n. 270/1999). Sappiamo per una esperienza di oltre cinque lustri, che i casi nei quali l’uscita dalla a.s. è stata quella della prosecuzione dell’attività d’impresa con lo stesso imprenditore (continuità soggettiva), si contano in poche unità (e nel complesso rappresentano meno dell’1% del totale).
In tale contesto e cioè prendendo atto che nella grande maggioranza dei casi anche la a.s. assume un connotato liquidatorio (benché conformato con lo schema della cessione dei complessi aziendali), possiamo collocare nella medesima categoria liquidazione giudiziale, l.c.a. e a.s. Quindi, anche la a.s., benché residualmente è procedura di attuazione della garanzia patrimoniale. Per ora possiamo trascurare le, anche, marcate differenze fra la a.s. regolata dal D.Lgs. n. 270/1999 e la a.s. regolata dal D.L. n. 34772003, e trattare unitariamente la a.s., lasciando al prosieguo la disamina delle distonie a proposito delle classi nel concordato.
In quanto procedure imposte e volte ad attuare la garanzia patrimoniale contro la volontà del debitore, dobbiamo verificare se al medesimo debitore sia data la possibilità di una uscita alternativa dalla procedura e se a ciò si possa giungere anche ad iniziativa di un terzo.
La legge regolativa di ciascuna delle tre procedure contempla la possibilità che la procedura si possa concludere anche con la proposizione e successiva omologazione di un concordato.
Si parla, all’uopo, di “concordato nella liquidazione giudiziale” (art. 240 CCII), di “concordato coattivo” (art. 314 CCII.), di “concordato straordinario” (art. 78 D.Lgs. n. 270/1999 e 4 bis D.L. n. 347/2003).
Restando focalizzati sul tema della formazione delle classi, in questa sede basta qui rammentare che il concordato nella liquidazione giudiziale deve essere approvato dai creditori con una votazione (ma disciplinata dal metodo del voto del silenzio-assenso)[137], mentre il concordato “coattivo” e quello “straordinario” non prevedono un esplicito consenso approvativo dei creditori. Il consenso dei creditori deriva dal fatto che non propongano opposizione[138]. Sia chiaro che questa locuzione “concordato coattivo” viene qui adoperata per semplicità perché questo modello di concordato lo si potrebbe, meglio, definire non partecipato o con partecipazione debole, il che, però, è cosa ben diversa da un concordato coattivo.[139]
Esiste una ragione di fondo (per vero discutibile) che spiega l’assenza di una votazione.
L.c.a. e a.s. sono procedure non giurisdizionali (salvo che in taluni segmenti procedimentali) ma a gestione amministrativa, in quanto gli organi di governo sono soggetti che rispondono alla autorità amministrativa. In tale contesto si assume che l.c.a. e a.s. coinvolgano non solo interessi superindividuali tipici di tutte le procedure di concorso derivanti dall’insolvenza di una impresa, ma anche veri e propri interessi pubblici, talché si postula che la sintesi di questi interessi plurali debba spettare all’autorità amministrativa e deve, ai nostri fini, essere l’autorità amministrativa che valuta la rispondenza della proposta di concordato ai fini di pubblico interesse[140].
La circostanza che nel concordato coattivo ed in quello straordinario sia importante valutare, anche, la ricorrenza di un interesse pubblico certo non mette in ombra il fatto che la proposta di concordato è, comunque, rivolta ai creditori e ciò nel senso che è destinata a procurare il soddisfacimento delle ragioni dei creditori.
In tale contesto se guardiamo alla proposta di concordato dovremmo, dunque, ritenere che la conformazione della proposta non debba essere diversa fra il concordato nella liquidazione giudiziale ed il concordato straordinario.
Infatti, se è ben vero che la proposta di concordato per poter essere procedimentalizzata va preceduta dal rilascio della autorizzazione del MIMIT, non v’è dubbio che l’autorità amministrativa debba valutare gli interessi dei creditori.
L’art. 78 D.Lgs. n. 270/1999 stabilisce che l’autorizzazione ministeriale vada concessa ‹‹tenuto conto della convenienza del concordato e della sua compatibilità con il fine conservativo della procedura››[141].
Tuttavia, occorre osservare che il fine conservativo va valutato con riguardo al contesto temporale nel quale la proposta concordataria si inserisce.
Quando la proposta di concordato sopraggiunge in un momento in cui deve, ancora, essere attuato il programma di cui all’art. 27, è chiaro che la proposta di concordato non può rivelarsi demolitiva della prosecuzione dell’attività.
Il MIMIT, sino a che è in corso l’attuazione della ristrutturazione non può autorizzare una proposta di concordato liquidatorio. In questa fase gli interessi pubblici alla conservazione del valore dell’impresa sono preminenti o, meglio, essenziali[142]. Ciò significa che in questa fase anche una proposta che fosse particolarmente conveniente per i creditori non potrebbe essere autorizzata ove prevedesse la chiusura dell’attività produttiva.
L’art. 78, però, non esclude affatto che la proposta di concordato sopravvenga dopo che il tempo della ristrutturazione si è esaurito e cioè quando la procedura deve proseguire per la liquidazione di beni o attività o rapporti giuridici non strettamente connessi al complesso produttivo oggetto della ristrutturazione o della cessione (art. 73 D.Lgs. n. 270/1999).
Una volta che il programma è stato attuato, la procedura prosegue come una normale procedura di liquidazione sì che da quel momento gli interessi da valutare saranno, soltanto, quelli dei creditori[143].
Ed allora, se il concordato straordinario è una variante, ma solo una variante, del concordato nella liquidazione giudiziale, bisogna domandarsi quando sia opportuno che lo schema del concordato straordinario debba modificarsi rispetto allo schema del concordato nella liquidazione giudiziale.
A tal proposito si pone il quesito se vi sia la possibilità di suddividere i creditori in classi in un concordato relativo ad una a.s. regolata dalla c.d. Prodi-bis.
Nella fattispecie in esame le norme di riferimento sono costituite dagli artt. 78 D.Lgs. n. 270/1999, 240 e 314 CCII.
Per la precisione dei richiami interconnessi fra norme giova ricordare che l’art. 78 D.Lgs. n. 270/1999 risale al 1999 e contiene un rinvio all’art. 214 L. fall. che è stato modificato con il D.Lgs. n. 169/2007 e poi sostituito dall’art. 314 CCII, mentre l’art. 124 L. fall., nella parte in cui interessa è stato modificato nel codice della crisi con l’art. 240.
Non è, dunque, stravagante che fra tali disposizioni vi possano essere sia sovrapposizioni che conflitti.
La conformazione delle norme sopra citate potrebbe far dubitare dell’applicabilità della frammentazione del ceto creditorio in classi.
Sennonché, da subito potremmo definire questa ipotesi paradossale, ove si rammenti che l’istituto delle classi ha fatto la sua prima comparsa nel sistema proprio nell’amministrazione straordinaria, nella versione di cui al D.L. n. 347/2003 e successive modifiche (art. 4 bis), mentre solo successivamente è stato esportato agli altri concordati.
Già il solo ipotizzare che le classi possano costituire un segmento della proposta del concordato straordinario speciale e non anche del concordato straordinario base desta molte perplessità. In ogni caso, proprio la sequenza normativa impone di prestare molta attenzione alle conclusioni cui sono pervenute dottrina e giurisprudenza che si sono pronunciate sul tema delle classi prima del 2003 e, soprattutto, prima del 2006; anzi, potremmo ritenerle del tutto irrilevanti.
Si assume (in thesi) che le classi non possono essere invocate nell’amministrazione straordinaria di cui al D.Lgs. n. 270/1999 perché l’art. 78 fa rinvio ai commi 2 e ss. dell’art. 214 L. fall., mentre è nel 1° comma (ora) dell’art. 314 CCII che è contenuto il rinvio all’art. 240 CCII là dove si disegna il meccanismo delle classi[144].
In verità basta porre a confronto sinottico il 1° comma degli artt. 78 e 314 CCII per avvedersi della limitatezza concettuale della tesi.
Come si può osservare, le due formulazioni del 1° comma sono molto simili, ma solo nell’art. 314 CCII è contenuto un richiamo all’art. 240 CCII di poi, il 3° comma dell’art. 78 rinvia sì all’art. 214 L. fall. (ora 314 CCII) ma non al 1° comma che contiene il riferimento all’art. 240 CCII e quindi alla proposta di concordato e di riflesso alla possibilità di suddividere i creditori in classi.
V’è, dunque, da chiedersi quali possano essere le conseguenze derivanti da questa “omissione”. Il dubbio che si adombra è che mancando il richiamo di sponda all’art. 240, il solo ove si disciplinano le classi, la proposta di concordato straordinario non potrebbe prevederle.
Se si guarda alla cronologia delle leggi è assai facile avvedersi della ragione per la quale l’art. 78, si ribadisce formato nel 1999, non contiene un richiamo al 1° comma dell’art. 214 (ora art. 314 CCII). Infatti, nel 1999, il 1° comma dell’art. 214 (ante riforma) conteneva la seguente dizione ‹‹Dopo il deposito dell’elenco previsto dall’art. 209 l'autorità che vigila sulla liquidazione, su parere del commissario liquidatore, sentito il comitato di sorveglianza, può autorizzare l'impresa a proporre al tribunale un concordato osservate le disposizioni dell'art. 152, se si tratta di società››. Una disposizione perfettamente speculare a quella dell’art. 78; quindi il richiamo al 1° comma sarebbe stato del tutto inutile.
L’art. 78, invece, richiamava il 2° comma dell’art. 214 (ante riforma) nel quale si stabiliva che ‹‹la proposta di concordato deve indicare le condizioni e le eventuali garanzie››.
Orbene, se si ripudia il rinvio al 1° comma dell’art. 214 (ora 314 CCII), viene a mancare la disciplina sostanziale del concordato; ovverosia, amputato il 1° comma attuale, le uniche regole applicabili sarebbero quelle del procedimento (commi 2, 3 e 4 dell’art. 314), con il risultato che mancherebbe una disciplina del contenuto della proposta di concordato.
Non mancherebbe, in verità, come si postula la possibilità di formare le classi, ma più semplicemente mancherebbe ogni disciplina del concordato. Il contenuto della proposta di concordato non avrebbe alcun referente normativo (tanto è vero che, ben prima delle riforme del 2005-2007, si riteneva che il contenuto della proposta di concordato nella a.s., dovesse ricavarsi dai concordati della legge fallimentare).[145]
Di riflesso, mancando un rinvio ad una qualunque forma di concordato non resterebbe che colmare la lacuna con l’analogia e, oggi, tutti i modelli di concordato (preventivo, nella liquidazione giudiziale, coattivo e straordinario ex D.L. n. 347/2003) contemplano, proprio le classi.
Sennonché va rammentato che là dove manchi una norma specifica, la disciplina del D.Lgs. n. 270/1999 tramite l’art. 36 fa rinvio alla disciplina della l.c.a. e in questa è compreso l’art. 314 CCII, nella sua interezza, che contiene il richiamo all’art. 240 CCII, pure nella sua interezza.
Ad identiche conclusioni si deve pervenire se si abbandona una lettura formale del tessuto normativo e si guarda alla razionalità del sistema. Se in tutti i modelli di concordato si possono formare le classi, sarebbe irrazionale che solo nel caso dell’art. 78 non fosse possibile non avendo luce alcuna possibile spiegazione.
L’amministrazione straordinaria di cui al D.Lgs. n. 270/1999 è una procedura concorsuale di matrice amministrativa e si distingue perciò dalle procedure concorsuali giurisdizionali. Ed allora se pur fosse possibile negare una analogia col concordato nella liquidazione giudiziale e preventivo, di certo l’analogia non potrebbe che essere affermata rispetto alla liquidazione coatta amministrativa e alla amministrazione straordinaria del D.L. n. 347/2003, procedure governate pacificamente dall’autorità amministrativa. Ed ancora, non avendo in sé l’art. 78 alcun contenuto riferito alla proposta, il patto di concordato presentato dal debitore o da un terzo sarebbe del tutto svincolato dalla legge e ciò impedirebbe al tribunale o ai creditori una qualunque forma di controllo.
Allo stato non risultano precedenti editi specifici nei quali sia stato dibattuto l’argomento; tuttavia, sono noti alcuni casi per i quali l’autorità amministrativa non ha autorizzato la presentazione di proposte di concordato straordinario perché comprensive della suddivisione dei creditori in classi.
È nota una decisione che, in tema di liquidazione coatta amministrativa, aveva escluso che la proposta di concordato coattivo potesse prevedere la suddivisione in classi[146]. Tuttavia, è stata resa prima della modifica dell’art. 314, comma 1, CCII, sì che appare doppiamente irrilevante: (i) non riguarda la a.s.; (ii) non è più attuale per il mutato quadro normativo.
La dottrina che si è occupata dell’argomento non è vastissima. Tuttavia, netta è la prevalenza degli autori che condividono come una lettura storica e razionale dell’art. 78 porti a concludere per l’ammissibilità della formazione delle classi[147].
Vi sono, però, anche autori dissenzienti[148], nessuno dei quali offre argomenti che non siano quelli, errati, del mancato rinvio.
Una volta che si ammetta la possibilità di frazionare i creditori in classi, dal punto di vista del procedimento di concordato, le conseguenze non risultano di particolare complessità. Infatti, mentre nel concordato nella liquidazione giudiziale la suddivisione dei creditori in classi impone che, sebbene col metodo del silenzio-assenso, debba essere raggiunta oltre che la maggioranza dei crediti ammessi al voto, anche la maggioranza fra le classi, nel concordato straordinario mancando la votazione, neppure si pone un problema di voto per classi.
Resta, però, da verificare se la suddivisione dei creditori in classi possa determinare altri effetti.
L’art. 78 D.Lgs. n. 270/1999 rinvia all’art. 214 L. fall. (ora art. 314 CCII), il quale a sua volta richiama, fra gli altri, gli artt. 245, 246 e 247 CCII, cioè le norme che governano il potere del tribunale in sede di omologazione.
Nel caso di concordato nella liquidazione giudiziale, solo la proposta con le classi apre il giudizio di convenienza [149]quando l’opposizione alla omologazione è presentata da un creditore che appartiene ad una classe dissenziente.
Sennonché nel concordato straordinario, in mancanza di votazioni neppure si può disputare di creditori o classi dissenzienti; ciò significa che la disposizione di cui all’art. 245 CCII, in quanto non compatibile, non può essere direttamente applicata al concordato straordinario.
Si apre, allora, il tema se, comunque, il creditore che, pur non potendo esprimere il voto, proponga l’opposizione ai sensi dell’art. 314 CCII. possa addurre a conforto dell’opposizione il difetto di convenienza del concordato.
La circostanza che gli interessi dei creditori siano valutati, unitamente all’interesse alla conservazione dell’impresa, dalla autorità amministrativa quando rende l’autorizzazione ex art. 78, non sembra una ragione sufficiente per escludere che una valutazione di convenienza possa essere espressa anche dal tribunale a seguito dell’opposizione di un creditore.
Proprio la compressione dei diritti dei creditori con riguardo al profilo della votazione, potrebbe indurre a ritenere, per un giusto equilibrio di interessi, che il creditore opponente possa dedurre il difetto di convenienza della proposta rispetto ad altre alternative praticabili[150].
Più nel dettaglio dobbiamo pensare che nel momento in cui il concordato è presentato dopo l’esaurimento della fase di ristrutturazione, la comparazione di interessi pertiene alla sola sfera giuridica del creditore opponente: se il concordato offre al creditore meno di quanto sarebbe ricavabile dalla prosecuzione della liquidazione commissariale, il concordato non può essere omologato.
Viceversa, se la proposta di concordato si innesta nel percorso di ristrutturazione, la valutazione di convenienza non potrà esaurirsi nella comparazione concordato vs. liquidazione, ma dovrà tener conto degli interessi alla conservazione dell’impresa, il che significa che potrà essere omologata la proposta di concordato che non è conveniente per i creditori, se questa consente un’utile prosecuzione dell’attività.
Pertanto, la circostanza che la proposta contempli la suddivisione dei creditori in classi non è determinante ai fini della differenziazione del giudizio di merito che compete al tribunale.
Come si è accennato, diversamente dal modello della a.s. ‘base’, nel modello di a.s. ‘speciale’, la possibilità per il proponente di formare le classi di creditori è prevista espressamente (v., art. 4 bis, D.L. n. 347/2003). Non solo, ma le differenze sono ancor più marcate perché il modello di conformazione della volontà dei creditori è assai più simile a quello del concordato preventivo, con tanto di richiesta di manifestazione espressa del voto e, solo in subordine, di applicazione della regola del silenzio-assenso.
La circostanza, poi, che la proposta distingua i creditori in classi è rilevante ai fini di delimitare il contenuto del giudizio del tribunale in sede di omologazione, dal momento che la presenza anche di una sola classe dissenziente, legittima il tribunale ad effettuare, pur senza la sollecitazione di creditori opponenti (come accade, invece, nel concordato preventivo) la comparazione fra la proposta di concordato e le alternative concretamente praticabili[151].
Nel c.d. concordato straordinario di cui all’art. 78 D.Lgs. n. 270/1999, in virtù dell’interpretazione storica e razionale è ammissibile che la proposta possa prevedere la formazione di classi fra creditori; la formazione delle classi, pur in assenza di una compiuta disciplina, deve consentire, per coerenza, che i creditori opponenti possano richiedere al tribunale che si valuti la convenienza della proposta ed il tribunale la dovrà valutare in termini strettamente comparativi rispetto alla liquidazione quando il concordato venga avanzato dopo l’esaurimento della fase di gestione dell’impresa, mentre quando il concordato viene presentato durante la fase di gestione occorre, anche e soprattutto, valutare che la proposta sia allineata alle esigenze di conservazione dell’impresa.