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Saggio

Il concordato delle società*

Marco Spadaro, Avvocato in Siracusa

13 Ottobre 2022

*Il saggio è stato sottoposto in forma anonima alla valutazione di un referee.
*Lo scritto è destinato, con eventuali variazioni, allo Speciale di Diritto della crisi, di prossima pubblicazione, dal titolo “Studi sull’avvio del Codice della crisi” a cura di Laura De Simone, Massimo Fabiani e Salvo Leuzzi.
Il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza contiene una serie di norme che trovano applicazione quando agli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza faccia accesso una società. Si tratta di disposizioni specifiche, contenute nel corpo di norme che disciplina ogni singolo strumento, e di disposizioni di carattere generale, allocate in un’apposita sezione del Codice, che riguardano tutte le procedure di regolazione. Nel loro insieme, tali disposizioni delineano un particolare statuto della società in crisi o in stato di insolvenza che, per certi aspetti, prevale anche sulle corrispondenti regole del diritto societario. L’Autore si sofferma su quell’insieme di norme che, rispetto al regime generale comune a tutti i debitori, connotano oggi “il concordato delle società” e, in particolare, su quelle introdotte con il D. Lgs. 17 giugno 2022, n. 83, evidenziando anche taluni dubbi ermeneutici e criticità operative che, ad una prima lettura, dette disposizioni presentano.
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1 . Premessa
Il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (di seguito, per brevità, il Codice) è entrato in vigore. Il testo, risultante dai diversi interventi normativi che lo hanno riguardato e si sono succeduti nel tempo[1], contempla quattro distinte procedure di concordato, tutte accessibili alle società, siano esse di capitali o di persone, in base ai propri profili dimensionali o alla natura dell’attività svolta: il concordato preventivo, regolato dagli artt. 84 a 120; il concordato nella liquidazione giudiziale, regolato dagli artt. 240 a 253; il concordato minore, disciplinato dagli artt. 74 a 83; il concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio di cui all’articolo 25 sexies, proponibile quest’ultimo solo in esito al percorso della composizione negoziata regolata dallo stesso Codice. 
Il corpo di norme che disciplina ciascuna procedura contiene anche disposizioni specifiche che si applicano quando allo strumento faccia accesso una società. Il D.Lgs. 17 giugno 2022, n. 83, ha introdotto la sezione VI bis del capo III del titolo IV del Codice. Tale sezione è rubricata «Degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza delle società» e contempla gli artt. da 120 bis a 120 quinquies, che dettano regole particolari volte a disciplinare le competenze decisionali in ordine all’accesso allo strumento di regolazione da parte della società, il contenuto del piano e le modalità per darvi attuazione quando questo preveda operazioni di riorganizzazione societaria, il classamento e le modalità di esercizio del voto dei soci e dei titolari di strumenti finanziari nonché le condizioni per l’omologazione del concordato con attribuzione di valore ai soci.
Benché la citata sezione VI bis sia topograficamente collocata nel capo III del titolo IV del Codice, che comprende le norme sul concordato preventivo, la rubrica sembra esplicita nell’affermare che, l’insieme di disposizioni che la sezione racchiude, si applichi in ogni caso di accesso da parte di una società a uno «Degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza». L’adeguamento alle norme unionali, che ha dato luogo all’intervento normativo[2], peraltro, non poteva che riguardare tutti gli strumenti di composizione della crisi e dell’insolvenza previsti dall’ordinamento nazionale. Tali disposizioni dovrebbero, quindi, applicarsi (per quanto oggetto di approfondimento nel presente contributo e con le criticità e/o i limiti di cui si dirà infra) alle suindicate quattro procedure di concordato, nel caso di accesso ad esse da parte di società; procedure che costituiscono, appunto, tutte strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza.
Nel presente contributo sarà oggetto di approfondimento proprio quell’insieme di disposizioni che, rispetto al regime generale comune a tutti i debitori, connotano oggi “il concordato delle società” e, in particolare le norme introdotte dal D.Lgs. 17 giugno 2022, n. 83. Si tratta di disposizioni che, nel loro complesso, sono di grande impatto: l’esautoramento dell’assemblea dei soci da ogni decisione in ordine all’accesso alla procedura e la possibilità di intervenire sulla struttura della società incidendo direttamente sui diritti di partecipazione dei soci, senza il loro consenso, pongono fine a quella che veniva definita la neutralità delle procedure concorsuali rispetto all’organizzazione sociale e consegnano una nuova prospettiva di efficienza in punto di reazione tempestiva ed efficace alla crisi o all’insolvenza; il coinvolgimento dei soci, con la possibilità di presentare proposte concorrenti a quella della società o di terzi, di votare, di opporsi al concordato e di ricevere attribuzioni sul valore risultante dalla ristrutturazione, restituiscono un ruolo a chi, fino ad oggi, era “spettatore indifferente, all’interno del concorso sul patrimonio della società” [3]. Si tratta di disposizioni che vanno certamente salutate con favore, anche perché dirimono annose questioni, ma che, non può sottacersi, a volte non sono chiarissime altre volte scontano difetti di coordinamento con il sistema e, dunque, pongono dubbi ermeneutici e probabili complicazioni operative, di non agevole soluzione.a
2.1 . L’accesso della società al concordato preventivo
L’art. 40, comma 2, CCII, come modificato dal D.Lgs. 17 giugno 2022, n. 83, prescrive che la domanda di accesso della società a uno strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza e, dunque, anche al concordato preventivo[4] sia approvata e sottoscritta a norma dell’art. 120 bis dello stesso Codice.
L’art. 120 bis è stato introdotto dal D.Lgs. n. 83/2022 e stabilisce, al comma 1, che l’accesso a uno degli strumenti di regolazione contemplati dal Codice sia deciso, in via esclusiva, dagli amministratori unitamente al contenuto della proposta e alle condizioni del piano[5]. 
Il meccanismo vigente riproduce sostanzialmente quello originariamente contemplato dagli artt. 45 e 265, CCII, e dagli artt. 161 e 152, L. fall. Vi è però una significativa differenza: l’art. 120 bis stabilisce che la decisione in ordine all’accesso allo strumento, al contenuto della proposta ed alle condizioni del piano competa, in via esclusiva, agli amministratori mentre tanto l’art. 265 (che, per come si dirà infra, appare tuttora vigente per il concordato nella liquidazione giudiziale) quanto l’art. 152 L. fall. stabilivano che nelle società di persone la proposta e le condizioni del concordato fossero approvate dalla maggioranza assoluta del capitale e, comunque, facevano salve, per tutte le forme societarie, le diverse disposizioni dell’atto costitutivo o dello statuto sociale[6]. L’attribuzione di ogni potere decisionale, in via esclusiva, agli amministratori costituisce, invero, un adeguamento del CCII alla Direttiva (UE) 2019/1023. Quest’ultima prescriveva agli Stati membri di garantire che gli azionisti o gli altri detentori di strumenti di capitale non potessero impedire irragionevolmente l'adozione di un piano di ristrutturazione volto a ripristinare la sostenibilità economica del debitore e consentiva agli stessi Stati di adottare misure idonee allo scopo, tra le quali, appunto, l’esclusione di ogni competenza decisionale degli azionisti o degli altri detentori di strumenti di capitale in ordine alle misure di ristrutturazione non riguardanti direttamente i loro diritti[7].
Ogni decisione in ordine all’accesso al concordato preventivo, al contenuto della proposta ed alle condizioni del piano, spetta, dunque, oggi, unicamente agli amministratori[8] e ciò a prescindere dalla volontà dei soci e dalle previsioni dell’atto costitutivo e dello statuto, che potrebbero prevedere anche competenze diverse. Rispetto agli atti costitutivi ed agli statuti attualmente vigenti, l’art. 120 bis, comma 1, CCII, dovrebbe porsi, infatti, come deroga legale ad eventuali disposizioni difformi, nel senso di consentire agli amministratori di assumere in piena autonomia ogni decisione al riguardo quand’anche statutariamente sforniti di tale potere. Rispetto agli atti costitutivi ed agli statuti da adottare o modificare a far data dal 15 luglio 2022, lo stesso art. 120 bis, comma 1, dovrebbe porsi anche come limite legale all’adozione di disposizioni difformi da quanto dallo stesso disposto[9].
Nulla vieta che la decisione degli amministratori sia assunta in esito ad un deliberato dell’assemblea dei soci se, con la determina di accesso allo strumento di regolazione prescelto, gli amministratori condividono e fanno propria la volontà dell’assemblea.
Il disposto dell’art. 120 bis, comma 1, CCII implica che ogni responsabilità in ordine all’accesso alle procedure di regolazione della crisi ricade sugli amministratori[10] i quali, essendo muniti dei necessari poteri per assumere ogni necessaria deliberazione al riguardo, non potranno giustificare inerzie o ritardi invocando diverse attività e/o decisioni dei soci. 
La decisione in ordine all’accesso allo strumento di regolazione deve intendersi comprensiva della scelta dello strumento negoziale più appropriato, della individuazione del momento di avvio dell’iniziativa e della eventuale rinuncia alla stessa.
Secondo l’art. 120 bis, comma 1, CCII, la decisione deve risultare da verbale redatto da notaio e deve essere depositata e iscritta nel registro delle imprese. Nella Relazione illustrativa allo schema di D.Lgs. 17 giugno 2022, n. 83, si precisa che la forma del verbale notarile è necessaria per la sola decisione di accedere allo strumento mentre la determinazione del contenuto del piano, che non di rado segue a distanza di tempo dalla prima, risponderà ai requisiti di forma previsti per lo specifico tipo di società[11].
La domanda di accesso deve essere sottoscritta da coloro che hanno la rappresentanza della società[12].
Ai sensi dell’art. 120 bis, comma 3, CCII, gli amministratori sono tenuti a informare i soci dell’avvenuta decisione di accedere a uno strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza e devono riferire periodicamente sul suo andamento. 
All’evidente fine di assicurare piena indipendenza all’organo amministrativo ed escludere ogni possibile condizionamento da parte dei soci, l’art. 120 bis, comma 4, CCII, stabilisce che, dalla iscrizione della decisione nel registro delle imprese e fino alla omologazione, la revoca degli amministratori è inefficace se non ricorre una giusta causa[13]. Non costituisce giusta causa la presentazione di una domanda di accesso a uno strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza in presenza delle condizioni di legge. La deliberazione di revoca deve essere approvata con decreto dalla sezione specializzata del tribunale delle imprese competente, sentiti gli interessati. La norma nulla dice riguardo al procedimento ma ricalca il meccanismo già contemplato dall’art. 2400 c.c. per la revoca dei sindaci delle società per azioni. Si tratta di una fattispecie a formazione complessa. A rigor di logica e stando alla ratio della norma, dovrebbe ritenersi che, deliberata la revoca, questa resti inefficace fino a quando sia accertato che la causa di cessazione del rapporto era giusta[14] e, dunque, fino a quando sia approvata la relativa deliberazione con decreto del tribunale. Essendo deputata a far validare la deliberazione di revoca ed a far, così, acquistare efficacia alla stessa, l’iniziativa giudiziaria[15] dovrebbe spettare ai soci che l’hanno assunta[16] o alla società. Quest’ultima, come nei giudizi di revoca per giusta causa ex art. 2383, comma 3, c.c., dovrebbe - comunque - essere parte necessaria del procedimento, attrice in senso sostanziale con onere di provare la giusta causa[17] e dovrebbe stare in giudizio in persona di un curatore speciale se ricorre una situazione di conflitto di interessi[18]. Il procedimento, per la particolare attività richiesta al tribunale (approvazione, previo accertamento della conformità alla legge, di un atto dell’assemblea dei soci) e in considerazione del tipo di provvedimento che il tribunale può adottare (decreto), dovrebbe essere di volontaria giurisdizione, così come è stato affermato per l’identico congegno di cui all’art. 2400 c.c.[19]. Il decreto del Tribunale dovrebbe essere, dunque, reclamabile in Corte di Appello. La decisione di quest’ultima non dovrebbe essere ulteriormente impugnabile con ricorso per cassazione, neppure ai sensi dell'art. 111 cost.
La decisione degli amministratori di fare accesso allo strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza appare, invece, (quando ammesso dalla legge) liberamente impugnabile al pari di ogni altra deliberazione dell’organo amministrativo se assunta in violazione di legge o di statuto o se lesiva dei diritti dei soci.
2.2 . L’accesso della società al concordato preventivo (segue): la società in liquidazione e la società cancellata
L’art. 120 bis, comma 1, CCII, attribuisce ogni potere decisionale in ordine all’accesso alla procedura di concordato preventivo agli amministratori della società ma nulla dice in ordine ai poteri spettanti ai liquidatori, per il caso che la società debitrice si trovi in stato di liquidazione.
Nel silenzio della legge non pare agevole estendere la disposizione dettata per gli amministratori ai liquidatori, stante la netta differenza tra i poteri in capo ai primi e quelli dei secondi. Mentre agli amministratori è affidata ex lege ed in via esclusiva la gestione dell’impresa (e questa comprende anche la regolazione di un’eventuale situazione di crisi o di insolvenza[20]), con uno statuto legale ben predeterminato, ai liquidatori competono i poteri che l’assemblea dei soci, di volta in volta, decide di affidare loro ai sensi dell’art. 2487 c.c.; se tale attribuzione non avviene e lo statuto non prevede diversamente, i liquidatori hanno il potere di compiere gli atti utili per la liquidazione della società ai sensi dell’art. 2489 c.c.. Si tratta, dunque, di situazioni non pienamente equiparabili. Dovrebbe ritenersi, quindi, ancora vigente il principio giurisprudenziale secondo cui “in materia di concordato preventivo, anche se liquidatorio, il potere di fare accesso alla procedura dei liquidatori deve esser specificamente loro attribuito dall'assemblea, non potendosi esso considerare una sorta di naturalia negotii compreso nell'atto di nomina degli stessi, non potendo venire in rilievo la possibilità di estendere la previsione di cui alla L. fall., art. 152, che sicuramente sarebbe speciale e prevalente, ma invero riguardante i soli amministratori, avendo costoro altro e diverso statuto legale, come si è visto, naturalmente assai più ampio e predeterminato, rispetto a quello dei liquidatori” [21].
Dirimendo una annosa questione[22] ed assecondando un recente orientamento giurisprudenziale, l’art. 33, ultimo comma, CCII, stabilisce che non può fare accesso alla procedura di concordato preventivo la società cancellata dal registro delle imprese, la quale, però, può essere assoggettata alla liquidazione giudiziale nei termini di cui allo stesso art. 33.
2.3 . La legittimazione dei soci a presentare proposte di concordato concorrenti
Secondo il combinato disposto degli artt. 37, 44, comma 1, e 84, comma 1, CCII, l’iniziativa per l’accesso alla procedura di concordato preventivo compete unicamente al debitore. Ai creditori (rappresentanti almeno il dieci per cento dei crediti risultanti dalla situazione patrimoniale depositata dal debitore) è consentito di presentare proposte di concordato concorrenti ai sensi degli artt. 90 e ss., CCII.
Se il debitore è una società, l’art. 120 bis, comma 5, CCII, attribuisce la legittimazione a presentare proposte concorrenti anche ai soci che rappresentano almeno il dieci per cento del capitale. La legittimazione deve, ovviamente, intendersi riconosciuta tanto al singolo socio con una partecipazione del dieci per cento quanto a più soci che, insieme e complessivamente, detengono tale partecipazione qualificata. La presentazione di proposte concorrenti può avvenire, dunque, anche da parte di più aggregazioni tra soci, ciascuna in possesso del requisito legittimante. La norma non stabilisce limiti temporali rispetto al possesso della partecipazione qualificata del dieci per cento del capitale, deve ritenersi – pertanto – che, come nel caso delle proposte concorrenti dei creditori, esso possa essere anche l’effetto di acquisti successivi alla domanda di concordato.
La disposizione può essere salutata con favore perché, da un lato, compensa la perdita di ogni potere decisionale in capo ai soci mettendoli in condizioni di intervenire fattivamente nel processo di ristrutturazione della società (se veramente interessati) e, dall’altro lato, favorisce la competitività e, dunque, anche un possibile miglior soddisfacimento dei creditori.
La norma stabilisce che la domanda, in tal caso, è sottoscritta da ciascun socio proponente. Al riguardo va osservato che la disposizione è imprecisa. Invero dovrebbe essere la proposta di concordato[23] concorrente ad essere firmata da ciascun socio perché la domanda di accesso al concordato è, sempre e comunque, riservata alla sola società debitrice. La rinuncia alla domanda di concordato da parte della società fa venire meno le eventuali proposte di concordato concorrenti dei creditori e/o dei soci.
L’innovazione, apportata dal D.Lgs. n. 83/2022, sconta un difetto di coordinamento con talune norme del Codice che riguardano le proposte concorrenti (artt. 92, 109,118) le quali continuano a far riferimento unicamente alle proposte presentate da creditori. Il difetto di coordinamento va risolto estendendo interpretativamente l’applicazione delle relative disposizioni ai soci che hanno presentato proposte concorrenti. Così, ai sensi dell’art. 92, comma 3, CCII, il commissario giudiziale è tenuto a dare anche ai soci, che ne fanno richiesta, le informazioni utili per la presentazione di proposte concorrenti, sulla base delle scritture contabili e fiscali obbligatorie del debitore, nonché ogni altra informazione rilevante in suo possesso. Ai sensi dell’art. 109, comma 2, CCII, la competizione tra proposte che hanno ricevuto parità di voti deve intendersi riferita alle proposte concorrenti presentate dai creditori e dai soci. Ai sensi dell’art. 109, comma 7, CCII, il socio che ha depositato una proposta concorrente, se avente diritto al voto, può esprimerlo se la proposta concorrente ne prevede l’inserimento in apposita classe. Ai sensi dell’art. 118, comma 3, CCII, 3, la società è tenuta a compiere ogni atto necessario a dare esecuzione alla proposta di concordato omologata, anche se presentata da uno o più soci.
2.4 . La sospensione degli obblighi di ricapitalizzazione
L’art. 89, CCII, esclude temporaneamente l’obbligo delle società di capitali e delle società cooperative, che abbiano subito perdite tali da ridurre in misura superiore al terzo il capitale sociale o da determinarne addirittura la perdita, di procedere alla ricapitalizzazione o alla trasformazione in altro tipo. Esso stabilisce anche che, per lo stesso periodo, non opera la causa di scioglimento prevista per le società di capitali dall’art. 2484, primo comma n. 4, c.c., nel caso di perdita o riduzione del capitale al di sotto del minimo legale, e per le società cooperative dall’art. 2545 duodecies, c.c., nel caso di perdita del capitale sociale.
L’art. 89, CCII, replica l’art. 182 sexies L. fall., introdotto dall’art. 33, D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 134.
La disposizione trova applicazione qualunque sia la tipologia di concordato preventivo prescelta dal debitore e opera automaticamente a far data dal deposito della domanda di accesso alla procedura, anche in bianco o con riserva. 
L’operatività della disposizione cessa al momento dell’omologazione del concordato ovvero nel caso di diniego dell’omologazione, revoca dell’ammissione alla procedura o in caso di mancata apertura per inammissibilità. 
Secondo una parte della dottrina, le misure stabilite dall’ art. 89 dovrebbero considerarsi delle misure protettive tipiche[24]. Altra parte della dottrina ne dubita, sul rilievo che la neutralizzazione degli effetti derivanti dalla perdita del capitale sociale non sembra poter rientrare a pieno titolo nella definizione di misure protettive di cui all'art. 2 del Codice “in quanto non si comprende come tale previsione corrisponda al bisogno di evitare che determinate azioni dei creditori possano pregiudicare, sin dalla fase delle trattative, il buon esito delle iniziative assunte per la regolazione della crisi o dell'insolvenza. Le questioni relative alla tenuta del capitale sociale nulla hanno a che vedere con le potenziali azioni dannose poste in essere dai creditori”[25].
Invero, se si assume che l’art. 2, CCII, ha finalità meramente esplicative o di sintesi[26]  e che, conseguentemente, le definizioni ivi contenute hanno solo lo scopo di ridurre la discrezionalità interpretativa degli operatori, senza però assumere per essi un valore necessariamente vincolante[27], può anche ammettersi la possibilità di annoverare tra le misure protettive quei provvedimenti che, come nella specie, hanno comunque la finalità di assicurare il buon esito dell’iniziativa assunta dal debitore per la regolazione della crisi o dell'insolvenza.
Sotto questo profilo, non può negarsi – infatti - che le disposizioni in esame abbiano la funzione di rimuovere un ostacolo che frequentemente si incontra nelle operazioni di risanamento e riorganizzazione delle imprese in crisi, rappresentato dalla necessaria messa in liquidazione della società a seguito di perdite che hanno portato il capitale al di sotto del minimo legale[28]. Come è stato condivisibilmente osservato, infatti, lo scioglimento e la liquidazione segnano il venir meno della continuità aziendale e rendono meno agevole l’acquisizione di nuove risorse finanziarie necessarie a mantenere l’impresa in funzionamento, “pregiudicando o, quanto meno, rendendo maggiormente problematica la predisposizione di un piano concordatario o di un accordo con i creditori che permetta all’impresa di rimanere sul mercato” [29].
Come è stato osservato, inoltre, scopo della norma è anche quello di evitare onerose operazioni sul capitale per evitare che gli amministratori assumano responsabilità per effetto della prosecuzione dell’attività sociale che, se interrotta o sospesa, potrebbe compromettere il risanamento dell’impresa[30]. 
Come si è detto, secondo all’ 89, CCII, (così come secondo l’art. 182 sexies L. fall.) le regole civilistiche in tema di conservazione del capitale sociale e di scioglimento della società per riduzione o perdita dello stesso, non trovano applicazione sino all'omologazione del concordato preventivo o dell’accordo di ristrutturazione.
Occorre chiedersi, quindi, cosa accada dopo l’omologazione e per effetto della stessa.
Secondo l’opinione prevalente, venuta meno la sospensione degli obblighi di procedere alla ricapitalizzazione o alla trasformazione in altro tipo della società, le relative disposizioni civilistiche tornerebbero pienamente operative. Qualora, anche in esito alla contabilizzazione delle eventuali sopravvenienze attive generate dalla falcidia concordataria, dovesse persistere la riduzione del capitale al disotto del minimo legale o il suo azzeramento, scatterebbe l’obbligo di ricapitalizzazione o di trasformazione regressiva della società, sotto pena del verificarsi della causa di scioglimento[31].
Secondo un diverso orientamento, invece, l’operatività delle anzidette disposizioni civilistiche rimarrebbe sospesa anche dopo l’omologazione, fino alla completa esecuzione del concordato[32] o dell’accordo.
Invero, se si accetta l’idea che le misure di cui all’art. 89, CCII, hanno le suindicate finalità (protettive) di assicurare il buon esito dell’iniziativa assunta dal debitore per la regolazione della crisi o dell'insolvenza e si prende atto che le stesse misure contribuiscono a segnare il “declino del sistema fondato sul capitale sociale”[33], che non sembra più fornire alcuna effettiva tutela ai creditori[34], potrebbe predicarsi anche una neutralizzazione[35], post omologazione, degli obblighi civilistici di ricostruzione del capitale o trasformazione della società, con conseguente inoperatività della relativa causa di scioglimento per perdite, per effetto di quanto previsto dalla proposta di concordato approvata dai creditori[36].
La proposta, infatti, potrebbe non prevedere (esplicitamente o implicitamente, tacendo sulla questione) la ricostituzione del capitale minimo o la trasformazione regressiva della società nella fase di esecuzione del piano. Se si trattasse di una proposta o di un accordo di natura liquidatoria, la mancata ricapitalizzazione o trasformazione della società potrebbe ritenersi superflua e irrilevante anche perché sarebbe coerente[37] e, comunque, compatibile con lo stato di sostanziale liquidazione in cui la stessa società verrebbe a trovarsi durante la fase esecutiva della programmata composizione negoziale della crisi o dell’insolvenza; se, invece, il piano omologato prevedesse la continuità aziendale, la prosecuzione dell’esercizio dell’impresa (secondo il medesimo tipo sociale ma in assenza di capitale minimo) potrebbe ritenersi convenzionalmente assentita dai creditori e la disciplina negoziale potrebbe prevalere (neutralizzandola) su quella civilistica. 
In fondo, la continuazione dell’attività aziendale in deroga alle citate disposizioni civilistiche sul capitale sociale e sullo scioglimento della società per perdite non è estranea all’ordinamento e, anzi, è dallo stesso espressamente consentita per agevolare situazioni particolari.
Prima conferma ne sono proprio gli artt. 64 e 89, CCII, così come l’art. 182 sexies L. fall. Ulteriore conferma ne sono l’art. 26 del D.L. n. 179/2012, convertito con modificazioni dalla L. n. 221/2012, e l’art. 4 comma 9 del D.L. n. 3/2015, convertito con modificazioni dalla L. n. 33/2015, i quali, per le start up innovative e per le piccole e medie imprese innovative, stabiliscono che quando il capitale si è ridotto per perdite oltre un terzo, la riduzione può essere posticipata fino al secondo esercizio successivo; mentre, quando le perdite hanno ridotto il capitale al di sotto del minimo legale, la decisione sui provvedimenti da assumere può essere rinviata alla chiusura dell'esercizio successivo, senza che operi lo scioglimento della società. Senza trascurare che il diritto dell'Unione europea non impone agli Stati di adottare la regola “ricapitalizza o liquida”[38] e che il sistema conosce il fenomeno delle società a responsabilità limitata con capitale (sostanzialmente inesistente) di un euro.
Tale impostazione risulterebbe coerente con il citato rilievo che, in effetti, l’esistenza di un capitale sociale minimo non sembra approntare più una significativa tutela ai creditori. Come è stato già puntualmente evidenziato, l’esistenza di un capitale minimo non garantisce, di per sé, le ragioni dei creditori perché esso non è mai in alcun modo correlato all'ammontare complessivo dei debiti che la società ha o può avere[39]: oggi esempio lampante ne è la anzidetta società con capitale di un euro. Né il capitale sociale fornisce sempre adeguata e tempestiva informazione ai creditori sulla effettiva situazione della società: per quanto la riduzione del capitale costituisca un «segnale di allarme» dell’approssimarsi di una crisi[40], non può escludersi la esistenza di una grave situazione di difficoltà pur in presenza di un patrimonio netto ampiamente positivo[41]. 
Invero, la effettiva protezione per i creditori è data dagli strumenti di autotutela contrattuale che gli stessi riescono ad azionare per garantire il soddisfacimento dei propri crediti[42]. 
E allora, in questo contesto, potrebbe ammettersi una deroga convenzionale alle disposizioni civilistiche sulla conservazione del capitale sociale, quale strumento negoziale di (auto)protezione prescelto (rectius: accettato) dai creditori concorsuali per assicurarsi la massima recovery nell’ambito del processo di risanamento proposto dal loro debitore, rispetto ad alternative meno favorevoli. Tale opzione non pregiudicherebbe le ragioni dei creditori volontari non concorsuali, poiché gli stessi sarebbero liberi di decidere se contrarre o meno con società priva di capitale minimo. Né pregiudicherebbe le ragioni dei creditori cd. involontari perché le ragioni di questi dovrebbero essere sempre e comunque garantite da appositi fondi rischi previsti dal piano per passività potenziali derivanti dalla specifica attività svolta[43]. 
Il meccanismo negoziale, quant’anche si ritenessero imperative ed inderogabili le norme del diritto societario preposte alla conservazione del capitale sociale, si sostanzierebbe, di fatto, nella rinunzia da parte dei creditori a far valere le responsabilità derivanti dall’inosservanza degli obblighi di cui agli artt. 2446, 2447, 2482 bis, 2482 ter, 2485 e 2486 c.c. ivi compresa quella per la prosecuzione dell’attività aziendale, in assenza di capitale minimo, per tutta la durata del piano e l’esecuzione dello stesso[44]. 
Secondo questa impostazione, quindi, le misure previste dall’ art. 89 del Codice accompagnerebbero la società (ed i suoi amministratori), con finalità protettive, sino all’omologazione. Conseguita quest’ultima, alle anzidette misure protettive, si sostituirebbe la volontà negoziale consacrata nell’accordo approvato, fino alla completa esecuzione del piano.
2.5 . Il piano concordatario e la sua esecuzione
Ai sensi dell’art. 120 bis, comma 2, CCII, introdotto dal D.Lgs. n. 83/2022, per il buon esito della ristrutturazione, il piano può prevedere qualsiasi modificazione dello statuto della società debitrice, ivi inclusi aumenti e riduzioni di capitale anche con limitazione o esclusione del diritto di opzione e altre modificazioni che incidono direttamente sui diritti di partecipazione dei soci, nonché fusioni, scissioni e trasformazioni.
La effettiva portata della norma non è di immediata percezione. Soccorre la Relazione illustrativa allo schema di D.Lgs. n. 83/2022, nella quale si precisa che, per effetto di tale disposizione, anche in assenza di una deliberazione dei soci, il piano di ristrutturazione può modificare la struttura finanziaria della società, e dunque prevedere la cancellazione di azioni e quote, l’emissione di azioni, quote e strumenti finanziari, anche con limitazione o esclusione del diritto d’opzione nonché operazioni straordinarie[45].
Contribuisce a dirimere ogni dubbio circa le concrete intenzioni del legislatore, l’art.120 quinquies, CCII, che - al comma 1 -  stabilisce che il provvedimento di omologazione dello strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza determina la riduzione e l’aumento del capitale e le altre modificazioni statutarie nei termini previsti dal piano, demanda agli amministratori l’adozione di ogni atto necessario a darvi esecuzione e li autorizza a porre in essere, nei successivi trenta giorni o nel diverso termine previsto dal piano, le ulteriori modificazioni statutarie programmate dal piano. In mancanza il tribunale, su richiesta di qualsiasi interessato e sentiti gli amministratori, può nominare un amministratore giudiziario, attribuendogli i poteri necessari a provvedere in luogo di costoro agli adempimenti di cui al presente articolo, e disporre la revoca per giusta causa degli amministratori.
Invero, le operazioni di riorganizzazione[46] sono sempre state possibili[47], tanto nell’ambito della proposta di concordato formulata dalla società quanto nel contesto di eventuali proposte concorrenti depositate dai creditori, in considerazione delle formule assai ampie di cui agli artt. 160, comma 1, lett. a) e 163, comma 5, L. fall. nonché di cui agli artt. 87, comma 1, lett. d), e 90, comma 6, CCII. La fattibilità di tali operazioni di riorganizzazione, però, è sempre stata condizionata dalla necessaria volontà dei soci di darvi attuazione[48], mediante deliberazioni da assumersi secondo le regole del diritto societario[49]; volontà da ritenersi non sempre scontata perché tali operazioni sono idonee a ridurre, se non anche ad azzerare, il valore della partecipazione sociale, la quale, a sua volta, rappresenta l'unico titolo che consente al socio di conservare l'eventuale valore netto positivo che il patrimonio della società, ancorché in crisi, potrebbe pur sempre presentare[50]. Per porre rimedio all’eventuale ostruzionismo dei soci, il legislatore ha previsto i rimedi di cui agli artt. 185, comma 6, L. fall. e 118, commi 5 e 6, CCII, contemplanti la possibilità per il tribunale di nominare un amministratore giudiziario con il potere non solo di convocare la relativa assemblea, ma anche di esercitarvi il diritto di voto di regola spettante ai soci. Tali rimedi hanno, tuttavia, un’operatività limitata: entrambi si applicano nel solo caso di mancata esecuzione di proposte concorrenti presentate dai creditori e non anche nel caso di mancata esecuzione della proposta della società debitrice[51]; nel caso dell’art. 185, comma 6, L. fall., il potere sostitutivo è conferito all’amministratore giudiziario solo per deliberare l’aumento di capitale sociale[52]; nel caso dell’art. 118, comma 6, CCII, il potere sostitutivo è conferito all’amministratore giudiziario per qualsiasi deliberazione di competenza dell'assemblea dei soci ma l'esercizio del diritto di voto spetta solo per le azioni o quote facenti capo al socio o ai soci di maggioranza[53].
Il meccanismo di cui agli artt. 120 bis, comma 2, e 120 quinquies, comma 1, CCII, esautora l’assemblea dei soci dalla competenza a deliberare le operazioni riorganizzative (sul capitale e straordinarie) previste nel piano di concordato depositata dalla società ed anche il singolo socio dal manifestare il consenso allorquando necessario per legge o per statuto[54]. L’apertura della procedura concorsuale non è più un evento neutro rispetto all’organizzazione dei poteri e alla distribuzione delle competenze tra gli organi della società ma determina un’alterazione (per tutta la durata della procedura) della struttura corporativa della stessa, con perdita da parte dei soci delle prerogative derivanti dall’esercizio dei diritti amministrativi ed acquisto da parte degli amministratori dei poteri deliberativi già in capo ai primi; il tutto per favorire la ristrutturazione ed a beneficio di coloro (i creditori) che la subiscono direttamente[55].
Rimangono ovviamente ferme le competenze assembleari inerenti al funzionamento della società (quali, ad esempio, il trasferimento della sede sociale, le modifiche statutarie non incidenti sulla struttura patrimoniale e finanziaria, la nomina e la revoca degli amministratori e dei sindaci) nonché le deliberazioni di carattere puramente gestorio[56].
Le modalità di attuazione delle citate operazioni di riorganizzazione non sono chiarissime.
La formulazione letterale dell’art. 120 quinquies, comma 1, prima parte, CCII induce a ritenere che in questi casi la modificazione statutaria o l’operazione straordinaria si realizzi automaticamente per effetto dell’omologazione della proposta[57]. La disposizione stabilisce, infatti, che il provvedimento di omologazione dello strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza determina la riduzione e l’aumento del capitale e le altre modificazioni statutarie nei termini previsti dal piano. Nel caso del concordato preventivo, quindi, la sentenza di omologazione dovrebbe costituire l’atto modificativo dello statuto[58] o, quantomeno, dovrebbe tenere luogo della volontà dei soci e della relativa delibera assembleare e, così, costituire il titolo per procedere alla stipula di ogni eventuale atto notarile necessario allo scopo, specie per quanto riguarda le operazioni straordinarie. In quest’ultimo senso sembra deporre il comma 2 dell’art. 120 quinquies, CCII, laddove prevede che, se il notaio incaricato ritiene non adempiute le condizioni stabilite dalla legge, ne dà comunicazione agli amministratori e questi ultimi possono ricorrere al Tribunale che ha omologato lo strumento di regolazione per i provvedimenti necessari.
La seconda parte dell’art. 120 quinquies, comma 1, CCII, stabilisce, anche, che lo stesso provvedimento di omologazione demanda agli amministratori l’adozione di ogni atto necessario a darvi esecuzione e li autorizza a porre in essere, nei successivi trenta giorni o nel diverso termine previsto dal piano, le «ulteriori modificazioni statutarie programmate». La possibilità per gli amministratori di porre in essere le «ulteriori modificazioni statutarie programmate» nel piano, sembra dare spazio ad una diversa opzione interpretativa: il provvedimento di omologazione determina (nel senso che stabilisce[59]) la riduzione e l’aumento del capitale e le altre modificazioni statutarie nei termini previsti dal piano e demanda agli amministratori (nel senso che attribuisce ad essi il potere per) l’adozione di ogni atto necessario a darvi esecuzione, ivi compresi quelli che, sulla base delle regole civilistiche, sono di competenza di altri organi o soggetti della società[60].
Una ulteriore opzione potrebbe essere quella di considerare il provvedimento di omologazione come atto esecutivo della proposta ogni qualvolta che questo possa concretamente realizzare quell’effetto organizzativo prefigurato nel piano, demandandosi (rectius: attribuendosi i poteri), viceversa, agli amministratori per il compimento dei necessari atti, in ogni altra ipotesi in cui tale effetto organizzativo non si presti ad essere direttamente ed immediatamente ricollegato al provvedimento di omologazione[61].
Ai sensi dell’art. 120 quinquies, comma 1, ultimo periodo, CCII, se gli amministratori non adempiono a quanto ad essi demandato con il provvedimento di omologazione, il tribunale - su richiesta di qualsiasi interessato e sentiti gli stessi amministratori - può nominare un amministratore giudiziario, attribuendogli i poteri necessari a provvedere in luogo di costoro agli adempimenti necessari. Il Tribunale dispone, in questo caso, la revoca per giusta causa degli amministratori.
Ai sensi dell’art. 116, comma 5, anch’esso introdotto dal D.Lgs. n. 83/2022, quando il piano prevede il compimento delle operazioni di trasformazione, fusione o scissione della società debitrice, il diritto di recesso dei soci è sospeso fino all’attuazione del piano. Tale previsione era contenuta nella Legge delega n. 155/2017, all’art. 6, comma 2, lett. c, n. 3, ma non aveva avuto attuazione. Lo scopo della disposizione è indubbiamente quello di evitare ostacoli alla fattibilità del piano che preveda operazioni incidenti sull'organizzazione o sulla struttura finanziaria della società[62].
Secondo quanto stabilito dall’art. 120 quinquies, comma 3, CCII, le modificazioni della compagine sociale conseguenti all’esecuzione di uno strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza non costituiscono causa di risoluzione o di modificazione di contratti stipulati dalla società. Sono inefficaci eventuali patti contrari.
Non è chiaro se il regime di cui agli artt. 120 bis, comma 2, e 120 quinquies CCII, trovi applicazione nel solo caso della proposta di concordato preventivo presentata dalla società debitrice ovvero trovi applicazione anche nel caso di proposte concorrenti formulate dai creditori e dai soci. Deve rilevarsi, infatti, che nonostante l’introduzione di tale particolare regime ad opera del D.Lgs. n. 83/2022, continuano ad essere vigenti l’art. 90, comma 6, e l’art. 118, commi 5 e 6, CCII, che regolano il caso delle modifiche statutarie per effetto di proposte concorrenti. La (permanente) vigenza di tali ultime disposizioni depone per l’esistenza di un duplice regime: quello di cui agli artt. 120 bis, comma 2, e 120 quinquies CCII, volto a regolare le operazioni di riorganizzazione che provengono dalla stessa società; quello di cui agli artt. 90, comma 6, e 118, commi 5 e 6, CCII, volto a disciplinare le operazioni di riorganizzazione che provengono da proposte dei creditori e dei soci. Ciò può affermarsi anche sul rilievo che se “si muove dalla premessa che il potere di deliberare la proposta implica quello di darvi esecuzione, allora è chiaro che gli amministratori sono legittimati a porre in essere tutti gli atti necessari ad eseguire la proposta solo quando ad essere approvata ed omologata sia quella presentata dalla società, non anche qualora si tratti dell’esecuzione di una proposta concorrente, diversa, cioè, da quella da costoro deliberata: in quest’ultimo caso, e proprio sulla base di tale premessa, non si verificherà, infatti, alcun incremento delle prerogative degli amministratori, con l’esito, per un verso, che la competenza ad adottare le deliberazioni necessarie ad addivenire alla riorganizzazione del capitale proprio continuerà a spettare, sulla base della disciplina generale, all’assemblea dei soci, e che, per altro verso, nel caso di loro inerzia, si tratterà di procedere a nominare l’amministratore giudiziario al quale riconoscere quel potere di sostituirsi ai soci” [63].
2.6 . Il piano concordatario e la sua esecuzione (segue): le operazioni di riorganizzazione e i rimedi impugnatori
Il rimedio in capo ai soci per reagire avverso un piano concordatario che preveda tali operazioni di riorganizzazione non può che essere l’opposizione all’omologazione. In tale senso, peraltro, dispone l’art. 285, comma 5, CCII, per il caso di piani concordatari di gruppi di imprese che prevedano operazioni di riorganizzazione. Secondo quest’ultima disposizione i soci possono far valere il pregiudizio arrecato alla redditività e al valore della partecipazione sociale dalle operazioni di cui ai commi 1 e 2 dello stesso art. 285, CCII, esclusivamente attraverso l’opposizione all’omologazione del concordato di gruppo[64].
Lo stesso strumento dell’opposizione all’omologazione spetta ai creditori se il piano prevede il compimento, durante la procedura oppure dopo la sua omologazione, di operazioni di trasformazione, fusione o scissione della società debitrice. Ai sensi dell’art. 116, CCII, la validità di queste operazioni straordinarie può essere contestata dai creditori solo con l'opposizione all'omologazione. Con la riforma si è, quindi, assecondato quell’orientamento che, già da tempo, propugnava per l’assorbimento dell’opposizione all’operazione straordinaria, esperibile dai creditori della società proponente, nell’opposizione all’omologazione del concordato[65]. La nuova disposizione, nel recepire tale orientamento, precisa - però - che, con l’opposizione all’omologazione, i creditori possono contestare la validità di queste operazioni. In questi termini, l’opposizione all’omologazione (prevista dal diritto concorsuale) parrebbe divenire lo strumento (unico) per proporre l’opposizione (prevista dal diritto societario) avverso l’operazione straordinaria in sé considerata. Tanto che l’art. 116, comma 4, CCII, dichiara applicabili (nei limiti della compatibilità) anche le corrispondenti norme del codice civile. I due rimedi sembrerebbero, allora, mantenere la loro ontologica[66] differenza e coesistere nell’ambito di un fenomeno di concentrazione (più che di assorbimento) della loro esperibilità, trattazione e decisione nell’ambito del giudizio di omologazione del concordato[67]. L’art. 116 del Codice non chiarisce espressamente se anche i creditori delle società in bonis, coinvolte nell’operazione straordinaria, debbano necessariamente proporre la loro impugnazione con l’opposizione all’omologazione[68]. L’impostazione di cui sopra sembrerebbe consentirlo se non addirittura imporlo. E tale opzione pare confermata dalla prescrizione di cui al comma 2 dell’art. 116, secondo cui, ai fini dell’opposizione, il tribunale, nel provvedimento di fissazione dell’udienza per l’omologazione del concordato, dispone che il piano sia pubblicato nel registro delle imprese del luogo ove hanno sede le società interessate dalle operazioni di trasformazione, fusione o scissione. L’impianto sarebbe, così, coerente con lo scopo della nuova norma, che è certamente quello di dirimere ogni incertezza sulle sorti dell’operazione straordinaria e, quindi, sulla fattibilità giuridica del concordato prima della sua definitiva omologazione[69].
2.7 . Il diritto di voto dei soci e l’omologazione del concordato in caso di attribuzione ai soci di parte del valore della ristrutturazione
L’art. 120 ter, CCII, regola il classamento dei soci nonché le modalità di espressione del voto degli stessi nell’ambito degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza previsti dal codice e, dunque, anche del concordato preventivo.
Anche in questo caso la portata della norma non appare subito chiara. Il classamento presuppone un trattamento da riservare al soggetto classato e, dunque, la regolazione di una ragione di credito.
Per meglio comprendere la norma occorre, allora, prendere le mosse dal fatto che i soci possono essere creditori (in senso stretto) della società per prestazioni di beni o servizi erogate alla stessa ovvero per finanziamenti, postergati o meno, eseguiti prima o dopo l’accesso alla procedura. Ma i soci sono anche creditori (in senso figurativo e non certo in senso tecnico-giuridico) della società[70] per il capitale in essa investito, in quanto titolari “di un’aspettativa giuridicamente rilevante sul patrimonio netto della società, così da poter essere idealmente collocati nella medesima macrocategoria concettuale in cui sono inseriti i creditori dell’ente”[71] .
La partecipazione al concordato dei soci, in quanto creditori in senso stretto della società, ha già una sua disciplina che è quella generale dettata per tutti i creditori, con possibilità e obblighi di classamento (v. art. 85, CCII) e con regolamentazione anche del diritto di voto in casi particolari (cfr. art. 109, comma 6, CCII).
L’art. 120 ter, CCII, sembra, dunque, regolare la (sola) partecipazione al concordato dei soci in quanto tali (creditori, in senso figurativo e atecnico, della società per il rimborso della quota di partecipazione) allorquando agli stessi sia riservato un trattamento e, segnatamente, una parte del valore risultante dalla ristrutturazione[72]. La norma va letta, allo scopo, insieme all’art. 120 quater, CCII, il quale stabilisce le condizioni di omologazione del concordato che contempla l’attribuzione del valore risultante dalla ristrutturazione anche ai soci anteriori alla presentazione della domanda. In tal senso depone pure il comma 3 dell’art. 120 ter, laddove riconosce il diritto di voto ai soci (non in relazione all’ammontare di un credito vantato nei confronti della società ma) in proporzione alla quota di capitale posseduta anteriormente alla presentazione della domanda di concordato. Chiarisce ulteriormente la portata e la finalità della norma, il comma 4 dello stesso art. 120 ter, che estende tale disciplina ai titolari di strumenti finanziari, fatta eccezione per quelli che attribuiscono il diritto incondizionato al rimborso anche parziale dell’apporto. 
Come si è detto nella premessa del presente lavoro, da “spettatore indifferente, all’interno del concorso sul patrimonio della società” [73], il socio diviene parte attiva, acquisendo il diritto a presentare proposte concorrenti, se in possesso di una partecipazione qualificata (ex art. 120 bis, comma 5, CCII), il diritto di acquisire informazioni e di interloquire con il commissario giudiziale (ex art. 92, comma 3, CCII), il diritto di interloquire e votare in ordine alla proposta presentata dalla società e a quelle eventualmente concorrenti presentate da creditori e/o altri soci (ex artt. 107 e 120 ter, CCII), il diritto di partecipare al concorso (ex art. 120 quater, CCII) ed il diritto di opporsi all’omologazione del concordato al fine di far valere il pregiudizio subito rispetto all’alternativa liquidatoria (ex art. 102 quater, comma 3, CCII).
A norma dell’art. 120 ter, comma 1, CCII, il classamento non è – di regola – obbligatorio. La proposta può, infatti, prevedere la formazione di una classe di soci o di più classi se esistono soci ai quali lo statuto, anche a seguito delle modifiche previste dal piano, riconosce diritti diversi. Ai sensi del comma 2 dello stesso art. 120 ter, il classamento è, invece, obbligatorio[74] se il piano prevede modificazioni che incidono direttamente sui diritti di partecipazione dei soci e, in ogni caso, per le società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio. Anche in questo caso la classe dovrebbe essere unica, comprendente tutti i soci, salvo che esistano categorie di soci con diritti diversi. 
Ai sensi del comma 3, dell’art. 120 ter, i soci, inseriti in una o più classi, esprimono il proprio voto nelle forme e nei termini previsti per l’espressione del voto da parte dei creditori. Rispetto al voto dei soci opera, però, il meccanismo del silenzio-assenso: il socio che non ha espresso il proprio dissenso entro il termine di legge si ritiene consenziente. Tale opzione tende a porre rimedio ad un possibile disinteresse dei soci[75].
All’interno della classe il socio ha diritto di voto in misura proporzionale alla quota di capitale posseduta anteriormente alla presentazione della domanda. La quota di capitale da prendere in considerazione dovrebbe essere considerata al valore nominale, così come per i creditori la misura del voto è commisurata al valore nominale dei rispettivi crediti. L’attribuzione del diritto di voto ai soci, in misura proporzionale alla quota di capitale da ciascuno posseduta, implica che, al fine di calcolare correttamente le maggioranze necessarie per l’approvazione del concordato, sia appostato tra le passività (quanto meno figurativamente) anche il valore nominale dell’intero capitale sociale[76].
Come si è detto, il piano può prevedere che il valore risultante dalla ristrutturazione sia riservato anche ai soci anteriori alla presentazione della domanda. Tale attribuzione è possibile in virtù della nuova regola di distribuzione dei valori del patrimonio contenuta nell’art. 84, comma 6, CCII. In virtù di tale disposizione, dettata per il solo concordato con continuità aziendale, il valore di liquidazione dell’impresa deve essere distribuito nel pieno rispetto delle cause legittime di prelazione e cioè secondo la regola della priorità assoluta (che impedisce la soddisfazione del creditore di rango inferiore se non vi è stata la piena soddisfazione del credito di grado superiore) mentre il valore ricavato dalla prosecuzione dell’impresa, c.d. plusvalore da continuità, può essere distribuito osservando il criterio della priorità relativa (secondo il quale è sufficiente che i crediti di una classe siano pagati in ugual misura rispetto alle classi di pari grado e in misura maggiore rispetto alla classe di rango inferiore) [77].
In questa ipotesi, ai sensi dell’art. 120 quater, comma 1, CCII, in caso di dissenso di una o più classi di creditori, il concordato può essere omologato se il trattamento proposto a ciascuna delle classi dissenzienti è almeno altrettanto favorevole rispetto a quello proposto alle classi del medesimo rango e più favorevole di quello proposto alle classi di rango inferiore, anche se a tali classi venisse destinato il valore complessivamente riservato ai soci. Se non vi sono classi di creditori di rango pari o inferiore a quella dissenziente, il concordato può essere omologato solo quando il valore destinato al soddisfacimento dei creditori appartenenti alla classe dissenziente è superiore a quello complessivamente riservato ai soci.
Si tratta di far applicazione, in tale ipotesi, della cd. regola di non discriminazione prevista dall'art. 11, par. 1, lett. c, della Direttiva (UE) 2019/1023[78] (le classi dissenzienti devono ricevere un trattamento almeno altrettanto favorevole rispetto a quello delle altre classi dello stesso rango) e della relative priority rule prevista dalla stessa Direttiva (le classi dissenzienti devono ricevere un trattamento più favorevole di quello previsto per le classi inferiori) [79]. La Relazione illustrativa dello schema di D.Lgs. 17 giugno 2022, n. 83, precisa che “Occorre dunque ‘misurare’ il trattamento riservato ai soci, tenendo conto che l’obiettivo della normativa è quello di permettere che il tribunale possa omologare lo strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza, nonostante il dissenso di una o più classi, se il valore di liquidazione del patrimonio è distribuito tra i creditori secondo la regola di priorità assoluta e il plusvalore da continuità è assegnato, ai creditori ed eventualmente ai soci, in una misura tale che il trattamento riservato a ciascuna delle classi dissenzienti sia almeno pari a quello delle classi di pari rango e più favorevole di quello riservato alle classi inferiori. Tale criterio risulta tuttavia inapplicabile in caso di dissenso dell’unica classe di creditori collocata al rango immediatamente superiore a quello dei soci; per tale ragione, nell’ultimo periodo del primo comma si prevede che, in questo solo caso, al fine di verificare il rispetto delle suddette regole, il valore assoluto destinato a tale classe debba essere superiore a quello riservato ai soci”[80].
L’art. 120 quater, comma 2, stabilisce che, per valore riservato ai soci si intende il valore effettivo, conseguente all’omologazione della proposta, delle loro partecipazioni e degli strumenti che attribuiscono il diritto di acquisirle, dedotto il valore da essi eventualmente apportato ai fini della ristrutturazione in forma di conferimenti o di versamenti a fondo perduto oppure, per le imprese minori, anche in altra forma. Il contenuto della norma è criptico. Secondo la Relazione illustrativa dello schema di D.Lgs. 17 giugno 2022, n. 83[81], “tale disposizione sottrae alle regole in materia di distribuzione del valore, e alle conseguenti limitazioni, il mantenimento di una partecipazione dei soci che sia conseguente a nuovi conferimenti e, solo nel caso di imprese minori, anche di nuovi apporti dei soci in forma diversa da quella del conferimento o del versamento a fondo perduto, come previsto dal Considerando 59 della direttiva”[82].
3 . Il concordato nella liquidazione giudiziale
Il concordato nella liquidazione giudiziale è disciplinato dagli artt. da 240 a 253, CCII. Le modifiche rispetto alla disciplina di cui alla legge fallimentare sono modestissime[83]. Quanto alla legittimazione, l’art. 240, CCII, stabilisce che la proposta del debitore è ammissibile solo se prevede l’apporto di risorse che incrementino il valore dell’attivo di almeno il dieci per cento. Le risorse devono, ovviamente, essere esterne rispetto al patrimonio del debitore, che è già tutto acquisito all’attivo della procedura, e devono pertanto provenire da un terzo. All’art. 240, comma 3, CCII, è stato prescritto il classamento obbligatorio per taluni creditori e, segnatamente, per i portatori di titoli obbligazionari o di strumenti finanziari emessi dalla società in liquidazione giudiziale, oggetto della proposta di concordato. Ai sensi dell’art. 243, comma 6, del Codice, l’obbligo di classamento riguarda anche i creditori proponenti il concordato e le parti ad essi correlate, se ammessi al voto. L’art. 243, comma 5, ha esteso l’esclusione dal voto e dal calcolo delle maggioranze alla parte di un’unione civile tra persone dello stesso sesso e al convivente di fatto del debitore, nonché ai soggetti cessionari o aggiudicatari dei crediti delle parti correlate al debitore. Sono stati, inoltre, esclusi dal voto e dal calcolo delle maggioranze i creditori in conflitto d’interesse che, nelle intenzioni del legislatore delegato, sarebbero i “portatori di un interesse che non sia quello derivante dalle cause legittime di prelazione, in conflitto con il miglior soddisfacimento dei creditori” [84].  Come nel caso del concordato preventivo, la norma non chiarisce quale sia l’organo chiamato a decidere sulla individuazione del conflitto d’interessi e sulla conseguente esclusione dal voto. Ma può convenirsi con chi ritiene che, nella fase della votazione, tale decisione competa al giudice delegato, ferma restando poi la definitiva determinazione del tribunale in sede di omologazione, chiamato anche a valutare la ritualità della procedura e l’esito della votazione[85].
Rispetto a tale disciplina comune occorre verificare se trovi applicazione (e in che misura) la particolare regolamentazione prevista dalla sezione VI bis del capo III del titolo IV del Codice per gli strumenti di regolazione e della crisi e dell’insolvenza delle società e, dunque, i citati artt. da 120 bis a 120 quinquies, CCII. 
Il concordato nella liquidazione giudiziale può, indubbiamente, ritenersi uno strumento di regolazione dell’insolvenza secondo la definizione di cui all’art. 2, comma 1, lett. m bis[86]. Le suindicate norme dovrebbero, dunque, trovare applicazione quando il concordato è proposto da società assoggettata a liquidazione giudiziale. Rispetto a tale affermazione, però, non poche sono le difficolta di coordinamento di quelle particolari regole prescritte per le società con le norme che disciplinano il procedimento in via generale.
3.1 . Le determinazioni in ordine alla proposta di concordato della società e le proposte dei soci
L’art. 120 bis, comma 1, CCII, attribuisce ogni determinazione inerente all’accesso al concordato – in via esclusiva – agli amministratori della società. Nonostante tale disposizione, introdotta dal D. Lgs. 83/2022, rimane vigente l’art.  265, CCII, che, per il caso di accesso al concordato nella liquidazione giudiziale delle società, stabilisce che nelle società di persone la proposta e le condizioni del concordato siano approvate dalla maggioranza assoluta del capitale e, comunque, fa salve, per tutte le forme societarie, le diverse disposizioni dell’atto costitutivo o dello statuto sociale. La soluzione del conflitto tra le suddette due disposizioni non è agevole. L’art. 120 bis, CCII, di evidente portata generale ed introdotto dal D.Lgs. n. 83/2022 in attuazione della Direttiva (UE) 2019/1023, potrebbe aver abrogato implicitamente l’art. 265, CCII. In fondo quest’ultimo (e prima ancora l’art. 152 L. fall.) regolava in via generale l’accesso al concordato preventivo e al concordato fallimentare delle società. Sicché potrebbe essere corretto affermare che la nuova norma di portata generale abbia sostituito (abrogandola implicitamente) la precedente norma che aveva uguale portata generale. Diversamente dovrebbe ritenersi che il legislatore abbia voluto mantenere un diverso assetto decisionale per il concordato nella liquidazione giudiziale, in ragione della diversità della situazione. In questo caso, la società è già insolvente ed è assoggettata alla procedura di liquidazione giudiziale e potrebbero non ricorrere quelle esigenze che giustificano l’esautoramento totale dell’assemblea dei soci: non vi è un’esigenza di snellimento ed accelerazione del processo decisionale funzionale ad una rapida emersione e regolazione della crisi[87], non vi è più un’attività gestoria degli amministratori e le decisioni sull’accesso allo strumento potrebbero sfuggire al generale potere gestorio dell’organo amministrativo, l’ostruzionismo dei soci potrebbe non essere scontato tenuto conto del fatto che il concordato è proponibile anche dai creditori e dai terzi. La prima opzione sembra quella preferibile anche perché coerente e funzionale all’impianto delineato dal successivo comma 2 dello stesso art. 120 bis, CCII.
Altrettanti dubbi sorgono in ordine alla applicabilità dell’art. 120 bis, comma 5, CCII, che consente ai soci che rappresentano almeno il dieci per cento del capitale sociale di presentare proposte concorrenti ai sensi dell’art. 90. CCII. La disposizione, stante il richiamo espresso dell’art. 90, CCII, sembra applicabile al solo concordato preventivo nel quale i soci non avevano (fino ad oggi) legittimazione all’iniziativa. Peraltro, nella liquidazione giudiziale i soci sono già legittimati, in quanto terzi, a presentare proposte di concordato senza alcuna necessità di possedere una partecipazione di una certa entità nella società. Secondo l’opinione prevalente, infatti, per terzo deve intendersi qualsiasi soggetto diverso dal fallito e dai creditori, che abbia un interesse qualificato e rilevante[88]. 
L’obbligo di informativa ai soci, sancito dall’art. 120 bis, comma 3, CCII, e il divieto di revocare l’organo amministrativo, se non per giusta causa, ex art. 120 bis, comma 4, CCII sembrano pacificamente applicabili anche al concordato nella liquidazione giudiziale, a prescindere dalla operatività dell’art. 120 bis, comma 1, ovvero dell’art. 265, CCII.
3.2 . Il piano concordatario e la sua esecuzione
Appaiono pienamente compatibili con il concordato nella liquidazione giudiziale e, dunque, applicabili alla fattispecie gli artt. 120 bis, comma 2, e 120 quinquies, CCII[89]. 
Le operazioni di riorganizzazione societaria sono contemplate dall’art. 240, CCII, e la possibilità di poterle prevedere come parte del piano concordatario proposto dalla stessa società in liquidazione giudiziale e di darvi attuazione, anche coattiva, senza la necessità di una deliberazione dell’assemblea dei soci, era auspicata da tempo dalla dottrina[90]. Peraltro, in pendenza di procedura, poteri riorganizzativi sono attribuiti (ex art. 264, CCII) al curatore, il quale può compiere gli atti e le operazioni riguardanti l’organizzazione e la struttura finanziaria della società previsti nel programma di liquidazione, che può prevedere l’attribuzione al medesimo curatore, per determinati atti od operazioni, dei poteri dell’assemblea dei soci.
Il meccanismo attuativo delineato dall’art. 120 quinquies, CCII, risulta coerente con il modello procedimentale della liquidazione giudiziale. Con la chiusura della procedura, che consegue all’omologazione del concordato, il potere di compiere ogni atto necessario a dare esecuzione al piano è correttamente demandato agli amministratori della società, che torna in bonis, e in caso di inerzia, ad un amministratore giudiziario. L’adozione da parte del Tribunale di ulteriori provvedimenti che si rendessero necessari dopo l’omologazione rientra nell’ambito della più generale previsione di cui all’art. 249, CCII, che consente a quest’ultimo di adottare ogni misura idonea per il conseguimento delle finalità del concordato.
Rimane indisciplinata, salvo a ritenere applicabili anche ad essa gli artt. 120 bis, comma 2 e 120 quinquies, CCII, la modalità di attuazione delle operazioni di riorganizzazione previste da proposte di creditori o di terzi. Questione, ad oggi, risolta dalla giurisprudenza facendo applicazione analogica della corrispondente norma prevista per le proposte concorrenti nel concordato preventivo[91].
3.3 . Classamento dei soci e distribuzione del valore della ristrutturazione
Il classamento dei soci, previsto e consentito dall’art. 120 ter, CCII, presuppone che ad essi sia riservato un trattamento.
Le regole che consentono di distribuire diversamente i valori ricavati dal concordato sembrano tuttavia dettate per il solo concordato preventivo con continuità aziendale[92]. Solo in questo caso, infatti, l’art. 84, comma 6, CCII consente di derogare alla absolute priority rule e, dunque, di attribuire ai creditori il valore di liquidazione secondo quest’ultima rigida regola ed assegnare, invece, il valore realizzato in eccedenza, mediante gli incrementi patrimoniali generati dalla continuità, secondo la più flessibile relative priority rule e così anche ai soci[93].
Nel concordato nella liquidazione giudiziale, le regole di distribuzione del valore  patrimonio del debitore tra creditori privilegiati e creditori chirografari sono dettate dall’art. 240 CCII, che, da un lato, consente la possibilità di un soddisfacimento non integrale dei creditori privilegiati, ma a condizione che il piano ne preveda la soddisfazione in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale, sul ricavato in caso di liquidazione dei beni oggetto della garanzia, e, dall’altro lato, precisa che il trattamento stabilito per ciascuna classe non può avere l’effetto di alterare l’ordine delle cause legittime di prelazione. Il concordato determina (con l’omologazione) la chiusura della procedura e la definitiva consolidazione all’attivo di ogni valore realizzato, anche per effetto di un eventuale esercizio provvisorio o affitto di azienda. Il cd quid pluris concordatario (inteso come il maggior valore che l’attuazione del piano concordatario apporta rispetto alla liquidazione fallimentare)[94] non può essere realizzato. Dunque, non dovrebbe esservi spazio per attribuire valore ai soci, fatto salvo il caso dell’esubero di attivo rispetto al fabbisogno concordatario ovvero dell’impiego di risorse esterne al patrimonio della società, liberamente utilizzabili[95]. 
L’art. 120 ter CCII, e, dunque, il classamento con diritto di voto dei soci, e l’art. 120 quater CCII, con le recante le regole per l’omologazione del concordato in caso di attribuzioni ai soci, dovrebbero trovare applicazione qualora si intendesse per «valore risultante dalla ristrutturazione» anche l’eccedenza rispetto al valore di liquidazione, comunque realizzata.
4 . Il concordato minore
La società, se possiede i requisiti di cui all’art. 2, comma 1, lett. c, CCII, ha diritto di accedere al cd. concordato minore.
Il concordato minore è regolato dagli artt. 74 a 83, CCII. Per quanto non previsto da tali norme, si applicano le disposizioni sul concordato preventivo[96]. 
Nel caso del concordato minore, sembra tutta applicabile la speciale regolamentazione stabilita per le società dalla sezione VI bis del capo III del titolo IV del Codice e, dunque, i già menzionati artt. da 120 bis a 120 quinquies CCII. 
Il concordato minore è uno strumento di regolazione della crisi e le determinazioni relative all’accesso allo strumento possono essere attribuite in via esclusiva agli amministratori, ex art. 120 bis, comma 1, CCII.
 La proposta ed il piano hanno contenuto libero ed il soddisfacimento dei creditori può avvenire in qualsiasi forma[97]. Pienamente compatibile è, dunque, la previsione di operazioni riorganizzative societarie, senza necessità di deliberazioni dell’assemblea dei soci, ex art. 120 bis, comma 2, CCII, e di rimedi attuativi del piano omologato, ex art. 120 quinquies CCII.
L’operatività degli obblighi informativi di cui all’art. 120-bis, comma 3, CCII e del divieto di revoca dell’organo amministrativo di cui all’art. 120 bis, comma 4, non sconta criticità di sorta.
Dubbi potrebbero sorgere circa la legittimazione dei soci a presentare proposte concorrenti ai sensi dell’art. 120 bis, comma 5, CCII. Nel concordato minore, infatti, non è prevista la possibilità per i creditori di depositare proposte concorrenti e non è previsto, dunque, un meccanismo di delibazione e di sottoposizione al voto di tali proposte. Salvo, dunque, a ritenere applicabili (in virtù dell’art. 74, comma 4, CCII) le corrispondenti norme dettate per disciplinare le proposte concorrenti nel concordato preventivo, dovrebbe ritenersi preclusa la operatività dell’art. 120 bis, comma 5, CCII.
Il concordato minore è “stato pensato proprio nell’ottica della continuità aziendale” [98] e, dunque, è possibile ipotizzare anche la realizzazione di un valore eccedente quello di liquidazione, derivante dagli incrementi patrimoniali generati dalla continuità aziendale, da distribuire secondo le regole dettate dall’art. 120 quater CCII. Piena applicazione dovrebbero trovare, quindi, anche l’art.120 ter CCII, sul classamento con diritto di voto dei soci, e l’art. 120 quater CCII, con le regole per l’omologazione del concordato in caso di attribuzioni ai soci.
Nel concordato minore trova applicazione, in via analogica, l’art. 89 CCII, dettato con riferimento al concordato preventivo, in virtù del quale, dalla data del deposito della domanda e sino all’omologazione non si applicano gli articoli 2446, commi secondo e terzo, 2447, 2482 bis, commi quarto, quinto e sesto, e 2482 ter c.c. Per lo stesso periodo non opera la causa di scioglimento della società per riduzione o perdita del capitale sociale di cui agli articoli 2484, n. 4, e 2545 duodecies, c.c.[99].
5 . Il concordato semplificato
Il concordato semplificato di cui all’art. 25 sexies CCII, è anch’esso uno strumento di regolazione delle crisi e dell’insolvenza[100]. Lo strumento è accessibile solo in esito al percorso della composizione negoziata regolata dagli artt. 12 e ss. del Codice.
La disciplina del concordato semplificato è affidata a poche norme di diretta applicazione: l’art. 25 sexies CCII, che regola le modalità di accesso allo strumento, le condizioni di ammissibilità, il procedimento fino alla omologazione; l’art. 25 septies CCII, che disciplina la liquidazione del patrimonio del debitore, in esito all’omologazione; talune norme dettate per il concordato preventivo (46, 94, 96, 106, 114, 117, 118, 119, CCII) espressamente richiamate dai citati artt. 25 sexies e  25 septies. Si ritiene che, ricorrendo lacune normative, possano trovare applicazione analogica le norme sul concordato preventivo che regolano il caso simile e basato sulla stessa ratio[101].
Le disciplina generale del concordato semplificato non contempla alcuna norma di rilievo societario. L’interrogativo, anche in questo caso, è se trovi applicazione e che in misura la particolare disciplina di cui alla sezione VI-bis del capo III del titolo IV del Codice e, dunque, i già menzionati artt. da 120 bis a 120 quinquies, CCII.
Se, come si è detto, il concordato semplificato è uno strumento di regolazione della crisi trova applicazione art. 120 bis, comma 1, CCII. L’accesso allo strumento è, quindi, deciso, in via esclusiva, dagli amministratori unitamente al contenuto della proposta e alle condizioni del piano. La decisione deve risultare da verbale redatto da notaio deve essere iscritta nel registro delle imprese. La domanda di accesso (nella specie il ricorso di cui all’art. 25 sexies, comma 2, CCII) deve essere sottoscritta da coloro che hanno la rappresentanza della società[102]. Operano gli obblighi informativi di cui all’art. 120 bis, comma 3, CCII e il divieto di revoca dell’organo amministrativo di cui all’art. 120 bis, comma 4.
Non sembra poter trovare applicazione l’art. 120 bis, comma 5, CCII che consente ai soci di presentare proposte di concordato concorrenti con quella della società. Nel concordato semplificato non sono contemplate le proposte concorrenti[103] e l’applicazione della norma speciale dettata per le società risulterebbe impossibile anche perché non è prevista la votazione dei creditori, che consentirebbe la selezione delle proposte[104].
Nel concordato semplificato il piano può prevedere unicamente la cessione di tutti i beni del debitore. Non è da escludersi, però, che questa possa avvenire mediante una operazione di riorganizzazione societaria. Potrebbe, dunque, trovare applicazione l’art. 120 bis, comma 5, che consente tali operazioni senza la necessaria volontà dei soci, allorquando le stesse operazioni siano strettamente funzionali alla liquidazione per come consentita dall’art. 25 sexies, CCII[105]. Dovrebbe operare, conseguentemente, anche l’art. 120 quinquies CCII, che stabilisce le modalità di esecuzione del piano in questi casi. 
Assai dubbia appare, infine, la possibilità di applicare l’art.120 ter CCII, sul classamento con diritto di voto dei soci, e l’art. 120 quater CCII, con le regole per l’omologazione del concordato in caso di attribuzioni ai soci.
 Nel concordato minore l’intero patrimonio della società deve essere liquidato. L’art. 25 sexies, comma 5, CCII, impone il rispetto dell’ordine delle cause di prelazione e il concordato può essere omologato solo se la proposta non arreca pregiudizio ai creditori rispetto all’alternativa della liquidazione giudiziale[106]. Non sembra ammissibile la continuità aziendale diretta e, dunque, non appare possibile realizzare flussi da distribuire liberamente[107]. 
Salvo a ritenere, quindi, che per «valore risultante dalla ristrutturazione» di cui all’art. 120 quater CCII, possa intendersi anche un’eventuale eccedenza rispetto al valore di liquidazione, derivante da apporti di nuova finanza o di esubero di attivo, nessuna attribuzione ai soci dovrebbe poter essere possibile.
Nel concordato semplificato non è prevista la sospensione degli obblighi in tema di riduzione o perdita del capitale sociale. In questo caso, si esclude l’applicazione analogica dell’art. 89 CCII, sul rilievo che  “il silenzio normativo appare una scelta precisa, diretta ad escludere l’applicazione delle norme derogatorie sugli obblighi in caso di riduzione o perdita del capitale sociale, probabilmente motivata dalla natura esclusivamente liquidatoria del piano sottostante il Concordato Semplificato, che parrebbe rendere non pregiudizievole il verificarsi della causa di scioglimento e la messa in liquidazione della società debitrice” [108].

Note:

[1] 
Il D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 (recante il Codice) è stato modificato e/o integrato da: i) D.Lgs. 26 ottobre 2020, n. 147, recante disposizioni integrative e correttive a norma dell'articolo 1, comma 1, della Legge 8 marzo 2019, n. 20; ii) D.L. 24 agosto 2021, n. 118, recante misure urgenti in materia di crisi d'impresa e di risanamento aziendale, nonché ulteriori misure urgenti in materia di giustizia, conv. con modificazioni dalla L. 21 ottobre 2021, n. 147; iii) D.L. 30 aprile 2022, n. 36, recante misure urgenti per l'attuazione del piano nazionale di ripresa e resilienza, conv. con modificazioni dalla L. 29 giugno 2022, n. 79; iv) D.Lgs. 17 giugno 2022, n. 83, recante Modifiche al codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza di cui al decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14, in attuazione della direttiva (UE) 2019/1023 del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 giugno 2019, riguardante i quadri di ristrutturazione preventiva, l'esdebitazione e le interdizioni, e le misure volte ad aumentare l'efficacia delle procedure di ristrutturazione, insolvenza ed esdebitazione, e che modifica la direttiva (UE) 2017/1132 (direttiva sulla ristrutturazione e sull'insolvenza). 
[2] 
Cfr. Relazione illustrativa dello schema di D.Lgs. 17 giugno 2022, n. 83, in www.dirittodellacrisi.it
[3] 
Così testualmente D. Vattermoli, La posizione dei soci nelle ristrutturazioni. Dal principio di neutralità organizzativa alla residual owner doctrine?, in Riv. soc. 2018, 858 e ss. 875. Negli stessi termini M. Fabiani, L’avvio del codice della crisi, in www.dirittodellacrisi.it, 5 maggio 2022.
[4] 
Secondo la definizione data dall’art. 2, comma 1, lett. m bis, CCII, sono «strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza»: le misure, gli accordi e le procedure volti al risanamento dell’impresa attraverso la modifica della composizione, dello stato o della struttura delle sue attività e passività o del capitale, oppure volti alla liquidazione del patrimonio, o delle attività che, a richiesta del debitore, possono essere preceduti dalla composizione negoziata della crisi. 
[5] 
In letteratura, si sosteneva da tempo che il “problema della scelta della soluzione negoziale della crisi e del momento dell'accesso alla procedura si presenta, innanzitutto, come un problema di governance, ponendosi in relazione ai doveri di monitoraggio degli amministratori (e dei sindaci) sulla situazione economico-patrimoniale-finanziaria della società, nonché agli obblighi di diligente e corretta amministrazione dell'impresa nell'interesse dei soci, dei creditori e degli stakeholder” pur predicandosi la necessità del coinvolgimento, in talune ipotesi, dell’assemblea dei soci nel processo decisionale di scelta e definizione della soluzione negoziale, per la salvaguardia dei diritti partecipanti al capitale e senza pregiudizio dell’interesse dei creditori, v. F. Guerrera, Le competenze degli organi sociali nelle procedure di regolazione negoziale della crisi, in Riv. soc., 2013, 1114. Sul ruolo dei soci nella fase di accesso della società alla procedura di concordato preventivo v. anche F. Brizzi, Proposte concorrenti nel concordato preventivo e governance dell’impresa in crisi, in Giur comm., 2017, I, 335 ss. 
[6] 
Con riguardo al combinato disposto degli art. 161 e 152 L. fall., la dottrina aveva già evidenziato che lo spostamento del potere decisionale di accesso alle procedure di composizione negoziale della crisi dai soci agli amministratori aveva la funzione di esaltare il dovere e la responsabilità di questi ultimi di individuare le soluzioni che meglio potessero conciliare l’interesse sociale con quello dei creditori al miglior soddisfacimento dei loro crediti, v. V. Calandra Buonaura, La gestione societaria della crisi, in M. Campobasso, V. Cariello, V. Di Cataldo, F. Guerrera, A. Sciarrone Alibrandi (diretto da), Società, banche e crisi d’impresa, Liber amicorun Pietro Abbadessa, Milanofiori Assago, 2014, 2598. 
[7] 
Cfr. il “considerando” n. 57 e l’art. 12 della Direttiva (UE) 2019/1023 del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 giugno 2019, riguardante i quadri di ristrutturazione preventiva, l’esdebitazione e le interdizioni, e le misure volte ad aumentare l’efficacia delle procedure di ristrutturazione, insolvenza ed esdebitazione. 
[8] 
Nella Relazione illustrativa dello schema di D.Lgs. 17 giugno 2022, n. 83, cit., 74, si precisa che, nelle intenzioni del legislatore, la disposizione ha anche lo scopo di chiarire che “l’avvio della ristrutturazione, e la determinazione del contenuto del piano, costituiscono esecuzione degli obblighi di attivarsi senza indugio per l'adozione e l'attuazione di uno degli strumenti previsti dall'ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale, previsti dall’articolo 2086, secondo comma, del codice civile”. 
[9] 
V. S. Ambrosini, Il codice della crisi dopo il d. lgs. n. 83/2022: brevi appunti su nuovi istituti, nozione di crisi, gestione dell’impresa e concordato preventivo (con una notazione di fondo), in Ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it., 18 luglio 2022, 7, secondo cui “In base a questo nuovo assetto, non risulta configurabile una clausola statutaria attributiva della decisione in parola ai soci”. Nella Relazione illustrativa dello schema di D.Lgs. 17 giugno 2022, n. 83, cit. si afferma che è così “soppressa la possibilità di deroghe statutarie alla competenza degli amministratori”.
[10] 
V. L. Stanghellini, Il codice della crisi dopo il d.lgs. 83/2022: la tormentata attuazione della direttiva europea in materia di "quadri di ristrutturazione preventiva" in Ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it., 21 luglio 2022, 12, secondo cui “sono gli amministratori ad avere l’iniziativa esclusiva di promuovere e disegnare soluzioni che massimizzino l’interesse degli stakeholders, anche quando esse incidano sulla struttura finanziaria e sui diritti dei soci (art. 120 bis CCII). Essi assumono dunque rilevanti responsabilità (civili e penali) qualora, potendolo fare, non si attivino, e tali responsabilità sarebbero evidenti qualora gli amministratori ricevessero precise sollecitazioni in questo senso da creditori o dai rappresentanti dei lavoratori”.
[11] 
Cfr. Relazione illustrativa dello schema di D.Lgs. 17 giugno 2022, n. 83, cit., 74.
[12] 
Osserva M. Fabiani, Concordato preventivo, in G. De Nova (a cura di), Commentario del codice civile e codici collegati Scialoja – Branca – Galgano, Bologna, 2014, 274, che la necessità della sottoscrizione del debitore, in aggiunta a quella del difensore, deriva dal fatto che con la domanda di concordato è formulata anche la proposta negoziale ai creditori e il relativo impegno deve essere assunto dalla parte personalmente. 
[13] 
Nelle società di persone, ai sensi degli artt. 2259, 2293 e 2315 c.c., la revoca degli amministratori la cui nomina sia contenuta nell'atto costitutivo richiede l'esistenza congiunta dei presupposti dell'unanimità dei consensi e della giusta causa, mentre questi possono sussistere in via alternativa, ove la nomina sia avvenuta con atto separato. Ai sensi dell’art. 2319 c.c. la revoca degli amministratori della società in accomandita semplice, se nominati con atto separato, può essere adottata con il consenso degli accomandatari e con l’approvazione degli accomandanti, che rappresentano la maggioranza del capitale da essi sottoscritto. Nelle società di capitali, gli artt. 2383, comma 3 c.c. e 2456, comma 2, prevedono il potere dell’assemblea dei soci della società per azioni e della società in accomandita per azioni di revocare gli amministratori in qualunque tempo, salvo l’obbligo della società di risarcire il danno se la revoca avviene senza giusta causa. La stessa regola, sebbene non richiamata dalla disciplina della società a responsabilità limitata, è applicabile per analogia agli amministratori di questa società, in considerazione della somiglianza della sua struttura ed organizzazione a quelle proprie della società per azioni; così V. Salafia, La revoca degli amministratori delle società di capitali, in Società, 2019, 1061. In giurisprudenza v. Trib. Milano 12 marzo 2013, in Società, 2013, 791.
[14] 
V. Cass. civ., sez. I, 26 gennaio 2018, n. 2037, in Giur.it., 2018, 645, secondo cui “La ‘giusta causa’ di revoca è nozione distinta sia dal mero ‘inadempimento’, sia dalle ‘gravi irregolarità’ di cui all'art. 2409 c.c.: essa riguarda circostanze sopravvenute, anche non integranti inadempimento, provocate o no dall'amministratore stesso, che però pregiudicano l'affidamento dei soci nelle sue attitudini e capacità: in una parola, il rapporto fiduciario tra le parti”.
[15] 
Il congegno processuale oltre all’art. 2400 c.c. evoca anche quell’orientamento giurisprudenziale che ammette la richiesta cautelare di revoca degli amministratori di società di capitali strumentale ad un’azione di merito avente ad oggetto l’accertamento della legittimità della revoca e della sussistenza della giusta causa, v. Trib. Trento 27 giugno 2018 e Trib. Milano 21 aprile 2017, entrambe in Dejure.it.
[16] 
Rispetto al meccanismo di cui all’art. 2400 c.c., si ritengono legittimati i soci. V. Quaranta, I controlli nelle società di capitali, in R. Rordorf (diretto da), Società di capitali, organi sociali responsabilità e controlli, Milano, 2019, 593. 
[17] 
V. Cass. civ., sez. I, 26 gennaio 2018, n. 2037, cit. In dottrina, v. U. Macrì, Gli amministratori, in R. Rordorf (diretto da), Società di capitali, organi sociali responsabilità e controlli, cit., 288.
[18] 
La nomina del curatore speciale si ritiene sempre necessaria nel caso di azione volta alla revoca cautelare dell’amministratore unico di una società a responsabilità limitata, ai sensi dell’art. 2476, comma 3, c.c.; v. al riguardo Trib. Genova 4 novembre 2005, in Società, 2007, 76; Trib. Piacenza 23 agosto 2004, in Corr. mer., 2005, 25. Sul tema, più in generale, v. Cass. civ., sez. VI, 7 dicembre 2021, n. 38883, in Società, 2022, 888; In dottrina, v. M. Fabiani, Il curatore speciale e le liti societarie, in questa Società, 2020, 597 ss.; M. Spadaro, Il conflitto di interessi e la nomina del curatore speciale nelle cause societarie, in Società, 2022, 893 ss.
[19] 
V. Cass., Sez. I, 20 febbraio 2015, n. 3449, in Società, secondo cui “il provvedimento camerale con cui il tribunale approva la delibera di revoca dei sindaci adottata dall'assemblea, ai sensi dell'art. 2400 c.c., comma 2, costituisce espressione di volontaria giurisdizione, configurandosi come l'atto necessario e terminale di una sequenza procedimentale preordinata alla produzione dell'effetto della revoca, il cui esito opera su un piano diverso da quello dell'eventuale successivo giudizio d'impugnazione della delibera in sede contenziosa, rappresentandone soltanto il presupposto di ammissibilità. Il predetto giudizio non può ritenersi infatti precluso dall'emissione del decreto di approvazione, ma neppure vincolato dal contenuto della verifica sommaria compiuta in tale sede, la quale non è suscettibile di acquisire efficacia di res judicata”.
[20] 
V. G. Fauceglia, Un ritorno al diritto societario comune: l’assemblea, il potere del liquidatore e la crisi dell’impresa, in Il Fall. 2016, 1308, il quale, seppur con riguardo alla regola di cui all’art. 152 L. fall., osserva che “la deliberazione della proposta di concordato nelle società di capitali e nelle società cooperative, viene espressamente attribuita agli amministratori, così conformando tali decisioni all’interno del generale potere gestorio (art. 2380 bis c.c.), che, come è noto, non soffre eccezioni, nonché resta, in questa sede, funzionale all’esigenza di snellimento ed accelerazione del processo decisionale in vista della più rapida possibile emersione della crisi”. 
[21] 
V. Cass., Sez. I Civ., 14 giugno 2016, n. 12273, in Foro.it, 2016, 10, I, 3145. Sul tema v. R. Brogi, Il potere del liquidatore di presentare la domanda di concordato preventivo, in Quotidiano giuridico, 2016, secondo cui “nella fase di liquidazione della società la cessazione dell’organo amministrativo espressamente richiamato nell’ambito dell’art. 152 Legge fallimentare fa sì che, in relazione al potere del liquidatore (o dei liquidatori) di presentare la domanda di concordato preventivo si pongano le seguenti alternative: o l’assemblea attribuisce al liquidatore il potere di presentazione della domanda di concordato nell’esercizio del potere ad essa demandato dall’art. 2487 c.c. (ed in caso di riserva assembleare su tale materia tale decisione non può essere derogata neppure in caso di successiva inerzia dell’organo assembleare, come nel caso esaminato nella sentenza in epigrafe) oppure – in caso di omessa determinazione da parte dell’assemblea dei criteri di liquidazione e dei poteri del liquidatore - l’art. 2489 c.c. ed il criterio dell’utilità degli atti di gestione dei liquidatori possono consentire di estenderne l’ambito applicativo anche con riferimento all’eventuale presentazione di una domanda di concordato preventivo liquidatorio, che si rivelasse utile per la liquidazione”. Negli stessi termini sembra orientato G. Fauceglia, Un ritorno al diritto societario comune: l’assemblea, il potere del liquidatore e la crisi dell’impresa, cit., 1309. 
[22] 
Predicavano la legittimazione dell’imprenditore cancellato dal registro delle imprese ad accedere ad una procedura concordataria, S. Pacchi – L. D’Orazio – A. Coppola, Il concordato preventivo, in A. Didone (a cura di), Le riforme della legge fallimentare, UTET, 2009, 1753; M. Fabiani, Concordato preventivo, cit., 138; In giurisprudenza v. Trib. Verona, 17 luglio 2015, in Il Fall. 2016, 428; contra G. Bettazzi, Società cancellata, concordato preventivo e computo del dies ad quem di cui all’art. 10 l. fall.: due decisioni completamente difformi, in Il Fall. 2011, 433.
[23] 
Per la distinzione fra domanda, proposta e piano cfr. M. Fabiani, Per la chiarezza delle idee su proposta, piano e domanda di concordato preventivo e riflessi sulla fattibilità, in Il Fall., 2011, 173.
[24] 
V. F. Platania, Le misure protettive e cautelari nel codice della crisi, in Ilfallimentarista.it, 26 febbraio 2019 3; S. Leuzzi, Cautela e protezione dell’impresa nelle procedure concorsuali, I quaderni di in executivis, la rivista telematica dell’esecuzione forzata, 2019, 148; F. Lamanna, Il nuovo codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, Milano, 2019, I, 143.
[25] 
Così M. Fabiani, Le misure protettive nel codice della crisi, in Foro.it, 2019, 227 ss.
[26] 
V. Relazione governativa illustrativa dello schema di decreto legislativo n. 14/2019, in Ilfallimentarista.it
[27] 
Sia consentito il rinvio a F. Santangeli – M. Spadaro, sub art. 2, in F. Santangeli (a cura di), Commentario al codice della crisi, Milano, in corso di pubblicazione. 
[28] 
V. M. Miola, Riduzione e perdita del capitale di società in crisi: l’art. 182 sexies L. fall., in Riv. dir. civ., 2014, 175; N. Baccetti, La gestione delle società di capitali in crisi tra perdita della continuità aziendale ed eccessivo indebitamento, in Riv. soc., 2014, 568 ss.
[29] 
V. Calandra Buonaura, La gestione societaria dell’impresa in crisi, in Società, banche e crisi d’impresa, Liber amicorum Pietro Abbadessa, (diretto da) M. Campobasso, V. Cariello, V. Di Cataldo, F. Guerrera, A. Sciarrone Alibrandi, Milanofiori Assago, 2014, III, 2600, il quale osserva anche che “Qualche perplessità può sollevare l’estensione della disapplicazione della regola dell’adeguamento del capitale nominale a quello reale nelle ipotesi previste dagli artt. 2446, comma 2, e 2482 bis, comma 4, c.c. poiché in tali casi non si pone un problema di liquidazione della società che possa pregiudicare l’accesso alle procedure di risanamento dell’impresa. Probabilmente la decisione di “sospendere” l’applicazione anche di queste disposizioni deriva dalla considerazione che non appare utile imporre l’adeguamento del capitale in caso di mancata riduzione a meno di un terzo delle perdite accertate entro l’esercizio successivo quando occorre attendere l’esito del concordato o dell’accordo di ristrutturazione per sapere quale sarà la struttura patrimoniale e finanziaria della società da cui dipende l’entità della sua capitalizzazione”. 
[30] 
V. F. Platania, Le modifiche al capitale sociale, in S. Ambrosini (diretto da) Fallimento, soluzioni negoziate della crisi e disciplina bancaria dopo le riforme del 2015 e 2016, Bologna, 2017, 562.
[31] 
V. F. Platania, Le modifiche al capitale sociale, cit., 581; M. Fabiani, Riflessioni precoci sull’evoluzione della disciplina della regolazione concordata della crisi d’impresa, in Ilcaso.it, 1 agosto 2012, 22; V. Calandra Buonaura, La gestione societaria dell’impresa in crisi, cit., 2600; A. Dimundo, La sospensione dell’obbligo di ridurre il capitale sociale per perdite rilevanti nelle procedure alternative al fallimento, in Il Fall., 2013, 1169; L. D’Orazio, La riduzione o perdita del capitale della società in crisi, M. Ferro – P. Bastia – G.M. Nonno, Il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione, Milanofiori Assago, 2013, 849.
[32] 
V. B. Quatraro – S. D’Amora – R. Israel – G. Quatraro, Trattato teorico pratico delle operazioni sul capitale, I, Milano, 2001, 789. 
[33] 
Cfr. M. Campobasso, Il futuro delle società di capitali, in Banca borsa titoli di credito, 2019, 138 ss.; G. Strampelli, Capitale sociale e struttura finanziaria nella società in crisi, in Riv. soc., 2012, 605 ss.
[34] 
Cfr. L. Enriques - J. Macey, Raccolta di capitale di rischio e tutela dei creditori: una critica radicale alle regole europee sul capitale sociale, in Riv. soc., 2002, 78 ss.
[35] 
V. F. Santangeli – M. Spadaro, sub artt. 64 - 89, in F. Santangeli (a cura di), Commentario al codice della crisi, Milano, in corso di pubblicazione. 
[36] 
Contra G. D’Attorre, Speciale Decreto Sviluppo - I limiti alla disciplina societaria sulla perdita di capitale, 3 agosto 2012, in Ilfallimentarista.it, il quale osserva che “L'obbligo di rispettare le previsioni in tema di capitale sociale minimo non potrebbe essere legittimamente pretermesso o sospeso da una condizione del piano di concordato che preveda la facoltà̀ per la società̀ debitrice di continuare ad operare, in deroga agli artt. 2484, n. 4, 2545 duodecies e 2486 c.c., dopo l'omologazione e per tutto il tempo della esecuzione. Per vero, il piano di concordato, approvato dalla maggioranza dei creditori ed omologato dal Tribunale è obbligatorio per tutti i creditori anteriori al decreto di apertura della procedura (art. 184, comma 1, L. fall.), ma non può pregiudicare le posizioni e gli interessi di eventuali creditori successivi al decreto. Proprio tale situazione si verificherebbe laddove il piano di concordato prevedesse la facoltà per la società di operare sul mercato senza il capitale minimo, ledendosi in tal modo le ragioni dei creditori sociali e dei terzi tutelati dalle norme in materia di riduzione del capitale sociale per perdite. D'altra parte, la deroga all'operare delle norme societarie può operare nei casi previsti dalla legge e non pare esservi spazio per allargarne il campo di operatività”.
[37] 
V. F. Platania, Le modifiche al capitale sociale, cit., 560. 
[38] 
Così M. Campobasso, Il futuro delle società di capitali, cit., 138 ss., il quale evidenzia che “l'art. 58 dir. Ue 2017/1132 prevede soltanto che in caso di perdita grave del capitale sottoscritto, l'assemblea deve essere convocata, «per esaminare se sia necessario sciogliere la società o prendere altri provvedimenti»”.
[39] 
V. L. Enriques- J. Macey, Raccolta di capitale di rischio e tutela dei creditori: una critica radicale alle regole europee sul capitale sociale, cit.
[40] 
Così M. Miola, Riduzione e perdita del capitale di società in crisi: l’art. 182 sexies L. fall., cit., 185.
[41] 
V. V. Calandra Buonaura, La gestione societaria dell’impresa in crisi, cit. 2597; G. Strampelli, Capitale sociale e struttura finanziaria nella società in crisi, cit. 605 ss.
[42] 
V. L. Enriques-J. Macey, Raccolta di capitale di rischio e tutela dei creditori: una critica radicale alle regole europee sul capitale sociale, cit. 
[43] 
Osservano L. Enriques- J. Macey, Raccolta di capitale di rischio e tutela dei creditori: una critica radicale alle regole europee sul capitale sociale, cit., che per i creditori involontari, una volta divenuti tali, i casi sono due: o la società è ancora solvibile nonostante la responsabilità in cui è incorsa, o non lo è più. In entrambi i casi, per essi, il capitale sociale e le sue regole non hanno alcun ruolo.
[44] 
Peraltro, secondo la lettura corrente dell’art. 2484 c.c., lo scioglimento della società non avviene automaticamente al momento in cui si verifica la riduzione del capitale sociale, ma solo a seguito della mancata adozione delle delibere di reintegrazione dello stesso o trasformazione della società, le quali pertanto fungono a tutti gli effetti quali (ulteriori) condizioni sospensive della causa di scioglimento (v. A. Bonechi, sub art. 2484 c.c., in N. Abriani (a cura di), Codice delle società, Milanofiori Assago, 2016, 2118; F. Angiolini, sub. art. 2484 c.c., in E. Gabrielli (diretto da), Commentario del codice civile, Milanofiori Assago, 2016, 946; G. Positano, sub art. 2447 c.c., in L. Nazzicone (diretto da), Codice delle società, Milano, 2018, 945) Qualora, pertanto, l’adozione di dette deliberazioni non avvenisse, perché non prevista dal piano approvato dai creditori, lo scioglimento rimarrebbe comunque sospeso anche durante la fase esecutiva del concordato o dell’accordo di ristrutturazione. 
[45] 
Cfr. Relazione illustrativa dello schema di D.Lgs. 17 giugno 2022, n. 83, cit., 74.
[46] 
In dottrina, per operazioni riorganizzative, si intende “la congerie di operazioni attraverso cui il legislatore, ai sensi dell’art. 160, primo comma, lett. a), e b), L. fall., nel testo introdotto dalla riforma del 2005/2006 e riprodotto nell’art. 85 CCII, e per effetto della detipizzazione dei contenuti del concordato preventivo, dispone che il piano di concordato possa prevedere la ristrutturazione dei debiti ed il soddisfacimento dei creditori «in qualsiasi forma»” v. M. Miola, Le operazioni riorganizzative infragruppo nel codice della crisi di impresa, in Orizzonti del diritto commerciale, 2021, 634. Nell’ambito di tali operazioni si distingue, poi, tra “una riorganizzazione conservativa, che preveda la ricapitalizzazione o il rifinanziamento della società, con il possibile mutamento della compagine sociale o dell'assetto di potere interno, ma altresì con la conservazione del patrimonio in capo alla società proponente e la sua continuazione dopo il rientro in bonis, ed una riorganizzazione novativa, che preveda il trasferimento o l'assegnazione (totale o parziale) del patrimonio ad una società terza che si assume − anche soltanto in parte − i debiti concorsuali, determinandone quindi una novazione soggettiva, oltre che eventualmente anche oggettiva. L'assegnazione delle attività e delle obbligazioni concordatarie in capo a tale soggetto, chiamato a fungere da centro di riallocazione della responsabilità patrimoniale, può avvenire a sua volta o semplicemente per effetto dell'assunzione del concordato, ai sensi degli artt. 124 e 160 L. fall.; o, ferma restando l'utilità e forse anche la necessità del ricorso al concordato, per effetto di operazioni straordinarie collegate alla soluzione negoziale della crisi, con la conseguente radicale riorganizzazione e, se del caso, estinzione della società insolvente, v. F. Guerrera – M. Maltoni, Concordati giudiziali e operazioni societarie di “riorganizzazione”, in Riv. soc., 2008, 17 e ss. Sul tema v. anche M.S Spolidoro, Inquadramento giuridico, tipicità e polimorfismo delle operazioni straordinarie, in Rds, 2019, 315 ss.
[47] 
V. F. Guerrera – M. Maltoni, Concordati giudiziali e operazioni societarie di “riorganizzazione”, cit. 17 e ss. 
[48] 
Sul tema v. L. Benedetti, La posizione dei soci nel risanamento della società in crisi: dal potere di veto al dovere di sacrificarsi (o di sopportare) (Aufopferungs o Duldungspflicht)?, in Riv. soc., 2017, 725 e ss.; O. Cagnasso, Le interferenze tra il diritto societario e il diritto fallimentare, in O. Cagnasso – L. Panzani (diretto da), Crisi di impresa e procedure concorsuali, Milanofiori Assago, 2016, 2616 e ss.; V. Calandra Buonaura, La gestione societaria dell’impresa in crisi, cit., 2593 e ss.; G. Ferri jr., Ristrutturazioni societarie e competenze organizzative, in Riv. soc., 2019, 233 e ss.; F. Guerrera, La ricapitalizzazione “forzosa” della società in crisi: novità, problemi ermeneutici e difficoltà operative, in Dir. fall., 2016, 420 e ss.; D. Vattermoli, La posizione dei soci nelle ristrutturazioni. Dal principio di neutralità organizzativa alla residual owner doctrine?, cit., 858 e ss.
[49] 
Controversa è sempre stata la individuazione del momento in cui eventuali deliberazioni dell’assemblea devono essere adottate ai fini della valutazione di fattibilità del piano. Secondo alcuni la mancata preventiva assunzione delle delibere funzionali alla realizzazione del piano incide negativamente sul sindacato di fattibilità giuridica della proposta, v. V. Calandra Buonaura, La gestione societaria dell’impresa in crisi, cit., 2605; A.M. Leozappa, Concordato preventivo: fattibilità giuridica e modifiche organizzative, in Il Fall., 2015, 888; Secondo altri tali deliberazioni devono essere opportunatamente assunte al momento alla presentazione della proposta o in pendenza della procedura, seppur con efficacia sospensivamente condizionata all’omologazione, pur potendo ammettersi anche una mera programmazione delle stesse nel piano concordatario ed una esecuzione post omologazione v. F. Guerrera – M. Maltoni, Concordati giudiziali e operazioni societarie di “riorganizzazione”, cit., 17 e ss.
[50] 
Così testualmente G. Ferri jr., Ristrutturazioni societarie e competenze organizzative, cit. 235.
[51] 
V. G. Bozza, Le proposte concorrenti, in S. Ambrosini (diretto da), Fallimento, soluzioni negoziate della crisi e disciplina bancaria dopo le riforme del 2015 e 2016, Bologna, 2017, 283; G. D’Attorre, Le proposte di concordato preventivo concorrenti, in Il Fall., 2015, 1163 e ss.; G. Ferri jr., Ristrutturazioni societarie e competenze organizzative, cit. 240. Ritengono, invece, applicabile la disciplina di cui all’art. 185 L. fall. anche alla proposta presentata dalla società debitrice: M. Fabiani, La struttura finanziaria del concordato preventivo, Bologna, 2019, 246-247; R. Sacchi, Le operazioni straordinarie nel concordato preventivo, in Rds, 2016, 783-784; V. Pinto, Concordato preventivo e organizzazione sociale, in Riv. soc., 2017, 100 ss.
[52] 
Secondo la dottrina prevalente, attraverso il meccanismo sostitutivo di cui all’art. 185, comma 6, l.fall. non è possibile ottenere coattivamente l’approvazione di deliberazioni concernenti operazioni diverse da quella di aumento di capitale, v. G. Ferri jr., Ristrutturazioni societarie e competenze organizzative, cit., 239; F. Guerrera, La ricapitalizzazione “forzosa” della società in crisi: novità, problemi ermeneutici e difficoltà operative, cit., 429; M. Ranieli, Prove di contendibilità nel concordato preventivo e fallimentare, Milanofiori Assago, 2017, 195.
[53] 
V. G. Ferri jr., Ristrutturazioni societarie e competenze organizzative, cit. 243, il quale evidenzia “la difficoltà di individuare, in concreto, il socio e, soprattutto, i soci di maggioranza, come pure la maggioranza alla quale si intenda fare riferimento, a non essere chiara è la stessa ragione di discriminare, a tal fini, e in questo ambito, tra maggioranza e minoranza” e propone “di interpretare il riferimento alla maggioranza nel senso che l’amministratore giudiziario è legittimato ad esercitare il numero di voti di volta in volta necessario (ma sufficiente) ad assicurare comunque l’approvazione della deliberazione nonostante l’eventuale voto contrario dei soci (ovvero, deve aggiungersi, il mancato consenso degli accomandatari), che, nel caso di deliberazioni da adottare all’unanimità, coincide allora con la totalità dei voti”. 
[54] 
L’attribuzione di strumenti finanziari già emessi dalla società a terzi richiede, ad esempio, il consenso individuale dei soci che ne sono titolari.
[55] 
Predicava da tempo l’efficienza di un siffatto meccanismo, D. Vattermoli, La posizione dei soci nelle ristrutturazioni. Dal principio di neutralità organizzativa alla residual owner doctrine?, cit. 875.
[56] 
V. F. Viola, Il ruolo dell’assemblea dei soci nelle società in concordato preventivo, in Orizzonti del diritto commerciale, 2022, 255 e ss.
[57] 
In tal senso, il meccanismo prescelto dal legislatore italiano ricalca quello tedesco, in cui la modificazione del capitale viene ricollegata direttamente all’omologazione del piano, senza necessità di una deliberazione dell’assemblea dei soci. Ai soci è riconosciuto il diritto di voto sulla proposta, seppur accomunati in un’unica classe, con diritto di opporsi all’omologazione se la proposta è pregiudizievole per essi. cfr. Insolvenzordnung, artt. 217, 222, 225, 225a, 238, 244, 245, 254, 254a e 254b, in Dejure.org.
[58] 
Così ipotizzava, in tema di attuazione delle proposte concorrenti, G. D’Attorre, Le proposte di concordato preventivo concorrenti, cit., 1169.
[59] 
Secondo la Relazione illustrativa dello schema di D.Lgs. 17 giugno 2022, n. 83, cit., 48, “si prevede che il provvedimento di omologazione dello strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza determini quanto è stato deciso e deliberato nel piano, demandando le operazioni necessarie all’attuazione agli amministratori e autorizzando questi ultimi ad apportare le ulteriori modifiche statutarie, qualora previste ed ancora che “ogni adempimento è demandato ai soci e agli amministratori, intervenendo il tribunale solo per ratificare il piano o, in precedenza, per nominare l’amministratore giudiziario per eventuali negligenze o inattività di quelli nominati”.
[60] 
Così già G. Ferri jr., Ristrutturazioni societarie e competenze organizzative, cit. 247, secondo il quale “risulta senz’altro preferibile adottare un approccio diverso, e più radicale, volto in via di principio ad affermare che competente a dare esecuzione ad una proposta presentata dalla società, e cioè a compiere tutti gli atti a tal fine necessari, anche quelli rientranti, sulla base della disciplina ordinaria, nella sfera di competenza di altri organi, sia in ogni caso lo stesso organo che l’abbia deliberata” con la precisazione che si tratta di “un potere, questo, ovviamente circoscritto alla fase di esecuzione della proposta, che dunque presuppone che quest’ultima sia stata approvata ed omologata, e che anzi si presta ad essere sistematicamente ricollegato proprio al provvedimento giudiziale di omologazione, nel quale peraltro nulla esclude di individuare un presupposto di per sé sufficiente a giustificare la produzione di tutti gli effetti organizzativi della proposta destinati, diversamente da un aumento di capitale e, più in generale, da una operazione straordinaria, ad esaurirsi integralmente ed immediatamente”.
[61] 
Secondo la Relazione illustrativa dello schema di D.Lgs. 17 giugno 2022, n. 83, cit., 76, al fine di attuare lo strumento omologato, sono stati attribuiti “i relativi poteri al tribunale, per le modificazioni statutarie che essendo previste in modo specifico dal piano non richiedono alcuna decisione discrezionale, e per tutte le altre, in via generale, agli amministratori”. In dottrina v. V. Calandra Buonaura, La gestione societaria dell’impresa in crisi, cit., 2613 ss.; F. Guerrera – M. Maltoni, Concordati giudiziali e operazioni societarie di “riorganizzazione”, cit., 17 e ss.
[62] 
V. F. Guerrera, La regolazione negoziale della crisi e dell’insolvenza dei gruppi di imprese nel nuovo CCII, in Dir. fall., 2019, 1338, il quale evidenzia che il recesso può creare ostacolo alla esecuzione del piano concordatario che preveda operazioni di fusione, trasformazione, scissione trasformativa e scissioni non proporzionali.
[63] 
Così già G. Ferri jr., Ristrutturazioni societarie e competenze organizzative, cit., 249-250.
[64] 
Sul tema v. P. Bosticco, I gruppi di società nel codice della crisi d’impresa, Milano, 2022, 233 e ss.; G. D’Attorre, I concordati di gruppo nel codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, in Il Fall., 2019, 277 e ss.; F. Guerrera, La regolazione negoziale della crisi e dell’insolvenza dei gruppi di imprese nel nuovo CCII, cit. 1334, il quale ritiene che il rimedio dell’opposizione all’omologazione sia alquanto stringente e severo ma comunque frutto del superamento del principio della “neutralità organizzativa” e dell’affievolimento dei diritti di partecipazione dei soci delle società in crisi; G. Scognamiglio, I gruppi di imprese nel CCII: fra unità e pluralità, in Società, 2019, 413 e ss., la quale si chiede “se il socio o il creditore che si ritenga pregiudicato da un piano concordatario di gruppo (o da un accordo di gruppo di ristrutturazione dei debiti) congegnato in un certo modo possa avvalersi degli strumenti di tutela disciplinati dal codice civile ed in particolare dell’azione di responsabilità di cui all’art. 2497, là dove non abbia esercitato l’opposizione all’omologazione ovvero questa sia stata respinta”.
[65] 
V. F. Guerrera – M. Maltoni, Concordati giudiziali e operazioni societarie di “riorganizzazione”, cit., 17 ss.; V. Calandra Bonaura, La gestione societaria dell’impresa in crisi, cit., 2613 ss.
[66] 
V. R. Brogi, La fusione e la scissione nel concordato, in P. Bastia – R. Brogi (a cura di), Operazioni societarie straordinarie e crisi d’impresa, Milano, 2016, 191.
[67] 
Così già A. Nigro – D. Vattermoli, Il diritto societario della crisi nello schema di riforma delle procedure concorsuali: osservazioni critiche "ad adiuvandum”, in Ilfallimentarista.it, 2018, p. 6; R. Brogi, La fusione per incorporazione nella società in concordato preventivo, in Il Fall., 2018, 555, che acutamente osserva che “L’eventuale concentrazione dei rimedi davanti al tribunale fallimentare avrebbe, pertanto, solo la funzione di affrontare in un unico contesto processuale tutte le possibili questioni suscettibili di incidere sulla fattibilità del piano concordatario”.
[68] 
Nel vigore della sola legge delega, lo escludeva I. Pagni, Operazioni straordinarie e procedure preventive: profili processuali, in Il Fall., 2017, 1058. Sembrava escluderlo anche P. Pototschnig, Le scissioni (e le fusioni) societarie quali strumenti di attuazione del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione, in Ilcaso.it, (12 aprile 2017), il quale osservava che “legittimati all’opposizione societaria continuerebbero ad essere i creditori diversi da quelli di cui all’art. 184 L. fall. (ora 117 del Codice), cioè diversi da quelli che sono vincolati all’approvazione del concordato in quanto anteriori al deposito della domanda, e quelli delle società partecipanti all’operazione estranee al procedimento di concordato, tutti purché il relativo diritto sia sorto prima dell’iscrizione o della pubblicazione del progetto ex art. 2503 c.c”.
[69] 
Secondo la Relazione governativa illustrativa dello schema di decreto legislativo n. 14/2019, in Osservatorio-oci.org, “La scelta di concentrare nel giudizio di omologazione e nelle eventuali opposizioni ivi convergenti anche gli strumenti di tutela dei creditori si spiega in ragione dell’obiettivo di dare nei tempi più brevi possibili stabilità al concordato approvato dalle prescritte maggioranze, evitando che un concordato ormai omologato ed in fase di esecuzione resti in situazione di precaria certezza per effetto di impugnazioni o opposizioni successivamente proposte a norma del codice civile”.
[70] 
Invero, secondo la giurisprudenza, “il rapporto che intercorre tra la società ed i propri soci ha connotati troppo peculiari per essere assimilato ad un rapporto di credito e debito, anche soltanto potenziale. Il socio, in quanto tale, non è qualificabile come creditore della società. Egli non ha alcuna pretesa che possa far valere direttamente sul patrimonio sociale, e diviene titolare di un diritto alla quota di liquidazione soltanto allorché si verifica una causa di scioglimento del rapporto di società. Prima di ciò, può vantare tutt'al più una mera aspettativa, legata all'eventualità che, all'atto del verificarsi di detta causa di scioglimento e dopo l'estinzione di tutti i debiti, il patrimonio sociale abbia ancora una consistenza tale da permettere l'attribuzione pro quota al socio di valori proporzionali alla sua partecipazione”, v. Cass. civ., sez. I, 08 novembre 2005, n. 21641, in Riv. dir. comm., 2005, 279.
[71] 
Così testualmente D. Vattermoli, La posizione dei soci nelle ristrutturazioni. Dal principio di neutralità organizzativa alla residual owner doctrine?, cit. 875. Secondo G. Ferri jr, Il ruolo dei soci nella ristrutturazione finanziaria dell’impresa alla luce di una recente proposta di direttiva europea, in Dir. fall., 2018, 536, la partecipazione sociale costituisce il titolo che consente ai soci di appropriarsi del valore netto positivo che l’impresa, per quanto in crisi, potrebbe comunque presentare. Negli stessi termini M. Fabiani, La struttura finanziaria del concordato preventivo, cit. 250-251. Il medesimo M. Fabiani, Contratto e processo nel concordato fallimentare, Torino, 2008, 114, ipotizzava di considerare il socio come creditore della società per la liquidazione del suo apporto da conferimento, definendolo “un credito postergato di secondo livello (il primo livello è quello che spetta ai soci ex artt. 2467 e 2497 quinquies c.c.)”, pur dando atto che “la trattabilità dei soci come creditori sembra presentare ostacoli insormontabili”.
[72] 
V. M. Fabiani, L’avvio del codice della crisi, cit. il quale opportunamente evidenza che “una ristrutturazione è più probabile che abbia successo se qualcosa del ricavato resta nell’impresa e, se si tratta di società, entra nella disponibilità dei soci; una riserva di risorse da assegnare ai soci potrebbe costituire un incentivo per una più efficiente ristrutturazione”. Deve trattarsi però di valore da ristrutturazione, essendo esclusa la distribuzione ai soci del valore di liquidazione.
[73] 
Così testualmente D. Vattermoli, La posizione dei soci nelle ristrutturazioni. Dal principio di neutralità organizzativa alla residual owner doctrine?, cit. 875. Secondo G. Ferri jr, Il ruolo dei soci nella ristrutturazione finanziaria dell’impresa alla luce di una recente proposta di direttiva europea, in Dir. fall., 2018, 536, la partecipazione sociale costituisce il titolo che consente ai soci di appropriarsi del valore netto positivo che l’impresa, per quanto in crisi, potrebbe comunque presentare. Negli stessi termini M. Fabiani, La struttura finanziaria del concordato preventivo, cit. 250-251. Il medesimo M. Fabiani, Contratto e processo nel concordato fallimentare, Torino, 2008, 114, ipotizza di considerare il socio come creditore della società per la liquidazione del suo apporto da conferimento, definendolo “un credito postergato di secondo livello (il primo livello è quello che spetta ai soci ex artt. 2467 e 2497 quinquies c.c.)”, pur dando atto che “la trattabilità dei soci come creditori sembra presentare ostacoli insormontabili”.
[74] 
V. M. Fabiani, Contratto e processo nel concordato fallimentare, cit. 116, il quale (in tema di concordato fallimentare) predicava, se ammessi al voto, la necessaria inclusione dei soci in una classe autonoma perché portatori di un interesse economico non omogeneo a quello degli altri creditori.
[75] 
Cfr. Relazione illustrativa dello schema di D.Lgs. 17 giugno 2022, n. 83, cit., 75.
[76] 
Si tratta di una passività meramente figurativa ma che riequilibra il rapporto tra entità dei valori ammessi al voto e ammontare complessivo dei crediti (in senso stretto dei creditori e figurativi dei soci) su cui calcolare le maggioranze di cui all’art. 108, CCII. Invero, “Il fatto che il capitale sociale, non diversamente dalle riserve e da tutte le altre poste che concorrono a formare il patrimonio netto della società, debba essere iscritto al passivo del bilancio (art. 2424 c.c.) non vale certo a farlo considerare alla stregua di una posta debitoria, il cui annullamento o la cui riduzione comporti un vantaggio patrimoniale per la società. Come da tempo la migliore dottrina ha chiarito, il capitale e le altre voci di patrimonio netto non costituiscono passività e la loro iscrizione nella colonna del passivo risponde unicamente alla finalità contabile di far coincidere il totale del passivo con quello dell'attivo”, v. Cass. civ., sez. I, 08 novembre 2005, n. 21641, cit.
[77] 
Sul tema, v. M. Ratti – A. Pezzano, Le regole di distribuzione, in questo volume; G. D'Attorre, La distribuzione del patrimonio del debitore tra absolute priority rule e relative priority rule, in Il Fall, 2020, 1072 ss.; G. Ferri jr, Soci e creditori nella struttura finanziaria della società in crisi, in U. Tombari (a cura di) Diritto societario e crisi d'impresa, Torino, 2014, 95 ss.; D. Vattermoli, Concordato con continuità aziendale, absolute priority rule e new value exception, in Riv. dir. comm., 2014, II, 331 ss.; L. Stanghellini, Proposta di concordato, in A. Jorio (diretto da) Il nuovo diritto fallimentare, Bologna, 2007, 1946 ss.
[78] 
Cfr. il “considerando” n. 55 e l’art. 11 della Direttiva (UE) 2019/1023 del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 giugno 2019, riguardante i quadri di ristrutturazione preventiva, l’esdebitazione e le interdizioni, e le misure volte ad aumentare l’efficacia delle procedure di ristrutturazione, insolvenza ed esdebitazione.
[79] 
Sull’ambito di operatività della regola di non discriminazione anche in relazione alle absolute priority rule e relative priority rule, v. G. Ballerini, Le ricadute di diritto italiano della regola di non discriminazione nella Direttiva Restructuring, in Giur. commerciale, 2021, 967 e ss.
[80] 
Cfr. Relazione illustrativa dello schema di D.Lgs. 17 giugno 2022, n. 83, cit., 75.
[81] 
Cfr. Relazione illustrativa dello schema di D. Lgs. 17 giugno 2022, n. 83, cit., 75.
[82] 
Il riferimento è della Direttiva (UE) 2019/1023 del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 giugno 2019, riguardante i quadri di ristrutturazione preventiva, l’esdebitazione e le interdizioni, e le misure volte ad aumentare l’efficacia delle procedure di ristrutturazione, insolvenza ed esdebitazione, il cui “considerando” n. 59 così recita “Ai fini della sua attuazione, il piano di ristrutturazione dovrebbe contemplare la possibilità che i detentori di strumenti di capitale di PMI forniscano assistenza alla ristrutturazione in forma non monetaria, attingendo ad esempio alla loro esperienza, reputazione o contatti commerciali”. 
[83] 
Secondo i primi commentatori, la prescrizione della Legge delega, di incentivare le proposte di concordato nella liquidazione giudiziale, non è stata compiutamente attuata ed anzi il ricorso all’istituto è stato reso meno agevole dal nuovo regime dei rapporti informativi periodici del curatore che, secondo l’art. 130, comma 9, del Codice, non devono essere più pubblicati nel registro delle imprese, rendendo, così, difficile, per i terzi, il reperimento delle informazioni necessarie per valutare la proponibilità del concordato, v. A. Pezzano – M. Ratti, Il nuovo concordato nella liquidazione giudiziale, in La riforma del fallimento, Italia oggi, 2019, 230. 
[84] 
Così la Relazione governativa illustrativa dello schema di D.Lgs. n. 14/2019, cit.
[85] 
V. G. D’Attorre, Il conflitto d’interessi fra creditori nei concordati, in Giur. comm., 2010, 417; M. Fabiani, Concordato preventivo, cit. 638. 
[86] 
Secondo A. Jorio, sub art. 124, in A. Nigro – M. Sandulli – V. Santoro (a cura di), La legge fallimentare dopo la riforma, 2010, 1690, il concordato fallimentare deve essere collocato idealmente accanto al concordato preventivo, esso completa il disegno che sta alla base della nuova configurazione dei possibili approcci alle crisi di d’impresa alternativi alla liquidazione giudiziale e, risolve in una iniziativa concessa tanto al debitore quanto ai creditori per evitare le conseguenze negative della liquidazione fallimentare. Secondo M. Fabiani, Contratto e processo nel concordato fallimentare, Milanofiori Assago, 2009, 71, il concordato fallimentare è da ascrivere “nel palinsesto degli accordi rivolti a gestire la crisi dell’impresa”. Precisano A. Danovi – F. D’Aquino, Profili sostanziali, in A. Jorio – B. Sassani (diretto da) Trattato delle procedure concorsuali, Concordato fallimentare, accordi di ristrutturazione, piani di risanamento, amministrazione straordinaria, profili fiscali, crisi bancarie, Milano 2016, 7, che il concordato fallimentare è uno strumento di autoregolamentazione alternativo all’insolvenza per la riorganizzazione dell’impresa. Così anche S. Pacchi – L. D’Orazio, Il concordato fallimentare, in O. Cagnasso – L. Panzani, Crisi d’impresa e procedure concorsuali, Milanofiori Assago, 2016, 2365, i quali definiscono il concordato un piano di regolazione dell’insolvenza. Cfr. P. Bosticco, Il nuovo corso del concordato fallimentare, in Il Fall., 2007, 829; M. Fabiani, La proposta di concordato fallimentare, in A. Jorio- M. Fabiani (diretto da), Il nuovo diritto fallimentare, Torino, 2010, 698-704.
[87] 
Ai sensi dell’art. 240, comma 1, CCII, il concordato può essere proposto dalla società in liquidazione giudiziale non prima di un anno dalla apertura della procedura.

[88] 
V. L. Guglielmucci, sub art. 124 L. fall., in G. Lo Cascio (diretto da), Codice commentato del fallimento, Milanofiori Assago, 2013, il quale ritiene ammissibile l’iniziativa del socio, della società controllante e persino dell’amministratore della società fallita, senza soggiacere alle limitazioni cronologiche fissate dall’art. 124 L. fall. per la società fallita. Così anche S. Pacchi, Le iniziative, in O. Cagnasso – L. Panzani (diretto da), Crisi di impresa e procedure concorsuali, cit. 2385; C. Blatti – G. Minutoli, sub art. 124 L. fall., in M. Ferro (a cura di) La legge fallimentare, commentario teorico pratico, Padova, 2014, 1720, secondo cui è certamente legittimata alla proposta di concordato la società controllante; F.S. Filocamo, La proposta di concordato fallimentare, in A. Jorio (a cura di), Fallimento e concordato fallimentare, Milanofiori Assago, 2016, 2454, secondo cui è terzo ammesso a presentare il concordato anche il socio occulto della società fallita.
[89] 
Così sembra orientato anche M. Fabiani, L’avvio del codice della crisi, cit. secondo cui “Se il ruolo dei soci viene valorizzato da una parte, per altro verso viene anche decimato perché sia nelle ristrutturazioni (art. 120 bis CCII) che nella liquidazione giudiziale (art. 264 CCII) il valore delle partecipazioni può essere messo al servizio della ristrutturazione attraverso il compimento di operazioni straordinarie che si risolvono nell’azzeramento del valore e nella esclusione del diritto di opzione. Nelle operazioni di trasferimento dei complessi aziendali talora si procedere con la cessione dell’azienda, talora si procede con il trasferimento delle azioni o quote della società cedente. Questa alternativa diviene, ora attuale, anche nel concordato preventivo e nella liquidazione giudiziale sul presupposto che il valore dell’impresa sia rappresentato anche dal valore della partecipazione”.
[90] 
V. G. Ferri jr., Ristrutturazioni societarie e competenze organizzative, cit., 251-252.
[91] 
V. Trib. Pisa, 14 novembre 2018, in Il Fall., 2019, 511, secondo cui, applicazione analogicamente l’art. 185 L. fall. dettato in tema di concordato preventivo a quello fallimentare, il Tribunale può, nell’inerzia dei soci della società fallita, attribuire al curatore il potere di partecipare all’assemblea creditori ed esprimere il voto in loro sostituzione al fine di procedere all’approvazione della delibera che autorizza la fusione prevista nel piano sottostante il concordato omologato. La decisione si fonda sul rilievo che “è evidente la perfetta simmetria esistente tra la situazione in cui si trova il terzo che abbia presentato proposta concorrente di concordato preventivo, successivamente omologata, in presenza di una condotta del debitore di fatto impeditiva dell’esecuzione della proposta medesima e l’analoga situazione in cui versa il terzo promotore di una proposta di concordato fallimentare omologata”.
[92] 
Eppure, di continuità aziendale, nelle forme dell’esercizio provvisorio o dell’affitto di azienda, potrebbe parlarsi anche nell’ambito della liquidazione giudiziale, v. S. Leuzzi, L’evoluzione del valore della continuità aziendale nelle procedure concorsuali, in Il Fall. 2022, 479; A. Pezzano, Esercizio provvisorio e concordato fallimentare: un propizio connubio per il futuro concorsuale, in Ilcaso.it, 1 novembre 2016.
[93] 
Così sembra orientato anche M. Fabiani, L’avvio del codice della crisi, cit. V. anche M. Ratti – A. Pezzano, Le regole di distribuzione, cit.
[94] 
Così G. D'Attorre, La distribuzione del patrimonio del debitore tra absolute priority rule e relative priority rule, in Il Fall, 2020, 1072 ss.
[95] 
V. Cass. civ, Sez. I, 26 maggio 2022, n. 17155, in Il Fall. 2022, che non esclude la possibilità di derogare alla absolute priority rule in casi diversi da quello della distribuzione del plusvalore da continuità aziendale.
[96] 
V. D. Vattermoli, Il concordato minore. Aspetti sostanziali, in Il Fall., 2020, 441 e ss.
[97] 
V. P. Farina, La nuova disciplina del concordato minore tra semplificazioni e complicazioni, in Dir. fall., 1372-1374, la quale rileva che la domanda di accesso alla procedura deve essere accompagnata sempre da un piano e che il “dato normativo rimette all’autonomia del debitore le scelte sul contenuto dell’accordo e del piano, che da un lato può essere il più vario e, dall’altro, avere come obiettivo sia la prosecuzione sia la liquidazione dell’impresa”.
[98] 
V. D. Vattermoli, Il concordato minore. Aspetti sostanziali, cit. 448. Così anche P. Farina, La nuova disciplina del concordato minore tra semplificazioni e complicazioni, cit., 1365.
[99] 
V. D. Vattermoli, Il concordato minore. Aspetti sostanziali, cit. 446.
[100] 
V. G. D’Attorre, Il concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio, in Il Fall., 2021, 1604-1605, il quale evidenzia che il concordato semplificato è una procedura concorsuale autonoma (quindi non una variante del concordato preventivo), a carattere volontario, nella quale il debitore in crisi formula ai creditori una proposta di soddisfacimento dei crediti che, per effetto dell’omologazione, diviene vincolante per tutti e, in esito al suo adempimento, libera il medesimo debitore dai debiti pregressi. Così anche A. Rossi, Le condizioni di ammissibilità del concordato semplificato, in Il Fall., 2022, 745 e ss. secondo cui il concordato semplificato è una procedura concorsuale mediante la quale si dovrebbe giungere alla “ordinata liquidazione dell’attivo dell’imprenditore in crisi, retta su principi di blanda competitività, e ad un riparto concorsuale del suo risultato, che dovrebbe essere non peggiore (ma neppure necessariamente migliore) di quello offerto dalla “alternativa della liquidazione fallimentare”. Sulla natura del concordato semplificato, v. anche S. Leuzzi, Analisi differenziale fra concordati: concordato semplificato vs. ordinario, in www.dirittodellacrisi.it. 9 novembre 2021.
[101] 
V. G. D’Attorre, Il concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio, cit.,1605.
[102] 
Nel regime di cui al D.L. n. 118/2021, predicava l’applicazione analogica degli artt. 161 e 152 L. fall, G. D’Attorre, Il concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio, cit.,1608. Contra G. Bozza, Il concordato semplificato introdotto dal d.l. 118 del 2021, convertito con modifiche dalla l. n. 147 del 2021, in www.dirittodellacrisi.it, 9 novembre 2021; S. Leuzzi, Analisi differenziale fra concordati: concordato semplificato vs. ordinario, cit. Ne dubitava A. Rossi, Le condizioni di ammissibilità del concordato semplificato, cit., 745.
[103] 
V. S. Leuzzi, Analisi differenziale fra concordati: concordato semplificato vs. ordinario, cit.; A. Rossi, Le condizioni di ammissibilità del concordato semplificato, cit., 745 e ss.
[104] 
V. M. Campobasso, Il concordato liquidatorio semplificato: ma perché il concordato preventivo non trova pace?, in Nuove leggi civ. comm., 2022, 112; G. D’Attorre, Il concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio, cit., 1617.
[105] 
Secondo l’opinione prevalente, il piano del concordato semplificato può essere solo di natura liquidatoria, dovendo realizzare la cessione di tutti i beni facenti parte del patrimonio del debitore. Non è da escludersi che, dovendo cedersi l’azienda in esercizio, vi possa essere una prosecuzione interinale dell’attività ma questa può avvenire solo in via indiretta. v. G. D’Attorre, Il concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio, cit., 1617. G. D’Attorre, Il concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio, cit., 1617. Contra A. Rossi, Le condizioni di ammissibilità del concordato semplificato, cit., 745 e ss. per cui è ammissibile una continuità aziendale diretta funzionale alla cessione dell’azienda in esercizio, corredando il piano con una “analitica indicazione dei costi e dei ricavi attesi dalla prosecuzione dell’attività d’impresa prevista dal piano di concordato, delle risorse finanziarie necessarie e delle relative modalità di copertura”. Sulla tipologia di piani che possono essere presentati v. A. Pezzano – M. Ratti, Il concordato preventivo semplificato: un ’innovazione solo per i debitori meritevoli, funzionale al migliore soddisfacimento dei creditori (ed a qualche salvataggio d’impresa) in www.dirittodellacrisi.it. 19 ottobre 2021.
[106] 
V. A. Rossi, Le condizioni di ammissibilità del concordato semplificato, cit., 745 e ss., secondo cui la condizione di ammissibilità della proposta nel rispetto dell’ordine delle cause di prelazione e il necessario confronto con i risultati offerti da una liquidazione retta dall’art. 111 L. fall., impone che l’ordine di distribuzione non potrà che essere assoluto e non relativo. Sul tema v. anche v. M. Ratti – A. Pezzano, Le regole di distribuzione, in questo volume, i quali osservano che “ai sensi dell’art. 25 sexies CCII, vige il principio dell’APR, non potendo essere arrecato alcun pregiudizio rispetto all’alternativa della liquidazione giudiziale, con la precisazione, tuttavia, che eventuali apporti esterni potranno essere distribuiti per i creditori prelatizi incapienti anche in deroga agli artt. 2740 e 2741 c.c., così come avviene nel concordato liquidatorio ex art. 84 co. 4 CCII”.
[107] 
V. G. D’Attorre, Il concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio, cit.,1610.
[108] 
V. G. D’Attorre, Il concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio, cit.,1613. 

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