Commento
Il cram down fiscale dopo il D.L. 118/2021 e le prime pronunce di merito*
Giuseppe Acciaro e Alessandro Turchi, Dottori commercialisti in Milano
16 Dicembre 2021
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Visualizza: Trib. Como, 1 dicembre 2021, Pres. Parlati, Est. Mancini
Visualizza: Trib. Venezia, 22 settembre 2021, Pres. Bruni, Est. Gasparini
Sommario:
Nel caso di specie la proposta concordataria prevede la prosecuzione indiretta dell’attività di impresa da parte del terzo aggiudicatario della relativa procedura competitiva ex art. 163 bis, l. fall., ed acquirente del ramo d’aziendale, la cessione dei beni ritenuti non funzionali all’esercizio dell’impresa nonché l’incasso dei crediti sociali. Il pagamento dei creditori, per la parte eccedente quanto ricavato dal realizzo del patrimonio del debitore, è previsto mediante l’apporto di finanza esterna, subordinata all’omologazione del concordato preventivo. La proposta prevede il pagamento parziale dei tributi e dei contributi previdenziali nonché dei relativi accessori – con conseguente degradazione al chirografo per la parte incapiente e inserimento in apposita classe – in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale, sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni sui quali sussiste la cause di prelazione, indicato nella relazione di cui al secondo comma dell’art. 160 e nella relazione ex art. 182 ter, l. fall. Contestualmente al deposito della proposta e del piano, il debitore ha, pertanto presentato anche la proposta di transazione fiscale e contributiva ex art. 182 ter, l. fall.
Il Tribunale verificata la completezza e la regolarità della documentazione prodotta dal debitore, dichiara aperta la procedura di concordato preventivo, fissando l’udienza per l’adunanza dei creditori. Il nominato commissario giudiziale deposita la propria relazione ex art. 172, l. fall., segnalando la fattibilità e la convenienza del piano di concordato rispetto all’alternativa liquidatoria. Lo stesso commissario, a seguito delle operazioni di voto, da atto del mancato raggiungimento della maggioranza prevista dall’art. 177, l. fall., segnalando la circostanza che l’Agenzia delle Entrate e l’INPS hanno espresso voto contrario alla proposta concordataria. La mancata adesione dei predetti creditori pubblici, rappresentativi di circa il 65% della massa dei creditori ammessi al voto, risulta determinate ai fini del mancato raggiungimento delle maggioranze per l’approvazione del concordato poiché il voto favorevole degli stessi avrebbe determinato il raggiungimento della maggioranza dei crediti complessivi. In sede di udienza camerale, il debitore insiste per l’omologazione forzata del concordato, in applicazione del meccanismo di cram down, mentre l’Agenzia delle entrate si oppone alla stessa evidenziando la non applicabilità dell’art. 180, comma quarto, l. fall., stante l’espressione del voto negativo e l’uso improprio della nuova finanza.
I giudici di merito ritengono sussistenti le condizioni per addivenire all’omologazione del concordato preventivo in applicazione dell’istituto del cram down, a seguito delle modifiche apportate dal D.L. 118/2021, applicabile ratione temporis al caso di specie.
Nella sentenza si legge, infatti, che “rispetto alla dizione previgente non appariva dirimente l’espressione utilizzata dal legislatore per il concordato preventivo nell’art. 180 l. fall. (“mancanza di voto”) e per gli accordi di ristrutturazione dei debiti nell’art. 182 bis l. fall. (“mancata adesione”) tenuto conto che l’interpretazione estensiva appare concorde rispetto alla volontà del legislatore di favorire l’omologazione sia dei concordati preventivi sia degli accordi di ristrutturazione dei debiti nonostante l’inerzia o il voto negativo dell’Erario, conformemente a quanto previsto dall’art. 48 quinto comma CCII (“anche in mancanza di adesione”) di cui rappresentano l’anticipata attuazione”.
Inoltre, sottolineano i giudici che l’avverbio “anche”, posto prima dell’espressione “in mancanza di voto” consente di ritenere che il cram down fiscale e previdenziale possa trovare attuazione sia nel caso in cui l’ente pubblico voti in modo espressamente contrario sia nell’ipotesi di inerzia dell’esercizio del voto e “anche” quindi in mancanza di voto.
I giudici, facendo riferimento alla già richiamata pronuncia del Tribunale di Teramo del 19 aprile 2021, ritengono che l’interpretazione estensiva non sia in contrasto con la Direttiva Insolvency, rappresentando una ulteriore motivazione a supporto di tale tesi.
Sulla base delle suesposte ragioni, nonché verificate le ulteriori condizioni imposte dal legislatore (voto determinante e convenienza), il Tribunale ritiene che sussistano i presupposti per l’applicazione dell’art. 180, quarto comma, l. fall., e che, pertanto, il cram down trovi attuazione sia nel caso di voto negativo espresso che di mancanza di espressione del voto da parte dei creditori pubblici qualificati.
Nel caso di specie, la proposta concordataria prevede la prosecuzione dell’attività aziendale in via diretta per la durata quinquennale, l’alienazione degli immobili considerati non funzionali alla continuità medesima, l’incasso dei crediti sociali e dei canoni di affitto, nonché l’apporto di finanza esterna. La proposta prevede altresì il pagamento non integrale, dovuto all’incapienza dell’attivo del debitore, dei crediti dell’Erario e degli Enti Locali, collocati in apposite classi. Pertanto, la proposta di concordato è stata integrata con quella di transazione fiscale e previdenziale ex art. 182-ter, l. fall.
Sulla base delle predette previsioni, il Tribunale dichiara aperta la procedura di concordato preventivo e fissa l’adunanza dei creditori. All’esito della stessa, il commissario giudiziale, nel termine previsto dall’art. 178, l. fall., comunica l’esito della votazione e il mancato raggiungimento delle maggioranze previste per l’approvazione del concordato. Ai fini del mancato raggiungimento delle maggioranze, il voto negativo espresso dall’Agenzia delle entrate è risultato decisivo, rappresentando circa il 55% dei crediti ammessi al voto.
Disposta l’audizione, il debitore insiste per l’omologazione coattiva del concordato, in applicazione del quarto comma dell’art. 180, l. fall., sussistendo prova, nella relazione dell’asseveratore e in quella del commissario giudiziale, che nello scenario fallimentare l’Erario otterrebbe una minore soddisfazione. Il Collegio, ritenendo in astratto applicabile tale norma, fissa l’udienza per l’omologa del concordato e il commissario giudiziale deposita la propria relazione ex art. 180, l. fall., esprimendo parere favorevole all’omologa. L’Agenzia delle entrate e l’agente della riscossione si costituiscono, a mezzo dell’Avvocatura dello Stato, che, opponendosi all’omologa, eccepisce che l’art. 180, quarto comma, l. fall., sia applicabile soltanto allorquando l’Erario si sia “astenuto” dal voto e ulteriori censure circa la c.d. fattibilità del concordato (divergenza degli importi dei debiti erariali, alterazione delle cause legittime di prelazione con riguardo alla destinazione del surplus concordatario, inattendibilità del piano e mancanza di convenienza economica della proposta).
In primo luogo, i giudici di merito si interrogano circa l’applicabilità dell’art. 180, quarto comma, l. fall., come recentemente modificato dal legislatore, alle procedure in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del D.L. 118/2021 e soprattutto alla sua applicabilità in relazione alla fase in cui si trova la procedura, essendo nel caso di specie iniziata nel 2018, ossia molto prima dell’entrata in vigore, avvenuta il 25 agosto 2021, dell’art. 20, comma 1, lett. a), del D.L. 118/2021. Domandandosi se la modifica rivesta carattere sostanziale o processuale, i giudici ritengono che con riferimento alla novella in esame siano molteplici le considerazioni per ritenere la norma come processuale e, pertanto, applicabile anche alle procedure pendenti in cui sia esaurita la fase dell’omologazione[7]. Tale interpretazione risulta, inoltre, maggiormente compatibile con la ratio della modifica legislativa, legata alla situazione di crisi economica per le imprese colpite dalla pandemia da Covid-19.
Chiarita l’applicabilità dell’art. 180, quarto comma, l. fall., al caso di specie, i giudici di merito analizzano il tema del significato da attribuire all’espressione “anche in mancanza di voto” da parte dell’amministrazione finanziaria. Dopo aver illustrato i principali orientamenti giurisprudenziali e dottrinali sino ad ora emersi, il collegio ritiene preferibile l’interpretazione estensiva, parendo “più conforme non solo al dato letterale ma anche alla ratio legis della novella del DL n 118/2021, che è quella di agevolare l’accesso delle imprese alle procedure concorsuali e favorire l’’approvazione (…) dei concordati preventivi (…) nonostante l’inerzia o il voto negativo dell’Erario/Ente previdenziale che, tra i maggiori creditori delle imprese in difficoltà, ha assunto solitamente un ruolo di ingiustificato veto alle soluzioni concordate”.
I Giudici sottolineano altresì che, sotto il profilo semantico, l’avverbio “anche”, posto prima della locuzione “in mancanza di adesione” consente di ritenere applicabile l’istituto del cram down sia nel caso in cui il creditore pubblico voto in modo espressamente contrario, sia nell’ipotesi di inerzia dell’esercizio del voto. Dunque, qualora il legislatore avesse voluto, in ipotesi, limitare il cram down alla sola ipotesi di mancanza di voto, non avrebbe avuto la premura di inserire la congiunzione “anche”.
Il Collegio evidenzia ulteriori circostanze a favore dell’interpretazione estensiva: (i) nel concordato preventivo, il silenzio o il mancato voto del creditore sono sempre parificati, ai fini del calcolo delle maggioranze, al voto contrario; la ratio del cram down che, come si evince nella Relazione Illustrativa al Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, è quella di “superare ingiustificate resistenze alle soluzioni concordate, spesso registrate nella prassi” attuate dai creditori pubblici nelle procedure concorsuali; la realizzazione di un ragionevole equilibrio tra le contrapposte esigenze di tutela dell’amministrazione, di fronte all’ingente indebitamento fiscale del debitore, e degli altri interessi rilevanti, con particolare riferimento ai principi di uguaglianza e ragionevolezza (art. 3 e art. 97, Cost.); reale tutela giurisdizionale, richiamando il già citato intervento delle Sezioni Unite del 25 marzo 2021.
Evidenziate tali circostanze, il collegio analizza i presupposti per l’omologazione forzata del concordato, ossia il voto decisivo del creditore pubblico e la convenienza rispetto all’alternativa liquidatoria. Il primo è facilmente verificabile, rappresentando l’Erario oltre il 55% della massa dei creditori ammessi al voto. Il secondo, invece, è maggiormente approfondito dai giudici, soprattutto con riferimento alla destinazione dei flussi derivanti dalla continuità aziendale.
I giudici sottolineano, in primo luogo, che ai fini della valutazione della convenienza della proposta rispetto all’alternativa liquidatoria, occorre “tenere conto anche del profilo temporale, essendo di tutta evidenza che l’interesse di ogni creditore, ed anche dell’amministrazione, si appunta non solo sull’ammontare, ma anche sulla tempistica del soddisfacimento o dell’attendibilità delle prospettive effettive di adempimento e delle eventuali garanzie offerte nella proposta”. Nel caso di specie, ritiene il Collegio che nell’ipotesi fallimentare l’attivo a disposizione sarebbe sufficiente a soddisfare le prededuzioni, i crediti ipotecari, i dipendenti per TFR e salari e, solo in parte, i fornitori. Al contrario, mediante la procedura di concordato, il debitore sarebbe in grado di soddisfare, anche attraverso i flussi della continuità, la finanza esterna e gli altri elementi dell’attivo, tutti i creditori della massa, tra cui in percentuale anche l’Agenzia delle entrate.
L’aspetto, presumibilmente più decisivo, sollevato dall’Agenzia delle entrate è rappresentato dalla destinazione del surplus concordatario. Osserva il Collegio che “la legge non richiede che l’intero valore creato dalla continuità aziendale (cd surplus) sia messo a disposizione dei creditori sociali secondo l’ordine delle cause legittime di prelazione ai sensi degli artt. 2740-2741 c.c. Non si rinviene una norma in tal senso né all’interno dell’art. 186-bis, né dell’art. 182-ter l.f., né aliunde nella legge fallimentare”. Non ignorando l’orientamento più restrittivo, secondo cui il surplus concordatario abbia natura endogena e sia quindi da considerare come parte del patrimonio del debitore assoggettato al vincolo ex art. 2740 c.c., i giudici di merito sposano l’interpretazione opposta: “il concordato in continuità aziendale ex art. 186 bis l.f. comporta una deroga al principio di responsabilità generale ed illimitata del patrimonio del debitore ex art. 2740 c.c. ed al principio di graduazione dei crediti”. Pertanto, i giudici ritengono che i flussi derivanti dalla continuità aziendale abbiano natura esogena, non facendo parte del patrimonio del debitore, e pertanto tale surplus non soggiace al divieto di alterazione delle cause di prelazione e alla regola del concorso. Dunque, il surplus concordatario costituisce un beneficio aggiuntivo, liberamente distribuibile tra i creditori chirografari anche qualora i creditori privilegiati non abbiano ottenuto l’integrale soddisfazione. Conclude il Tribunale ritenendo che “non consentire tale possibilità argomentando con l’inammissibilità della proposta che preveda la violazione dell’ordine delle cause di prelazione, significherebbe, infatti, imporre ai creditori una soluzione per loro pregiudizievole, evidentemente contraria al principio della migliore soddisfazione” dei creditori.
Alla luce dei rilievi evidenziati dal Collegio, ritenuti soddisfatti i presupposti per l’applicabilità del cram down al caso di specie, il Tribunale, sterilizzando il voto negativo dell’Agenzia delle entrate, ritiene raggiunte le maggioranze necessarie per l’approvazione del concordato, procedendo con l’omologazione della stessa.
Tale ultimo intervento del legislatore ricollega il testo normativo alla ratio sottesa tanto al precedente D.L. n. 125/2020, convertito in L. n. 159/2020, quanto al più recente D.L. n. 118/2021, ossia quella di ampliare la possibilità per le imprese di accedere a procedure concorsuali e, più in generale, a tutti gli strumenti alternativi al fallimento, nella prospettiva della continuità aziendale (anche in via indiretta) quale reazione alla crisi economica derivante dalla pandemia da Covid-19.
Risolto (presumibilmente) l’annoso dibattito delle differenti locuzioni utilizzate dal legislatore, emerge ora un ulteriore profilo di approfondimento, come anche già evidenziato da autorevole dottrina[8], ossia l’estensione dell’istituto del cram down fiscale e contributivo al nuovo percorso della composizione negoziata della crisi, introdotto dallo stesso D.L. 118/2021. L’estensione del cram down al nuovo iter di composizione della crisi potrebbe, infatti, consentire di raggiungere l’obiettivo di indurre spontaneamente ad una soluzione immediata ed anticipata della crisi d’impresa, con un tendenziale maggior soddisfacimento delle casse erariali.
A fronte di spunti di riflessioni emersi da autorevole dottrina, si rileva che in sede di conversione in Legge del D.L. 118/2021, il legislatore non ha inteso perseguire questa strada. Tuttavia, ciò non esclude che dopo una prima fase applicativa del nuovo istituto non emergano gli stessi problemi ben noti e riscontrati nella prassi in relazione al concordato preventivo e agli accordi di ristrutturazione, con necessità di un nuovo intervento del legislatore, che contrasti le resistenze ingiustificate dei creditori pubblici.
Note: