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Commento

Il cram down fiscale dopo il D.L. 118/2021 e le prime pronunce di merito*

Giuseppe Acciaro e Alessandro Turchi, Dottori commercialisti in Milano

16 Dicembre 2021

*Il commento è stato sottoposto in forma anonima alla valutazione di un referee.

Visualizza: Trib. Como, 1 dicembre 2021, Pres. Parlati, Est. Mancini

Visualizza: Trib. Venezia, 22 settembre 2021, Pres. Bruni, Est. Gasparini

L’elaborato ha come obiettivo quello di analizzare e ripercorrere l’iter legislativo dell’istituto del cram down fiscale e contributivo, nonché le problematiche applicative sorte all’origine e (presumibilmente) risolte dalle modifiche recentemente introdotte dal D.L. 118/2021. L’analisi, in particolare, ripercorre sinteticamente i diversi orientamenti sviluppatisi sia in dottrina che nella giurisprudenza di merito nel periodo precedente all’entrata in vigore del D.L. 118/2021. Dopo aver esaminato l’intervento del legislatore, l’elaborato analizza le prime due pronunce di merito sul tema e si conclude con uno spunto di riflessione in merito all’estensione del cram down al neonato percorso di composizione negoziata della crisi.
Riproduzione riservata
1 . Introduzione
La Legge 27 novembre 2020, n. 159, che ha convertito il Decreto Legge 7 ottobre 2020, n. 125, ha introdotto importanti novità alla legge fallimentare, anticipando, attraverso le modifiche apportate agli articoli 180, 182 bis e 182 ter, l. fall., l’entrata in vigore delle disposizioni relative alla transazione fiscale e contributiva previste dall’art. 48, comma 5, del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D. Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14).
Come espressamente chiarito dal legislatore, l’intervento di cui alla legge n. 159/2020 di conversione del D.L. 125/2020 risponde all’esigenza di far fronte alla situazione di crisi economica determinata dall'emergenza legata all’epidemia da Covid-19, agevolando, ove possibile, l’accesso delle imprese a procedure concorsuali minori al fine di scongiurarne il dissesto. In tale contesto, il nuovo cram down fiscale e contributivo muove dalla consapevolezza che spesso l’inerzia del creditore istituzionale costituisce un ostacolo ai piani e ai progetti delle soluzioni alternative alla liquidazione, quand’anche foriere di scenari più convenienti per i crediti pubblici. 
Con riferimento al concordato preventivo, il comma quarto dell’art. 180, l. fall., come novellato (da primo) dal D.L. 125/2020, attribuisce al Tribunale il potere di omologare il concordato preventivo anche in “mancanza di voto” da parte dell’amministrazione finanziaria o degli enti previdenziali e assistenziali quando l’adesione da parte dei predetti enti è determinante ai fini del raggiungimento delle maggioranze di cui all’articolo 177 l. fall., e quando, anche sulla base delle risultanze della relazione dell’attestatore, la proposta di soddisfacimento del Fisco e/o degli enti previdenziali è conveniente rispetto all’alternativa liquidatoria.
Analogamente, per quanto concerne gli accordi di ristrutturazione, al comma quarto dell’art. 182 bis, l. fall., è stata inserita la possibilità per il Tribunale di omologare l’accordo in “mancanza di adesione” dell’Erario e degli enti di previdenza obbligatoria quando la predetta adesione sia decisiva ai fini del raggiungimento della percentuale del 60% dei creditori aderenti, richiesta dal primo comma del medesimo art. 182 bis ai fini della conclusione degli accordi. 
Di recente è nuovamente intervenuto il legislatore sul tema del cram down fiscale e previdenziale. In particolare, il Decreto Legge n. 118 del 24 agosto 2021 ha previsto, all’art. 20, comma 1, lett. a), che le parole “il tribunale omologa il concordato preventivo anche in mancanza di voto” siano sostituite con “il tribunale omologa il concordato preventivo anche in mancanza di adesione”. Tale intervento legislativo pare che abbia posto fine all’acceso dibattito circa l’applicazione del nuovo istituto soltanto in caso di mancanza di voto ovvero anche in caso di diniego espresso da parte del creditore pubblico, derivante dalla differente formulazione della norma prevista per il concordato preventivo (“mancanza di voto”) rispetto agli accordi di ristrutturazione dei debiti (“mancanza di adesione”). In questa direzione interpretativa, si muovono altresì le prime pronunce di merito: Tribunale di Venezia del 22 settembre 2021 e il Tribunale di Como del 1° dicembre 2021.
2 . Il problema del cram down in caso di voto negativo ante D.L. 118/2021: gli orientamenti dottrinali e le pronunce di merito e di legittimità
Uno dei profili che ha suscitato numerose perplessità operative sull’applicazione del cram down fiscale e previdenziale concerne il significato delle espressioni in “mancanza di voto” e in “mancanza di adesione” dell’Erario e degli enti di previdenza obbligatoria inserite, rispettivamente, nel comma 4 dell’art. 180, l. fall., per il concordato preventivo, e nel comma 5 dell’art. 182 bis, l. fall., per gli accordi di ristrutturazione dei debiti. 
Sul punto si sono sviluppate due differenti posizioni dottrinali: 
· una interpretazione più “estensiva”, secondo cui, fermi tutti gli altri requisiti richiesti dalla norma, il cram down fiscale e previdenziale sarebbe ammissibile non solo in caso di silenzio, bensì anche nell’ipotesi di diniego espresso da parte dei creditori pubblici. 
· una interpretazione più “restrittiva”, secondo la quale l’omologazione “coattiva” da parte del tribunale potrebbe essere disposta unicamente quando l’amministrazione finanziaria e gli enti previdenziali non si pronunciano sulla proposta formulata dal debitore/contribuente. 
Secondo il citato orientamento più “estensivo”, il cram down fiscale e previdenziale è ammesso non soltanto in caso di silenzio da parte dell’amministrazione finanziaria e degli enti previdenziali, bensì anche nell’ipotesi di diniego espresso dai creditori pubblici qualificati. Tale orientamento risulta maggioritario sia in dottrina[1] che in giurisprudenza[2].
Le principali argomentazioni a sostegno della tesi estensiva possono riassumersi come di seguito.
(i) Secondo la Relazione Illustrativa al D. Lgs. n. 14/2019 la norma in questione è stata introdotta “al fine di superare ingiustificate resistenze alle soluzioni concordate, spesso registrate nella prassi” dall’amministrazione finanziaria e dagli enti previdenziali e assistenziali. Il nuovo istituto della transazione fiscale è stato, infatti, introdotto con un duplice obiettivo: (i) evitare che i creditori pubblici continuino ad impiegare tempi irragionevoli ed incompatibili con il percorso risanatorio del debitore per pronunciarsi sulle proposte di transazione; (ii) impedire che alcune di queste vengano rigettate sebbene convenienti per l’Erario. 
(ii) Un’interpretazione più estensiva della norma non precluderebbe ai creditori istituzionali l’esercizio dell’opposizione al decreto di omologazione laddove ritengano che la convenienza rispetto all’alternativa liquidatoria non sia stata adeguatamente valutata dall’attestatore o dal tribunale.
(iii) Le disposizioni introdotte dalla L. 159/2020 perseguono anche il fine di assicurare ai debitori/contribuenti una reale tutela giurisdizionale contro i provvedimenti di rigetto delle proposte transattive, emessi dall’amministrazione finanziaria e dagli enti previdenziali e assistenziali in contrasto con i principi sanciti dall’art. 182 ter, l. fall.; tale tutela, tuttavia, pur essendo teoricamente sussistente, è risultata di fatto inattuabile.
(iv) Da un punto di vista puramente semantico, l’avverbio “anche”, posto prima della locuzione “in mancanza di voto”, consente di ritenere che l’art. 180, co. 4, possa trovare attuazione sia nel caso in cui l’Ente voti in modo espressamente contrario sia nell’ipotesi di inerzia nell’esercizio del voto (e “anche”, dunque, in mancanza di voto). Laddove il legislatore avesse voluto, in ipotesi, limitare il cram down fiscale e previdenziale alla sola ipotesi di mancanza di voto, non avrebbe avuto la premura di inserire la congiunzione “anche”.
(v) nel sistema attuale del concordato preventivo l'astensione, il silenzio o il mancato voto del creditore sono sempre parificati, nel calcolo delle maggioranze ai fini dell’approvazione del concordato, al voto contrario: i creditori che non esprimono alcun voto sono conteggiati fra i dissenzienti, essendo equiparati tra quelli che hanno espresso in modo palese il loro voto contrario alla proposta concordataria. Ne discende che la locuzione “mancanza di voto” di cui all’art. 180, co. 4, deve necessariamente intendersi sia in termini di silenzio/diniego che di voto espresso negativo, posto che dalle condotte indicate nella norma discende il medesimo effetto giuridico, ossia il dissenso/voto contrario (che equivale alla mancata adesione) del creditore alla proposta di concordato preventivo.
(vi) Poiché sovente i principi costituzionali di eguaglianza e ragionevolezza, ex art. 3 Cost. e di efficienza della Pubblica Amministrazione, ex art. 97 Cost., non vengono perseguiti (a volte anche in nome di una mancata assunzione di responsabilità), il legislatore ha inteso ridefinire il sindacato di convenienza, delegandolo sostanzialmente al giudice concorsuale. In questo modo, viene tracciata la via legale e giudiziale del superamento del voto dissenziente del creditore erariale quando è pregiudizievole per la realizzazione dell’interesse fiscale.
(vii) L’estensione del cram down non determina alcun contrasto con la direttiva Insolvency 1023/2019 sulle ristrutturazioni trasversali, “non contrastando in astratto nè con quanto previsto all’art. 10 par. 3 né con quanto sancito all’art. 11 par. 1 lett. a) e men che mai con il considerando 55 della direttiva medesima: deve escludersi in particolare che detta interpretazione arrechi un pregiudizio ingiusto a carico dell’Erario ovvero che faccia difetto una tutela sufficiente per il Fisco, risultando rispettato il disposto degli artt. 2740 e 2741 c.c. Invero, nella “ristrutturazione trasversale dei debiti”, il piano può essere omologato e può diventare vincolante per le classi di voto dissenzienti se soddisfa, tra l’altro, la condizione per cui “assicura che le classi di voto dissenzienti di creditori interessati ricevano un trattamento almeno tanto favorevole quanto quello delle altre classi dello stesso rango e più favorevole di quello delle classi inferiori” (art. 11, par. 1, lett. c, Dir. 1023/2019); è questa la regola della c.d. “relative priority rule” (“RPR”), secondo la quale è possibile il pagamento di creditori di rango inferiore anche in assenza di pagamento integrale dei creditori di rango superiore, a condizione che il primo sia di misura inferiore. Detta condizione dovrà quindi essere verificata in concreto, ma non rende già in ipotesi o in astratto illegittima o non applicabile l’interpretazione estensiva sopra accolta”[3]
(viii) Nell’accordo di composizione della crisi da sovraindebitamento, anch’esso oggetto di intervento da parte del legislatore emergenziale, la mancata espressione del voto equivale, ope legis, ad accettazione (art. 11, comma 1, L. 3/2012). Dunque, poiché la mancata espressione di voto nel sovraindebitamento equivale al voto espresso, il cram down non avrebbe alcuna utilità se non fosse applicabile al diniego espresso dall’amministrazione finanziaria e/o dagli enti previdenziali. Inoltre, poiché il sovraindebitamento è ormai considerato una procedura concorsuale (tanto da essere stato inserito all’interno del Codice della crisi d’impresa volto a riformare in modo organico la disciplina delle procedure concorsuali), si rende complesso individuare la ragione per la quale si voglia differenziare l’applicazione del nuovo istituto della transazione fiscale tra concordato preventivo e accordi di ristrutturazione, da un lato, e accordo di composizione della crisi da sovraindebitamento, dall’altro. 
L’interpretazione estensiva, oltre che essere maggioritaria in giurisprudenza, è stata avvalorata dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con ordinanza del 25 marzo 2021, n. 8504, chiamata a pronunciarsi sul ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione proposto dall’Agenzia delle Entrate alla Suprema Corte, in ordine ad una causa originata dal rigetto della domanda di transazione fiscale, impugnata dalla società istante dinanzi alla Commissione Tributaria. Nella stessa si evince, infatti, che la novella “indirizza in modo marcato la questione della mancata adesione alla proposta di transazione da parte dell’agenzia fiscale verso la competenza giurisdizionale di merito del tribunale fallimentare, collocando ancor più chiaramente l’istituto de quo all’interno delle procedure concorsuali ed alle loro, peculiari, finalità, piuttosto che nell’ambito delle procedure di attuazione dei tributi”.
Secondo l’interpretazione restrittiva, invece, il voto negativo non può configurare una “mancanza di voto” e non può, pertanto, trovare applicazione l’omologazione forzata da parte del tribunale. Le principali argomentazioni a sostegno della tesi restrittiva possono riassumersi come di seguito[4].
(i) Essendo il voto negativo un voto espresso, in base al combinato disposto di cui agli artt. 177 e 178, l. fall., non incisi dalla novella emergenziale, si rende necessario un consenso espresso della maggioranza per addivenire alla proposta. Come noto, l’art. 178, l. fall., è stato oggetto del ripristino della regola tradizionale del silenzio – dissenso ad opera della riforma del 2015, richiedendo pertanto il consenso espresso della maggioranza per addivenire all’approvazione della proposta. Dunque, l’omologa del concordato anche in presenza di un diniego espresso da parte dei creditori pubblici qualificati, sarebbe incompatibile con il principio di negoziabilità che governa il concordato preventivo, con la conseguenza che il tribunale non potrebbe sostituirsi, attraverso l’omologazione forzata, laddove la maggioranza dei creditori abbia espresso il relativo diniego. 
(ii) L’estensione del cram down all’ipotesi di voto negativo dei creditori pubblici non è compatibile con i principi - oltre che costituzionali di separazione dei poteri e con la previsione della devoluzione alla giurisdizione amministrativa ovvero tributaria del sindacato dei provvedimenti resi dalle pubbliche amministrazioni – sanciti nella Direttiva UE 1023/2019 sulla ristrutturazione e sull’insolvenza (c.d. Direttiva Insolvency). In particolare, l’interpretazione restrittiva non rischia di creare conflitti con il diritto dell’UE perché l’omologa troverebbe applicazione solo a fronte del silenzio serbato da un creditore e quindi di una deliberata decisione del creditore di non prendere posizione in relazione alla ristrutturazione proposta.
(iii) Distinguendo tra atti di rigetto privi di qualsivoglia motivazione ed atti di diniego adeguatamente motivati, solo gli atti di diniego privi di motivazione potrebbero essere disapplicati dal tribunale, con l’effetto pratico di equipararli alla mancanza di adesione, in quanto illegittimi per violazione di legge ex art. 3 della L. n. 241/1990 e per eccesso di potere per violazioni di circolari che si traduce nella violazione del principio sovraordinato di ragionevolezza per contraddittorietà tra un atto di indirizzo fissativo di regole di buon andamento ed un atto singolare che, ingiustificatamente, lo disapplichi nella sua effettiva e puntuale portata. Ciò posto che l’Agenzia delle Entrate con circolare n. 34E/2020 ha fornito istruzioni ai propri funzionari, tra cui quella secondo la quale “l’eventuale diniego da parte dell’Ufficio dovrà necessariamente essere corredato da una puntuale motivazione, idonea a confutare analiticamente, in base ad elementi chiari, oggettivi e verificabili, le argomentazioni e le conclusioni”.
Minoritarie risultano le pronunce di merito favorevoli all’interpretazione restrittiva[5].
3 . L’intervento legislativo del D.L. 118/2021
Il Decreto Legge n. 118 del 24 agosto 2021 ha previsto, all’art. 20, primo comma, lett. a), che le parole “il tribunale omologa il concordato preventivo anche in mancanza di voto” siano sostituite con “il tribunale omologa il concordato preventivo anche in mancanza di adesione”. 
L’ intervento legislativo sopra illustrato pare che abbia posto fine all’acceso dibattito circa l’applicazione del nuovo istituto soltanto in caso di mancanza di voto ovvero anche in caso di diniego espresso da parte del creditore pubblico, derivante dalla differente formulazione della norma prevista per il concordato preventivo (“mancanza di voto”) rispetto agli accordi di ristrutturazione dei debiti (“mancanza di adesione”).
L’interpretazione sopra esposta pare essere avvalorata, oltre che dalle prime pronunce di merito di cui si dirà appresso, dalla Commissione Giustizia della Camera che, nel parere reso sul disegno di legge di conversione del D.L. n. 125/2020, non pare affatto distinguere le locuzioni “in mancanza di voto” e “in mancanza di adesione”. Si legge, infatti, nel documento che l’intervento sulla disciplina delle procedure di concordato preventivo e di accordi di ristrutturazione dei debiti “consente ai tribunali di omologare il concordato preventivo o gli accordi di ristrutturazione dei debiti anche se la mancata adesione da parte dell’amministrazione finanziaria o degli enti previdenziali o assistenziali determini il mancato raggiungimento delle relative percentuali minime”. 
4 . La prima pronuncia di merito a seguito del D.L. 118/2021: Tribunale di Venezia del 22 settembre 2021
Con decreto del 22 settembre 2021 il Tribunale di Venezia[6] ha omologato in via “coattiva” il concordato preventivo in continuità aziendale indiretta presentato da una società operante nel settore dei concessionari auto, applicando l’art. 180 quarto comma, l. fall., così come novellato dall’art. 20, primo comma, lett. a), del D.L. n. 118 del 24 agosto 2021. Sposando l’interpretazione estensiva, i giudici di merito infatti hanno ritenuto che ci fosse sostanziale continuità tra il testo dell’art. 180, comma 4, prima e dopo le modifiche introdotte dal D.L. n. 118/2021 e, pertanto, la “mancanza di voto” da parte degli enti pubblici risulta comprensiva sia dell’ipotesi di silenzio da parte degli stessi sia dell’ipotesi di espresso voto contrario, costituendo questa l’unica circostanza nella quale il tribunale è chiamato ad una valutazione di convenienza della proposta per i creditori, tendenzialmente riservata al voto di questi ultimi.
Nel caso di specie la proposta concordataria prevede la prosecuzione indiretta dell’attività di impresa da parte del terzo aggiudicatario della relativa procedura competitiva ex art. 163 bis, l. fall., ed acquirente del ramo d’aziendale, la cessione dei beni ritenuti non funzionali all’esercizio dell’impresa nonché l’incasso dei crediti sociali. Il pagamento dei creditori, per la parte eccedente quanto ricavato dal realizzo del patrimonio del debitore, è previsto mediante l’apporto di finanza esterna, subordinata all’omologazione del concordato preventivo. La proposta prevede il pagamento parziale dei tributi e dei contributi previdenziali nonché dei relativi accessori – con conseguente degradazione al chirografo per la parte incapiente e inserimento in apposita classe – in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale, sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni sui quali sussiste la cause di prelazione, indicato nella relazione di cui al secondo comma dell’art. 160 e nella relazione ex art. 182 ter, l. fall. Contestualmente al deposito della proposta e del piano, il debitore ha, pertanto presentato anche la proposta di transazione fiscale e contributiva ex art. 182 ter, l. fall.
Il Tribunale verificata la completezza e la regolarità della documentazione prodotta dal debitore, dichiara aperta la procedura di concordato preventivo, fissando l’udienza per l’adunanza dei creditori. Il nominato commissario giudiziale deposita la propria relazione ex art. 172, l. fall., segnalando la fattibilità e la convenienza del piano di concordato rispetto all’alternativa liquidatoria. Lo stesso commissario, a seguito delle operazioni di voto, da atto del mancato raggiungimento della maggioranza prevista dall’art. 177, l. fall., segnalando la circostanza che l’Agenzia delle Entrate e l’INPS hanno espresso voto contrario alla proposta concordataria. La mancata adesione dei predetti creditori pubblici, rappresentativi di circa il 65% della massa dei creditori ammessi al voto, risulta determinate ai fini del mancato raggiungimento delle maggioranze per l’approvazione del concordato poiché il voto favorevole degli stessi avrebbe determinato il raggiungimento della maggioranza dei crediti complessivi. In sede di udienza camerale, il debitore insiste per l’omologazione forzata del concordato, in applicazione del meccanismo di cram down, mentre l’Agenzia delle entrate si oppone alla stessa evidenziando la non applicabilità dell’art. 180, comma quarto, l. fall., stante l’espressione del voto negativo e l’uso improprio della nuova finanza.
I giudici di merito ritengono sussistenti le condizioni per addivenire all’omologazione del concordato preventivo in applicazione dell’istituto del cram down, a seguito delle modifiche apportate dal D.L. 118/2021, applicabile ratione temporis al caso di specie.
Nella sentenza si legge, infatti, che “rispetto alla dizione previgente non appariva dirimente l’espressione utilizzata dal legislatore per il concordato preventivo nell’art. 180 l. fall. (“mancanza di voto”) e per gli accordi di ristrutturazione dei debiti nell’art. 182 bis l. fall. (“mancata adesione”) tenuto conto che l’interpretazione estensiva appare concorde rispetto alla volontà del legislatore di favorire l’omologazione sia dei concordati preventivi sia degli accordi di ristrutturazione dei debiti nonostante l’inerzia o il voto negativo dell’Erario, conformemente a quanto previsto dall’art. 48 quinto comma CCII (“anche in mancanza di adesione”) di cui rappresentano l’anticipata attuazione”.
Inoltre, sottolineano i giudici che l’avverbio “anche”, posto prima dell’espressione “in mancanza di voto” consente di ritenere che il cram down fiscale e previdenziale possa trovare attuazione sia nel caso in cui l’ente pubblico voti in modo espressamente contrario sia nell’ipotesi di inerzia dell’esercizio del voto e “anche” quindi in mancanza di voto.
I giudici, facendo riferimento alla già richiamata pronuncia del Tribunale di Teramo del 19 aprile 2021, ritengono che l’interpretazione estensiva non sia in contrasto con la Direttiva Insolvency, rappresentando una ulteriore motivazione a supporto di tale tesi.
Sulla base delle suesposte ragioni, nonché verificate le ulteriori condizioni imposte dal legislatore (voto determinante e convenienza), il Tribunale ritiene che sussistano i presupposti per l’applicazione dell’art. 180, quarto comma, l. fall., e che, pertanto, il cram down trovi attuazione sia nel caso di voto negativo espresso che di mancanza di espressione del voto da parte dei creditori pubblici qualificati. 
5 . La seconda pronuncia di merito: Tribunale di Como del 1° dicembre 2021
Con decreto depositato in cancelleria il 1° dicembre 2021, il Tribunale di Como, sterilizzando il voto negativo dell’Agenzia delle entrate anche in virtù delle modifiche e della ratio legis della novella del D.L. 118/2021, omologa il concordato preventivo di una storica società operante nella produzione e commercializzazione del famoso vetro “soffiato” veneziano.
Nel caso di specie, la proposta concordataria prevede la prosecuzione dell’attività aziendale in via diretta per la durata quinquennale, l’alienazione degli immobili considerati non funzionali alla continuità medesima, l’incasso dei crediti sociali e dei canoni di affitto, nonché l’apporto di finanza esterna. La proposta prevede altresì il pagamento non integrale, dovuto all’incapienza dell’attivo del debitore, dei crediti dell’Erario e degli Enti Locali, collocati in apposite classi. Pertanto, la proposta di concordato è stata integrata con quella di transazione fiscale e previdenziale ex art. 182-ter, l. fall.
Sulla base delle predette previsioni, il Tribunale dichiara aperta la procedura di concordato preventivo e fissa l’adunanza dei creditori. All’esito della stessa, il commissario giudiziale, nel termine previsto dall’art. 178, l. fall., comunica l’esito della votazione e il mancato raggiungimento delle maggioranze previste per l’approvazione del concordato. Ai fini del mancato raggiungimento delle maggioranze, il voto negativo espresso dall’Agenzia delle entrate è risultato decisivo, rappresentando circa il 55% dei crediti ammessi al voto.
Disposta l’audizione, il debitore insiste per l’omologazione coattiva del concordato, in applicazione del quarto comma dell’art. 180, l. fall., sussistendo prova, nella relazione dell’asseveratore e in quella del commissario giudiziale, che nello scenario fallimentare l’Erario otterrebbe una minore soddisfazione. Il Collegio, ritenendo in astratto applicabile tale norma, fissa l’udienza per l’omologa del concordato e il commissario giudiziale deposita la propria relazione ex art. 180, l. fall., esprimendo parere favorevole all’omologa. L’Agenzia delle entrate e l’agente della riscossione si costituiscono, a mezzo dell’Avvocatura dello Stato, che, opponendosi all’omologa, eccepisce che l’art. 180, quarto comma, l. fall., sia applicabile soltanto allorquando l’Erario si sia “astenuto” dal voto e ulteriori censure circa la c.d. fattibilità del concordato (divergenza degli importi dei debiti erariali, alterazione delle cause legittime di prelazione con riguardo alla destinazione del surplus concordatario, inattendibilità del piano e mancanza di convenienza economica della proposta).
In primo luogo, i giudici di merito si interrogano circa l’applicabilità dell’art. 180, quarto comma, l. fall., come recentemente modificato dal legislatore, alle procedure in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del D.L. 118/2021 e soprattutto alla sua applicabilità in relazione alla fase in cui si trova la procedura, essendo nel caso di specie iniziata nel 2018, ossia molto prima dell’entrata in vigore, avvenuta il 25 agosto 2021, dell’art. 20, comma 1, lett. a), del D.L. 118/2021. Domandandosi se la modifica rivesta carattere sostanziale o processuale, i giudici ritengono che con riferimento alla novella in esame siano molteplici le considerazioni per ritenere la norma come processuale e, pertanto, applicabile anche alle procedure pendenti in cui sia esaurita la fase dell’omologazione[7]. Tale interpretazione risulta, inoltre, maggiormente compatibile con la ratio della modifica legislativa, legata alla situazione di crisi economica per le imprese colpite dalla pandemia da Covid-19.
Chiarita l’applicabilità dell’art. 180, quarto comma, l. fall., al caso di specie, i giudici di merito analizzano il tema del significato da attribuire all’espressione “anche in mancanza di voto” da parte dell’amministrazione finanziaria. Dopo aver illustrato i principali orientamenti giurisprudenziali e dottrinali sino ad ora emersi, il collegio ritiene preferibile l’interpretazione estensiva, parendo “più conforme non solo al dato letterale ma anche alla ratio legis della novella del DL n 118/2021, che è quella di agevolare l’accesso delle imprese alle procedure concorsuali e favorire l’’approvazione (…) dei concordati preventivi (…) nonostante l’inerzia o il voto negativo dell’Erario/Ente previdenziale che, tra i maggiori creditori delle imprese in difficoltà, ha assunto solitamente un ruolo di ingiustificato veto alle soluzioni concordate”.
I Giudici sottolineano altresì che, sotto il profilo semantico, l’avverbio “anche”, posto prima della locuzione “in mancanza di adesione” consente di ritenere applicabile l’istituto del cram down sia nel caso in cui il creditore pubblico voto in modo espressamente contrario, sia nell’ipotesi di inerzia dell’esercizio del voto. Dunque, qualora il legislatore avesse voluto, in ipotesi, limitare il cram down alla sola ipotesi di mancanza di voto, non avrebbe avuto la premura di inserire la congiunzione “anche”.
Il Collegio evidenzia ulteriori circostanze a favore dell’interpretazione estensiva: (i) nel concordato preventivo, il silenzio o il mancato voto del creditore sono sempre parificati, ai fini del calcolo delle maggioranze, al voto contrario; la ratio del cram down che, come si evince nella Relazione Illustrativa al Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, è quella di “superare ingiustificate resistenze alle soluzioni concordate, spesso registrate nella prassi” attuate dai creditori pubblici nelle procedure concorsuali; la realizzazione di un ragionevole equilibrio tra le contrapposte esigenze di tutela dell’amministrazione, di fronte all’ingente indebitamento fiscale del debitore, e degli altri interessi rilevanti, con particolare riferimento ai principi di uguaglianza e ragionevolezza (art. 3 e art. 97, Cost.); reale tutela giurisdizionale, richiamando il già citato intervento delle Sezioni Unite del 25 marzo 2021.
Evidenziate tali circostanze, il collegio analizza i presupposti per l’omologazione forzata del concordato, ossia il voto decisivo del creditore pubblico e la convenienza rispetto all’alternativa liquidatoria. Il primo è facilmente verificabile, rappresentando l’Erario oltre il 55% della massa dei creditori ammessi al voto. Il secondo, invece, è maggiormente approfondito dai giudici, soprattutto con riferimento alla destinazione dei flussi derivanti dalla continuità aziendale.
I giudici sottolineano, in primo luogo, che ai fini della valutazione della convenienza della proposta rispetto all’alternativa liquidatoria, occorre “tenere conto anche del profilo temporale, essendo di tutta evidenza che l’interesse di ogni creditore, ed anche dell’amministrazione, si appunta non solo sull’ammontare, ma anche sulla tempistica del soddisfacimento o dell’attendibilità delle prospettive effettive di adempimento e delle eventuali garanzie offerte nella proposta”. Nel caso di specie, ritiene il Collegio che nell’ipotesi fallimentare l’attivo a disposizione sarebbe sufficiente a soddisfare le prededuzioni, i crediti ipotecari, i dipendenti per TFR e salari e, solo in parte, i fornitori. Al contrario, mediante la procedura di concordato, il debitore sarebbe in grado di soddisfare, anche attraverso i flussi della continuità, la finanza esterna e gli altri elementi dell’attivo, tutti i creditori della massa, tra cui in percentuale anche l’Agenzia delle entrate.
L’aspetto, presumibilmente più decisivo, sollevato dall’Agenzia delle entrate è rappresentato dalla destinazione del surplus concordatario. Osserva il Collegio che “la legge non richiede che l’intero valore creato dalla continuità aziendale (cd surplus) sia messo a disposizione dei creditori sociali secondo l’ordine delle cause legittime di prelazione ai sensi degli artt. 2740-2741 c.c. Non si rinviene una norma in tal senso né all’interno dell’art. 186-bis, né dell’art. 182-ter l.f., né aliunde nella legge fallimentare”. Non ignorando l’orientamento più restrittivo, secondo cui il surplus concordatario abbia natura endogena e sia quindi da considerare come parte del patrimonio del debitore assoggettato al vincolo ex art. 2740 c.c., i giudici di merito sposano l’interpretazione opposta: “il concordato in continuità aziendale ex art. 186 bis l.f. comporta una deroga al principio di responsabilità generale ed illimitata del patrimonio del debitore ex art. 2740 c.c. ed al principio di graduazione dei crediti”. Pertanto, i giudici ritengono che i flussi derivanti dalla continuità aziendale abbiano natura esogena, non facendo parte del patrimonio del debitore, e pertanto tale surplus non soggiace al divieto di alterazione delle cause di prelazione e alla regola del concorso. Dunque, il surplus concordatario costituisce un beneficio aggiuntivo, liberamente distribuibile tra i creditori chirografari anche qualora i creditori privilegiati non abbiano ottenuto l’integrale soddisfazione. Conclude il Tribunale ritenendo che “non consentire tale possibilità argomentando con l’inammissibilità della proposta che preveda la violazione dell’ordine delle cause di prelazione, significherebbe, infatti, imporre ai creditori una soluzione per loro pregiudizievole, evidentemente contraria al principio della migliore soddisfazione” dei creditori.
Alla luce dei rilievi evidenziati dal Collegio, ritenuti soddisfatti i presupposti per l’applicabilità del cram down al caso di specie, il Tribunale, sterilizzando il voto negativo dell’Agenzia delle entrate, ritiene raggiunte le maggioranze necessarie per l’approvazione del concordato, procedendo con l’omologazione della stessa.
6 . Conclusioni
Con le prime pronunce giudiziali in ordine all’istituto del cram down fiscale e previdenziale da ultimo modificato dal D.L. 118/2021, risulta chiaro che il legislatore abbia inteso porre fine all’acceso dibattito derivante dalla differente formulazione della norma prevista per il concordato preventivo (“mancanza di voto”) rispetto agli accordi di ristrutturazione dei debiti (“mancanza di adesione”), così superando le relative problematiche applicative sino ad ora emerse.
Tale ultimo intervento del legislatore ricollega il testo normativo alla ratio sottesa tanto al precedente D.L. n. 125/2020, convertito in L. n. 159/2020, quanto al più recente D.L. n. 118/2021, ossia quella di ampliare la possibilità per le imprese di accedere a procedure concorsuali e, più in generale, a tutti gli strumenti alternativi al fallimento, nella prospettiva della continuità aziendale (anche in via indiretta) quale reazione alla crisi economica derivante dalla pandemia da Covid-19.
Risolto (presumibilmente) l’annoso dibattito delle differenti locuzioni utilizzate dal legislatore, emerge ora un ulteriore profilo di approfondimento, come anche già evidenziato da autorevole dottrina[8], ossia l’estensione dell’istituto del cram down fiscale e contributivo al nuovo percorso della composizione negoziata della crisi, introdotto dallo stesso D.L. 118/2021. L’estensione del cram down al nuovo iter di composizione della crisi potrebbe, infatti, consentire di raggiungere l’obiettivo di indurre spontaneamente ad una soluzione immediata ed anticipata della crisi d’impresa, con un tendenziale maggior soddisfacimento delle casse erariali. 
A fronte di spunti di riflessioni emersi da autorevole dottrina, si rileva che in sede di conversione in Legge del D.L. 118/2021, il legislatore non ha inteso perseguire questa strada. Tuttavia, ciò non esclude che dopo una prima fase applicativa del nuovo istituto non emergano gli stessi problemi ben noti e riscontrati nella prassi in relazione al concordato preventivo e agli accordi di ristrutturazione, con necessità di un nuovo intervento del legislatore, che contrasti le resistenze ingiustificate dei creditori pubblici.

Note:

[1] 
G. Andreani, Le nuove norme della legge fallimentare sulla transazione fiscale, in Il Fallimentarista, gennaio 2021; L. Gambi, Questioni aperte sul cram down nella transazione fiscale, in Il Fallimentarista, gennaio 2021; L. Calò, La transazione fiscale e contributiva in mancanza di adesione da parte dell’Agenzia delle entrate e degli istituti previdenziali, in Il Fallimentarista, gennaio 2021; L. Gambi, Alcune note sul nuovo cram down nella transazione fiscale e contributiva, 13 gennaio 2021, in ilcaso.it; A. Danovi, D. Giuffrida, Cram down fiscale e previdenziale, in Nuova transazione fiscale, a cura di A. Danovi, G. Acciaro, Milano, 2021, pp. 41 e ss; E. De Mita, Con la nuova transazione al centro l’interesse fiscale, in Norme & Tributi de Il Sole 24 ore, febbraio 2021; G. Andreani, F. Cesare, Il voto espressamente negativo come presupposto del cram down fiscale, in www.ilcaso.it, 2 marzo 2021;  D. Giuffrida, A. Turchi, Cram down fiscale e voto negativo dell’amministrazione finanziaria: Tribunale di Forlì, 16 marzo 2021, in ilcaso.it; F. Santangeli, Note sul nuovo ruolo del tribunale come giurisdizione di merito nel trattamento dei crediti tributari e contributivi nel codice della crisi di impresa e dell’insolvenza ed in più recenti disposizioni legislative, 18 marzo 2021, in ilcaso.it; D. Giuffrida, A. Turchi, Diniego di transazione fiscale e cram down tra dottrina e giurisprudenza, in Diritto della crisi, maggio 2021.
[2] 
Trib. La Spezia del 14 gennaio 2021, in ilcaso.it, con note a commento di: A. Turchi, Cram down fiscale anche in caso di voto negativo dell’amministrazione finanziaria, 12 febbraio 2021, in ilcaso.it; L. Gambi, Il Tribunale di La Spezia applica il cram down al diniego erariale nel sovraindebitamento, il 17 febbraio 2021, in ilcaso.it; Trib. di Forlì del 15 marzo 2021, in ilcaso.it, con nota a commento di D. Giuffrida, A. Turchi, op. cit.; Trib. di Teramo del 19 aprile 2021, con nota a commento di S. Maurutto, A. Turchi, Cram down fiscale e voto negativo del fisco nel concordato fallimentare, 3 maggio 2021, in ilcaso.it; sul concordato fallimentare e l’applicazione analogica del cram down si veda anche Trib. La Spezia, del 25 novembre 2021, in Diritto della crisi; Trib. di Genova del 13 maggio 2021, in ilcaso.it; il Trib. di Pescara del 27 maggio 2021, in ilcaso.it, con nota di L. Gambi, Il cram down è applicabile anche al diniego erariale espresso, 17 giugno 2021, in ilcaso.it; Trib. di Roma del 31 maggio 2021; Trib. di Roma del 30 giugno 2021.
[3] 
Trib. di Teramo del 19 aprile 2021, in ilfallimentarista.it; in senso conforme si veda anche il Trib. di Pescara del 27 maggio 2021, in ilcaso.it.
[4] 
M. Monteleone, S. Pacchi, Il nuovo “cram down” del tribunale nella transazione fiscale, in www.ilcaso.it, febbraio 2021; L. De Bernardin, Brevi note a prima lettura sull’omologa dei piani di ristrutturazione con trattamento dei crediti tributari o contributivi, in www.ilcaso.it; R. Sgrò, I crediti tributari e contributivi nel concordato preventivo e negli accordi di ristrutturazione, in A. Danovi, G. Acciaro (a cura di)., Nuova transazione fiscale, Milano, marzo 2021.
[5] 
Tribunale di Bari del 18 gennaio 2021. 
[6] 
Tra i primi commentatori F. Greggio, M. Greggio, Much ado about nothing: il cram down fiscale dopo la novella del D.L. 118/21, in ilcaso.it, ottobre 2021.
[7] 
Sul funzionamento del disposto tempus regìt actum nel processo civile e in materia concorsuale si vedano tra le altre, Cass. n. 20811/2010; Cass. n. 2674/2012 e Cass. n. 13165/2016.
[8] 
F. Santangeli, Il D.L. 118/2021. Spunti per la conversione, in Diritto della crisi, settembre 2021.

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