Alla luce della natura giuridica e della funzione dell’accertamento con adesione e della conciliazione giudiziale, occorre dunque chiedersi se il credito tributario rideterminato mediante tali istituti possa considerarsi prededucibile ai sensi dell’art. 111, comma 2, l. fall. e, in particolare, se esso sia sorto “per effetto” di un atto legalmente compiuto dal debitore (quale è l’atto di accertamento con adesione o di conciliazione giudiziale sottoscritto con la previa approvazione del tribunale) ovvero sia da considerare “funzionale”.
A tal fine deve rilevarsi che la risposta al quesito di cui trattasi è certamente da ritenersi negativa, indipendentemente dalla natura giuridica dell’accertamento con adesione e della conciliazione giudiziale, nell’ipotesi in cui, tra gli orientamenti sopra richiamati circa l’obbligazione tributaria, si aderisca alla teoria dichiarativa.
Come sopra esposto, infatti, secondo detta teoria l’obbligazione tributaria sorge con il presupposto impositivo, che è stabilito dalla legge, e dunque ben prima dell’emissione dell’atto di accertamento che costituisce, secondo l’orientamento in commento, solo un atto con il quale viene definito il quantum di un’obbligazione già sorta.
Perciò, se a far nascere l’obbligazione tributaria è il presupposto impositivo, e non l’accertamento che viene emesso successivamente, va da sé che tanto meno può essere fonte dell’obbligazione tributaria la definizione della pretesa discendente dal predetto accertamento, con la quale, in un momento ancora successivo, viene rideterminato il quantum di quest’ultimo. Conseguentemente dovrebbe escludersi la natura prededucibile del relativo credito, discendendo esso da un’obbligazione preesistente addirittura all’accertamento.
Ciò posto, il tema della potenziale prededucibilità del credito tributario di cui trattasi si pone, invece, se si aderisce alla seconda tesi sulla genesi dell’obbligazione tributaria sopra richiamata (teoria costitutiva), in ragione della quale l’obbligazione tributaria sorge con l’accertamento. In tale ipotesi, al fine di accertare se l’obbligazione possa ritenersi sorta con l’adesione o con la conciliazione giudiziale, occorre considerare quanto è stato rappresentato nel sub-paragrafo che precede circa la natura giuridica dell’accertamento con adesione e della conciliazione giudiziale.
Non pare infatti che la prededucibilità del credito tributario possa derivare dalla natura dell’accertamento con adesione o della conciliazione giudiziale, posto che di per sé non incide sull’origine del presupposto impositivo, ma, semmai, solo sulla determinazione dell’obbligazione.
Infatti, anche nell’ipotesi in cui si aderisse alla teoria secondo la quale tali istituti avrebbero natura di accertamento partecipato e conseguentemente l’accordo assumerebbe la stessa natura dell’accertamento che viene da esso sostituito, non potrebbe attribuirsi natura transattiva alle obbligazioni discendenti dai suddetti istituti; conseguentemente dovrebbe ritenersi che il credito oggetto degli stessi sorga con l’accertamento e non “per effetto” dell’adesione o della conciliazione.
Occorre, tuttavia, chiedersi, in questo caso, se i crediti tributari, nascendo con l’accertamento ed essendo stati notificati i relativi atti nel corso della procedura, devono essere considerati solo per ciò stesso prededucibili. A questo interrogativo deve essere fornita risposta negativa.
Infatti, anche ove si ammettesse che dal punto di vista formale e procedimentale l’obbligazione tributaria pretesa con l’avviso di accertamento viene rimossa e sostituita in toto da quella convenuta nell’atto adesivo o conciliativo, non vi è dubbio che l’accordo raggiunto in tale sede (se e in quanto avente effettivamente natura transattiva) si sostanzia comunque nel riconoscimento, da parte del contribuente, della validità parziale dell’obbligazione tributaria originariamente contestata, venendone modificato e rideterminato concordemente solo l’ammontare: l’oggetto di questo tipo di accordo, in sostanza, è rappresentato dal quantum debeatur e non dalla “sostituzione integrale” del rapporto originario con un uno del tutto nuovo (se così non fosse, del resto, non si comprenderebbe la ragione della debenza degli interessi dovuti per il ritardato assolvimento dell’obbligazione tributaria).
Infine, come osservato dalla Corte di Cassazione con la sentenza 10 ottobre 2019, n. 25471, non pare seriamente discutibile che la locuzione “crediti di terzi eventualmente sorti per effetto degli atti legalmente compiuti dal debitore” “sia stata impiegata in senso rafforzativo della piena rispondenza dell’atto alla finalità gestoria coerente con la situazione patrimoniale”, essendo quindi richiesto “al giudice pur sempre di verificare che il debitore non abbia abusato del concordato preventivo, aumentando la sfera della prededuzione e, quindi, anche alterando la par condicio creditorum, poiché è assolutamente ovvio il danno che i creditori anteriori possono subire per effetto del depauperamento dell’attivo (e della correlata riduzione della garanzia patrimoniale) che deriva da una gestione preconcordataria produttiva di debiti prededucibili”. Al riguardo, relativamente alla prededucibilità dei crediti di gestione maturati nel corso di pregressa procedura di amministrazione controllata ammessa - per consolidata interpretazione giurisprudenziale - dall’art. 111 l. fall., la Corte costituzionale, con l’ordinanza 27 maggio 1995, n. 32, ebbe già modo di statuire che il riconoscimento di tale connotato “va all’evidenza a riequilibrare la condizione di maggior rischio contrattuale in cui tali crediti sono concessi e ad incentivarne così l’erogazione in funzione del positivo esito della procedura, nell’interesse di tutti i creditori”. Pertanto, i “crediti di terzi eventualmente sorti per effetto degli atti legalmente compiuti dal debitore”, cui è conferito il beneficio della prededuzione, devono presentare un aliquid novi rispetto alla situazione creditoria esistente al momento di apertura della procedura, ovverosia devono essere generati da un atto del debitore compiuto successivamente a tale momento in contropartita a una prestazione ricevuta con la finalità di preservare e salvaguardare il valore dell’attivo, Invece, con riguardo al caso di specie, non pare che (i) tale elemento di novità possa rinvenirsi nella sottoscrizione dell’atto adesivo o conciliativo in parte confermativo della pretesa tributaria discendente dall’avviso di accertamento, né (ii) la riduzione della pretesa impositiva accordata dall’Amministrazione finanziaria potrebbe legittimamente inquadrarsi come prestazione ricevuta (posto che l’unica “prestazione” resa dalle parti concretamente rinvenibile in sede di accertamento con adesione o di conciliazione giudiziale è data dalla reciproca rinuncia alla lite, di cui l’obbligazione tributaria ivi definita certamente non costituisce il corrispettivo).
Per i motivi sopra esposti si deve ritenere che, nonostante l’effetto novativo dell’accertamento con adesione e della conciliazione giudiziale, il credito tributario acquisisce riconoscimento legale nel momento della sottoscrizione dell’atto di adesione o di conciliazione limitatamente all’ammontare ivi confermato, ma non sorge in tale momento e deve quindi mantenere come tale il rango di credito concorsuale, giacché sorto anteriormente all’apertura della procedura concordataria. Questa conclusione sembra trovare concorde l’Agenzia delle Entrate la quale, nell’ambito della direttiva n. 66/2019, ha affermato che, in pendenza di concordato preventivo, nell’istruttoria avente ad oggetto la definizione tramite accertamento con adesione o conciliazione giudiziale l’ufficio:
1) deve tenere conto che il credito tributario così definito, “rientrando nel coacervo dei debiti concorsuali, potrebbe subire un’ulteriore falcidia in funzione della compromessa solvibilità del contribuente e potrebbe anche essere soddisfatto in un arco temporale più ampio rispetto a quello proprio dei suddetti istituti in funzione delle modalità di esecuzione del concordato”;
2) “ai fini della valutazione potrà rilevare anche che sia stato appostato un fondo rischi in bilancio o comunque sa stato disposto l’accantonamento delle somme necessarie a soddisfare nella misura proposta il credito che risulterà definitivamente determinato a conclusione del contenzioso”.
Questa considerazione consente di escludere la natura prededucibile del credito tributario, di cui trattasi anche sulla base del disposto dell’art. 161, comma 7, l. fall., ai sensi del quale sono prededucibili i crediti di terzi eventualmente sorti per effetto di atti legalmente compiuti dal debitore dopo il deposito del ricorso di cui al precedente comma 6, posto che tale credito non sorge per effetto della conciliazione, che ne produce solo la rideterminazione, dalla quale per di più discende una riduzione della pretesa originaria.
In conclusione, all’onere discendente dall’eventuale sottoscrizione di un eventuale atto di accertamento con adesione o di conciliazione giudiziale non pare potersi attribuire natura prededucibile, per i seguenti motivi:
a) perché esso sorge, secondo l’orientamento preferibile, anteriormente all’apertura della procedura concordataria:
b) perché un debito tributario non può assumere natura diversa a seconda che il suo ammontare venga definito mediante l’accertamento con adesione o la conciliazione giudiziale ovvero mediante la proposta prevista dall’art. 182-ter l. fall. (nel qual caso è pacifico che si tratterebbe di un credito concorsuale e non prededucibile) ovvero, ancora, per effetto della pronuncia del Giudice tributario (nel qual caso si tratterebbe analogamente e pacificamente di un credito concorsuale e non prededucibile);
c) perché, come ha affermato la Corte di Cassazione, ai fini dell’individuazione dei crediti di massa “il profilo determinante non è costituito dall’elemento temporale, ma da quello funzionale, e cioè dal loro riferimento a costi assunti nell’interesse dei creditori concorsuali per il conseguimento degli scopi dell’esecuzione collettiva, restando necessariamente esclusi da tale nozione i crediti, pur fatti valere nei confronti del fallimento, che non siano sorti in occasione e per le finalità della procedura, ma siano geneticamente riconducigli all’attività del fallito”[24].