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Commento

Il trattamento dei crediti fiscali e contributivi ex art. 182 ter L. fall. (c.d. “transazione fiscale”) alla luce delle Sezioni Unite n. 8504 del 2021

Giuliano Buffelli e Federico Clemente, Dottori Commercialisti in Bergamo

6 Maggio 2021

Visualizza: Cass., Sez. Un., 25 marzo 2021, n. 8504, Pres. Di Iasi, Est. Manzon

La Suprema Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con ordinanza n. 8504 del 25/03/2021, è intervenuta su una tematica di rilievo quale è quella, nell’attuale contesto, della cd. transazione fiscale e contributiva. 
I punti di particolare interesse, che verranno nel presente studio indagati, riguardano:
- l’applicazione in via ermeneutica della novella introdotta dal D.L. 125/2020 agli articoli 180 e 182 bis L. fall., posta la sussistenza di continuità tra le disposizioni; 
- l’individuazione del Tribunale fallimentare cui compete la giurisdizione in caso di contestazioni a seguito mancata o negata decisione da parte dell’Agenzia delle Entrate e degli enti previdenziali; 
- la possibilità di sindacato sul voto negativo di detti Enti da parte del Tribunale fallimentare. 
Riproduzione riservata
1 . Premessa
L’iter inerente il “trattamento dei crediti tributari e contributivi” nell’ambito delle procedure di concordato preventivo e negli accordi di ristrutturazione è da tempo oggetto di analisi, contrasti interpretativi, pronunce giurisprudenziali, e anche negli ultimi tempi ha conosciuto significativi interventi normativi che ne hanno modificato il contenuto.
Da ultimo, è intervenuto il D.L. 7 ottobre 2020, n. 125 (convertito nella L. 27 novembre 2020, n. 159), che ha apportato in particolare le seguenti modifiche:
A) quanto al concordato preventivo, inserimento all’articolo 180, comma 5 L. fall. del seguente periodo:
Il Tribunale omologa il concordato preventivo anche in mancanza di voto da parte dell’amministrazione finanziaria o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie quando l’adesione è determinante ai fini del raggiungimento delle maggioranze di cui all’articolo 177 e quando, anche sulla base delle risultanze della relazione del professionista di cui all’articolo 161, terzo comma, la proposta di soddisfacimento della predetta amministrazione o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie è conveniente rispetto all’alternativa liquidatoria”;
B) quanto agli accordi di ristrutturazione, inserimento all’articolo 182-bis, comma 4 L. fall. del seguente periodo:
Il Tribunale omologa l’accordo anche in mancanza di adesione da parte dell’amministrazione finanziaria o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie quando l’adesione è decisiva ai fini del raggiungimento della percentuale di cui al primo comma e quando, anche sulla base delle risultanze della relazione del professionista di cui al medesimo comma, la proposta di soddisfacimento della predetta amministrazione o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie è conveniente rispetto all’alternativa liquidatoria”.
Le modifiche normative, tra l’altro, hanno riaperto il tema della possibile impugnazione del voto negativo degli Enti interessati dalla proposta di definizione dei debiti tributari contributivi[1].
2 . Lo status quo ante
Anche prima delle novità apportate dal D.L. n. 125/20 vi era ampio dibattito circa la possibile tutela giurisdizionale a fronte di un provvedimento negativo da parte degli Enti alla relativa proposta di definizione.
La tematica si era sviluppata attraverso una serie di faticosi contributi dottrinali e giurisprudenziali.
Da un lato, si è registrata la posizione della Agenzia delle Entrate[2], arroccata sulla non impugnabilità dell’assenso o del diniego alla proposta di transazione, nell'assunto che "gli eventuali creditori dissenzienti e qualsiasi interessato possono partecipare all’udienza, fissata per il giudizio di omologazione ai sensi dell’articolo 180 della L. fall., e già in tale sede possono proporre eventuali opposizioni all’omologa del concordato stesso, incluse eccezioni aventi ad oggetto la legittimità del voto espresso dall’Agenzia delle Entrate o dall’Agente della riscossione a norma dell'art. 182-ter". In ipotesi di fallimento a seguito di mancato raggiungimento della maggioranza, secondo l’Agenzia “il debitore e gli altri creditori potranno tutelare la propria posizione mediante la proposizione del reclamo di cui all’articolo 18 della L. fall.”.
Sul fronte della non impugnabilità, sono stati portati anche argomenti correlati alla natura privatistica degli istituti, alla intangibilità delle scelte del creditore, alla possibile disparità di trattamento tra gli enti (la cui posizione sarebbe impugnabile) da quella degli altri creditori (la cui volontà sarebbe esente da censure).
La dottrina maggioritaria, di converso, si è espressa per l’impugnativa del “voto” degli enti, ancorché nella forma del silenzio, con un articolato dibattito circa la competenza tra Giudice ordinario, amministrativo e tributario.
A favore dell'impugnabilità avanti al Giudice tributario si è ritenuto che il diniego alla transazione potesse essere ricompreso tra gli atti lesivi degli interessi del contribuente[3].
In questo indirizzo si è osservato altresì[4] che "il riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo deve essere attratto sulla base del generale criterio di riparto fondato sulla natura della situazione soggettiva azionata" (giudice ordinario per un diritto soggettivo perfetto, giudice amministrativo per una situazione di interesse legittimo), mentre "se l'atto impugnato è finalizzato all’accertamento del rapporto di imposta… è sottoposto alla giurisdizione delle Commissioni tributarie”.
A volgere decisamente verso la competenza del Giudice tributario è intervenuta la Suprema Corte di Cassazione[5] che, in tema di rigetto di istanza di transazione fiscale ex art. 3 D.L. 138/2002, ha ritenuto devolvibili alla giurisdizione tributaria “le vertenze sul concreto rapporto fiscale”[6].
Quanto alla necessità di motivazione dei provvedimenti degli Enti, in dottrina[7] si è affermato che “non può trattarsi di valutazioni arbitrarie, del tutto avulse da criteri oggettivi e rispondenti a legalità…”. Da qui, l’asserita “ricorribilità giurisdizionale di un eventuale diniego di transazione”.
È stato altresì sostenuto come sia “da escludere che, verificata la convenienza della proposta per l’erario e non sussistendo la possibilità di una alternativa ad essa preferibile, ne sia consentita la reiezione, cui conseguirebbe un danno per le pubbliche finanze, in violazione del principio del buon andamento della Pubblica amministrazione stabilito dall’articolo 97 della Costituzione. Qualora l’Agenzia non applichi tale principio, può provvedervi il Giudice tributario a seguito dell’impugnazione del rigetto della proposta espresso dal Fisco”[8].
3 . Le nuove disposizioni
Ad innestarsi in questo percorso interpretativo è intervenuto il richiamato decreto-legge n. 125/20 (convertito), che ha nuovamente portato ad attualità il tema del voto negativo degli Enti alla proposta di definizione dei debiti erariali e contributivi in sede di concordato preventivo e accordi di ristrutturazione.
Da un lato, è stato espressamente previsto il possibile intervento del Tribunale fallimentare in via sostitutiva alla amministrazione finanziaria e agli Enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie. 
Tuttavia, la terminologia utilizzata, che si riferisce alla “mancanza di voto” nel concordato e alla “mancanza di adesione” nell’accordo di ristrutturazione, appare in prima battuta restringere di nuovo il campo, escludendo in via letterale l’intervento del Tribunale nella differente ipotesi in cui gli Enti abbiano espressamente respinto la proposta.
4 . Le prime interpretazioni
Il dettato normativo non ha dunque favorito il delinearsi di un indirizzo univoco, prestandosi a interpretazioni contrastanti.
Un orientamento interpretativo del dato letterale della disposizione di legge porta a ritenere che il sindacato del Tribunale sia da riservarsi solo alla circostanza di una mancata presa di posizione degli Enti.
Si è al riguardo affermato[9] come “l’intervento suppletivo del Tribunale troverebbe una sua plausibile giustificazione di fronte all’inerzia del creditore, ma non, di certo, in presenza di una manifestazione di voto negativa, laddove il creditore ha effettuato suo apprezzamento… Se così non fosse, si arriverebbe ad ipotizzare una sorta di <ammissione d’ufficio> della proposta concordataria, seppur priva del requisito del raggiungimento della maggioranza”.
È altresì stata ritenuta incompatibile[10] una applicazione estensiva della norma con le previsioni della direttiva UE 2019/1023 del 20 giugno 2019 in tema di omologa di piani di ristrutturazione. L’autrice richiama anche una possibile incompatibilità dell’interpretazione estensiva con i principi di separazione dei poteri, ritenendo in definitiva che sia possibile per il Tribunale “omologare a fronte di silenzio serbato dagli enti impositori e non anche nell’ipotesi di dissenso espresso.”
D’altro canto, come gli scriventi hanno avuto modo di commentare su questo portale[11], si ritiene che l’attuale normativa sia nata a fronte di un generalizzato atteggiamento silente da parte degli Enti, i quali a fronte di proposte contenenti lo stralcio delle proprie posizioni creditorie ex art 182-ter si limitavano a non prendere posizione. La mancanza di voto espresso, peraltro, equivarrebbe nella normativa concorsuale al voto negativo, con ovvie possibili conseguenze circa il raggiungimento delle maggioranze prescritte.
Di converso, si è voluto conservare il percorso dottrinale e giurisprudenziale già compiuto in termini di impugnabilità del diniego espresso, ancorché avanti al Giudice tributario.
In questo indirizzo, è stato affermato[12] che la ratio della norma va cercata “in un duplice scopo: quello di evitare che il fisco e gli enti previdenziali continuassero a impiegare tempi irragionevoli per pronunciarsi sulla proposta di transazione loro formulate e quello di impedire che alcune proposte vengano rigettate sebbene siano convenienti per l’erario, semplicemente perché prevedono un soddisfacimento troppo limitato dei crediti fiscali e contributivi”. L’autore osserva, tra l’altro, che “le disposizioni introdotte dalla legge 159/2020 perseguono anche un altro, non meno importante, fine, che è quello di assicurare alle imprese debitrici una reale tutela giurisdizionale contro i provvedimenti di rigetto della proposta di transazione emessi… in contrasto con i principi affermati dall’articolo 182-ter L. fall. … L’approvazione di una proposta di transazione conforme alle previsioni del citato art 182-ter, che sia conveniente per l’Erario, costituisce per la Pubblica amministrazione un obbligo, la cui violazione non può rimanere priva di rilievo”.
Dal punto di vista della ratio, con altra visuale è stato affermato[13] che “il cram down ha lo scopo non tanto di indurre il creditore pubblico d’esprimersi… quanto piuttosto di evitare immotivate resistenze alla soluzione conciliativa, ove la stessa sia più conveniente rispetto al fallimento”, secondo la terminologia richiamata dalla stessa Relazione illustrativa al Codice della Crisi, a commento dell’articolo 48, cosicché “limitare l’esercizio della deroga alla sola inerzia del creditore pubblico (convertendo il silenzio, da rifiuto ad adesione), comprimerebbe oltre misura la ratio della norma che - almeno nel dichiarato intento del legislatore – è quella di mitigare gli effetti economici della pandemia privilegiando, in base alle valutazioni del Tribunale fallimentare (in base alle risultanze dell’esperto indipendente), le soluzioni concordate in funzione di continuità rispetto alla alternativa liquidatoria (id est, fallimento)”.
5 . La competenza del Tribunale fallimentare
In questo quadro, interviene con l’Ordinanza in commento la Corte di Cassazione a Sezioni Unite[14], ancorché con riferimento ad un procedimento relativo alla formazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti la cui istanza è stata presentata il 27 luglio 2018.
Il primo passaggio della Corte è quindi volto a valutare l’applicabilità della normativa in vigore dal 2020 a procedure instauratesi precedentemente.
L’Organo giudicante, dopo avere ripercorso l’evoluzione della normativa correlata al trattamento dei debiti tributari e previdenziali, ha ritenuto che “non può farsi applicazione del D.Lgs. n. 14 del 2019, né risulta applicabile la versione della legge fallimentare introdotta dal D.L. 125 del 2020”.
La Corte ha pertanto valutato sussistere una continuità tra le disposizioni applicabili con riferimento al 2018 e quelle novellate.
In particolare, l’inserimento della transazione fiscale all’interno della disciplina generale delle procedure concorsuali e la previsione della sua obbligatorietà ha comportato “un significato di prevalenza della ratio concorsuale su quella fiscale… nel senso che questo <incidente tributario> è essenzialmente finalizzato alla definizione concordataria o di ristrutturazione debitoria della crisi d’impresa, secondo le regole procedurali…”.
Rilevatasi la continuità tra la disciplina previgente e quella di cui al D.L. 125/20, quest’ultima “può essere utilmente impiegata come elemento di valutazione ermeneutica della prima, il che ai fini della risoluzione della questione di giurisdizione… assume particolare rilevanza”.
Posto il collegamento di continuità tra le discipline, il Giudice di legittimità riprende le novità introdotte dal D.L. 125/20, con particolare riguardo all’intervento del Tribunale ai fini della omologazione degli accordi o del concordato in mancanza di adesione degli Enti competenti.
Secondo la Corte, “questa scelta normativa indirizza in modo marcato la mancata adesione alla proposta di transazione… verso la competenza giurisdizionale del Tribunale fallimentare… In sintesi, con la scelta in questione, il legislatore della riforma ha incastonato la transazione fiscale con maggior chiarezza nel campo del diritto fallimentare, ancorché ne siano evidenti i riflessi di diritto tributario”.
Si ha dunque un completo sovvertimento di tutte le considerazioni a supporto della competenza del giudice tributario, con un revirement anche rispetto alle posizioni espresse dalla stessa Suprema Corte e dal Consiglio di Stato nel 2016.
Tale cambio di indirizzo in punto di Giudice competente non si articola, come in precedenza, su analisi correlate al diritto tutelato, ma poggia esclusivamente sulla scelta della norma novellata, che si affida alla valutazione del Giudice fallimentare.
6 . L’impugnabilità del diniego
Fissato il tema della competenza del Giudice a favore del Tribunale fallimentare, la Corte nell’Ordinanza a Sezioni Unite del 25/03/2021 analizza il tema della impugnativa di un diniego da parte degli Enti, ancorché non strettamente oggetto del contenzioso che è stata chiamata a dirimere.
Alla luce delle considerazioni già espresse, appare problematico andare oltre al dato letterale della novella come riformata, nell’indirizzo di assegnare al Tribunale un potere di omologazione della procedura anche in presenza di voto espressamente negativo degli Enti, ove determinante per il raggiungimento della percentuale di legge.
In procedure quali quelle in esame, caratterizzate dal principio dell’adesione, il percorso volto a non considerare un voto negativo è certamente complesso, come già sviluppato da dottrina e giurisprudenza, e si complica con la fonte normativa novellante di cui al D.L. 125/20, tale da sparigliare nuovamente il faticoso allineamento cui si era pervenuti.
D’altro canto, come confermato dall’Agenzia delle Entrate con la circolare 34/E/2020, il diniego deve essere frutto di una analisi articolata e come tale essere ampiamente motivato, cosicché l’intervento del Tribunale andrebbe a sostituirsi non solo ad una assenza di giudizio, ma anche ad un giudizio contrario e ponderato.
In questo quadro, interviene con l’ordinanza n. 8504 la Suprema Corte a Sezioni Unite, e pare aprire anche nel testo di legge riformato alla possibilità di un sindacato sul voto negativo degli Enti coinvolti ex art 182-ter, ai fini dell’approvazione della procedura proposta, riportandolo altresì nell’ambito delle competenze del Tribunale fallimentare.
Infatti, secondo il Giudice di legittimità:
- le regole della transazione fiscale sono essenzialmente finalizzate “alla definizione concordataria o di ristrutturazione debitoria della crisi d’impresa, secondo le regole procedurali dettate per tali procedure concorsuali e di quelle più specifiche di cui alla L. fall., art. 182-ter”;
- la scelta normativa “indirizza in modo marcato la questione della mancata adesione alla proposta di transazione da parte dell’agenzia fiscale verso la competenza giurisdizionale di merito del Tribunale fallimentare, collocando… più chiaramente l’Istituto de quo all’interno delle procedure concorsuali ed alle loro, peculiari, finalità”;
- la ratio legis della disciplina va individuata “non nell’interesse fiscale che è <la causa prima> dell’obbligazione tributaria, del quale si controverte nelle liti tributarie <comuni>, bensì nell’interesse concorsuale che è invece la <ragione fondativa> delle procedure concordatarie assimilabili, sempre più mirate alla conservazione del <bene impresa>.
Su questo impianto, la Corte conclude in via risolutiva che “l’ampia discrezionalità riconosciuta all’amministrazione finanziaria nello stipulare accordi transattivi concorsuali è in questo senso palesemente finalizzata, sia pure in considerazione del miglior soddisfacimento possibile del suo interesse proprio, ed è appunto bilanciata dal sindacato giudiziale sul diniego di accettazione della proposta transattiva, dalla normativa attualmente vigente, chiaramente, assegnato al giudice ordinario fallimentare”.
In altri termini, il giudice di legittimità valorizza anche in questo ambito la centralità delle procedure di concordato e degli accordi e le relative finalità. A queste finalità, conseguentemente, riporta anche il voto degli Enti interessati dalla transazione.
Da qui, alla luce degli interventi di cui al D.L. 125/20, la Corte pare ritenere pacifica la possibilità di impugnare sia il silenzio che il diniego espresso degli Enti, affidando il giudizio come riferito al Tribunale fallimentare, e quindi nella stessa sede della procedura di ristrutturazione[15].
Il percorso di analisi, nonostante le modifiche normative intervenute a fine 2020, pare confermare l’indirizzo volto all’impugnabilità della scelta degli Enti, sia in termini di silenzio che di diniego espresso, solo riportandone la giurisdizione avanti al Tribunale fallimentare anziché al Giudice tributario.
Permangono certo contrasti interpretativi al riguardo, tenuto conto dei principi cardine dei due istituti che, già nelle loro denominazioni, ossia concordato e accordo, presuppongono un incontro della volontà delle parti.
Inoltre, si pongono su due piani totalmente diversi le espressioni di volontà degli Enti di cui all’articolo 182-ter con quelle di tutti gli altri creditori, la cui espressione di giudizio resterebbe insindacabile, ancorché negativa e determinante per l’approvazione della procedura. 
Vi è poi un tema circa i profili di impugnabilità.
Quanto alle motivazioni che possono supportare una impugnativa, anche alla luce di quanto esposto ad avviso di chi scrive si possono sinteticamente annoverare:
- la mancanza di motivazione, ovvero una motivazione incoerente, contraddittoria, apparente;
- l’errata applicazione dei criteri previsti dall’articolo 182-ter (maggior soddisfacimento, divieto di trattamento deteriore dei crediti);
- la violazione di legge per motivi che eccedono quelli previsti dall’articolo 182-ter;
- l’errato esame dell’attivo, ai fini delle valutazioni di convenienza;
- l’errata interpretazione.
7 . Conclusioni
La ristrutturazione dei debiti tributari e previdenziali, dapprima in sede civile e poi in ambito concorsuale, ha da sempre conosciuto un cammino articolato.
Anche gli interventi affidati al D.L. 125/20, certamente validi e opportuni, come evidenziato nella sintetica panoramica tracciata si sono appoggiati su un terreno friabile e non hanno mancato di sollevare nuovi temi.
L’intervento della Suprema Corte a Sezioni Unite, perentorio e particolarmente tempestivo, ha il pregio di offrire una linea interpretativa nitida.
A questo si accosta l’altrettanto chiara e tempestiva presa di posizione della Agenzia delle Entrate con la circolare 34/E/2020.
Con queste premesse, si ha motivo di confidare in un utilizzo più ampio, stabile e consapevole dell’istituto della definizione dei debiti tributari e previdenziali di cui all’articolo 182-ter della legge fallimentare nello spirito della riforma che, si rammenta, ha quale obiettivo quello di cercare di recuperare il bene impresa al tessuto economico.

Note:

[1] 
che, per prassi, potrà ancora essere richiamata come transazione, per quanto il riferimento va dal "trattamento dei debiti tributari e contributivi" .
[2] 
Agenzia delle Entrate, circolare n. 19/E del 6 maggio 2015. 
[3] 
cfr. Bogoni e Artuso, Criticità tributarie nel concordato preventivo (II), in ilfallimentarista.it, 3 giugno 2019. 
[4] 
Capolupo, Dubbi sulla impugnabilità del diniego nella transazione fiscale, in Il fisco, 2019, pagina 2534 e ss. 
[5] 
Cass., sez. un., 14 dicembre 2016 n. 25632. 
[6] 
di questo indirizzo anche il Consiglio di Stato, 14 luglio 2016, n. 4021. 
[7] 
Attardi, Transazione fiscale: questioni procedurali, effetti sui crediti e sulla tutela giurisdizionale, in Il fisco, 2016, pag. 4448 e ss.
[8] 
Andreani, Transazione fiscale nel concordato: effetti (e impugnabilità) del voto delle Entrate, in Ipsoa Quotidiano, 29 giugno 2020.
[9] 
Monteleone e Pacchi, Il nuovo cram down del Tribunale nella transazione fiscale, in ilcaso.it, 9 febbraio 2021. 
[10] 
De Bernardin, Brevi note a prima lettura sull'omologa dei piani di ristrutturazione con trattamento dei crediti tributari e contributivi, in ilcaso.it, 2 gennaio 2021. 
[11] 
La cd. “transazione fiscale” dalla facoltatività alla obbligatorietà: riflessioni operative in tema di obbligatorietà attenuata, in dirittodellacrisi.it. 
[12] 
Andreani, Il voto espressamente negativo come presupposto del cram down fiscale, in ilcaso.it, 3 marzo 2021. 
[13] 
Gambi, Alcune note sul nuovo cram down nella transazione fiscale e contributiva, in ilcaso.it, 13 gennaio 2021. 
[14] 
Cassazione, sez. un., ordinanza n. 8504 del 25 marzo 2021. 
[15] 
Per completezza di esposizione si ritiene peraltro disposizione Cass. Sez. 6, 17 dicembre 2020, n. 28895, secondo cui “La votazione contraria da parte dell’amministrazione non impedisce l’omologazione del concordato se è comunque raggiunta la prescritta maggioranza; ma non consente affatto di relegare il voto nel novero dei provvedimenti amministrativi, così da disapplicarlo (ove decisivo) in base a un sindacato sostanziale di convenienza”.

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