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La composizione negoziata e la direttiva Insolvency: prime note*

Rolandino Guido Guidotti, Associato di diritto commerciale nell'Università di Bologna

2 Febbraio 2022

*Il lavoro trae origine dall’intervento tenuto in data 26 gennaio 2022 presso la Scuola Superiore della Magistratura nella sessione dedicata ai rapporti tra la Direttiva, il Codice delle Crisi e la Composizione Negoziata a chiusura del corso dedicato a quest’ultimo istituto; il contributo è destinato ad essere pubblicato, in versione solo parzialmente diversa, anche nei Quaderni della Scuola Superiore della Magistratura e su rivista in versione ampliata.
L'Autore riflette sul rapporto fra la composizione negoziata della crisi e i suoi istituti complementari, ivi compreso il concordato semplificato, nel contesto unionale contrassegnato dall'incidenza della Direttiva Insolvency.
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1 . Il contesto di riferimento
Ponendosi dal punto di vista del diritto nazionale si può dire che l’art. 1 della l. delega 19 ottobre 2017, n. 155, dava mandato al legislatore di tener conto della normativa dell’Unione Europea ed in particolare della raccomandazione n. 2014/135/UE, del regolamento Ue 2015/848, nonché dei principi della model law elaborati in materia di insolvenza dalla Commissione delle Nazioni Unite per il diritto commerciale internazionale (Uncitral).
Già il Considerando n. 1) della raccomandazione sopra citata indicava tra le finalità quella della ristrutturazione preventiva delle imprese sane per consentire loro di rimanere in attività e tutelare i posti di lavoro, consentendo al contempo ai creditori di recuperare il più possibile dal loro investimento; testualmente, si diceva, che obiettivo della raccomandazione «è garantire alle imprese sane in difficoltà finanziaria, ovunque siano stabilite nell’Unione, l’accesso a un quadro nazionale in materia di insolvenza che permetta loro di ristrutturarsi in una fase precoce in modo da evitare l’insolvenza, massimizzandone pertanto il valore totale per creditori, dipendenti, proprietari e per l’economia in generale» [1].
La direttiva vuole a sua volta - Considerando n. 1) - garantire alle imprese ed agli imprenditori sani che sono in difficoltà finanziaria la possibilità di accedere a quadri nazionali efficaci in materia di ristrutturazione preventiva che consentano loro di continuare ad operare. La direttiva è altrettanto esplicita dove afferma, nel Considerando n. 22), che «[q]uanto prima un debitore è in grado di individuare le proprie difficoltà finanziarie e prendere le misure opportune, tanto maggiore è la probabilità che eviti un'insolvenza imminente o, nel caso di un'impresa la cui sostenibilità economica è definitivamente compromessa, tanto più ordinato ed efficace sarà il processo di liquidazione». Non sembrano però rilevare solo le difficoltà finanziarie perché successivamente, nel Considerando n. 28), apre anche a difficoltà dell’impresa di tipo diverso (industriale e patrimoniale, ad esempio) «purché tali difficoltà comportino una reale grave minaccia per la capacità effettiva o futura del debitore di pagare i debiti in scadenza».
È già stato osservato correttamente che gli obiettivi della raccomandazione erano, nella sostanza, quelli che poi saranno anche della direttiva (UE) 2019/1023, del 20 giugno 2019 (Insolvency), con la quale in questa sede è messa in relazione la disciplina della composizione negoziata della crisi d’impresa introdotta nel nostro ordinamento dal d.l. 24 agosto 2021, n. 118 [2].
La direttiva sui quadri di ristrutturazione preventiva vuole rafforzare la prevenzione del recupero dell’impresa in crisi [3], non è dubbio quindi che il d.l. 118/2021, e poi la legge di conversione, siano concettualmente in perfetta armonia con gli scopi della della direttiva stessa.
Non pare però corretto impostare il ragionamento del confronto tra la direttiva e la disciplina della composizione negoziata in termini di eventuali contrasti tra la normativa nazionale e quella dell’unione, e tanto quantomeno per due ragioni.
La prima, e più banale, è che per il nostro Paese le disposizioni della direttiva Insolvency devono essere recepite entro il termine del 17 luglio 2022, prorogato su richiesta inoltrata alla Commissione europea ai sensi dell’art. 34, § 2, della medesima direttiva, come previsto dalla l. 22 aprile 2021, n. 53 (legge di delegazione europea 2019/202).
La seconda è che è da condividere l’opinione secondo la quale la direttiva non impone che tutti gli istituti con i quali i diritti nazionali vogliono risolvere la crisi siano conformi la suo contenuto, ma solo che alcuni degli strumenti nazionali, a valle, lo siano; è, in altre parole, sufficiente che si possa identificare un itinerario che permetta all’imprenditore di beneficiare del contenuto della direttiva [4].
Ammesso, e non concesso, che ci siano dei punti di contrasto, il 17 luglio 2022, questo non esporrebbe necessariamente il nostro Paese ad una procedura di infrazione ai sensi dell’art. 258 del Trattato dell’Unione Europea.
Per capire realmente se la nostra disciplina nazionale è allineata con quella dell’Unione bisogna quindi immaginare una sorta di partita a scacchi tra le due discipline e vedere se, a fronte di una “mossa” della direttiva, il diritto nazionale sia in grado, o meno, di prevedere una “contromossa”, oppure entri in una situazione di stallo (che non permetta una “via di fuga” che rispetti di principi della direttiva); solo in quest’ultimo caso si verificherà una situazione di infrazione.
Il tutto con riferimento, tra l’altro, al concetto di ristrutturazione così come definito dalla direttiva stessa: «la modifica della composizione, delle condizioni o della struttura delle attività e delle passività del debitore o di qualsiasi altra parte della struttura del capitale del debitore, quali la vendita di attività o parti dell'impresa, e, se previsto dal diritto nazionale, la vendita dell'impresa in regime di continuità aziendale, come pure eventuali cambiamenti operativi necessari, o una combinazione di questi elementi»: art. 2, lett. a).
Non si affronterà in questa sede il tema relativo al fatto se la composizione negoziata abbia caratteristiche che permettano, per qualche aspetto (si pensi all’obbligo del collegio sindacale di cui all’art. 15, ma anche alle disposizioni di cui all’art. 30 sexies, d.l. 6 novembre 2021, 152, così come convertito dalla l. 29 dicembre 2021, n. 233), di sussumerla tecnicamente tra gli early warning tools [5], come pare si possa ipotizzare per alcuni aspetti.
Altro tema è se la stessa possa essere ascritta tecnicamente tra preventive restructuring frameworks [6]; ai sensi dell’art. 4 della direttiva per tali intendendosi quei “quadri” ai quali il debitore ha accesso e che gli devono consentire la ristrutturazione, al fine di impedire l’insolvenza, così da poter tutelare i posti di lavoro e preservare l’attività imprenditoriale.
Nei prossimi mesi dovrà essere modificato il Codice della Crisi per adeguarlo alla contingenza pandemica e alla direttiva stessa, per quanto si dirà nel seguito tale operazione di per sé non pare necessaria con riferimento alla composizione negoziata per contrasti / incompatibilità con la direttiva [7].
2 . Le indicazioni della Relazione illustrativa al decreto legge
È forse opportuno prima di ogni altra cosa ripercorrere quanto la Commissione “Pagni” [8] indica, essa stessa, del rapporto tra il decreto in esame e la direttiva.
Innanzi tutto in detto documento si dice espressamente [9] che «[i]n ossequio alle indicazioni provenienti dalla direttiva (UE) 2019/1023, è prevista una procedura di informazione e consultazione sindacale, che si aggiunge a quelle già previste e disciplinate dall’ordinamento, da attivare ogni qual volta l’imprenditore intenda adottare determinazioni rilevanti che incidono sui rapporti di lavoro di una pluralità di lavoratori, anche solo per quanto riguarda l'organizzazione del lavoro o le modalità di svolgimento delle prestazioni».
La conformità con la direttiva è da individuare, tra l’altro, con i Considerando n. 60) ss. e con l’art. 13 della direttiva. Da notare che l’art. 6, comma 3, d.l. 118/2021, stabilisce che sono esclusi dalle misure protettive i diritti di credito dei lavoratori, così come vuole appunto l’art. 6, § 5, di quest’ultima.
Ancora nella Relazione si fa espresso riferimento al contenuto della direttiva in relazione alle misure protettive e cautelari [10] quando si afferma che con il ricorso l’imprenditore può chiedere la conferma delle misure protettive e la loro modifica, potendo dette misure essere circoscritte a determinate azioni oppure a specifici creditori, ma anche l’adozione dei provvedimenti cautelari, anche limitandone nel tempo l’efficacia, che ritiene necessari per il buon esito delle trattative: la «loro caratteristica principale è quella della celerità (…) posto che si tratta di procedimenti che si inseriscono, condizionandolo, all’interno di un percorso negoziale della durata massima di centottanta giorni».
Le misure protettive e cautelari, per come concepite e disciplinate, sono conformi alle prescrizioni contenute nella direttiva: sia perché non possono riguardare i diritti dei lavoratori, di cui si è detto sopra; sia per la durata, minima e massima, entro la quale possono essere efficaci; sia per il costante collegamento che deve esserci tra la singola misura e lo stato delle trattative, la perseguibilità del risanamento e gli interessi dei creditori; sia, infine, rispetto alla disciplina dettata per le fasi di proroga, modifica e revoca; sia perché hanno effetto anche sulle istanze di fallimento (che possono essere presentante durante il percorso, ma che non possono condurre alla dichiarazione di fallimento).
Si noti con riferimento a quest’ultimo profilo che le misure protettive comprendono il divieto di pronuncia della sentenza dichiarativa di fallimento o di accertamento dello stato di insolvenza, nei casi in cui la legge prevede tale pronuncia in alternativa al fallimento, come, ad esempio, nel caso dell’amministrazione straordinaria. Il divieto non riguarda la proposizione del ricorso per la dichiarazione di fallimento, che di per sé pertanto non è improcedibile, ma la pronuncia della sentenza. Nel dettare il nuovo divieto il legislatore si è rifatto all’art. 7, § 2, della dir. n. 1023/2019 [11].
 La scelta del decreto appare coerente con il fatto che come «in ogni procedimento di ricerca veloce della soluzione migliore per soddisfare interessi contrapposti, durante la trattativa per giungere alla composizione, il non essere oggetto da parte del proponente di azioni di disturbo, sotto forma di iniziative esecutive o cautelari dei suoi creditori è estremamente utile, se non indispensabile» [12].
Così come l’impianto è coerente alla disposizione della direttiva dove – art. 4, § 6, – afferma che «[g]li stati membri possono prevedere disposizioni che limitino la partecipazione dell’autorità giudiziaria o amministrativa ad un quadro di ristrutturazione preventiva ai casi in cui è necessaria e proporzionata, garantendo nel contempo la salvaguardia dei diritti delle parti interessate e dei pertinenti portatori di interessi».
Quindi non v’è nessun contrasto con la direttiva sotto questo profilo, ma soprattutto non c’è nessun ridimensionamento del ruolo dell’autorità giudiziaria, che viene chiamata ad operare quando ve ne è realmente necessità.
E nella prima fase dell’utilizzo della “nuova cassetta degli attrezzi” nazionale è difficile immaginare che delle misure protettive e cautelari si possa fare a meno [13]; oggi per molte imprese siamo di fronte ad una crisi già in atto e quindi in un contesto completamente diverso da quello nel quale si era pensata, lo dico a titolo di esempio, l’allerta, e anche in un contesto completamente diverso a quello si può pensare possa operare la composizione negoziata in futuro [14].
3 . Il profilo oggettivo: crisi e insolvenza
Non v’è dubbio che la composizione negoziata tenda ad anticipare temporalmente le soluzioni di risanamento e se le stesse non sono possibili in forma diretta, prevede anche la possibilità di alienazione dell’azienda funzionante, cioè in continuità, ben prima di quanto fosse previsto all’interno delle procedure concorsuali tradizionali di cui non fa parte, ma solo quando siano presenti prospettive concrete di risanamento [15]. 
La direttiva distingue fra imprese risanabili, non solo per difficoltà finanziarie, che possono accedere a quadri nazionali efficaci in materia di ristrutturazione preventiva e quelle non risanabili che, invece, debbono essere, celermente anche esse, avviate alla procedura liquidatoria concorsuale.
Sotto questo profilo non sembrano esservi disallineamenti tra le due discipline che però possono rinvenirsi ove si guardi l’argomento sotto un diverso profilo, ovvero quel momento di accesso al percorso.
È da ritenere infatti che alla composizione negoziata possano accedere anche le imprese in conclamato stato di insolvenza. Il fatto che lo strumento della composizione negoziata della crisi sia utilizzabile anche per i casi di insolvenza non è reso solo evidente dalla norma (art. 6, comma 4°) dove dispone gli effetti sospensivi sulla dichiarazione di fallimento (che ovviamente l’insolvenza presuppone logicamente), ma anche dall’ art. 9, comma 1°, dispone in merito alla gestione dell’impresa nel momento in cui ci si rende conto che l’imprenditore è insolvente, senza prevedere che l’insolvenza debba verificarsi “strada facendo”, ma potendo ovviamente pre-esistere all’accesso al percorso [16].
È però sempre necessaria una «concreta prospettiva di risanamento» [17]. Si dovrà trattare di una insolvenza reversibile perché temporanea (si pensi, ad esempio, alla chiusura dell’attività a seguito di normativa emergenziale). In alternativa, in caso di insolvenza sarà necessario un apporto esterno, di cui si dovrà verificare l’adeguatezza, durante la composizione negoziata, al fine di evitare la dichiarazione di fallimento, o le altre soluzioni previste per le imprese sotto soglia o per le imprese agricole, e quindi l’utilità per il percorso di risanamento [18]. 
Si può invece pensare che il perimetro di applicazione della direttiva si fermi prima nel senso che la stessa sembra volersi occupare dell’obbligo per gli Stati membri di assicurare un regime rivolto a facilitare la ristrutturazione preventiva dell’impresa, ove vi sia probabilità d’insolvenza (insolvency likelihood).
Si è infatti sostenuto che se è vero che la direttiva non adotta formule omnicomprensive come quella di stato di crisi, né perimetra con esattezza la situazione di difficoltà finanziaria sembra essere escluso «in radice che l’intervento possa avvenire sia quando manchi qualunque elemento premonitore, sia ci sia insolvenza in atto o già aggravata in dissesto» [19].
Sotto diverso profilo va osservato però l’art. 2, § 2, della Direttiva lascia le definizioni di insolvenza e probabilità di insolvenza ai diritti nazionali e si potrebbe ulteriormente ipotizzare, sotto diverso profilo, che la composizione negoziata che può avere come obiettivo sia la ristrutturazione, sia – in caso di insuccesso - la liquidazione dell’impresa, si debba confrontare con Direttiva soltanto per la parte relativa alla ristrutturazione, ma mi rendo conto che il ragionare così complica moltissimo l’argomentare e la ricerca delle soluzioni.
4 . Il profilo soggettivo
L’istanza di nomina dell’esperto non apre il concorso dei creditori e non determina alcuno spossessamento, si deve ritenere che anche per queste caratteristiche espressamente indicate dalla Relazione al decreto la composizione negoziata non sia, in linea di principio, una procedura concorsuale in senso tecnico.
Con efficace sintesi si è osservato che, in termini negativi, si può affermare che sono esclusi dalla legittimazione ad avvalersi della composizione negoziata esclusivamente i non – imprenditori [20], oltre alle società di fatto e irregolari.
Rientrano quindi nel perimetro soggettivo della composizione negoziata anche: (a) le imprese bancarie (che sono sottratte alle “procedure concorsuali” diverse da quelle disciplinate nel d. lgs. n. 385/1993 – Testo Unico Bancario: art. 80, comma 6° -; ma non sono sottratte alla composizione negoziata perché la stessa non ha la natura giuridica di “procedura concorsuale”; (b) gli intermediari finanziari non bancari, che sono anch’essi sottratti alle “procedure concorsuali” diverse da quelle disciplinate dal d. lgs. n. 58/1998 – Testo Unico della Finanza: art. 56, comma 3° -, ma possono avvalersi di un istituto che, come detto, tale non è; (c) le imprese di assicurazione, pure esse assoggettabili esclusivamente alle “procedure concorsuali” disciplinate dal Codice delle Assicurazioni: art. 238, ma ammesse quindi alla composizione negoziata [21].
Il che ovviamente non è armonico con quanto afferma l’art. 1, § 2 della Direttiva che, tra gli altri, esclude questi enti dal suo perimetro soggettivo.
5 . La sospensione della regola del c.d. ricapitalizza o liquida
Nell’art. 8 del provvedimento si dispone che con l’istanza di nomina dell’esperto o con dichiarazione successivamente presentata con le modalità di cui all’art. 5, comma 1°, il debitore possa chiedere la sospensione delle norme sulla ricapitalizzazione [22]: la norma [23], così come emendata in sede di conversione del decreto, prevede, che l’imprenditore possa dichiarare che, sino alla conclusione delle trattative o all’archiviazione dell’istanza di composizione negoziata, non si applichino nei suoi confronti gli artt. 2446, commi 2° e 3°, 2447, 2482 bis, commi 4°, 5° e 6°, e l’art. 2482 ter c.c.; è poi prevista la possibilità di sospendere la relativa causa di scioglimento [24].
L’istanza di nomina dell’esperto, con la dichiarazione di volersi avvalere del beneficio della sospensione, o la dichiarazione successiva contenente solo quest’ultima dichiarazione sono «pubblicate nel registro delle imprese» e i loro effetti decorrono dalla data di pubblicazione in detto registro [25].
Va ricordato che non viene meno l’obbligo degli amministratori di convocare senza indugio l’assemblea nelle situazioni di perdita del capitale superiore al terzo perché la norma di nuovo conio nulla dice sul punto e quindi sulla necessità di rendere edotta l’assemblea di quanto sta accadendo.
Va osservato ulteriormente come non sia precluso in ogni caso all’assem­blea, se lo ritiene, di porre in essere operazioni sul capitale sia per il tramite di una ricapitalizzazione, sia di una riduzione per perdite [26]. 
Una dottrina ha sottolineato l’inopportunità – senza spingersi, a dire il vero, ad affermare il contrasto con la direttiva – del mutamento di approccio sul tema della regola del c.d. ricapitalizza o liquida rispetto al Codice della Crisi, nel quale la sospensione della regola (art. 20 c.c.i.) è inquadrata come vera e propria misura protettiva nella composizione assistita, e proprio per questo, non è nella libera disponibilità del debitore, ma deve essere autorizzata dal tribunale [27].
In senso contrario si può osservare che la ratio del Considerando n. 96) pare proprio essere quella di permettere la deroga della disciplina societaria che si ponga in contrasto con le norme relative alla ristrutturazione.
Oltre alla motivazione del Considerando appena citato, dall’art. 32 della direttiva Insolvency si ricava espressamente la possibilità di disapplicare l’art. 58, § 1, della dir. 2017/1132 in materia societaria [28].
Ed è proprio la direttiva Insolvency, art. 32, che integra l’art. 84 della direttiva in materia societaria sopra citata.
Dal combinato disposto dell’art. 32 (Insolvency), e dell’art. 84 della direttiva in materia societaria sopra citata si ricava quindi la possibilità di disapplicazione per gli stati membri dell’art. 58, § 1, della medesima direttiva in materia societaria che, com’è noto, dispone che «[i]n the case of a serious loss of the subscribed capital, a general meeting of shareholders shall be called within the period laid down by the laws of the Member States, to consider whether the company should be wound up or any other measures taken».
L’art. 32 della direttiva Insolvency deve essere letto ovviamente in relazione al Considerando n. 96) [29] e dal loro combinato disposto si deve trarre che non v’è contrasto tra la norma in esame e quella unionale.
La scelta del diritto nazionale sotto il profilo sistematico, però, non è banale perché attribuisce al debitore il potere, senza alcun controllo da parte dell’autorità giudiziaria, di disattivare meccanismi posti a presidio del capitale.
Si apre quindi la possibilità per la società di continuare ad operare nonostante il patrimonio netto negativo; tanto è nel disegno del legislatore bilanciato però dal fatto che gli amministratori non vengono sottratti al sistema delle regole sulla loro responsabilità, integrato dalle disposizioni speciali del decreto, che impone loro, tra le altre cose, di non recare danno ai creditori in caso di insolvenza; danno che ovviamente ha maggiore probabilità di verificarsi quando si operi, appunto, con il patrimonio netto negativo.
Si noti che, invece, se non si è verificata l’insolvenza gli amministratori devono gestire solo per evitare pregiudizio alla sostenibilità economico – finanziaria della società.
È da chiedersi come questi due concetti si relazionino con la gestione prettamente conservativa di cui all’art. 2486 c.c. [30].
6 . Il concordato semplificato
Se all’esito del percorso della composizione negoziata ci si rivolge alla disciplina del concordato semplificato [31] è possibile immaginare un un contrasto con le disposizioni della direttiva, perché la disciplina del concordato semplificato non prevede la fase del voto.
La direttiva vuole invece che gli Stati membri si adoperino affinché le parti interessate abbiano diritto di voto sull’adozione di un piano di ristrutturazione (art. 9, § 2).
Anche in questo caso mi pare però non sia necessaria una modifica del d.l. 118/2021 ove si consideri che nulla impedisce di “uscire” dalla composizione negoziata e depositare una domanda di concordato preventivo ordinario ove invece il voto rimane previsto.
E – si badi bene – non si tratta di ipotesi solo teorica, come potrebbe apparire in prima battuta, visti tutti i benefici del concordato semplificato per il debitore.
E tanto perché, con ogni probabilità, il concordato ordinario sopporta anche quale via di uscita dalla composizione negoziata la fase c.d. “in bianco”, mentre tanto non si può affermare per il concordato semplificato.
Se è vero che il concordato ordinario comporta il pagamento del 20 % del chirografo, esso permette di guadagnare ulteriore tempo, fisiologico, per pensare ulteriormente al contenuto del piano liquidatorio e magari per reperire risorse per sorreggerlo, che non si sono riuscite a reperire nelle fasi precedenti della crisi.

Note:

[1] 
E v. in argomento R. Guidotti, Il tempo nella risoluzione della crisi d’impresa, in M.A. Lupoi (a cura di), Il tempo nel diritto, il diritto nel tempo, Bonomo Editore, Bologna, 2020, p. 363 ss., ivi alla p. 369 ss. ove anche la considerazione che nel nostro diritto fallimentare interno vi sono già alcune disposizioni che depongono nel senso del valore dell’anticipazione dell’emersione della crisi; in senso parzialmente contrario nella Relazione Illustrativa al d.l. 118/2021 si legge - a p. 2 – della inidoneità del nostro ordinamento concorsuale attuale a facilitare l’emersione tempestiva della crisi: «[l]a legge fallimentare contiene infatti una disciplina risalente che, pur modificata dai numerosi interventi normativi susseguitisi nel tempo, è pensata e strutturata in relazione ad una situazione economica e industriale del tutto diversa dall’attuale. Essa inoltre, ruotando principalmente intorno agli istituti del concordato preventivo e del fallimento, non fornisce strumenti che incentivano l’emersione anticipata della crisi e, anzi, scoraggia l’imprenditore dal fare ricorso alle procedure in essa previste, aventi natura prevalentemente giudiziale. Senza considerare che il ricorso massiccio ad istituti concorsuali che impediscono il pagamento spontaneo dei creditori rischia di sottrarre risorse finanziarie al sistema delle imprese». 
[2] 
E v., in argomento, M. Irrera, S. Cerrato e F. Pasquariello (a cura di), La crisi d’impresa e le nuove misure di risanamento, Zanichelli, Bologna, 2022, nonché S. Bonfatti e R. Guidotti (a cura di), Il ruolo dell'esperto nella composizione negoziata della crisi d'impresa, 2022, in corso di pubblicazione per i tipi della Giappichelli.
[3] 
L. Panzani, Il preventive restructuring framework nella Direttiva 2019/1023 del 20 giugno 2019 ed il codice della crisi. Assonanze e dissonanze, in Diritto bancario, Ottobre 2019, p. 1 ss.; L. Stanghellini, La proposta di Direttiva UE in materia di insolvenza, in Fallimento, 2017, p. 873 ss.; S. Pacchi, La Direttiva (UE) 1023/2019 sui quadri di ristrutturazione preventiva e il regolamento 858/2015 sull’insolvenza transfrontaliera, in S. Pacchi e S. Ambrosini, Diritto della crisi e dell’insolvenza, Zanichelli, Bologna, 2020, p. 25 ss.; P. Vella, L’impatto della Direttiva (UE) 2019/1023 sull’ordinamento concorsuale interno, in Fall., 2019, 747; V. Minervini, La “composizione negoziata” nella prospettiva del recepimento della direttiva “Insolvency”. Prime riflessioni, in Ristr. aziendali, 17 ottobre 2021; G. McCormack, The European Restructuring Directive, Cheltenham, UK, 2021.
[4] 
In questo senso, da ultimo, anche L. Panzani, L’adeguamento delle procedure di composizione della crisi e dell’insolvenza alla direttiva 1023/2019 tra difficoltà tecniche e nuove opportunità, p. 4 del dattiloscritto in corso di pubblicazione sulla Riv. esec. forzata, che si è potuto consultare grazie alla cortesia dell’a.
[5] 
Quegli strumenti di allerta in grado di individuare situazioni che potrebbero comportare la probabilità di insolvenza e segnalare al debitore la necessità di agire senza indugio.
[6] 
Il tema è approfondito da L. Panzani, La composizione negoziata alla luce della direttiva Insolvency, in corso di pubblicazione nei Quaderni della Scuola Superiore della Magistratura, che si è potuto consultare grazie alla cortesia dell’a.
[7] 
Ciò non vuole dire che l’istituto di nuovo conio – frutto prima di tutto di un mutamento di atteggiamento culturale anche nel nostro Paese nei confronti della crisi (S. Pacchi, Misure urgenti in materia di risanamento d’impresa (ovvero: i cambi di cultura sono sempre difficili), in Ristr. aziendali, 9 agosto 2021) – non necessiti a sua volta di un modesto “tagliando”. Il più evidente mi pare essere quello che nasce dalla circostanza che le norme sul concordato semplificato (art. 18) richiamano le sole disposizioni della legge fallimentare (e non a quelle del Codice della Crisi) e tanto fa sorgere alcuni dubbi. In estrema sintesi, allo stato, le ipotesi che si possono fare sono varie: (a) si considera possibile la sopravvivenza di un istituto - la composizione negoziata - mediante il richiamo a norme (non più in vigore se non per le vecchie procedure) della legge fallimentare; (b) si immagina che la composizione negoziata della crisi e il concordato semplificato vivano solo fino al momento dell’entrata in vigore del Codice della Crisi e siano con esso incompatibili; (c) si dà per scontato un nuovo provvedimento legislativo che sostituisca i richiami alla legge fallimentare con richiami alle corrispondenti previsioni del Codice della Crisi. Quest’ultima è – allo stato - l’ipotesi più probabile. Di altre “limature” che avrebbero potuto essere apportate al decreto, in sede di conversione, si è già fatto cenno in R. Guidotti, Di alcune possibili modifiche al disegno di legge n. 2371 relativo alla conversione del d.l. 24 agosto 2021, n. 118, sulla disciplina della crisi d’impresa, in Ristr. aziendali, 5 ottobre 2021.
[8] 
E v. in tema I. Pagni e M. Fabiani, La transizione dal codice della crisi alla composizione negoziata (e viceversa), in dirittodellacrisi.it, 2 novembre 2021; precedentemente M. Fabiani, La proposta della Commissione Pagni all’esame del Governo: valori, obiettivi, strumenti, ivi, 2 agosto 2021.
[9] 
P. 4 del dattiloscritto.
[10] 
E v. in argomento M. Montanari, Il procedimento relativo alle misure protettive e cautelari nel sistema della composizione negoziata della crisi d’impresa: brevi notazioni, in Ristr. aziendali, 24 dicembre 2021; A. Tedoldi, Le misure protettive e cautelari nella composizione negoziata dalla crisi, in M. Irrera, S. Cerrato e F. Pasquariello (a cura di), La crisi d’impresa, cit., p. 360 ss.; sulle autorizzazioni v., invece, L. De Simone,Le autorizzazioni giudiziali, in dirittodellacrisi.it, 9 dicembre 2021.
[11] 
E v. F. Pipicelli, Il ruolo dell’esperto nel giudizio sulle misure protettive e cautelari, in S. Bonfatti e R. Guidotti (a cura di), Il ruolo dell'esperto, cit. Tornando alle misure protettive in generale la Relazione prosegue statuendo che: «[i]l procedimento si conclude con ordinanza, con la quale il tribunale stabilisce la durata, non inferiore a trenta giorni e non superiore a centoventi giorni (termine, quest’ultimo, sostanzialmente analogo a quello di quattro mesi, previsto dall’art. 6, paragrafo 6 della direttiva (UE) 2019/1023), delle misure protettive e, ove occorre, dei provvedimenti cautelari disposti. Su richiesta dell’imprenditore e sentito l’esperto, le misure possono essere limitate a determinate iniziative intraprese dai creditori a tutela dei propri diritti o a determinati creditori o categorie di creditori» È conforme al contenuto della direttiva anche il fatto che: «il tribunale possa, in qualunque momento, sentite le parti interessate, revocare le misure protettive e cautelari o abbreviarne la durata quando esse non soddisfano l’obiettivo di assicurare il buon esito delle trattative o appaiono sproporzionate rispetto al pregiudizio arrecato ai creditori istanti; l’individuazione di tali presupposti della revoca è conforme al disposto dell’articolo 6, paragrafo 9 della direttiva (UE) 2019/1023».
[12] 
Così A. Paluchowski, in R. Guidotti e A. Paluchowski, Descrizione dei procedimenti previsti dal d.l. (cautelare e camerale), in S. Bonfatti e R. Guidotti (a cura di), Il ruolo dell'esperto, cit.
[13] 
E v. A. Maffei Alberti, Crisi d’impresa e continuazione dell’attività, in Ristr. aziendali, 29 gennaio 2022, p. 6, secondo il quale, ogni caso, la composizione negoziata per avere concrete possibilità di successo, richiede l’intervento del tribunale posto che sembra arduo immaginare che la notizia della crisi non circoli e «quindi che l’imprenditore non sia costretto a richiedere l’apertura dell’ombrello protettivo, con il che entra in ballo il Tribunale e la procedura si svolge, in concreto, sotto il suo controllo». 
[14] 
In argomento A. Farolfi, Le novità del D.L. 118/2021: considerazioni sparse “a prima lettura”, in dirittodellacrisi.it, 6 settembre 2021; L. Panzani, Il d.l. “Pagni” ovvero la lezione (positiva) del covid, ivi, 25 agosto 2021, pp. 14 ss.; R. Guidotti, La crisi d’impresa nell’era Draghi: la composizione negoziata e il concordato semplificato, in Ristr. aziendali, 8 settembre 2021; S. Ambrosini, La “miniriforma” del 2021: rinvio (parziale) del CCI, composizione negoziata e concordato semplificato, in Dir. fall., 2021, I, pp. 901 ss.
[15] 
Così quasi testualmente A. Paluchowski, op. loc. cit. In argomento anche R. Guidotti, Presupposti “interni”ed “esterni” della composizione negoziata della crisi d’impresa ed avvio del procedimento, in Nuovo dir. società, 2021, p. 1620 ss.
[16] 
A quanto sopra esposto si può aggiungere che lo stesso Ministero della Giustizia nel decreto del 28 settembre 2021, nella sezione III, § 2, dedicato al test pratico per la verifica della ragionevole perseguibilità del risanamento, al punto 2.4, dispone espressamente che se l’esperto ravvisa, anche a seguito dei primi confronti, la presenza di uno stato di insolvenza, «questo non necessariamente gli impedisce di avviare la composizione negoziata».
[17] 
L’espressione ricorda l’art. 27, comma 1°, d.lgs. 8 luglio 1999, n. 270, ove ci si esprime, analogamente, nei seguenti termini: «[l]e imprese dichiarate insolventi (...) sono ammesse alla procedura di amministrazione straordinaria qualora presentino concrete prospettive di recupero del­l’equilibrio economico delle attività imprenditoriali».
[18] 
Sempre in caso di insolvenza sembra poi potersi sostenere che l’accesso al percorso possa essere chiesto anche quando lo stesso permetta in tempi brevi di cedere l’azienda e / o alcuni rami della stessa. In quest’ultimo caso, l’im­prenditore una volta “uscito” dalla composizione negoziata potrà scegliere di depositare istanza di fallimento in proprio. Sotto diverso profilo si è recentemente affermato come il ricorso alla composizione negoziata anche da parte di imprese in uno stato di vera e propria insolvenza possa portare al sistema nel suo complesso l’ulteriore vantaggio di anticipare ad una fase preliminare e fuori dal tribunale la valutazione di tutte le possibili soluzioni percorribili dall’impresa «anche nell’ottica di un eventuale ricorso all’istituto del concordato fallimentare o di un concordato nell’ambito della procedura di amministrazione straordinaria»: così Assonime, Circolare n. 34, 7 dicembre 2021, Le misure del decreto crisi per il risanamento dell’impresa, p. 16. Si anticipa così, sotto questo profilo, anche l’esame dell’uscita dell’impresa dal mercato.
[19] 
S. Pacchi, La ristrutturazione dell’impresa come strumento per la continuità nella direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio 2019/1023, in Dir. fall., 2019, I, p. 1259 ss. ivi alla p. 1269.
[20] 
S. Bonfatti, La flessibilità dello strumento, in S. Bonfatti e R. Guidotti (a cura di), Il ruolo dell'esperto, cit.
[21] 
Così quasi testualmente ancora S. Bonfatti, op. loc. cit.
[22] 
Sulla normativa emergenziale che ha permesso la sospensione della regola del c.d. “ricapitalizza o liquida” si possono consultare: N. Abriani e F. Buttignon, Legge di bilancio 2021 e patrimonio netto di bilancio nelle società di capitali in Italia: spunti per il superamento di un paradigma, in Ilsocietario.it, 17 febbraio 2021; A. Busani, Il quinquiennio di grazia per le perdite emerse nel 2020, in Società, 2021, 208 ss.; G. Ferri jr., La sospensione dell’obbligo di riduzione del capitale per perdite tra passato prossimo e futuro remoto, in Riv. not., 2021, 3 ss.; R. Guidotti, Le società con azioni quotateAlcune regole di funzionamento, Milano, 2021, p. xvii ss. ove ulteriori riferimenti, nonché Assonime, Il Caso 6/2021, Il regime speciale di perdite Covid: rilevanza delle perdite inferiori ad un terzo, e - precedentemente - Id., Circolare 3/2021, Legge di bilancio 2021: la nuova disciplina sulla sospensione degli obblighi di ricapitalizzazione in caso di perdite significative.
[23] 
Sulla quale diffusamente R. Guidotti, La sospensione degli obblighi relativi al capitale e della causa di scioglimento collegata, in M. Irrera, S. Cerrato, e F. Pasquariello (a cura di), La crisi d’impresa, cit., p. 155 ss. 
[24] 
L’esistenza di questa disposizione sembre essere l’ulteriore indiretta conferma che al percorso della composizione negoziata possa accedere anche l’imprenditore già insolvente. Se è ovvio infatti che tra l’applicazione delle norme sulla riduzione obbligatoria del capitale e la nozione di insolvenza non v’è coincidenza tecnica è altrettanto vero che nella realtà la necessità di ricorrere alla sospensione normalmente riguarda situazioni di difficoltà avanzata (la perdita del capitale è la principale spia dei problemi patrimoniali; in questo senso depongono anche gli indici elaborati ex art. 13, commi 2°, dal Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti in relazione all’allerta).
[25] 
È da chiedersi quale potrebbe essere l’interesse dell’imprenditore di non avvalersi della facoltà concessagli dalla legge. Sembra corretto ipotizzare che l’unico motivo possa essere quello in cui la fattispecie concreta sia molto lontana da una ipotesi di applicazione delle norme sul capitale e quindi, forse anche per ragioni di natura reputazionale, l’imprenditore non voglia dichiarare di volersi avvalere del beneficio a seguito della necessità di iscrizione del­l’istanza nel registro delle imprese. Dalla lettura della norma sembra che la sospensione venga poi meno solo a seguito dell’archiviazione dell’istanza di composizione negoziata o della conclusione delle trattative. Sarà poi ovviamente necessaria anche la pubblicazione nel registro delle imprese dell’avvenimento (chiusura del percorso) che fa venir meno gli effetti; è ipotizzabile che l’imprenditore sia onerato anche di far pubblicare quindi una contro-dichiarazione nella quale dà atto espressamente del venir meno degli effetti della dichiarazione di sospensione. Il venir meno degli effetti non è però legato, correttamente, alla pubblicizzazione nel registro delle imprese, ma a fatti storici antecedenti ad essa; con una evidente differenza di metodo tra la modalità, da un lato, con la quale la dichiarazione permette al debitore di beneficiare degli effetti che ne conseguono, ovvero la pubblicazione nel registro delle imprese, e, dall’altro, relativa al momento finale del beneficio.
[26] 
Non sembra neppure preclusa la possibilità di mettere la società in liquidazione, perché non pare che lo stato di liquidazione sia in ogni caso preclusivo alla prosecuzione delle trattative; ovvio che la liquidazione volontaria comporterebbe il mutamento del contesto di base relativo alle regole di comportamento da adottare anche per l’organo gestorio. L’art. 8 del provvedimento rimette alla decisione dell’imprenditore il dichiarare, o meno, con l’istanza di nomina dell’esperto, o con comunicazione successiva presentata con le modalità di cui all’art. 5, di volersi anche avvalere e della disapplicazione della causa di scioglimento della società per riduzione o perdita del capitale sociale di cui agli artt. 2484, primo comma°, n. 4) e dell’art. 2545 duodecies c.c.
[27] 
E v. P. Liccardo, Neoliberismo concorsuale e le svalutazioni competitive: il mercato delle regole, in giustiziainsieme.it, 7 settembre 2021, p. 4; alla critica di questo a. alla riforma nel suo complesso ha replicato A. Jorio, Alcune riflessioni sulle misure urgenti: un forte vento di maestrale soffia sulla riforma, in dirittodellacrisi.it, 1° ottobre 2021; si possono leggere le critiche alla riforma di D. Galletti, È arrivato il venticello della controriforma? Così è se vi pare, ne ilfallimentarista.it, 27 luglio 2021, e la replica di M. Fabiani, La proposta della commissione Pagni all’esame del governo, cit., che peraltro non pare aver fatto mutare opinione all’a.: e v. ancora D. Galletti, Breve storia di una (contro)riforma annunciata, in ilfallimentarista.it, 1° settembre 2021.
[28] 
E v. la descrizione del provvedimento: E. Stabile, Brevissime note sulla direttiva 2017/1132/UE nella codificazione del diritto societario europeo, in Riv. dir. soc., 2017, p. 1291 ss.; e in V. Bellando, Directive 2017-1132, in Dir. ec. impresa, 2021, p. 932 ss.
[29] 
In questo senso espressamente anche C. Paulus e R. Dammann, European Preventive RestructuringArticle by Article Commentary, Monaco, 2021, sub art. 32, p. 294 ove si legge che: «[t]he purpose of this article is, pursuant to Recital 96, to align company law and the adoption ad implementation of a preventive restructuring plan of the present Directive».
[30] 
In argomento v. S. Ambrosini, Appunti sui doveri degli amministratori di S.p.A. e sulle azioni di responsabilità alla luce del Codice della crisi e della “miniriforma” del 2021, in Ristr. aziendali, 23 novembre 2021.
[31] 
Sul quale G. Bozza, Il concordato semplificato introdotto dal d.l. n. 118 del 2021, in dirittodellacrisi.it, 5 ottobre 2021; M. Arato, La soddisfazione dei creditori privilegiati nel concordato preventivo, anche alla luce del d.l. 24 agosto 2021, n. 118, in Ristr. aziendali, 14 ottobre 2021; S. Leuzzi, Analisi differenziale fra concordati: concordato semplificato vs ordinario, in dirittodellacrisi.it, 9 novembre 2021; M. Spiotta, Il concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio, in M. Irrera, S. Cerrato e F. Pasquariello (a cura di), La crisi d’impresa, cit., p. 409 ss.

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