Per attribuire un significato alla nuova definizione e provare a comprendere anche il senso dei mutamenti intervenuti, pare necessaria una premessa: il cuore della previsione, in effetti rimasto immutato sin dalla sua prima versione, ma che nella formulazione sfrondata emerge oggi con maggiore evidenza, è costituito dal concetto di probabilità di insolvenza.
Attorno a questo giudizio probabilistico, costituente del resto l’unica specifica indicazione che viene al riguardo fornita dalla Direttiva Insolvency, va ricostruito il significato normativo del precetto; sicché, tutti gli altri elementi della fattispecie dovrebbero porsi in coerenza con il suo formante.
Ebbene, il giudizio probabilistico in tanto può emettersi in quanto vi siano, per quanto non prevalenti, alternative variabili plausibili (non mere vaghe speranze) nella vicenda imprenditoriale in grado di mutare l’esito ed evitare l’insolvenza. Quando l’insolvenza è solo probabile, ossia nella situazione di crisi, vi sono almeno due scenari davanti all’impresa: e, nello scenario che si basa sugli assunti meno probabili, per quanto plausibili, l’insolvenza non costituisce l’esito necessario.
Nel caso dell’insolvenza, che anche sotto questo profilo si conferma ravvisabile anche dinanzi ad obbligazioni non ancora scadute, non vi sono alternativi plausibili scenari: il test dei flussi di cassa, se rigorosamente formulato, può dare un solo esito.
Nel caso della crisi, sono plausibili diversi assunti e, per alcuni di questi, il piano dei flussi di cassa si mostra anche adeguato a far fronte alle obbligazioni dei successivi dodici mesi: gli è, però, che non si tratta degli assunti premiati dal giudizio di maggiore probabilità.
Questo chiarimento consente di distinguere la nozione di crisi dalla nozione di insolvenza (anche prospettica) e di comprendere il rilievo (meramente strumentale) del test dei flussi di cassa prospettici. Nella versione iniziale della disposizione, l’autonomo e specifico rilievo di tale test per le solo imprese faceva perdere un po’, nella struttura sintattica, l’accessorietà della verifica rispetto al concetto di probabilità. Oggi questa smagliatura pare venuta meno.
Sotto altro aspetto, l’eliminazione dell’avverbio “regolarmente” non impone di dare rilevanza a qualsivoglia inadempimento rispetto a singole posizioni, ciò che sarebbe contrario ai principi che regolano il sistema. Per converso, l’eliminazione non determina di per sé una automatica utilità ai fini del superamento test dei flussi di cassa prospettici dei mezzi anormali di pagamento. Nel contempo, però, la cancellazione dell’avverbio “regolarmente” ben potrebbe evitare insidiosi formalismi nel momento in cui, sia pure in via occasionale, una particolare situazione di tensione finanziaria possa essere risolta, per esempio, attraverso la cessione pro solvendo di un credito. Insomma, non è ancora crisi la situazione che vedrà l’impresa probabilmente inciampare e dover far ricorso ad un mezzo anormale di pagamento, ma, con la ragionevolezza delle previsioni, rimettersi in pari nell’arco temporale considerato.
Sempre utilizzando il giudizio probabilistico come formante della disposizione, non pare crei problemi l’eliminazione del riferimento alle obbligazioni “pianificate”. Nonostante l’eliminazione, infatti, non sarebbe corretto dare rilevanza alle obbligazioni frutto di imprevedibile accidente, per definizione estranee ad un piano finanziario[22]. Insomma, sarebbero state in ogni caso da “pianificare” le sole obbligazioni già assunte o di insorgenza probabile. Può allora ritenersi essere stato eliminato un elemento ovvio se non forse, là dove avesse aperto ad una distinzione tra il “pianificato” e il “probabile”, fuorviante.
Anche il riferimento ai dodici mesi merita di essere inteso come concetto strumentale, asservito al giudizio probabilistico e non burocratico. Diversamente, finirebbe con il contraddire la necessità di tenere sempre in considerazione la concreta impresa di cui si tratta. Si tratta di affermazione sulle cui implicazioni è bene soffermarsi.
Le particolari condizioni nelle quali versa l’impresa e la vicenda che la stessa attraversa possono rendere altamente probabili repentini mutamenti che mutano il quadro e il valore dei dodici mesi che si hanno di fronte.
Nonostante il riferimento ai dodici mesi, serve quindi poter affermare, non burocraticamente, che qualcosa è cambiato nella qualità o nella struttura dell’impresa, dunque nella capacità di porre rimedio alla debitoria accumulata, nei presupposti della redditività dell’azienda o della sua capacità di non consumare inutilmente risorse finanziarie; valutazione questa che non può non risentire della natura e delle dimensioni dell’impresa di cui si tratta. I dodici mesi devono essere in qualche modo rappresentativi di un probabile piano inclinato, o meglio del piano inclinato come quello che con maggiore probabilità si pone davanti all’impresa, non a loro volta un inciampo, una fase contingente.
Di conseguenza, se il cuore della definizione va individuato nel riferimento alla “probabilità di insolvenza”, dovrebbe potersi dare uno spazio per negare l’insorgenza della crisi anche quando, burocraticamente, il piano dei flussi di cassa prospettici segnali l’inadeguatezza degli stessi a far fronte alle obbligazioni dei successivi dodici mesi. In particolare, anche quando i dodici mesi rivelino l’importante difficoltà, ma possa ragionevolmente affermarsi che il periodo considerato non costituisca un arco temporale definitivamente rappresentativo della reale situazione dell’impresa, si dovrebbe dire, insomma, che non si è nella situazione di crisi. Si sarebbe, semmai, in presenza di quegli indizi della crisi cui si riferiva l’art. 14, comma 1, del Codice della crisi nella versione anteriore al Decreto Attuativo (per quanto il successivo comma 2 poteva indurre a considerare definitivamente presente, a seguito della segnalazione dei sindaci, uno stato di crisi da superare[23]); dovrà, perciò, procedersi a sorvegliare con attenzione la situazione, affinché l’attesa sia costantemente giustificata da un verificabile giudizio probabilistico, non legata a speranze vacue.
Una importante conferma di tale lettura si sarebbe potuta ricavare dall’art. 3, comma 3, del Codice della crisi, nel testo ipotizzato nello schema di Decreto Attuativo approvato dal Consiglio dei ministri del 17 marzo 2022. Lo scopo del citato art. 3 (infine entrato in vigore con ritocchi non irrilevanti) è chiarire in dettaglio la funzione degli assetti organizzativi, amministrativi e contabili e anche, quindi, essere di ausilio all’apprezzamento della adeguatezza degli assetti medesimi[24]. Tra le funzioni assegnate agli assetti organizzativi nel testo ipotizzato nel richiamato schema di marzo 2022 v’era la verifica della «assenza» di prospettive di continuità aziendale «per» i dodici mesi successivi. Il tenore testuale della disposizione così ipotizzata (e mai entrata in vigore) evidenziava la necessità non solo che i dodici mesi successivi facessero emergere l’inadeguatezza dei flussi di cassa, ma che nei dodici mesi successivi non vi fossero evenienze prevedibili e probabili in grado di mutare il corso degli eventi. Nella disposizione infine entrata in vigore, secondo cui gli assetti devono consentire di verificare «la sostenibilità dei debiti e le prospettive di continuità aziendale almeno per i dodici mesi successivi», quelle conferme testuali sono venute meno. Parrebbe, tuttavia, non persuasiva una lettura del nuovo testo che imponga di considerare irrilevanti le probabilità di autonomo recupero della continuità aziendale in grado di affacciarsi nell’arco dei dodici mesi considerati.