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La gestione dello stock di debito fiscale per le piccole imprese*

Lorenzo Gambi, Dottore commercialista in Firenze

22 Settembre 2022

*Il presente contributo rielabora una relazione tenuta dall’Autore il 15 settembre 2022 al Convegno Nazionale “L’impresa ed il suo contesto. La crisi della piccola impresa e l’impatto della pandemia: aspetti economici, giuridici e nuova finanza”, I edizione, organizzato dall’Università degli Studi di Firenze, Dipartimento Scienze per l’Economia e l’Impresa
Lo scritto fornisce un quadro delle opzioni previste dal Codice della crisi ai fini della gestione della situazione debitoria maturata dall’imprenditore, anche sotto-soglia, nei confronti dell’Erario, soffermandosi sui principali aspetti applicativi ed interpretativi.
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1 . Premesse
Per ogni piccola impresa in crisi che pur abbia concrete possibilità di risanamento, la strategia finalizzata al recupero di una situazione d’equilibrio passa attraverso la necessità di ristrutturare la propria posizione debitoria.
Fra le principali passività, particolare rilevanza assume quella verso l’Amministrazione finanziaria: si pone dunque la necessità di individuare quali siano le migliori opzioni per la gestione dello stock di debito fiscale nel contesto del vigente ordinamento concorsuale (D.Lgs. n. 14/2019).
Quanto premesso, due sono le concrete possibilità offerte dal Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza ai fini di cui sopra, in un’ottica dunque di risanamento aziendale: 
- il percorso (solo in parte) stragiudiziale che l’imprenditore può intraprendere all’interno della fase di composizione negoziata della crisi;
- la transazione fiscale attraverso il ricorso ad uno degli strumenti ristrutturatori di regolazione giurisdizionale della crisi o dell’insolvenza.
2 . La composizione negoziata
Sotto il profilo soggettivo, possono ricorrere alla composizione negoziata della crisi tutti gli imprenditori, commerciali ed agricoli, che siano iscritti al Registro delle imprese, sotto qualsiasi forma, senza distinzione di dimensioni.
Possono così accedervi anche le imprese sotto-soglia, ovvero escluse, per limiti dimensionali, dall’applicazione della liquidazione giudiziale; la CNC è invece preclusa a coloro che non risultino iscritti al Registro delle imprese (es., società di fatto, imprese cancellate). 
La composizione negoziata della crisi, già istituita e regolata dal D.L. n. 118/2021, convertito con L. n. 147/2021, è stata innestata dal legislatore concorsuale, con il D.Lgs. n. 83/2022, all’interno del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, e ciò con una duplice, concorrente finalità.
In primo luogo, la composizione negoziata entra a far parte delle misure di prevenzione della crisi, contribuendo ad indicare chiaramente la direzione che l’imprenditore deve prendere ai fini del monitoraggio delle varie situazioni di difficoltà aziendale. 
In questo senso, l’art. 3, dopo aver sancito il dovere dell’imprenditore di dotarsi di assetti organizzativi adeguati in funzione della tempestiva rilevazione della crisi e dell’adozione di iniziative idonee a farvi fronte, elenca gli obiettivi che tale attività di monitoraggio deve perseguire.
Fra tali obiettivi, l’imprenditore ha il dovere di predisporre un sistema che consenta di ricavare le informazioni necessarie ai fini dello svolgimento del cd. test pratico per la verifica della ragionevole perseguibilità del risanamento, nonché dell’utilizzo della cd. lista di controllo particolareggiata.
La composizione negoziata della crisi, nella propria struttura portante, viene dunque ad assumere all’interno del nuovo Codice una funzione anche eminentemente “preventiva”.
Oltre a tale funzione, la CNC rappresenta uno strumento di gestione delle situazioni di squilibrio patrimoniale e/o economico-finanziario dell’impresa, a condizione che la stessa abbia una ragionevole possibilità di perseguire il risanamento.
Il ricorso alla composizione negoziata della crisi è per il debitore, sotto il profilo giuridico, una “facoltà”, fermo il proprio dovere di attivarsi ai fini della gestione tempestiva della crisi, nel rispetto dei principi generali di responsabilità in funzione della conservazione della garanzia patrimoniale.
Una volta avviata, la composizione negoziata della crisi può concludersi, in senso positivo, attraverso il perfezionamento di uno degli strumenti previsti dall’art. 23 del CCII.
Con particolare riferimento alla gestione dello stock di debito fiscale, la composizione negoziata presenta, quale vantaggio usufruibile dall’imprenditore in via diretta, la possibilità di beneficiare delle cd. misure premiali, come previste dall’art. 25 bis.
Tale norma dispone, al primo comma, che gli interessi che maturino sui debiti tributari sono ridotti alla misura legale in relazione al periodo che va dalla data di accettazione dell’incarico da parte dell’esperto sino alla conclusione della composizione, ove la stessa si perfezioni secondo uno di questi strumenti:
- contratto concluso con uno o più creditori che produca gli effetti di cui all’art. 25 bis, comma 1, se idoneo, secondo l’esperto, ad assicurare la continuità per almeno due anni;
- convenzione di moratoria conclusa ai sensi e per gli effetti dell’ex art. 62;
- accordo sottoscritto dall’imprenditore, dai creditori e dall’esperto che produca gli effetti ex artt. 166, comma 3, lett. d), e 324, ove coerente, secondo l’esperto, con la regolazione della crisi o dell’insolvenza;
- accordo di ristrutturazione dei debiti ex artt. 57, 60 e 61, con percentuale ridotta al 60% con riferimento agli ADR ad efficacia estesa ove la conclusione dell’accordo risulti dalla relazione finale dell’esperto.
Il secondo comma prevede che le sanzioni per le quali sia prevista l’applicazione in misura ridotta in caso di pagamento entro un determinato arco temporale dalla comunicazione dell’atto, sono ridotte al minimo qualora il termine per il versamento vada a scadere dopo la presentazione dell’istanza di composizione negoziata della crisi.
Il terzo comma dispone che le sanzioni e gli interessi maturati sui debiti tributari sorti prima del deposito dell’istanza di composizione negoziata, sempreché tali debiti rientrino nel perimetro della composizione, sono ridotti al 50% ove le trattative si concludano secondo una delle seguenti ipotesi:
- piano attestato di risanamento predisposto ai sensi e per gli effetti dell’art. 56;
- omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti ex artt. 57, 60 e 61, con percentuale ridotta al 60% per gli ADR ad efficacia estesa ove la conclusione dell’accordo risulti dalla relazione finale dell’esperto;
- domanda di concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio ex art. 25 sexies;
- accesso ad uno degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza disciplinati dal CCII.
Il quarto comma prevede che, in caso di pubblicazione presso il Registro delle imprese di uno dei seguenti negozi:
- contratto ritenuto idoneo dall’esperto ai fini della continuità aziendale per un periodo non inferiore a 2 anni ex art. 23, comma 1, lett. a);
- accordo sottoscritto dall’imprenditore, dai creditori e dall’esperto che produca gli effetti di cui agli artt. 166, comma 3, lett. d), e 324, ove coerente, secondo l’esperto, con la regolazione della crisi o dell’insolvenza,
l’Agenzia delle Entrate concede al debitore, su istanza sottoscritta anche dall’esperto, una rateazione del carico fiscale non ancora iscritto a ruolo, a titolo di tributi diretti, IRAP, ritenute erariali, tributo IVA e relativi accessori, fino ad un massimo di 72 rate mensili.
L’imprenditore decade dal beneficio della rateazione qualora depositi presso l’Autorità giudiziaria un ricorso ai fini dell’accesso ad uno degli strumenti di regolazione della crisi ex art. 40, ovvero qualora intervenga la liquidazione giudiziale.
Il contribuente decade dalla rateazione anche ove si renda inadempiente, rispetto al concesso piano dilazionato, nel pagamento anche di una sola rata scaduta.
Il quinto comma dispone che dalla pubblicazione presso il Registro delle imprese di uno dei seguenti strumenti si applicano le “agevolazioni” previste, ai fini dei tributi diretti, dagli artt. 88, comma 4 ter, e 101, comma 5, D.P.R. n. 917/1986:
- contratto ritenuto idoneo dall’esperto ai fini della continuità aziendale per un periodo non inferiore a 2 anni ex art. 23, comma 1, lett. a);
- accordo sottoscritto dall’imprenditore, dai creditori e dall’esperto che produca gli effetti di cui agli artt. 166, comma 3, lett. d), e 324, ove coerente con la regolazione della crisi o dell’insolvenza;
- omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti ex artt. 57, 60 e 61, con percentuale ridotta al 60% con riferimento agli ADR ad efficacia estesa ove la conclusione dell’accordo risulti dalla relazione finale dell’esperto.
Trattasi, da una parte, della non assoggettabilità ad imposizione delle sopravvenienze attive conseguenti alla riduzione dei debiti d’impresa in relazione alla parte eccedente le perdite, senza considerare né il limite dell’80% delle stesse, né le limitazioni previste in punto di deducibilità degli interessi passivi e degli oneri finanziari.
Dall’altra parte, della possibilità di considerare deducibili dal reddito d’impresa i crediti verso l’imprenditore in crisi, essendo equiparati gli strumenti previsti dall’art. 25 bis, comma 5, alle procedure in presenza delle quali l’art. 101, comma 5, TUIR, ammette la deducibilità dei crediti, indipendentemente dai requisiti di “certezza” e “precisione”.
Infine, l’ultimo comma dell’art. 25 bis dispone che in caso di successiva liquidazione giudiziale gli interessi e le sanzioni tributarie si rendano dovuti senza le riduzioni sopra ricordate, come previste ai commi 1-2 dello stesso articolo. 
A ben vedere, fra i benefici accordati dall’art. 25 bis il più rilevante appare quello previsto dal quarto comma (rateazione fino a 72 rate del carico tributario, ancorché non iscritto a ruolo).
In base a tale norma, il contribuente ha diritto di accedere alla dilazione prevista dall’art. 19, D.P.R. n. 602/1973 (riscossione), norma che, in mancanza di accesso alla composizione negoziata della crisi, sarebbe applicabile ai soli tributi oggetto di procedimento esattivo.
Il citato art. 19 prevede, al primo comma, che l’agente della riscossione, ove dichiari di versare in una temporanea situazione di obiettiva difficoltà, conceda la rateazione delle somme iscritte a ruolo fino ad un massimo di n. 72 rate mensili. 
Laddove le somme iscritte a ruolo siano superiori ad euro centoventimila, la dilazione è concessa a condizione che il contribuente documenti la propria temporanea situazione di obiettiva difficoltà.
L’art. 19, comma 1 bis, dispone, poi, che nei casi di comprovato peggioramento della situazione economica del contribuente, la dilazione può essere prorogata, una sola volta, per un periodo non superiore a n. 72 mesi, sempreché non sia intervenuta decadenza.
Ai sensi del comma 1 quinquies, ove il contribuente sia venuto a trovarsi, per ragioni estranee alla propria responsabilità, in una comprovata e grave situazione di difficoltà legata alla congiuntura economica, la rateazione piò essere aumentata fino a n. 120 rate mensili. 
L’art. 25 bis, comma 4, CCII assume peculiare rilevanza laddove prevede che la sottoscrizione dell’esperto costituisca prova dell’esistenza della temporanea situazione di obiettiva difficoltà.
Per effetto del richiamo all’art. 19 del D.P.R. n. 602/1973, si ritiene che l’imprenditore, nell’ambito della fase di composizione negoziata, qualora la stessa si concluda con uno dei ricordati strumenti, possa beneficiare non solo della dilazione “ordinaria” di n. 72 rate mensili, ma anche, in caso di comprovato, successivo peggioramento della propria situazione economica, della proroga di ulteriori n. 72 rate mensili, ex art. 19, comma 1 bis, D.P.R. n. 602/1973, nonché dell’aumento sino a n. 120 rate mensili, nei casi previsti dal successivo comma 1 quinquies.
Quanto sopra - si ricorda -, con riferimento al carico tributario non ancora iscritto a ruolo, dunque con una deroga, in prospettiva di favor per il contribuente, rispetto al presupposto previsto dall’art. 19 del D.P.R. n. 602/1973, ovvero che l’obbligazione fiscale, perché possa esser dilazionata nelle misure prima indicate, sia iscritta a ruolo. 
Manca, per l’imprenditore, con riferimento alla fase di composizione negoziata della crisi, la possibilità di accedere in via diretta alla transazione fiscale-contributiva; la stessa potrà fare ingresso all’interno della CNC solo qualora il debitore concluda le trattative attraverso l’adozione di una procedura concorsuale nel cui ambito sia applicabile l’istituto in oggetto. 
3 . La transazione fiscale
La transazione fiscale è dunque perseguibile:
- ove il debitore, all’interno della composizione negoziata concluda le trattative facendo ricorso ad uno degli strumenti di regolazione della crisi che prevedano la transazione fiscale (la stessa non è applicabile alla CNC, se non in ambito di procedura concorsuale adottata quale strumento di conclusione delle trattative);
- ove il debitore faccia direttamente ricorso - senza dunque aver prima avuto accesso al percorso di composizione negoziata, in conseguenza dell’emersione dei segnali di crisi aziendale - ad uno degli strumenti di regolazione giurisdizionale della crisi e dell’insolvenza previsti dal D.Lgs. n. 14/2019. 
Quanto premesso, l’istituto in oggetto, quale “prototipo”, ha fatto ingresso all’interno dell’ordinamento tributario con il D.L. n. 138/2002 (cd. “Transazione dei ruoli”): l’Agenzia delle Entrate poteva definire in via “transattiva” i tributi statali iscritti a ruolo per oltre euro 1,5 milioni, in caso di maggiore proficuità rispetto alla riscossione coattiva laddove, in corso d’esecuzione, il contribuente fosse divenuto insolvente o assoggettato a procedura concorsuale.
In tale ambito, l’Amministrazione finanziaria poteva concedere la dilazione dei carichi iscritti a ruolo anche in mancanza dei requisiti ex art. 19, comma 1, D.P.R. n. 602/1973.
La transazione dei ruoli non ha trovato concreta applicazione per una serie di ragioni, fra le quali si ricordano: i) il contrasto con il principio d’indisponibilità dell’obbligazione tributaria; ii) la dubbia compatibilità con i divieti comunitari in ambito di aiuti di Stato idonei ad alterare le regole della concorrenza; iii) le difficoltà applicative circa i tributi il cui gettito fosse stato in parte di titolarità di enti non statali; iv) il rischio di revoca in caso di successivo fallimento.
Tale normativa è stata abrogata allorquando, nell’ambito della riforma concorsuale ex D.Lgs. n. 5/2006, il legislatore ha innestato la transazione fiscale all’interno del concordato preventivo, poi estendendola ai crediti di natura previdenziale-assistenziale (art. 182 ter L. fall.) ed anche all’ambito degli accordi di ristrutturazione dei debiti (art. 182 bis L. fall.). 
In origine, l’istituto prevedeva che il debitore potesse soddisfare in modo parziale i crediti erariali privilegiati solo qualora non avessero costituito risorse proprie dell’UE (infalcidiabilità tributo IVA).
La Corte di Cassazione, sul punto, ritenne che il divieto di falcidia del credito relativo al tributo IVA fosse una norma eccezionale, dalla natura sostanziale e non procedimentale, siccome direttamente riconducibile al precetto di intangibilità delle risorse in ambito UE (Cass. 4 novembre 2011, nn. 22931-22932).
Di fatto, il credito IVA, munito di un grado di privilegio di rango arretrato, veniva trattato in modo “antergato” rispetto ai crediti privilegiati poziori, divenendo così, in sostanza, un credito prededucibile.
La questione della compatibilità della falcidia rispetto ai dettami comunitari fu esaminata dalla Corte di Giustizia Europea: la Corte UE (C-546/14), nel confermare che le norme comunitarie impongono ai singoli Stati di adottare misure volte a garantire il gettito IVA, riconobbe la possibilità che il contribuente proponesse il pagamento parziale IVA all’interno di una procedura concordataria, ciò non determinando a priori una rinunzia generale ed indiscriminata alla riscossione del tributo.
Quanto sopra a condizione che: i) il patrimonio del contribuente non sia idoneo ad assicurare il soddisfacimento integrale del credito tributario; ii) un esperto indipendente attesti che tale credito non riceverebbe un trattamento migliore in sede liquidatoria; iii) all’Erario sia assicurato l’esercizio del voto ai fini dell’approvazione della proposta ed ogni successiva azione in termini di gravame.
Tali principi sono stati recepiti dal legislatore nazionale all’interno dell’art. 182 ter L. fall., con efficacia dal 1° gennaio 2017: da allora, è venuto meno il divieto di falcidia IVA, così come delle ritenute operate e non versate (che non sono peraltro di pertinenza del bilancio comunitario).
La falcidia è così divenuta possibile, all’interno della proposta di concordato, ove il piano preveda un soddisfacimento del credito erariale non inferiore a quello realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale, sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato degli asset su cui sussista la prelazione, come attestato da professionista indipendente ex art. 67, comma 3, lett. d), L. fall.
Sono rimasti esclusi dall’ambito di applicazione della transazione fiscale i crediti tributari non amministrati dalle agenzie statali (tributi locali), per i quali la possibilità di soddisfacimento parziale si uniforma peraltro ai principi generali che regolano il concordato (art. 160, comma 2, L. fall.).
In ambito di sovraindebitamento, in origine, l’art. 7, comma 1, terzo periodo, L. n. 3/2012 prevedeva che i tributi costituenti risorse proprie dell’UE, il tributo IVA e le ritenute erariali dovessero essere pagati integralmente, salvo pagamento dilazionato.
Alle ricordate modifiche dell’art. 182 ter L. fall. non ha fatto seguito alcuna modifica dell’art. 7, comma 1, terzo periodo: tale norma ha continuato quindi a prevedere che in ambito di sovraindebitamento il credito IVA fosse soddisfatto integralmente, salva dilazione. 
La giurisprudenza di merito ha ritenuto superabile il tenore letterale dell’art. 7, comma 1, terzo periodo, in aderenza agli orientamenti della Corte di Giustizia comunitaria, peraltro resi in ambito di procedure maggiori.
In particolare, è stata sottoposta al vaglio della Corte Costituzionale la questione della falcidiabilità del credito IVA nel sovraindebitamento, in base alla seguente, duplice dedotta violazione:
- principio di eguaglianza: irragionevole diversità fra la disciplina prevista dall’art. 182 ter L. fall. e quella prevista dall’art. 7, comma 1, terzo periodo, L. n. 3/2012;
- principio di buon andamento amministrativo: l’Erario, non accettando una proposta conveniente, agirebbe in senso antieconomico, dovendo invece massimizzare le risorse.
La Corte Costituzionale, con sentenza n. 245/2019, ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell’art. 7, comma 1, terzo periodo, L. n. 3/2002 limitatamente alla parte relativa al soddisfacimento integrale del credito IVA, così allineando le due normative in tema di falcidiabilità del tributo IVA.
In ambito di L. n. 3/2012 non operava per i crediti contributivi alcuna specifica disciplina, applicandosi la disposizione generale ex art. 3, comma 1, secondo periodo (falcidiabilità dei crediti privilegiati in base al criterio di capienza patrimoniale, come attestato da OCC).
Venendo al regime attuale, il legislatore, nel far confluire all’interno del Codice della crisi sia le norme della legge fallimentare, sia quelle della L. n. 3/2012, con riferimento alla transazione fiscale, ha recepito le disposizioni previste da tali testi normativi, come da ultimo modificate per effetto della normativa emergenziale legata alla diffusione del virus Covid-19 (norme sul cram-down).
Con riferimento al concordato preventivo, la norma di riferimento all’interno del Codice della crisi è l’art. 88 (“Trattamento dei crediti tributari e contributivi”); con riferimento agli accordi di ristrutturazione dei debiti, l’art. 63 (“Transazione su crediti tributari e contributivi”); con riferimento al sovraindebitamento (concordato minore), l’art. 80 (“Omologazione del concordato minore”).
Per tutte tali procedure, la proposta di pagamento parziale/dilazionato dei tributi erariali/contributivi, e relativi accessori, può essere formulata ove il piano ne preveda la soddisfazione in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale, sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile agli asset sui quali sussista la prelazione, come indicato nella relazione di un professionista indipendente ovvero dall’OCC, in caso di concordato minore.
Per i crediti privilegiati, la percentuale, i tempi di pagamento e le eventuali garanzie non possono essere inferiori, o comunque meno vantaggiosi, rispetto a quelli offerti ai creditori che abbiano un grado di privilegio inferiore a quelli erariali/contributivi ovvero a quelli che abbiano rispetto agli stessi una posizione giuridica ed interessi economici omogenei.
Per i crediti chirografari, anche a seguito di degradazione del credito privilegiato in apposita classe, per incapienza del patrimonio del debitore, il trattamento non può essere differenziato rispetto a quello previsto per gli altri crediti chirografari ovvero, nel caso di suddivisione in classi, rispetto ai crediti per i quali sia previsto un trattamento più favorevole. 
Venendo alla ristrutturazione “coattiva” dei crediti fiscali-contributivi ad opera dell’Autorità giudiziaria (cd. cram down), in ambito di concordato, l’art. 88, comma 2 bis, prevede che il tribunale omologhi la procedura anche in mancanza di adesione da parte dell’ente erariale e/o contributivo, quando l’adesione sia determinante ai fini del raggiungimento delle percentuali per l’approvazione, sempreché la proposta sia più conveniente, o comunque non deteriore, rispetto all’alternativa liquidatoria, e ciò anche in base alle risultanze della relazione del professionista indipendente. 
In ambito di accordi di ristrutturazione dei debiti - siano gli stessi ordinari o agevolati, ed anche in caso di ADR ad efficacia estesa - l’art. 63, comma 2 bis, prevede che il tribunale omologhi l’accordo anche in mancanza di adesione da parte dell’ente erariale e/o contributivo, quando la stessa sia determinante ai fini del raggiungimento delle percentuali di legge, sempreché il trattamento sia più conveniente, o comunque non deteriore, rispetto all’alternativa liquidatoria, e ciò in base anche alle risultanze della relazione del professionista indipendente, 
Il terzo comma dell’art. 63 prevede che la transazione fiscale-contributiva si risolva di diritto qualora l’imprenditore non esegua integralmente i pagamenti dovuti alle agenzie fiscali e/o agli enti contributivi entro il termine di sessanta giorni dalle scadenze previste.
In ambito di concordato minore (il “vecchio” accordo di composizione), l’art. 80, comma 2, prevede che il giudice omologhi la procedura anche in mancanza di adesione erariale/contributiva, quando la medesima sia determinante ai fini del raggiungimento della percentuale per l’approvazione della procedura, sempreché il trattamento sia più conveniente, o comunque non deteriore, rispetto all’alternativa liquidatoria, e ciò in base anche alle risultanze della relazione redatta dall’OCC.
Per riepilogare, la possibilità di ristrutturazione del debito fiscale-contributivo ad opera dell’Autorità giudiziaria è condizionata alla sussistenza dei seguenti tre requisiti:
1) che vi sia mancanza di adesione da parte degli enti pubblici (rileva tanto il diniego tacito, quanto quello espresso);
2) che l’adesione sia decisiva (quando le maggioranze/percentuali di legge siano raggiunte imputandovi, tramite conversione “adesiva”, il credito erariale/contributivo;
3) la proposta sia più conveniente o non peggiorativa rispetto alla liquidazione, ciò anche in base alle risultanze della relazione del professionista indipendente ovvero dell’OCC.
Resta, in ogni caso ferma, per gli enti pubblici che subiscano il cram down la facoltà di opporsi all’omologazione della procedura secondo le singole norme previste dal Codice della crisi.
4 . Conclusioni
Dal quadro sopra delineato si rileva come il Codice della crisi non preveda alcuna possibilità per le imprese, anche sotto-soglia, che accedano alla composizione negoziata della crisi di formulare agli enti pubblici, in via diretta, una proposta di trattamento del credito fiscale-contributivo.
Attualmente, pertanto, la transazione non può trovare autonomo ingresso all’interno della composizione negoziata quale mezzo per regolare la posizione debitoria dell’imprenditore e, in particolare, per “abbattere” l’entità delle obbligazioni fiscali maturate nei confronti dell’Amministrazione finanziaria. 
Cionondimeno, pur auspicando una modifica normativa che consenta l’introduzione diretta all’interno della CNC dell’istituto in oggetto, unico strumento per “abbattere” lo stock di debito fiscale, il debitore potrà formulare ex art. 23 una proposta di trattamento del credito fiscale-contributivo riconducendola all’interno di una proposta di concordato preventivo, di accordo di ristrutturazione ovvero di concordato minore, nel caso in cui si tratti di imprenditore non soggetto alla procedura di liquidazione giudiziale.